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Era per questo che cercava di giustificare i suoi atteggiamenti isterici, dai modi bruschi che aveva di trattarla, anche se poi, per come si comportava, di giustificazioni proprio non ce nâerano.
* * *
Jane indossò un pesante cappotto, il cappello e i guanti di lana. Mentre raggiungeva la scuola, pensava che avrebbe preferito unâimminente disgrazia piuttosto che un altro incontro con Ashley; quando arrivò davanti al liceo la sua mente le proiettò i terribili attimi che le aveva fatto passare la reginetta della scuola insieme alle sue amiche. Sperava con tutta se stessa di non incontrarla mai più, sperava che si fosse trasferita per sempre in unâaltra città , ma sapeva benissimo che le sue speranze infondate non sarebbero mai potute diventare realtà , così sperò solo nella sua assenza. Le faceva male ancora la parte destra del torace e se quella mattina Ashley lâavesse picchiata di nuovo, sarebbero arrivati altri dolori atroci da sopportare.
Non appena la campanella suonò, Jane varcò la soglia dellâaula, intenzionata a mettersi subito seduta al suo posto per ripassare, sfuggendo così al possibile incontro con Ashley, ma con sua grande sorpresa, appena entrata nellâaula, trovò lâultima persona che avrebbe voluto vedere seduta al suo banco, allâultima fila. Fu presa da una morsa di paura e non riuscì a pensare a cosa fare, a cosa dirle.
Ashley rimase ancora alcuni attimi al posto di Jane.
âHai cambiato il modo di truccarti?â disse guardandole lâocchio ancora un poâ violaceo. âO è la nuova moda delle puttane come te?â socchiuse gli occhi, come per osservare ogni reazione della sua vittima. Non voleva perdersi neanche un attimo del terrore che Jane stava provando.
La classe era ancora vuota e i fasci di luce che entravano dalla finestra erano gli unici spettatori di quella conversazione.
âAscoltami bene, te lo dirò con molta calma perché non ho nessuna voglia di alterarmiâ¦â iniziò lei alzando il dito in aria.
Jane si sentì fortunata: qualsiasi cosa stesse dicendo, non sarebbe ricorsa alla violenza.
âSperando che tu abbia capito la mia superiorità rispetto a te che non vali assolutamente niente, mi sembra giusto che tu abbia degli obblighi nei miei confrontiâ continuò Ashley.
âNon credo diâ¦â
âNon fiatare. Non devi parlare con me. Mi dovrai portare sempre dei soldi, questo deve essere chiaro e devi ficcarti nel cervello che non dovrai mai saltare un giorno. Se avessi voglia di non venire a scuola per chissà quale cazzo di motivo, tu sei obbligata a venire lo stesso a darmi i soldi che mi devi e andartene di nuovo da dove sei venuta. Câè qualcosa che devo ripetere o hai afferrato il concetto?â domandò retoricamente.
Jane rimase sconcertata di fronte a quelle parole e non riuscì a controbattere. Moriva dalla voglia di darle uno schiaffo in piena faccia, ma il suo corpo risultava immobile come una statua di bronzo.
âQuanto hai dietro?â domandò di punto in bianco la reginetta. Jane mise una mano in tasca e tirò fuori tremante il suo portafogli.
âDue dollariâ rispose con voce incerta.
âNon ci credo! Hai una villa, tuo padre è pieno di soldi e giri con due miseri dollari?â
âNon ho altroâ¦â
âSei pateticaâ rispose Ashley strappandole dalle mani le due banconote da un dollaro ciascuna.
âSpero che domani non farai la stessa figuracciaâ.
Dopo le minacce, Ashley le diede un colpo sulle costole: Jane si piegò in avanti e strinse i denti per il dolore riuscendo a non gridare; respirava affannosamente e pregò il cielo che tutto finisse con quellâunico colpo.
La reginetta si mise al suo posto e aspettò, come se niente fosse, lâarrivo di Flores.
* * *
Sapeva benissimo che Ashley non scherzava.
