banner banner banner
La Ragazza-Elefante Di Annibale Libro Uno
La Ragazza-Elefante Di Annibale Libro Uno
Оценить:
Рейтинг: 0

Полная версия:

La Ragazza-Elefante Di Annibale Libro Uno

скачать книгу бесплатно


Un “elefante,” … era così che l’avevano chiamato?

Una mano mi toccò la spalla e trasalii. Quando mi girai un giovane uomo che non avevo mai visto mi porse il suo mantello. Non era uno soldato quindi presunsi che fosse arrivato con l’uomo che indossava il turbante. Presi il mantello e me lo avvolsi intorno al corpo, tremando per paura dei soldati e a causa del freddo del fiume.

Il manto mi riscaldò, ma sentii dolore da tutti i tagli e le ferite. Schiena, testa … mi faceva male tutto, e lo sfinimento mi indebolì le gambe.

L’uomo con il turbante alzò il viso al cielo e cominciò un canto funebre. I soldati pregarono, poggiando le lance nelle pieghe delle braccia e stringendosi le mani. Mentre gli altri mormoravano al cielo, il soldato dalla barba rossa abbassò la testa per fissarmi. Un animale affamato non avrebbe potuto spaventarmi di più.

“Ora va’,” mi sussurrò il giovane uomo.

Feci un passo indietro, inciampando e quasi cadendo. “Dove?”Chiesi.

A differenza degli altri soldati che erano barbuti e chiassosi, egli era ben rasato e aveva una voce dolce. Era facile guardare nei suoi occhi marroni del colore delle mandorle e del miele. Non portava alcuna arma né tantomeno indossava un’armatura, però aveva una piccola fascia attorno alla vita della sua tunica bianca. La fascia era dello stesso insolito materiale di cui era fatto l’indumento dell’uomo alto.

Mi poggiò una mano sulla spalla, guidandomi via dai soldati, quasi sul limitare della foresta. “Sbrigati ad andare su quel sentiero verso il campo e chiedi di una donna chiamata Yzebel. Ti troverà qualcosa da mangiare. Va’ veloce prima che arrivi Annibale e veda uno dei suoi elefanti a terra.”

Nonostante mi causasse dolore, corsi lungo la strada che portava nel bosco. Ero grata al conforto del suo mantello e sapevo che avrei dovuto ringraziarlo. Il manto spesso era chiazzato del verde dell’erba e di sfumature di marrone. Arrivava quasi a terra, coprendomi dalle spalle alle caviglie.

Mi fermai e guardai indietro ma il giovane uomo non c’era più.

Il grande bernoccolo sul retro della testa mi faceva più male che mai. Quanto lo toccai, un forte dolore mi attraversò la testa, stordendomi.

Se solo potessi distendermi e dormire un pochino.

Un angolino di erba, come un morbido letto verde si estendeva sotto una quercia vicina. Nel momento in cui feci un passo verso l’erba sentii dei lontani rumori. Un cane abbaiò e il fragore del metallo echeggiò nella foresta.

Il campo dev’essere vicino.

Camminai verso i suoni, troppo stanca per correre.

Vicino al sentiero, un ragazzo stava raccogliendo della legna. Indossava una tunica marrone e aveva i disordinati capelli raccolti all’indietro con un cordino di pelle. Mi sogghignò in modo sprezzante e mi domandai perché mai. Uno dei ramoscelli gli cadde dalle mani. Lo raccolse da terra e lo portò oltre la spalla come se volesse lanciarmelo addosso. Tenni gli occhi fissi su di lui e presi una roccia dentellata dalle dimensioni del mio pugno, alzandola in atteggiamento di sfida. Dopo essere sopravvissuta al fiume, all’elefante con le sue corna, e agli spaventosi soldati, non mi sarei fatta intimidire da un ragazzo. Era più alto di me, ma io avevo la roccia.

Lanciò il suo ramoscello, colpendo un albero vicino, poi si girò, portando il suo carico di legna lungo il sentiero. Dopo che sparì dalla vista, continuai sulla stessa strada, tenendo in mano la mia roccia.

Verso la fine del cammino, una leggera brezza portò odore di cibo, facendo brontolare il mio stomaco dalla fame.

Il sentiero conduceva fuori dalla pineta, girava intorno a una grande tenda grigia e poi giù verso il campo principale. Numerose tende e baracche in legno punteggiavano una serie di piccole colline, estendendosi come a formare una piccola città.

