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âIl sangueâ¦â riprese Jane con tono interrogatorio. Voleva vederci più chiaro. Parlare con gli sconosciuti, specie se uomini, le metteva un senso di ansia non indifferente, ma lui sembrava lâunica eccezione possibile. Lâunica e la sola valida.
âIl sangue?â
âNon ti ha impressionato tutto il mio sangue? Non ti sei sporcato?â domandò velocemente.
âNon ce n'era tantissimoâ si difese lui.
âMa se ho perso i sensi!â sbottò Jane.
âTi sembra necessario ora discutere sul come e perché? Non sei contenta di essere viva?â
Quella domanda retorica placò la sua angoscia e ammise di aver esagerato. Che motivo c'era di farsi tante domande?
Non si fidava di lui?
Decise di non farne più, anche se sfiorò il pensiero di fargliene un'altra, l'ultima: perché lâaveva lasciata sul retro dellâospedale?
* * *
âIl cielo è pieno di stelleâ se ne uscì lui tenendo la testa buttata all'indietro.
Jane imitò la sua posizione e si accorse che effettivamente il cielo aveva milioni di punti luce addosso, come un meraviglioso tappeto incastonato di preziosi diamanti.
âBello, non trovi?â
âMoltoâ rispose lei. Lo guardava, ma ogni tanto chinava gli occhi in basso. Non avrebbe voluto sparargli tutte quelle domande insieme e a gran voce, come invece aveva fatto
âOgni volta che alzo gli occhi al cielo mi viene in mente la storia che mi raccontò mia madre, molti anni faâ disse lui continuando a tenere gli occhi fissi sulle stelle.
âSe ne hai voglia puoi raccontarmelaâ lo incoraggiò Jane. Si sedette sull'altalena.
âQuando mia zia morì in seguito a una brutta malattia, non riuscii a dormire più come prima. Era tutto per me e appena la persi mi dissi che la sua mancanza mi avrebbe tormentato per sempre; avrò avuto circa otto anni e mia madre, quando per l'ennesima volta venne svegliata dai miei lamenti notturni, mi preparò una tisana e mi chiese se avevo voglia di vedere mia ziaâ. Il ragazzo sorrise.
âChe faccia avrò fatto non lo so, mi ricordo solo che gridai un forte 'sì'. Lei mi prese la mano, si diresse verso la grande finestra dalla sala e indicò il cielo. Mi disse: 'La vedi quella stella laggiù? Non puoi sbagliarti, è la più luminosa'. Io la fissai incantato e annuii. 'Quella è zia. Adesso si è trasformata in una stella. Ogni volta che vorrai la potrai guardare e salutare con il pensiero. Zia non se ne andrà mai da lì'â.
Il ragazzo distolse lo sguardo da Jane per alzarlo di nuovo al cielo.
âNon dimenticherò mai l'ingenua felicità che provai. Sapevo che in qualsiasi posto fossi andato, sarebbe bastato alzare la testa un attimo per guardarla quanto volevo. Questa dolce bugia riuscì a farmi calmare e a farmi accettare meglio la sua morteâ.
Il sorriso che aveva tenuto per l'intera storia scomparve.
âà stata davvero molto delicata con i tuoi sentimentiâ osservò la ragazza.
âSì. Col passare degli anni ovviamente la bugia di mia madre non teneva più e di questo ho pianto. Avevo perso la fiducia in quella stella. Ho sempre apprezzato il suo gesto, ma alla fine lâho pagato molto caro. Un po' come quando scopri che l'amato Babbo Natale non esisteâ disse lui tornando a sorridere.
Anche Jane si addolcì. Lei in realtà non ci aveva mai creduto, ma questo non poteva dirglielo. Non poteva raccontargli, come aveva fatto lui, nemmeno un frammento della sua storia familiare. Gary, quando si avvicinava il fatidico giorno in cui si sarebbero dovuti scartare i regali, le ripeteva che doveva ringraziare il cielo di avere un tetto sopra la testa e il cibo tutti i giorni quando invece nel mondo c'erano tanti bambini che morivano di fame. La banale scusa serviva soltanto a farla sentire in colpa e a non farle desiderare nessun regalo; in questo modo non avrebbe speso un centesimo e tutti sarebbero stati più contenti, secondo il suo logico e perfetto ragionamento. Dopo svariati anni, Jane aveva perso del tutto la fiducia sia nella festa in sé, sia in un tentativo da parte del padre di cambiare atteggiamento e non per comprarle chissà cosa: bastava anche essere poco più gentili. Ma questo regalo, desiderato e gratuito, Gary non glielo aveva mai fatto.
