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La Ragazza-Elefante Di Annibale Libro Uno
La Ragazza-Elefante Di Annibale Libro Uno
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La Ragazza-Elefante Di Annibale Libro Uno

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Yzebel riempì il piatto a metà con contu luca e me lo porse. Mi accomodai vicino al fuoco mentre la donna mescolava quello che stava cuocendo nella grande pentola e mi raccontò dall’inizio la storia della Regina Elissa.

Quando arrivò alla parte riguardo all’argento, domandai, “Talento? Cos’è un…?”

Yzebel mi guardò preoccupata, probabilmente pensando che sarei svenuta di nuovo, ma le sorrisi. Ricambiò il sorriso e continuò il racconto.

“Un talento è una grande tavoletta di argento.” Prese il coltello. “Due volte più lunga del mio coltello, e di peso pari a quello che un uomo riuscirebbe a portare in un giorno. Vale quanto sei, forse sette, elefanti da guerra.” Raccolse una carota e la tagliò. “La nostra Elissa era bellissima, aveva lunghi riccioli e un dolce sorriso, ma non era così stupida come appariva a quegli indigeni sempliciotti. Dopo un po’ accettò i loro termini. Poi, con l’aiuto delle sue domestiche, tagliò la pelle di un bue in numerose striscioline sottili e le sistemò formando un enorme arco che si estendeva dalla costa del mare, intorno alla collina e poi di nuovo verso la costa.

“‘Avrò questa terra, circoscritta dalla pelle di un solo bue,’ disse Elissa al capo di quella gente.

“Avendo capito di essere stati battuti in furbizia, i nativi, stringendo i denti, le diedero la terra augurandole buona fortuna nel costruirsi il suo piccolo villaggio. Andarono via con il talento di argento a rimuginare sulla loro perdita.

“Elissa aveva scelto una porzione della battigia che conteneva uno dei migliori porti naturali della costa sud del Mara Thalassa, chiamato anche Mare Internum dai romani. Ciò si rivelò un beneficio per la Regina Elissa e il suo villaggio che chiamò Città Nuova, la nostra Cartagine.”

Il ragazzo che mi aveva minacciato nella foresta con il suo bastone si avvicinò a Yzebel. Fui sorpresa nel vederlo e mi domandai perché fosse venuto al suo focolare.

Volle prendere un pezzo di carne dalla pentola, ma Yzebel gli afferrò la mano e la spinse via.

“Guarda come sono sporche le tue mani. Sai comportarti meglio.”

“Ho fame.”

“Puoi aspettare come il resto di noi. Hai portato la legna da fuoco a Bostar come ti avevo detto di fare?”

Annuì, ma i suoi occhi erano fissi su di me e sul mio piatto di contu luca. “Ha rubato il mantello di Tendao.”

“No, non l’ha fatto.”

Presi un grande pezzo di carne dal mio piatto e lo morsi. Osservai il ragazzo che appariva più grande di me, probabilmente di un anno. A differenza degli occhi marroni di Yzebel, i suoi erano di un banale grigio.

Qual è il colore dei miei occhi? Spero di averli marroni come i suoi.

“Allora perché lo indossa?” piagnucolò il ragazzo. Era scontroso con Yzebel e sogghignava come se lo disgustassi.

Yzebel sbatté il suo cucchiaio di legno contro il margine della pietra così forte, che pensai si sarebbe rotto. Lo guardò severamente finché egli non abbassò lo sguardo.

“Se non imparerai a frenare quella linguaccia, qualcuno ti taglierà quel velenoso pugnale dalla bocca. Mi hai capito?”

“Sì,” disse, guardandomi male.

Pensa sia per colpa mia che è stato rimproverato? Ha una bocca cattiva e si merita quello che ha ricevuto. Presi un’altra rapa dal cestino. Forse non avrà imparato nulla dalle parole di Yzebel, però io sì. E dal modo in cui lo tratta penso possa essere suo figlio, forse il fratello di Tendao. Peccato non sia per niente come il giovane uomo.

Volevo sentire di più riguardo la Regina Elissa e i suoi ondeggianti riccioli, il suo dolce sorriso e i suoi modi intelligenti, però non volevo che continuasse la storia in presenza del ragazzo. Volevo che la raccontasse solo a me, così che la possa conservare e tramandarla a un’altra ingenua ragazza ignorante delle belle cose.

Finii di pelare la rapa e dopo averla tagliata, guardai Yzebel e indicai il cestino. Mi annuì e io ne presi un’altra per continuare il lavoro.

Il ragazzo si lavò le mani, se le asciugò sulla tunica, e si sedette a terra. Prese una rapa e la pelò con un coltello che tirò fuori da una fodera alla sua cintura.

“Jabnet,” parlò Yzebel, “Sai dove si trova il sole?”