Jane si chiese quante persone nel mondo avessero problemi di quel genere; quanti ragazzi si immischiassero in affari loschi, in giri di soldi sporchi e quanti di loro, come lei, dovessero del denaro a qualcuno. Il problema però era che Jane non aveva fatto niente per meritare quella punizione: il suo era un insensato obbligo imposto da una ragazzina prepotente e strafottente che riusciva nel più brillante dei modi a far valere le sue regole alle persone giuste. Jane era unâottima preda. Pur di non avere guai era disposta a subire e Ashley questo lo aveva capito fin dallâinizio.
Appena entrò in casa salì al piano di sopra e meditò sul da farsi: doveva procurarsi ogni giorno un poâ di soldi; aprì con foga il tappo bianco del suo salvadanaio e di colpo volarono in aria solo alcuni spicci. Caddero rumorosamente sulla scrivania bianca e altri a terra; li contò tutti, ma non arrivavano nemmeno a tre dollari. Per un giorno si sarebbe salvata, ma il resto delle volte? Un pensiero le suggerì di provare a parlarci, magari se le avesse detto che il padre non le dava un soldo forse avrebbe capito e annullato la richiesta, ma era naturale che quella sarebbe rimasta una fantasia lontana e irrealizzabile.
Scese in cucina e si accorse di un bigliettino sul tavolo della cucina.
Ti lascio un foglietto, devo scappare:
il turno di oggi lâho fatto stamattina
perché devo sbrigare faccende urgenti.
Grazie infinite tu sai per cosa.
Ti auguro una buona giornata.
Jolie.
La sensazione di essere sola in casa, per tutto il pomeriggio, le provocò addosso una strana sensazione. Poteva fare quello che voleva senza essere vista.
Si preparò al volo unâinsalata di pollo, mais, olive e carote, poi si lavò i denti. Si guardò allo specchio e si accorse di avere le palpebre più allargate del solito: si rese conto dâessere tesa, il suo corpo era irrigidito e la mente non faceva altro che pensare al problema da risolvere. Stavolta câera davvero il rischio di passare guai seri con Ashley; sarebbe stata disposta a tutto pur di non essere una sua vittima. Girando a vuoto per il salone, ad un certo punto, fissò il mobile di ciliegio che prendeva una parete intera e più precisamente guardò lâultimo sportello in basso a destra.
Aveva appena capito come procurarsi, senza problemi, i soldi che le servivano.
* * *
L'idea che le era venuta in mente non era delle migliori, ma l'urgenza della situazione la rendeva assolutamente necessaria.
Arrivata davanti alla credenza fece un grande respiro, chiuse un attimo gli occhi e si pentì da subito per quello che stava facendo. Stava sacrificando la sua filosofia, il suo modo di pensare e di essere, ma non poteva andare diversamente. Un gran peso sullo stomaco le rendeva difficilissimi i passi che la separavano dallo sportello marroncino della credenza. Guardò la piccola chiave che avrebbe dovuto girare, l'afferrò con due dita e non appena iniziò la rotazione verso destra, lo scatto della piccola serratura sembrò amplificarsi di un milione di volte. Il mondo intero, sentendo quello scatto così forte, si girò verso di lei con occhi feroci incolpandola da subito: Jane Madison aveva perso ogni grammo di dignità , solo girando quella chiave.
In casa regnava un sinistro silenzio che metteva paura. Tutto immobile, gli oggetti la guardavano e lei, a denti stretti, iniziò l'operazione: aprì lo sportello dellâarmadio e infilò la mano cercando di schivare le due ventiquattrore del padre, alcuni raccoglitori di plastica nei quali teneva le bollette, un vaso, alcuni cd sparsi. Quando le sue dita toccarono la fredda superficie del salvadanaio di Gary cercò in tutti i modi di stringerlo e tirarlo a sé, ma era come intrappolato tra tutti gli altri oggetti che gli facevano da scudo. Forzò ancora di più, ma niente, sembrava cementificato. Si aiutò con l'altra mano e, serrando ancor di più la stretta, iniziò a fare forza fino a che riuscì finalmente a strappare via il salvadanaio del padre. Per la troppa foga, però, dal mobile scaraventò via anche tutti i documenti di Gary che si sparpagliarono disordinatamente a terra, il vaso si frantumò con un rumore sordo e anche il salvadanaio di coccio andò in mille pezzi liberando così centinaia di monete e decine di banconote.