âQuando guardo le stelle, però, una parte di me, la più nascosta, ancora è convinta che zia sia realmente quella stella. La più luminosa di tutteâ. Il ragazzo lanciò un ultimo sguardo in alto, poi lo incrociò con quello della ragazza.
âA volte abbiamo bisogno di credere in qualcosa che non esiste, non trovi?â
âSono perfettamente d'accordoâ anche se avrebbe voluto aggiungere altre mille parole, Jane si limitò a un pensiero solo.
âCome ti chiami?â domandò d'un tratto lei.
âIo mi chiamo Noelâ rispose dopo un attimo dâesitazione. âScusami se non mi sono presentato primaâ.
Jane si alzò dallâaltalena dandogli la mano e lui l'afferrò avvolgendola nella sua.
La ragazza si accorse che, nel momento in cui le loro mani si toccarono, il suo sguardo si fece molto più intenso e nella luce che intravedeva nei suoi occhi intuì qualcosa che non andava, qualcosa di malvagio.
Lui serrò i denti e diventò serio.
All'improvviso Jane ebbe la terribile sensazione di essersi sbagliata sul conto di quel ragazzo.
Realizzò che Noel aveva iniziato a stringerle la mano con - forse - l'intenzione di non lasciarla più.
* * *
Lâattimo in cui credette dâaver visto il male negli occhi di Noel sembrò infinito.
Quella forza in più che le era parso dâavvertire nel momento in cui le aveva stretto la mano, aveva avuto un effetto disastroso sul suo stato dâanimo, ma sembrava ormai essersi acquietato.
âCâè qualcosa che non va?â le chiese Noel lasciandole finalmente la mano.
âNoâ rispose Jane con voce secca. Il cuore ancora batteva velocemente, però decise di non andarsene subito; sfidò se stessa e cercò di rimanere ancora davanti a lui per liberarsi della paura che, in qualche modo, le faceva vivere.
In quegli occhi scuri câera tanto mistero; Jane sentiva unâattrazione verso di lui che non riusciva a spiegarsi razionalmente, come se dâimprovviso avesse voluto sapere tutto di lui, ogni singola cosa, avrebbe voluto sapere di più sul suo passato, sulla famiglia.
Il conflitto dâemozioni che percepiva cercò di nasconderlo dietro atteggiamenti disinvolti. âForse è ora di tornare a casa, che ne dici?â propose non sopportando più lâangoscia che le aveva preso lo stomaco.
âIo rimango ancora un poâ quiâ rispose Noel.
Intrecciò le mani dietro la testa e tornò a fissare il cielo stellato.
âNon devi andare a cena?â
âSì, ma a casa mia si mangia sempre molto tardi: è una brutta abitudine che ha imposto mio padre con i suoi scomodissimi orari di lavoroâ.
âIo vado, alloraâ chiuse lei. Sapeva che sarebbe stato poco educato non andargli accanto per salutarlo, ma non ne se curò. Lâidea di andargli vicino, talmente vicino e addirittura baciarlo sulla guancia, le sembrò assurda. Non ce lâavrebbe fatta ad affrontare quello sguardo freddo e penetrante e sicuramente non ce lâavrebbe fatta a sfiorare la sua pelle. Quando lo salutò con un cenno della mano e lui ricambiò, Jane fece per andarsene. Di passo in passo sâaccorse che forse aveva sbagliato a essere così maleducata solo per aver dato ascolto alle sue paure egoiste, avrebbe dovuto farsi coraggio per salutarlo bene, anche se dentro sentiva un poâ di timore. Si fermò un istante dopo aver percorso una decina di metri, il battito restò veloce, non si era mai alterato. Si sarebbe scusata e con gentilezza gli avrebbe spiegato che non lo aveva salutato perchéâ¦
Jane si girò e lo scivolo era vuoto.
Noel non câera più.
Si alzò dalla sedia quando entrò il professore di chimica.
Gli studenti che ormai si erano accomodati non ebbero la minima intenzione di imitare il gesto di Jane, nemmeno per sogno.
Il professore lanciò un'occhiata alla ragazza e le fece un sorriso.
"Grazie, puoi sedertiâ disse lui raggiungendo il posto in cattedra.