Quindi Jabnet è il suo nome. Uno stupido nome per uno stupido ragazzino. Il nome che mi sono scelta è molto meglio, e anche nobile, forse addirittura regale.

Jabnet guardò a ovest, dove il sole stava tramontando oltre le cime degli alberi dall’altro lato del campo. “Sì, Madre.”

Era alto quasi come sua madre. Se sorridesse occasionalmente potrebbe anche essere bello, peròla sua espressione inacidita rovinava completamente la sua intera immagine.

“Cos’è che devi fare ogni giorno quando il sole tramonta?”

“Pulire i tavoli.” Si ingobbì e si mise a fissare il pavimento. “E preparare le tazze, il vino e le torce.” Lasciò cadere nel cestino la rapa mezza pelata e si pulì il coltello con la manica.

“Devo ripeterti ogni giorno cosa fare a quest’ora?”

“No, Madre.”

Jabnet mi guardò male e rimise il coltello nella sua fodera. Quando fece per andare mi pestò di proposito il piede nudo con il suo sandalo. Il bordo della sua scarpa mi tagliò, ma mi rifiutai di dargli la soddisfazione di sentirmi piangere o lamentarmi con sua madre.

“Dopo l’arrivo dei soldati,” mi disse Yzebel, “ti prepareremo un posto dove dormire. Ti andrebbe di stare nella mia tenda stanotte?”

“Soldati?”

Non mi piacevano. Erano maleducati e brutti. Sapevo che avrebbero deriso me e il povero elefante Obolus. Potevo subire che tutti deridessero me, ma Obolus non poteva più difendersi. Lo stavano probabilmente facendo a pezzettini e stavano cucinando la sua carne sui loro fuochi, ridendo del suo rendersi sciocco. Mi sentivo triste per il povero animale e mi dispiaceva essere stata la causa della sua morte.

“Sì,” mi rispose Yzebel. “Alla sera, gli uomini vengono al campo per cercare… uhm… il piacere, poi alcuni cercano qualcosa da mangiare qui. Preparo sempre del cibo per loro, e se lo gradiscono, mi danno del rame o dei gingilli dalle loro conquiste sul campo di battaglia.”

“E se non gradiscono il suo cibo?”

“Beh, in tal caso lanciano cose e rompono le mie stoviglie.” Mi guardò e deve aver notato la mia espressione assorta. “Sto solo scherzando,” aggiunse. “Sanno di meglio che creare seccature alle Tavole di Yzebel.”

Non ero sicura di che cosa intendesse, ma sicuramente non volevo che si arrabbiasse mai più con me, come lo aveva fatto quando mi vide indossare per la prima volta il mantello di Tendao.

“Ora,” mi parlò, “mostrami tutte le tue dita.”

Misi giù la rapa e alzai le mani, estendendo le dita. Yzebel fece lo stesso, e poi abbassò le dita sulla sua mano destra lasciando alzato solo il pollice. La imitai. Ora avevo tutte le dita di una mano estese, più il pollice dell’altra.

“Questo è il numero di pagnotte di cui ho bisogno.” Mi spiegò.

“Sei.”

Alzò un sopracciglio. “Molto bene. Sono contenta tu sappia i numeri.” Mi indicò una grande brocca di terracotta vicino all’entrata della tenda. “Puoi portare quella caraffa di vino a Bostar e dirgli che è da parte della sua buona amica Yzebel in cambio delle sei pagnotte più fresche che ha?”

“Sì.” Ero ansiosa di aiutare in ogni modo possibile. “Dove trovo Bostar?”

“La tenda del fornaio è a due passi da qui.” Indicò a est. “In quella direzione. Sentirai l’odore del cibo quando ti ci avvicinerai.” Esitò prima di continuare. “Sii attenta con la caraffa. Non voglio che tu faccia cadere neanche una goccia. Quel vino è molto prezioso. Hai capito…?” Apparentemente si era dimenticata non avessi un nome.

“Obolus,” finii.

Yzebel spalancò gli occhi. Forse non capiva la parola. “Hai detto Obolus? È il grande elefante.”

“È il nome che voglio scegliermi.”

Jabnet risse da dietro di me, e realizzai che aveva sentito tutto.

“È in parte elefante,” disse. “Sapevo che c’era qualcosa che non andava in lei. Forse suo padre era un elefante e sua madre–”

Lo sguardo fulminante di Yzebel lo silenziò. Tornò a riempire le torce con olio d’oliva e coprirle di stoppini di cottone.

“Puoi sceglierti il nome che preferisci,” mi rispose. “Ma sei sicura che il nome dell’elefante sia quello giusto per te?”

“Sì.”

Presi la pesante caraffa e andai a cercare Bostar.