Seguii l’aroma del cibo fino alla tenda grigia dove una donna sedeva vicino al fuoco nella luce mattutina. Tagliava delle verdure in una pentola a basso fuoco. Diversi tavoli con delle panche di legno circondavano il focolare.

Si allungò per prendere una rapa e mi notò. I suoi occhi a mandorla del colore del miele si fissarono su di me.

“Dove hai preso quel mantello?”

Abbassai lo sguardo, trascinando i piedi a terra. Non sapevo cosa rispondere.

La donna mi si avvicinò con il coltello in mano. Indietreggiai.

“Quello è il mantello di Tendao. Da dove l’hai preso?”

Strinsi il mantello più forte attorno ame, poi mi ricordai il giovane uomo. Mi disse di chiedere di una donna che mi avrebbe dato qualcosa da mangiare.

“Conosce Yzebel?”

“Io sono Yzebel. Perché indossi il mantello di Tendao e chiedi di me?”

Mi venne più vicina e afferrò il mantello. Guardai il coltello nella sua mano e poi il suo volto. Serrò la mascella e accigliò la fronte, creando una distorsione nella sua bellezza.

Tenni il mantello chiuso, ma Yzebel era troppo forte. Lo aprì. Il cambiamento improvvisò che vidi in lei mi sorprese. I suoi lineamenti severi si trasformarono completamente, sembrava addirittura che un’altra persona avesse preso il suo posto. L’irritazione e la rabbia si addolcirono in compassione e tenerezza.

“Per la Madre Elissa!” Yzebel stava fissando il mio corpo pieno di ferite. “Che cosa ti è successo?”

Capitolo Due

Yzebel indossava un vestito di trapunta digialli e marroni sbiaditi e un lacero grembiule legato attorno alla sua vita stretta. I suoi lunghi capelli scuri erano intrecciati e legati in un complesso chignon alto. Non era vecchia, neanche a metà della sua vita.Trovai straordinario il fatto che non avesse rughe. I suoi tratti,dal colore della crema di cannella, erano delicati come il chiaro di luna sulla seta.

Abbassai lo sguardo sul mio corpo e notai i numerosi tagli e le ferite. Solo in quel momento realizzai che terribile disavventura ebbi affrontato. Mi faceva male tutto, soprattutto la nuca. Mi ricordai di essere stata malata e bollente, tanto bollente, prima che mi buttassero nel fiume. A parte quello, non rammentavo altro. La debolezza mi travolse e mi sentii fragile come un arto rotto esposto al gelido vento. Scossi la testa in risposta alla domanda di Yzebel.

“Sei così magra.”La donna richiuse gentilmente il mantello e mi strinse intorno le braccia.

Non riuscivo a ricordare se qualcuno mi avesse mai abbracciata prima. Lasciai la mia roccia, sperando che non l’avesse sentita cadere a terra.

“Hai i capelli bagnati.” Prese una lunga ciocca e me la sistemò sulla spalla, poi mi strinse la mano. “Vieni qua al caldo.”

Yzebel mi condusse vicino al focolare, dove mi sedetti appoggiandomi a un tronco. Il fuoco riscaldò il mio corpo dolente, e il fumo dei pini mi avvolse in modo piacevole e tranquillizzante. Fissai il fuoco, guardando le fiamme balzare e danzare. Ricordava un bagliore di vita.

Dov’è che va il fuoco dopo che tutta la legna è bruciata?

“Puoi mangiare contu luca con wuhasa?”Mi chiese.

“Sì.”Non avevo mai sentito di contu luca, però sapevo che avrei potuto mangiare qualsiasi cosa.

Yzebel prese una ciotola di terracotta e la pulì con un angolo del suo grembiule. Usò un cucchiaio di legno per riempirla con cereali fumanti mischiati con pezzetti di carne. Un pentolino di argilla poggiato su una liscia pietra vicino al fuoco conteneva una densa salsa rossa. Spalmò una cucchiaiata di salsa nel piatto.

Presi la ciotola dalle sue mani e vi intinsi le dita. Il cibo era bollente, ma non riuscivo ad aspettare di più. Il delizioso sapore del grano duro e dei salati pezzi di carne di montone mi scaldò l’animo, e la salsa wuhasa aveva un retrogusto piccante. Inghiottii senza masticare e intinsi nuovamente le dita nella ciotola. Prima che potessi prenderne un secondo morso, il mio stomaco vuoto si ribellò contro il cibo. Mi sentivo stordita e mi si strinse lo stomaco. Tentai di appoggiare il piatto sul tavolo, ma Yzebel riuscì a prenderlo prima che lo facessi cadere.