"La solita leccaculoâ osservò Kris, posto centrale, prima fila. Il professore fece finta di non aver sentito.
"Ragazzi oggi dobbiamo assolutamente iniziare a spiegare la polarità della molecolaâ annunciò aprendo il suo manuale.
"Io vado a casaâ sentenziò una ragazza mora. Si alzò dalla sedia e si diresse verso la porta.
"Paula, ti consiglio di ritornare al tuo posto dato che ti serve ascoltare questa lezione".
"Io invece ti consiglio di ritornare a casa dato che tua moglie starà scopando con il tuo migliore amicoâ ruggì lei sbattendo la porta. Qualcuno scoppiò a ridere.
"Pagina 348â annunciò lui un attimo dopo il prezioso consiglio della studentessa. Ovviamente nessuno aprì il libro, ma il professore iniziò a spiegare senza guardarli negli occhi. Rimaneva costantemente rivolto verso la lavagna, disegnava la sua graziosa cellula, scriveva le formule, gesticolava e restava, per tutta la durata della lezione, di spalle ai ragazzi.
Non appena Ashley si alzò dal proprio posto a Jane mancò l'aria per la paura.
"Piccola chimica delle mie palle, fuori i soldiâ sbottò, sicura che il professore non si sarebbe girato.
Jane la guardò chiedendole pietà con lo sguardo.
"Avanti porca puttana, non posso mica starti dietro tutto il santo giornoâ aggiunse agitando la mano protesa verso di lei.
La ragazza estrasse tre dollari dall'astuccio e, senza nemmeno porgerglieli, se li vide strappare via dalla sua nemica più agguerrita.
"Dammi anche la relazioneâ aggiunse Ashley.
"Quale relazione?"
La reginetta della scuola le diede un tremendo pizzico sul braccio.
"Non prendermi per il culo!â gridò lei.
Il professore aveva quasi finito la sua lezione.
"Va bene, va beneâ si arrese. Dal quaderno estrasse la relazione che il professore aveva assegnato la settimana prima delle vacanze e che chiese subito dopo aver spiegato la polarità della molecola.
Ashley si alzò e con passo deciso lo raggiunse.
"Professore, questo è il mio compitoâ lo informò ponendogli sotto agli occhi il foglio ben scritto; Jane aveva approfondito gli argomenti, disegnato a mano le illustrazioni, inserito anche le parole esatte dei grandi chimici che parlavano dell'argomento in questione.
"Perfetto Ashleyâ.
Le guardò per un attimo la gentile scollatura che mostrava il seno poderoso e provocatorio.
"Come sempre sei l'unica che rispetta le mie consegne; se continui così ti porterò alla fine dell'anno con il massimo dei votiâ.
"Grazie professoreâ concluse lei e, soddisfatta, tornò a sedersi.
"C'è per caso qualcun altro che ha avuto il buonsenso di portare la relazione che avevo chiesto di fare?â
Nessuno rispose e quindi il professore uscì dalla classe con la relazione di Jane tra le pagine della sua agenda.
Ashley si avvicinò con aria minacciosa chiedendo sempre la stessa cosa. Jane cercava inutilmente di opporre resistenza, ma riusciva a fare solo una debolissima obiezione che non avrebbe intimorito nemmeno una bambina. La reginetta le sferrò un calcio sulla tibia.
"Ashley, mi hai fatto male!â sbottò Jane toccandosi la parte colpita.
"Jane, non vorrai mica farti malmenare ogni mattina, lo sai tanto ormai come funziona: possibile che io debba sempre ricordartelo?"
"Ti prego dalle questi soldiâ sâinfastidì un ragazzo seduto qualche posto più avanti. "Sono due volte che te li chiede e due volte che fate storie. Paga e non stancareâ.
Jane le diede cinque dollari che aveva trovato il giorno prima per puro caso tra alcune cianfrusaglie.
Ashley prese silenziosamente i soldi, si avvicinò al ragazzo che aveva osato mettersi in mezzo alle sue faccende e gli assestò una violenta ginocchiata sui genitali. Il ragazzo si piegò su se stesso e si accasciò a terra senza fiato.
"Da domani portameli anche tu un po' di soldiâ aggiunse sistemandosi una ciocca di capelli fuori posto.
"Io non....â cercò di dire qualcosa, ma quando Ashley gli affondò pesantemente un piede in mezzo alle gambe, il ragazzo si affrettò a dire che avrebbe portato la grana già dal giorno successivo.