Capitolo Tre

La brocca di vino di Yzebel era chiusa per bene con un tappo di sughero messo bene ed era anche sigillata ermeticamente con un panno di cotone. Ho preso tra le braccia la pesante caraffa, tenendola da sotto con entrambe le mani.

Lungo il sentiero verso la tenta di Bostar, una varietà di attività catturò la mia attenzione: un fabbro stava trasformando la lunghezza di un metallo nero in una spada; un conciatore lavorava un disegno da battagli in un pettorale di pelle; e un vasaio si impegnava a trasformare un blocco di argilla in una grande anfora.

Una schiava, probabilmente della mia età oppure forse un po’ più piccola stava in piedi davanti a una tenda nera; usava un dispositivo rotante per creare dei filati di cotone. Su un lato del viso aveva il marchio del proprietario. Sorrise e disse qualcosa ma non capii le sue parole.

“Devo trovare Bostar, il panettiere, ma la prossima volta mi fermerò per parlare.”

Non diede alcun segno di avermi sentita. Aspettai, ma lei tornò al suo lavoro così io proseguii sulla via per trovare il fornaio.

Giunsi a una curva sul sentiero, un cammino andava giù da un lato mentre l’altro svoltava bruscamente nella direzione opposta. La tenda del panettiere era da qualche parte lungo il sentiero a sinistra, ma sull’altro, quello che conduceva tra gli alberi vidi la cosa più spettacolare della mia vita.

“Elefanti!”

Affascinata dalla vista e dal suono di così tanti elefanti, sistemai la caraffa tra le braccia e mi diressi verso di loro. Centinaia di elefanti, grandi e piccoli, fiancheggiavano entrambi i lati del sentiero tortuoso. La maggior parte di loro era grigia, ma alcuni erano più scuri, quasi neri. Alcuni avevano le orecchie piccoli, ma molti le avevano enormi, che agitavano avanti e indietro come se fossero dei ventagli. Gli elefanti più grandi erano legati a pali di metallo conficcati nella terra, mentre quelli più piccoli correvano liberi.

Alcuni animali mangiavano del fieno da dei mucchi lì vicino. Un ammaestratore spinse un melone nella bocca aperta del suo elefante. La bestia lo schiacciò muovendo la testa per catturarne anche il succo, poi inghiottì l’intera cosa, scorza, semi e tutto. Altri rompevano rami verdi e frondosi, più spessi del mio braccio, riducendoli, usando le loro proboscidi e zanne, alle dimensioni di un morso. Alcuni ragazzi correvano in giro con pelli di acqua fiumana, che versavano nelle fosse tra ogni coppia elefanti, facilmente raggiungibili affinché le bestie bevessero. Ridacchiai quando un elefante aspirò l’acqua nella sua proboscide e poi si fece una doccia per rinfrescarsi.

Odori forti e pungenti dalla grande congregazione di animali riempirono l’aria però non mi sembrava affatto sgradevole.

Gli elefanti erano belli, e le loro proboscidi erano sempre in movimento, mangiando, bevendo oppure afferrando oggetti vicini.

È così che Obolus mi ha tirato fuori dall–

Uno degli animali attirò la mia attenzione. Lungo la fila, a destra, c’era un elefante più alto degli altri. Mangiava da un piccolo pagliaio e occasionalmente anche un melone offertogli da un ammaestratore. Riconobbi qualcosa nel modo in cui si muoveva quando afferravaun carico di fieno e lo scuoteva prima di infilarselo in bocca. La forma della sua testa e delle sue orecchie mi sembravano familiari.

Che possa essere?

Affrettai il passo, e più mi avvicinavo all’animale, più me la sentivo che era Obolus. Però c’erano così tanti elefanti e Obolus non era forse morto, colpito da un ramo caduto da un vecchio albero vicino al fiume, sbattendo la testa contro un masso mentre crollava? Quelle zanne che si allungavano dalla sua bocca, erano molto lunghe e si incurvavano all’insù in modo grazioso, facendolo distinguere dagli altri.

È lui!

“Obolus!” Feci cadere la caraffa con il vino e corsi lungo il sentiero. “Obolus! Obolus!”

Gli ammaestratori, i ragazzi dell’acqua e gli aiutanti si fermarono per guardarmi. Il grande elefante girò di scatto la testa verso di me, rizzando le sue enormi orecchie. Il melone che aveva appena schiacciato gli cadde dalla bocca aperta. Uno degli ammaestratori venne avanti, allargando le braccia per fermarmi, ma chinai la testa e gli corsi intorno.

Quando gridai “Obolus!” un’altra volta, spalancò gli occhi e si sollevò sulle zampe posteriori, alzò la testa in aria e barrì attraverso la sua proboscide.

“Obolus, sei vivo.”

