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La Ragazza-Elefante Di Annibale Libro Uno
La Ragazza-Elefante Di Annibale Libro Uno
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La Ragazza-Elefante Di Annibale Libro Uno

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Quando finimmo di bere, mi diede due monete di rame, una minuscola catena d’oro e un paio di orecchini d’argento a cerchio. “Va’da Bostar,”mi disse. “Digli che abbiamo bisogno di sette pagnotte.”Esitò per un momento. “No, prendine otto oggi. Mostragli le monete e i gioielli e prenderà ciò di cui ha bisogno. È l’unico commerciante nel campo di cui ti puoi fidare in questo modo. Bostar non prende mai più del valore del suo pane. Impara da lui cosa cercare in un uomo; è uno dei migliori.”Fece cadere il resto delle sue monete e i gioielli su un quadrato di stoffa e mi consegnò la sua borsa vuota.

“Chi è l’altro?”Chiesi mentre mettevo i gioielli per Bostar nella borsetta.

Yzebel rise e piegò il panno in una custodia per contenere il resto dei suoi gioielli. “Non importa. Se ne viene uno, te lo indicherò.” Si infilò la borsetta appena fatta dietro le corde del grembiule, poi strinse la cintura del mio vestito. “Vedi dove si trova il sole?”

Mi protessi gli occhi e guardai il cielo. “È quasi mezzogiorno.”

“Torna prima che il sole raggiunga le cime degli alberi.”

“Lo farò. Non ti preoccupare.”

* * * * *

Sulla strada per la tenda di Bostar, mi imbattei nella ragazza schiava del giorno prima. Era seduta su un piccolo sgabello fuori dalla tenda nera, con un cesto di cotone accanto a lei. Mi fermai a guardarla prendere un bastone affusolato non più lungo del suo avambraccio. Una spirale di argilla, come una piccola ruota, era montata vicino a un’estremità del bastone. Mi fece un sorriso smagliante e prese una capsula di cotone dal cestino, buttò via alcuni semi, dipanò alcuni fili e li unì alla lunghezza di quello già avvolto attorno all’asta del suo strumento. Quindi fece girare la pesante ruota e iniziò adaggiungere le fibre dalla capsula di cotone mentre un nuovo filo si avvolgeva attorno all’asta rotante.

La ragazza era così esperta nel suo compito, e le sue dita erano così veloci e agili che il filo sembrava allungarsi da solo. Prese altro cotone dal cestino, tolse i semi, dipanò le fibre e lolavorò nel filo di lana, continuando a far girare la ruota.

Quando lo strumento prese a ruotare più velocemente, si alzò e aggiunsealtro cotone alla fine del filo. Presto fermò l’asta rotante, che si era ingrossata nel mezzo per via del filo che vi si era avvolto intorno, quindi legò l’estremità del nuovo filo a quello già arrotolato in un gomitolo e iniziò a srotolare il filo astaper aggiungerlo al gomitolo crescente.

“Tin tinbansunia,” mi disse porgendomil’asta.

Il marchio lerovinava il bel viso. Anche lo schiavo di Lotaz aveva un marchio, ma il suo era un simbolo diverso che si era cicatrizzato molto tempo fa. Il marchio di questa ragazza sembrava una freccia con tre punte e aveva un serpente attorcigliato all’asta. La brutta bruciatura sembrava essere recente e non ancora completamente guarita.

“Cosa?”Chiesi.

“Tin tinbansunia.” Tirò il filo ancora avvolto attorno all’asta.

“Tin bim sole?”

“Tin tinbansunia.”

“Tin tinbansunia,”dissi e allentai la presa sulle estremità dell’astache avevo tra le mani in modo che ruotasse liberamente.

La schiava annuì e tornò a lavorare avvolgendo il filo sul gomitolo mentre io tenevo l’asta dello strumento.

“Non capisco cosa significhi.”

Quando finì il filo sull’asta, la prese e ne iniziò a girare uno nuovo.

“Conosci la donna chiamata Lotaz?”Le chiesi.

La ragazza schiava fece girare la ruota e lavorò il filo sempre più a lungo, apparentemente ignorandomi.