Quando la reginetta si mise a sedere le sue amiche la guardarono un attimo allibite, forse impaurite, poi parlarono l'una sopra all'altra pur di complimentarsi con lei.
* * *
La lettera dell'uomo che temeva di più in assoluto gli venne recapitata a mano da un giovane che, furtivo, si guardava intorno per essere sicuro che nessuno lo vedesse.
"Questa gliela manda il capoâ informò consegnandogli una busta bianca; Gary la prese e se la infilò subito in tasca. "Nessun errore. La serata, non appena lui sarà qui, dev'essere perfetta. Se ti devi rifare questa sarà lâoccasione giusta per rimediare agli errori commessiâ. Il ragazzo se ne andò senza salutare, si limitò a sistemare il berretto che gli era calato da una parte. Gary digrignò i denti e tornò subito a casa nonostante fosse diretto a sbrigare un paio di faccende in centro. Si rifugiò in camera sua chiudendo a chiave la porta.
"Jolie non venire in camera, oggi non la pulire per niente, va bene?â disse estraendo la lettera.
"Sei sicuro Gary? Potrei ancheâ¦â
"No, oggi non devi pulire la mia camera!â gridò con foga. Sempre senza esagerare, non poteva superare i limiti con Jolie.
"La camera non la pulisco, ma quel tono non lo usare con me, mi sono spiegata?â rispose lei che stava dietro la porta della camera da letto per essere sicura di farsi sentire bene.
"D'accordo, dâaccordoâ aggiunse lui per chiudere in fretta la discussione. Quando sentì i suoi passi allontanarsi, finalmente poté dedicarsi alla lettera. L'aprì con l'emozione che si prova quando si legge o si tiene tra le mani qualcosa di incredibilmente proibito. Si accinse subito a leggerne il contenuto.
Tra una settimana esatta sarò di nuovo a Seattle. Devi rimediare agli errori fatti altrimenti, stavolta, non ti risparmio. Sai come farmi divertire. Giocati bene questa possibilità .
à lâultima.
R.H
Sentì la faccia andare a fuoco. Ogni cosa dipendeva dalle mosse che avrebbe fatto, lui stesso era racchiuso nelle sue mani; una mossa sbagliata, solo una e sarebbe stato fatto fuori. Rütger era un uomo perfido, ma lo sarebbe diventato ancora di più se di mezzo ci fosse stato il profumo di una donna interessante. Era la sua peggior malattia, andava fuori di testa non appena ne vedeva una giovane e bella e se qualcuno, come Gary, per un motivo o per un altro glielâavesse tolta da davanti gli occhi, si sarebbe infuriato. Si sedette sul bordo del letto sperando che il forte mal di testa si sarebbe placato nel giro di qualche minuto. Rimase senza fiato mentre il suo cervello intensificava i pensieri, creando solo centinaia di problemi, di domande senza focalizzarsi su ipotetiche soluzioni: come fare per accontentarlo? Qualsiasi cosa avesse fatto sarebbe bastata? Avrebbe dovuto far ricorso a ogni sua capacità organizzativa, avrebbe pregato la fortuna e l'avrebbe implorata di non tradirlo; avrebbe ucciso tutti i suoi conoscenti pur di non fallire in quel delicato compito senza precedenti. Fece forza sulle ginocchia e si alzò nonostante la rabbia che aveva dentro pesasse una tonnellata. Raggiunse il suo armadio e fece per far scattare la serratura con la piccola chiave di bronzo, ma si accorse che qualcuno aveva aperto le due ante senza richiudere il mobile a chiave. Era stato chiaro da sempre con Jane, Jolie e Ginger: nessuno, per nessun motivo, in nessun'occasione, mai e poi mai avrebbe dovuto aprire quell'armadio. Tutte e tre avevano risposto che avrebbero mantenuto la parola. Gary socchiuse gli occhi e serrò i denti. Iniziò a respirare a fatica. Aprì di scatto l'anta e si accorse di qualcosa di agghiacciante relativo alla sua cassettiera. Il suo cuore batté all'impazzata e la gola gli si seccò in una sola manciata di interminabili secondi: un minuscolo triangolino di carta bianca usciva fuori dal terzo cassetto: qualcuno aveva frugato tra le lettere e adesso sapeva tutto sul suo passato.
Chiuse gli occhi e si disse che quella volta avrebbe ucciso qualcuno.
* * *