Jane cadde all'indietro e vide il disastro. Fortunatamente, pensò, a casa non c'era nessuno e avrebbe potuto riordinare tutto con calma; più che per la rapina al padre, il vero danno era aver distrutto il prezioso vaso a cui la bestia era particolarmente legata. Vedendo i suoi residui a terra si ricordò di un giorno, anni prima, in cui Gary lâaveva sgridata pesantemente per aver urtato senza volere il tavolo e aver fatto vacillare il suo oggetto preferito.
âPrima che tu faccia altri danni, questo lo metto al sicuroâ aveva detto lui nascondendo il vaso all'interno del mobile accanto al salvadanaio dove teneva i suoi risparmi. Non sapeva cosa inventarsi nel momento in cui Gary l'avrebbe scoperta.
Solo al pensiero le vennero i brividi.
Si sbrigò ad andare a prendere una busta dellâimmondizia, ma passando davanti alla porta dâingresso sentì girare una chiave dall'esterno e la porta, di scatto, si aprì.
Diversamente da ogni sabato, il padre rientrò a casa.
Con un incredibile anticipo.
* * *
âPapà !â esclamò sorpresa.
âMi serve un numero!â sbraitò lui. Sembrava davvero indaffarato e frettoloso. Andò accanto al mobile su cui câera il telefono di casa e, da un cassetto, tirò fuori un'agenda nera; la aprì e iniziò a cercare qualcosa di corsa, poi prese il cellulare e compose il numero che gli serviva.
âCazzo, è inesistente! La stronza mi ha mentito!â gridò lui. Sbatté un pugno sul telefono e la cornetta cadde a terra per poi ciondolare a destra e a sinistra come un pendolo dai poteri ipnotici. Jane era immobile e pregava con tutta se stessa che andasse via in quel preciso istante. Mentre lui fissava la cornetta penzolante in cerca di una soluzione al suo urgente problema, Jane notò con terrore che un pezzo di vaso era a pochi centimetri dai suoi piedi. Staccò subito lo sguardo da lì e cercò d'intrattenere la bestia calpestando il piccolo frammento.
âCos'è successo?â domandò con voce tremante cercando di distrarlo.
âTi prego stai zitta! Ti prego, Jane non intrometterti, ci manchi solo tu!â disse lui alzando entrambe le mani in aria. Iniziò a gironzolare nell'atrio, si avvicinò alla porta d'ingresso e per un attimo Jane credette che se ne stesse andando, invece tornò indietro, fino alla sua agenda. Controllò altri numeri e ne chiamò un altro.
âManca la cubista! Manca la cubista! Sto cercando il bigliettino con l'altro numero, ma non lo trovoâ sbraitò a un suo collega.
âNon doveva solo ballare! Lo sai che avrebbe dovuto intrattenere Rütger Hoffmann!â
Gary cercava di stare calmo, ma proprio non ce la faceva. La cravatta sembrava strangolarlo tanto era rosso in faccia.
Quando Ginger si attaccò al clacson chiamandolo, Jane la ringraziò con tutto il cuore. Mai prima di allora le aveva voluto così bene.
âDai, sbrigati! Siamo in ritardo!â gridò lei con voce stridula.
âArrivo, non suonare quel maledetto coso!â Gary prese l'agenda e la tirò a terra bestemmiando: dalle pagine ingiallite uscirono tre bigliettini bianchi. Gary guardandoli si accigliò e ne raccolse due. Li lesse e cercò di fare mente locale. No. Non erano quelli che cercava.
Jane sapeva che la sua fine stava per arrivare.
Il terzo bigliettino era finito accanto a un altro pezzetto di vaso che era sfuggito allâattenzione della ragazza.