“Lotaz ha i capelli lunghi e ricci,” dissi. “E si tinge le labbra ele guance.”

Presi una capsula di cotone dal cestino, rimossi i semi e dipanai alcune fibre come avevo visto fare alla ragazza. Mi prese il cotone e lo lavorò rapidamente in tutta la sua lunghezza. Presi un’altra capsula e continuammo a lavorare, ma lei non reagì a nessuna delle mie parole.

“Senti quello che sto dicendo?”

Nessuna risposta.

“I tuoi capelli sono in fiamme!”

Prese un’altra capsula di cotone dalla mia mano ma non disse nulla.

“C’è un soldato orribile che corre qui per tagliarci a pezzetti e darci da mangiare ai leoni!”

Ancora nessuna risposta. Alla fine, dissi,“Tin tinbansunia.”

La ragazza sorrise. Apparentemente, poteva sentire ed era soddisfatta di ciò che le avevo detto, anche se non avevo idea di cosa le avessi detto.

Continuammo in questo modo, lei filava, mentre io dipanavo il cotone e parlavo del campo, Yzebel, Obolus e la mia avventura con la brocca di vino. Le ho anche raccontato di aver visto Annibale e di quanto fosse bello.

Pensavo avesse circa la mia età, dodici estati, forse un po’più giovane, snella e alta meno di due frecce. La sua carnagione era più profonda del colore di una pesca color cannella, con gli occhi scuri come la notte nella foresta. Non disse una parola e non mi prestò alcuna attenzione se non per prendere le capsule di cotone dalle mie mani per lavorarle.

Presto trasformammo il cestino di cotone in tre grandi gomitoli di lana. La ragazza li mise nel cestino, poi lo raccolse e mi passò accanto.

“Tin tinbansunia,” mi disse.

Per quanto ne sapevo, avrebbe potuto significare “Arrivederci, piacere di averti conosciuta” oppure“Ho finito, ora puoi andare” oppure“Per favore, non disturbarmi di nuovo.”

Mentre sedevo a gambe incrociate sul tappetino quadrato dove ero stata per gli ultimi due gomitoli di lana, fissavo la ragazza che si allontanava da me, sentendomi sola.

Dopo qualche passo, si fermò, guardò indietro e con un grande sorriso disse, “Tin tinbansunia.” Inclinò la testa nella direzione in cui si era diretta, come per dire: “Dai, vieni. Cosa stai aspettando?”

Mi alzai di scatto e corsi a camminare accanto a lei. “Tin tinbansunia?”

Indicò il sentiero e mi diedeun manico del cestino, così lo portammo tra di noi. Il sentiero conduceva su una ripida salita, dove poi si snodava attraverso una pineta sul lato oscuro dellaCollina Rocciosa. Le tende e le baracche sottostanti lasciavano il posto a capanne fatte di tronchi, con tetti di rami di paglia. Sembrava che avessimo lasciato il quartiere più povero e fossimo entrati in uno più ricco.

Le capanne erano distanziate e nessuno sembrava esserci nei paraggi. In basso, il rumore delle attività continuava, con molte persone che si occupavano delle loro faccende, ma lì nella foresta, tutto ciò che sentii fu la brezza tra le cime degli alberi e un corvo solitario gracchiare in lontananza.

“Chi abita qui?”

Non mi aspettavo alcuna risposta, ma pensai di poter leggere qualcosa nell’espressione della ragazza. E infatti così fu. Il semplice sorriso della ragazza era sparito, sostituito da uno sguardo di apprensione.

“Tin tinbansunia,” sussurrò e indicò una piccola capanna alla fine di un sentiero laterale, lontano dagli altri. Era circondato da alberi alti e scuri.

L’apprensione sul viso della ragazza divenne un’espressione di terrore. Capii che non voleva andare lì.

“Torniamo indietro.”Indicai il sentiero.

Guardò dove avevo indicato ma poi si trascinò verso la capanna. Tenevo ancora il manico opposto del cestino, quindi andai con lei, ma senza alcun entusiasmo.