Cercò di allontanarsi da me, ma la sua zampa anteriore sinistra era legata a un palo di metallo conficcato a terra. Indietreggiò quanto la catena gli permetteva, scuotendo la testa e barrendo.

“Sono così felice di vederti.”

Calpestò la terra, emettendo un profondo barrito e spaventando gli altri elefanti, facendo sì che tutti tirassero le loro catene e urlassero. Gli ammaestratori urlarono correndo in giro, cercando di calmarli. Su e giù la fila il terrore si diffuse da un animale spaventato all’altro, e presto l’intero posto fu in subbuglio. I piccoli elefanti corsero in giro scatenati con le loro piccole proboscidi all’aria, strillando e scorrazzando come se Baal, il dio delle tempeste, li stesse rincorrendo.

Ero pietrificata. L’enorme bestia calpestava la terra e barriva, mandando ondate di paura attraverso di me, ma il suo comportamento sembrava un’artificiale mostra di forza. Quando tesi la mano facendo un passo in avanti, scosse la testa e cercò di indietreggiare. Il palo sembrò allentarsi quando l’elefante tirò la catena e parve quasi che potesse cedere, ma poi l’animale si tranquillizzò e tese la sua proboscide verso di me. Lo sentii prendere fiato, pensando che forse cercava di sentire il mio odore, cercando di capire.

Sapendo che le sue enormi zampe potevano calpestarmi come un topo sotto un albero che cadeva o che poteva mettermi KO con la sua proboscide, presi un respiro profondo, andai da lui e gli carezzai la zampa.

“Pensavo fossi morto e non ti ho mai ringraziato per avermi tirato fuori dal fiume. Mi hai salvato la vita.”

“Allontanati dal mio elefante!”Gridò qualcuno.

Ignorai l’uomo e guardai in uno dei grandi occhi marroni di Obolus. Era così alto che due uomini stando uno sopra l’altro non riuscirebbero comunque a raggiungergli la cima della testa. Continuava a emettere suoni minacciosi, ma si tranquillizzarono mentre abbassava la testa per guardarmi. Se lo avesse voluto, avrebbe potuto semplicemente alzare la zampa e calciarmi dall’altro lato del sentiero, però non lo fece. Però, con la zampa incatenata, continuava a colpire la terra e lottare contro la catena di metallo.

Ruvide mani mi afferrarono per le spalle, spingendomi via.

“Lasciami stare!”Urlai.

“Stai terrorizzando tutti gli animali,” mi ringhiò l’uomo. “Un’inutile ragazzina non ha motivo per correre qua in giro, spaventandoli. Guarda cosa hai fatto. Tutto il posto è in tumulto.”

Mentre mi trascinava indietro, scalciai e mi divincolai. “Lasciami stare!”Gridai.

“Ti spezzerò quel magrolino collo se non la smetti di gridare.”

Mi afferrò con entrambe le mani, stringendo la presa attorno il mio collo, strozzandomi. Gli graffiai i polsi, cercando di liberarmi dalle sue mani, ma era troppo forte. Il mio cuore batteva all’impazzata e il petto si sollevò mentre faticavo a respirare.

L’uomo mi fece girare, facendomi dare le spalle a Obolus. “Perché una bambina ignorante dovrebbe venir qui, urlando e…”

Le sue parole vennero interrotte e le sue dita si allentarono la presa alla mia gola. La proboscide di Obolus si avvolse intorno alla vita dell’uomo, sollevandolo da terra.

“No, Obolus!” Gracchiai. “Mettilo giù.” Mi massaggiai la gola e sentii le impronte delle mani dell’uomo dove mi aveva stretto il collo.

Obolus tenne l’uomo che urlava a testa in giù, in alto nell’aria. La tunica dell’uomo gli cadde sulla testa e un bastone cadde dalla cintura mentre scalciava e cercava di afferrare la proboscide dell’elefante.

Diedi un’occhiata al bastone. Era lungo quanto il mio avambraccio, rifinito in oro e inciso in modo intricato con viti e foglie. L’oro a un’estremità era modellato in un piccolo uncino smussato mentre l’estremità opposta era piatta. Sembrava una specie di bastone. Notai che alcuni degli altri uomini avevano bastoncini simili, ma i loro erano rifiniti in argento o rame anziché in oro.

Numerosi uomini accorsero con i loro uncini a manico lungo, ma invece di costringere Obolus a lasciar andare l’uomo, iniziarono a ridere. Ciò lo fece infuriare ancora di più.

“Colpitelo.”Gridò. “Uccidetelo! Fatemi scendere da qui.”

Gli uomini risero e indicarono l’uomo penzolante. Perfino i ragazzi dell’acqua erano venuti a vedere il divertimento.

“Obolus!”Urlai e schiaffeggiai la sua gamba. “Per favore, non fargli del male.”