Gary si accucciò afferrando il biglietto e il residuo di coccio.
âQuesto è il numero che cercavoâ.
Jane chiuse gli occhi.
âMa questo cos'è?â tuonò la bestia mostrando a Jane il quadratino di ceramica.
Gli occhi della bestia fulminarono quelli della ragazza ormai presa dal panico. In nessun angolo della sua anima era rimasto un solo briciolo di coraggio.
Gary abbassò ancor di più la voce e disse: âSpero per te che tu non abbia rotto ilâ¦â
Dall'espressione terrorizzata della figlia, la bestia capì. Con uno scatto si girò e con lunghe falcate raggiunse il salone; il pavimento ricoperto di cocci di ceramica e di soldi fu per lui una coltellata conficcata in petto. Con dolore e rabbia poté constatare che non solo era andato in frantumi il suo adorato vaso, ma anche il salvadanaio in cui metteva i suoi risparmi.
Rimase ancora qualche manciata di secondi in quello stato di shock, fissava il pavimento e non disse nulla nemmeno quando Ginger riprese a suonare insistentemente il clacson, tortura sonora a cui era intollerante.
Strappò il bigliettino che finalmente aveva trovato e si rivolse alla figlia con un misterioso sorriso mentre lasciava cadere i piccoli pezzetti di carta che, con giravolte disordinate, precipitavano a terra.
âAvevo un problema al pubâ disse lui calmo, âma tu puoi essere la soluzioneâ.
Jane non riusciva davvero a capire cosa intendesse.
âPapà posso spiegarti, non è come pensiâ¦â cercò di essere convincente, ma la voce debole la tradì.
âNon devi giustificarti piccola mia, possono succedere queste cose, no?â Gary era troppo calmo, pensò Jane: cosa stava tramando?
âFacciamo cosìâ concluse lui, âse stasera vieni al pub e mi aiuti a sbrigare delle semplici faccende, giuro che non ti strangolerò con la cinta dei pantaloni. Va bene, piccola bambina di papà ?â
Quel sorriso stampato in faccia e quell'aria tremendamente misteriosa terrorizzarono la ragazza.
âSe potessi aiutarti, lo farei volentieriâ disse lei.
âPerfetto, allora adesso vai a cambiarti così da raggiungerci in macchinaâ disse Gary congedandosi. Poi, voltandosi, la fulminò di nuovo.
âMamma Ginger ci aspettaâ.
* * *
Il sole stava calando e il cielo si era imbrunito.
Jane vedeva sfrecciare il paesaggio dal suo finestrino. Rifletteva guardando la gente, le case, le macchine parcheggiate.
Dopo una silenziosissima ora di viaggio finalmente si trovarono davanti al pub di cui aveva sentito tanto parlare senza essere mai stata invitata a visitarlo.
Jane fissò lâinsegna rosa del locale ancora spenta: Garyâs Night Club. La scritta non faceva altro che confermare quello che sospettava da tempo: non era un semplice âpubâ, come lo chiamava lui, ma si trattava di un vero night club situato in periferia, lontano da casa, dal centro e da occhi indiscreti.
Appena entrati si notavano subito i grandi cubi dove avrebbero dovuto ballare le tre ipotetiche ballerine con tanto di pali dâacciaio per la pole dance, tavolini che sarebbero serviti per champagne, aperitivi e stuzzichini da sgranocchiare mentre ci si godeva lo spettacolo erotico. Il resto del locale era occupato da sedie in pelle scura e divanetti riservati probabilmente ai clienti abituali che pagavano il privé.
Il locale, inoltre, era tappezzato di fotografie porno in alta definizione: donne nude su motociclette, abbracciate a uomini senza né indumenti né volti espressivi, teneri o rassicuranti. Altre rappresentazioni accattivanti e volgari erano situate su tutte le pareti.
Jane rimase colpita dallâeleganza e dal lusso sfrenato con il quale era stato arredato il night. Suo padre era un uomo rozzo e ignorante, scontroso e sempre di malumore e si domandò come avesse fatto a rendere quel locale così chic.