Quando ci avvicinammo alla capanna, la porta si aprì cigolando sui cardini di cuoio e uscì un uomo ripugnante. Indossava solo la parte inferiore di una tunica legata con una corda sotto il suo enorme ventre e un paio di stivali neri. La sua testa con i capelli arruffatiera poggiata su spalle arrotondate, e sembrava che non avesse il collo. Non avevo mai visto così tanti peli su nessuno prima d’ora. Gli coprivano il petto, la pancia e gran parte del viso. Probabilmente anche la sua schiena, ma non volevo vederealtre parti di lui.

Rosicchiò l’ultimo pezzetto di carne dall’osso di un piccolo animale e lo gettò da parte. “È tutto quello che hai fatto?”Ringhiò alla ragazza, facendo un gesto verso il cestino.

La sua voce roca e rauca mi irritò. Qualcosa di grasso gli scorreva dall’angolo della sua bocca.Sputò per terra ai miei piedi. Mi guardò e si asciugò il mento con il dorso della mano.

La ragazza e io arretrammo. Non avevo mai saputo che un uomo grasso potesse muoversi così in fretta, ma si sporse in avanti e fece oscillare la mano prima che avessi l’occasione di voltarmi. Chiusi forte gli occhi, aspettandomi di sentirlo colpire il mio viso, invece colpì la ragazza. Non era uno schiaffo, le aveva tirato un forte pugno. Il colpo la fece sbattere contro un albero. La parte posteriore della sua testa colpì il tronco e lei si afflosciò, cadendo a terra.

Lasciai cadere il cestino e corsi dalla ragazza, inginocchiandomi al suo fianco. La feci girare e piansi. Il sangue le scorreva dalla bocca e dal naso e un livido viola cominciava a formarsi sul lato del suo viso. Aveva gli occhi chiusi.

“Tin tinbansunia,” sussurrai e la presi tra le braccia.

Non vidi arrivare lo stivale dell’uomo.

Capitolo Otto

Lo stivale pesante dell’uomo grasso mi colpì nel fianco, facendomi cadere all’indietro. Provai a gridare, ma non ne avevo fiato. Mi misi in ginocchio e mi sporsi in avanti, stringendomi lo stomaco con entrambe le mani, facendo fatica a respirare. Mentre l’uomo afferrava il braccio della ragazza per trascinarla verso la sua capanna, provai ad alzarmi, ma sentii una grande pressione sul mio petto e caddi di nuovo a terra, ancora senza fiato.

La ragazza aprì gli occhi e fece un debole tentativo di rimettersi in piedi, ma inciampò e cadde mentre l’uomo la trascinava via. Gridò e afferrò un palo vicino alla porta con la mano libera, ma lui la staccò via, la portò dentro e sbatté la porta. Sentii poi il bullone di legno cadere in posizione, segno del fatto che la porta veniva bloccata.

* * * * *

Non so per quanto tempo restai lì a piangere, ma alla fine riuscii ad alzarmi. Mi girava la testamentre raccoglievo le foglie e i ramoscelli dai tre gomitoli e li mettevo nel cestino. Quando poi posizionai il cestino accanto alla porta, non sentii alcun rumore all’interno. Bussai e aspettai una risposta, ma non ne arrivò nessuna. Bussai più forte e cercai di aprire la porta, ma non cedeva.

“Tin tinbansunia,” sussurrai attraverso una crepa nel legno. Non mi rispose nessuno

Dopo un altro momento, mi allontanai, dirigendomi verso il sentiero. Per quando arrivai alla tenda di Bostar, le mie lacrime si erano asciugate. Mi sentivo male. Non solo mi faceva male lo stomaco e il fianco, ma mi sentivo ferita nel profondo. Non era un sentimento che riuscivo a capire. Mi disturbava, come se avessi fatto qualcosa di sbagliato non aiutando la ragazza. Volevo solo andare da Obolus e rannicchiarmi in quel luogo morbido tra il suo mento e il petto dove avevo dormito la sera prima.

Feci un sorriso a Bostar perché sembrava felice di vedermi e disse che gli piaceva il mio vestito. Era un omone come quello sullaCollina Rocciosa. Gli diedi il quadrato di stoffa del giorno prima, che avevo nascosto dietro la cintura, e lo vidimettere fuori le pagnotte. Sicuramente non era paragonabile all’uomo che aveva colpito Tin Tin Ban Sunia così forte.