Strinsi le braccia intorno allo stomaco e inciampai andando verso un lato della tenda dove vomitai il poco cibo che avevo ingerito. Continuava a farmi male la pancia.

Le dolci parole di conforto di Yzebel e lo straccio bagnato sulla nucami portarono sollievo. Poco dopo, lo stomaco si tranquillizzò.La donna mi girò per lavarmi la faccia.

“Quand’è stata l’ultima volta che hai mangiato?”

Provai a pensare. “Non oggi.”

“Vieni. Penso che dovresti provare a bere un po’ di vino prima di mettere altro cibo nel tuo stomaco vuoto. Un pochino di vino ha un effetto calmante, ma troppo ti farebbe ubriacare come un corvo che mangia l’uva fermentata.”

Sorrisi pensando al corvo ubriaco capitombolare nell’aria. Quando alzai lo sguardo, Yzebel mi fece l’occhiolino.

Mi sedetti accanto al fuoco, avvolta nel mantello di Tendao e sorseggiai il dolce vino annacquato.

“Bevine solo un po’,” mi disse. “Aspettiamo e vediamo se il tuo stomaco sgradirà il vino come ha fatto con il cibo.”

Annuii e misi giù la tazza. Un impetuoso caldo mi tranquillizzò lo stomaco, e sembrava che il vino potesse non tornare su. Mi allungai a prendere il coltello poggiato sulla pietra focolare e presi una delle rape da un cestino per pelarla, come avevo visto fare a Yzebel prima. Mi sorrise mentre tagliava le carote nella grande pentola. Lo stufato aveva un odore delizioso, ma non avevo alcuna intenzione di far arrabbiare una seconda volta lo stomaco.

“Non credo di aver mai incontrato qualcuno così silenzioso,” mi disse Yzebel. “Non hai niente da dire?”

Tagliai la rapa e la aggiunsi al contenuto della pentola, provando a pensare. Avevo ancora i pensieri tutti confusi e la testa mi faceva male più che mai. Yzebel probabilmente pensava che fossi una tonta oppure una sciocca.

Infine chiesi, “Cosa mangia un elefante?”

Le sopracciglia alzate di Yzebel erano l’unico segno del fatto che trovassebizzarra la domanda. “L’elefante?” ripeté. “Beh, mangia tutto quello che cresce. Se è abbastanza affamato, mangerà l’intera cima di un albero.” Prese un’altra carota. “Un grande elefante da guerra sarebbe capace di mangiare un intero caro di meloni oppure metà campo di grano duro. A volte anche un intero pagliaio.”

“Mangerebbe mai una bambina?”

Yzebel rise. “No, non mangia alcun tipo di carne, solo cose verdi e gialle che crescono dalla terra. Non mangerebbe mai un bambino. Bevi ancora un pochino di vino, ma non troppo in fretta.”

Feci come mi disse e presto la mia testa e il mio stomaco si sentirono meglio.

“Ora,” disse Yzebel, “prendi un po’ di contu luca ma questa volta mastica prima di inghiottire.”

Il cibo era ancora caldo e delizioso. Presi solo un piccolo boccone e rimisi giù la ciotola.

“Come ti chiami?”Mi chiese Yzebel mentre prendeva una grande cipolla gialla. Tagliò il fusto e mi guardò.

I miei ricordi si fermavano al punto in cui quegli uomini mi lanciavano nel fiume. Peròallo stesso modo in cui riuscivo a usare le parole per comunicare con Yzebel, conoscevo altre cose,come il vino: ne riconoscevo il sapore e sapevo come farlo.

Delle cose mi tornarono a mente, alcuni pezzettini alla volta. Sapevo che le ragazzine malaticce venivano abbandonate come la ceramica rotta e le ceneri del giorno prima, ma non mi ricordavo di aver mai avuto un nome.

Scossi la testa.

L’espressione di Yzebel si addolcì e abbassò lo sguardo. La cipolla che aveva tagliato era probabilmente più forte del solito. Guardò attorno al focolare come se cercasse qualcosa, e finì con il prendere un vecchio cucchiaio di legno. Esaminò una crepa nel manico per un po’ prima di parlare.