Si avvicinò a una delle tante fotografie appese alle pareti e notò che persino le cornici erano decorate alla massima potenza: addirittura, sulla testa di ogni chiodo utilizzato per reggere i quadri, era inciso un volto in miniatura di una donna con gli occhi chiusi che teneva in testa una corona di fiori.
Le sedie, così come i divanetti, sembravano comodissime, soprattutto quelle in prima fila, che somigliavano a vere e proprie poltrone. Posti riservati a pochi eletti.
Jane avrebbe voluto sapere molto di più su quel night, ma il padre le aveva detto che lo avrebbe dovuto aiutare solo in alcune semplici faccende e poi lâavrebbe riportata a casa, quindi non avrebbe potuto assistere al grande spettacolo che si teneva ogni sabato sera.
O almeno così credeva.
* * *
Tre ragazzi e due ragazze entrano nel night.
âEcco i miei figliuoli!â esclamò Gary alzando al cielo la bottiglia che aveva appena stappato. Le ragazze si scambiarono unâocchiata e abbassarono entrambe il capo. I maschi strinsero i denti e lo guardarono con occhi gelidi. I loro visi erano immobili, come paralizzati sotto lo sguardo del grande capo. Dopo averlo salutato ed essersi cambiati in quello che sembrava uno spogliatoio comune, le ragazze, armate di scopa, si accinsero a togliere tutta la sporcizia che câera sui pavimenti mentre gli altri, muniti di stracci e disinfettanti, cominciarono a pulire i tavolini.
âBravi i miei ragazzi, questo locale andrebbe a puttane senza di voi!â Scoppiò a ridere per la sua formidabile battuta. Non poteva sceglierne una migliore. Jane se ne stava in piedi vicino al bancone del bar a osservare silenziosamente quei ragazzi che lavoravano. Gary passava tra di loro, li controllava, li incitava ad andare più veloci dato che lâora di cena si avvicinava e la clientela sarebbe arrivata poco dopo mentre lui si limitava a bere e a gironzolare come un nullafacente. Prima scambiò qualche occhiata con la figlia, poi le impose di andarsene nel suo âstudioâ.
Si ritrovò in una stanzetta con un letto sfatto posizionato davanti a un megatelevisore al plasma e un comodino accanto al letto. Per il resto era vuota, non câera nientâaltro. Di fianco al televisore câera uno specchio di quelli in cui ci si può guardare attraverso e vedere cosa succede dietro. Aprì il suo zaino e ripassò gli ultimi capitoli di filosofia.
Erano arrivate molte persone nel locale e la musica era ormai a tutto volume. Jane era chiusa nello studio di suo padre da almeno tre ore e, nonostante il caos, riusciva perfettamente a rimanere concentrata, imprimendo nella mente i concetti chiave di ogni singolo capitolo che ripassava. Erano ormai le due passate e decise di addormentarsi, dato che ancora le semplici faccende di cui parlava Gary non le aveva svolte. Non appena si alzò per spegnere la luce e cercare di riposare, suo padre irruppe nella stanza facendola sobbalzare.
âPapà !â
In viso il signor Gary era teso, respirava affannosamente e deglutiva in continuazione. Gli occhi sembravano impazziti e si muovevano a destra e a sinistra come se cercassero urgentemente qualcosa.
âStaâ zitta e vieni con me!â
La prese per un braccio e la portò in una specie di magazzino. Dentro câera un ragazzo di colore che sistemava bibite su alcuni scaffali dâacciaio. Il signor Gary la strattonò con forza per farla entrare dentro la stanza e si precipitò a prendere una borsa nellâarmadio che era in fondo a quella topaia mal illuminata e puzzolente.
âIndossa immediatamente questo e fai in fretta perché è arrivato in anticipo!â Le tirò addosso un vestitino preso da quella borsa. Più che un vestitino era una minigonna di soli dieci centimetri e un top minuscolo. Jane davvero non capiva cosa stesse succedendo.