“Hai…”cominciai con tono rauco, non rendendomi conto del fatto che non avessi più la voce. Deglutii e ricominciai. “Possiedi uno schiavo, Bostar?”

Lui corrugò la fronte e studiò il mio viso prima di rispondere. “No, bambina mia. Non posso permettermi schiavi.”

“Oggi abbiamo bisogno di otto pagnotte.”

Lo guardai per un momento mentre sistemava il pane sul panno. Quindi presi due monete e i gioielli che Yzebel aveva spedito con me e glieli porsi.

“Quanto costa uno schiavo?”Chiesi.

Bostar prese la minuscola catena d’oro per esaminarla. “Uno schiavo costerebbe una manciata di queste.” Teneva la catenina da una sua estremità.

“Oh.” Rimisi il resto dei gioielli nella borsa.

“Aspetta qui un momento.” Andò nella sua tenda.

Strinsi le corde della mia borsa e raccolsi gli angoli del panno per legarli insieme, però Bostartornò con altre pagnotte.

“Questa catena d’oro è troppo per otto pani. Eccone altri tre, così siamo pari.”

“Mm,”dissi. “Yzebel aveva ragione.”

“Riguardo cosa?”Aggiunsele pagnottealle altre sul panno.

Yzebel mi aveva detto che Bostar era un uomo buono, un commerciante leale. Come faceva a saperne degli uomini? Come fa una ragazza a imparare la differenza tra le persone, distinguendo il bene dal male?

“Vedi dov’è il sole, Bostar?”

Lanciò uno sguardo al cielo. “Quasi alle cime degli alberi.”

“Yzebel mi ha detto di tornare ai suoi tavoli prima che raggiungesse le cime degli alberi.”

“Allora dovresti sbrigarti, Piccola.” Mi legò la cintura dietro; si era allentata quando avevo tolto il panno per il pane. “Ti vedrò domani?” chiese.

“Potresti vedermi ogni giorno per molto tempo.”Lo guardai.

“Ottimo. Questo significa che gli dei non sono scontenti di me.” Si fermò, mi guardò, poi aggiunse, “Non ancora.”

Lo fissai, chiedendomi a quali dei pregasse e perché. Quell’uomo di Via degli Elefanti aveva detto che gli dei degli inferi dovevano avermi creato per provare a far ribellare gli elefanti contro gli ammaestratori. Forse quegli stessi dei stavano operando quando quell’uomo ha ferito Tin Tin Ban Sunia.

“Non pensarci su così tanto, Piccola. Questo è solo un po’ di umorismo da fornaio.”

“Bostar?”

“Sì?”

“C’è un uomo sullaCollina Rocciosa, che vive in una baracca tra gli alberi. È grande come te, ma è coperto di peli. Lo conosci?”

Bostar tirò su i quattro angoli del panno per legarli insieme.“Quello che commercia i fili?”

Annuii.

“Ne ho sentito parlare.”

“Ha una schiava che tratta molto male.”

“Sì, dicono che si occupi di schiavi.”

“Penso sia un po’più giovane di me e molto dolce, anche se non parla la nostra lingua.”

“Molti degli schiavi portati a Cartagine provengono da luoghi lontani dove si parlano lingue strane.”

“Sono stato lassù con lei oggi, e lui le ha tirato un pugno.”

Le mani di Bostar si fermarono dov’erano, in cima al fascio.

“Tutto ciò che ha fatto di sbagliato è stato fare solo tre gomitoli per lui. Non pensava che fossero abbastanza, quindi l’ha colpita in faccia.”

Bostar scosse la testa. “Così crudele,”disse. “Non c’è mai alcun motivo per colpire un bambino.”

Non gli ho parlato del fatto che dell’uomo che mi abbia dato un calcio nel fianco.

Quando presi il fagotto, Bostar mi mise una mano sulla spalla. “I mercanti del male alla fine incontreranno la salvezza.”

Non capii cosa significasse.