“Non hai un nome?”

Mi pulii la guancia con il dorso della mano. “No.”

“Beh,” rispose Yzebel, “troviamoti un nome allora. Penso sia un grande onore quando gli dei decidono che una ragazza dovrebbe scegliersi da sola il nome. Tu, no?”

Volevo esprimere il mio accordo e sapevo già che nome avrei voluto avere, ma frenai la lingua. Anche se non mi ricordavo di aver mai avuto un nome, ero a conoscenza del fatto che i bambini, e in particolare le ragazze, non dovrebbero parlare.

Come faccio a saperlo?

Ogni volta che cercavo di ricordare qualcosa la rimembranza mi sfuggiva come una colomba spaventata che sfrecciava dentro e fuori la nebbia.

Yzebel mi stava guardando, in attesa di una risposta, mantenendo la calma, come se capisse che avevo delle difficoltà con i miei stessi pensieri.

Non sapevo cosa dirle.

Forse dovrei raccontare a Yzebel del nome che vorrei avere.

Il mio stomaco stava meglio, ma la testa continuava a farmi male. Quando sbattevo le ciglia, puntini neri mi vorticavano davanti agli occhi: sparivano e apparivano accompagnati dal dolore. Scossi la testa nel tentativo di schiarirmi la vista.

“Ti va di sentire una storia mentre cucino?”Mi domandò.

“Sì.” Presi la mia ciotola di contu luca. “Per favore.”

“La storia parla della Dea Madre, Regina Elissa. Molte, molte estati fa, ancora prima della nascita del nonno di mio padre, la Regina Elissa, che i romani chiamano Dido, venne sulle sponde del Byrsa dalla sua antica terra dell’est. Chiese alle persone che abitavano qui un piccolo pezzo di terra dove potersi stabilire con i pochiche l’avevano seguita in mare. Il capo di quegli uomini furbi e disonesti le dissero,‘Potrai avere la quantità di terra che può essere circoscritta dalla pelle di un singolo bue, e il prezzo sarà un talento di argento.’”

“Talento?” Mi alzai per poggiare la ciotola vuota sul tavolo. “Cos’è un…?”

Tutto intorno a me sfocò e cominciò a girare. L’ultima cosa che vidi era Yzebel che voleva raggiungermi prima che cadessi.

* * * * *

Quando mi svegliai mi ritrovai distesa vicino al fuoco su delle pelli di animale, coperta con il mantello di Tendao. Il telone grigio sventolava a causa della brezza e una donna sedutami accanto mi stava guardando.

“Come ti senti?”Mi chiese la donna.

Mi misi a sedere lentamente, tentando di capire cosa fosse successo. Sentivo un ronzio nella testa, come uno sciame di api arrabbiate. Nel momento in cui mi diedi un’occhiata intorno, riuscii a schiarirmi i pensieri. Il tutto però mi pareva così strano: il fuoco scoppiettante, il pungente fumo che mi roteava intorno, e i tavoli che circondavano il fuoco della cucina come degli animali dalle gambe rigide che aspettavano di essere nutriti. La gialla luce del sole si intravedeva tra le cime degli alberi bagnava tutto di oro e ambra. Il viso della donna risplendeva nel bagliore del pomeriggio.

Mi ricordai che era Yzebel.

Tirai su il mantello per coprirmi le spalle, distesi le braccia e poi mi tocai la nuca. Il bernoccolo si era rimpicciolito e non faceva più così tanto male come prima.

“Bene,” risposi. “Sto bene.” Feci una pausa, provando a ricordare. “Mi stava raccontando una storia riguardo una regina e un bue, ma non mi ricordo la fine.”

“Ti ricordi la caduta?”

“No.”

“Hai dormito per tutto il giorno,” aggiunse Yzebel.

“Mi dispiace.”

“Non essere dispiaciuta, eri sfinita.”

“Potrebbe raccontarmi di nuovo la storia, per favore?”

“Lo farò.” Yzebel si alzò. “Ma prima, voglio che ti alzi così posso vedere se rischierai di inciampare e cadere nel fuoco come hai quasi fatto stamattina.”

Nel momento in cui mi alzai, Yzebel mi prese per spalle, guardandomi negli occhi.

“Stai per cadere?”

Scossi la testa, poi diedi un’occhiata alla ciotola vuota sul tavolo.

“Hai fame?”

“Sì.”