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Le Tessere Del Paradiso
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Le Tessere Del Paradiso

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«Sapete bene come la guerra per lui faccia parte di uno di questi sollazzi. Egli impugnò personalmente la spada quando ci fu da sedare la ribellione dei baroni.»

«Allora era in gioco la sua stessa corona. E poi non offuscherà il mio consiglio per imporre il suo. Quando mai Guglielmo ha preso una decisione risoluta per il Regno?»

«Si fida di un uomo più capace e degno di lui!»

«Sappiate perciò che non partirò, né salperà una sola galea.»

Margherita si sedette sul letto, spostò i suoi lunghi capelli e fece meravigliata:

«I figli dei nostri servitori e i cadetti delle nostre nobili famiglie sono in quel presidio…»

«Si arrendano e conservino la vita; poco mi importa! L’incolumità di un pugno di soldati non è mai stata una priorità per nessun ministro o sovrano. Difendere Mahdia è uno sforzo che non possiamo permetterci.»

Majone spiegava la questione e liquidava i timori della Regina, adducendo come giustificazione il bene del Regno, tuttavia ben altri motivi albergavano nel cuore del perfido Ammiraglio…

Majone e Margherita si incontravano da qualche tempo nella locanda sita presso la porta di Sant’Agata, scelta tra tutte le altre perché da quella strada l’Ammiraglio ci passava per tornarsene a casa. La Regina, che per quegli incontri adulterini godeva della complicità del suo eunuco più fidato, quella notte se ne tornò a Palazzo tutta intristita e seria.

«Voi non siete voi questa sera.» commentò Amjad una volta che ebbe accompagnato la Regina nel suo appartamento.

Margherita espresse dunque tutte le sue ansietà riguardo al futuro dei poveri soldati di Mahdia e al mancato intervento dell’Ammiraglio.

«Vi è il figlio della cuoca di corte tra quei poveretti che devono difendersi dall’assedio del saraceno. Quando ho provato a dirlo a Majone, lui mi ha risposto che nell’esercito del Regno i poveracci ci entrano su base volontaria… che l’hanno scelto loro questo destino.» aggiunse, scendendo nel particolare.

Amjad si sfregava le mani; adesso era sicuro che Abd al-Mu’min avrebbe vinto. Quella stessa notte scrisse di suo pugno una lettera indirizzata al califfo, in cui lo informava che non sarebbe giunto nessun aiuto o vettovaglia a ristorare il presidio cristiano. Assicurò la missiva a dei commercianti arabi diretti a Tunis[44 - Tunis: Tunisi] e quindi si mise ad aspettare che l’informazione sortisse l’effetto desiderato.

In effetti la notizia piacque molto ad Abd al-Mu’min, tanto che rigirò il messaggio proprio al contingente siciliano arroccato nella fortezza della città. Così intendeva scoraggiarli e indurli alla resa, far crollare la fiducia che nutrivano per il Re ed il Regno, e proporre loro l’abiura e il tradimento. Ma gli assediati, che avrebbero potuto tradire Guglielmo ma non Dio, scelsero comunque di tenere ancora duro.

Nei primi di gennaio del 1160 i siciliani arroccati nella fortezza arrivarono a mangiare i propri cavalli e allora fu loro chiaro che per sopravvivere avrebbero dovuto inginocchiarsi al nemico. Chiesero perciò ad Abd al-Mu’min di conservare la vita, i propri beni e la libertà. Il califfo rispose che era disposto a concedergli anche di più, ma solo se si fossero convertiti all’Islam. Quel contrattare la propria vita durò per ancora qualche giorno e alla fine Abd al-Mu’min, persuaso dalle loro parole, li liberò e li rimandò in Sicilia. Così il califfo almohade scongiurava possibili ripercussioni sugli islamici di Sicilia e concedeva la libertà a gente che lo avrebbe d’ora in poi stimato più del vile Re che servivano. Il 21 di gennaio l’Africa siciliana cessava di esistere.

La notizia sconvolse le coscienze dell’intera nobiltà del Regno e fu in quell’esatto momento che alcuni degli ottimati più in vista decisero che non avrebbero più incontrato la faccia di Majone se non da morto. Accusavano il Re, ma soprattutto l’Ammiraglio, di aver abbandonato i cristiani di Mahdia al proprio destino. Per di più, la maggior parte di coloro che Abd al-Mu’min aveva rimandato in Sicilia era perita in un naufragio. Tali morti era come se li avesse causati il califfo e non il mare, e quindi lo stesso Majone a causa della sua inadempienza. Accusavano inoltre gli eunuchi di corte e gli altri saraceni di Sicilia di essere in combutta con gli almohadi e di aver favorito la sconfitta di Mahdia, cospirando insieme all’Ammiraglio affinché non fossero inviati gli aiuti necessari. Il clima di contestazione non era mai stato tanto incandescente e già tra il popolo si temeva che prima o dopo qualcosa sarebbe successo.

Quando si seppe poi della missiva di Amjad, benché nessuno sospettò in particolare dell’eunuco della Regina, fioccarono le accuse e si rischiò il tumulto. Alcuni tra i baroni dicevano che gli almohadi erano già a Palermo, nascosti tra la popolazione saracena connivente e complice del califfo, e che presto si sarebbero manifestati facendo strage dei cristiani e profanando le loro chiese. Chiaramente alcune fazioni del popolo ci credettero e fecero presto a manifestare il proprio dissenso. Dunque Majone, a cui la situazione era sfuggita di mano ed era già accusato di tradimento, fu costretto ad emanare il decreto secondo il quale per i saraceni fosse proibito portare armi addosso. Così acquietava gli animi, disarmava quei nemici dell’immaginario collettivo e fugava sensibilmente le accuse rivoltegli.

Il pericolo era reale, davvero Abd al-Mu’min stava conquistando l’intero Nordafrica, ma la percezione del pericolo tra la popolazione cristiana del Regno superava di gran lunga il pericolo stesso. Chi cavalcava il consenso che solo la paura diffusa può determinare erano i nobili, avversi per interesse politico e personale all’Ammiraglio.

Margherita di Navarra non aveva ancora trent’anni, eppure dimostrava di avere tanta di quell’intelligenza da rendere evidente come la sua presenza fosse sprecata accanto ad un sovrano come Guglielmo. Intelligente e spregiudicato era invece Majone di Bari, quasi vent’anni più vecchio di lei, con cui più di una volta aveva sognato di condividere lo scettro regio e la corona.

Quando la Regina apprese che ai poveri cristiani di Mahdia fosse stato mostrato un messaggio proveniente direttamente dalla corte, non poté fare a meno di sospettare di Amjad, colui col quale si era confidata. Ovviamente ciò che le stava più a cuore non era tanto il tradimento del Regno, quanto invece il tradimento delle sue confidenze private.

Un giorno se ne stava seduta allo specchio, a tu per per tu con la sua immagine riflessa e la sua vanità. Vestiva morbidi abiti a foggia orientale e pure il suo trucco sembrava quello della prediletta di un emiro. Margherita, pur essendo straniera, non aveva saputo resistere al fascino delle mode in voga tra le donne di Sicilia, così lontane dagli austeri costumi del resto d’Europa.

Amjad, da dietro, le allacciava collane e orecchini, spostandole i capelli e scoprendole il collo affinché potesse valutare bene quale monile indossare. Margherita allora fissò allo specchio il riflesso degli occhi neri e profondi del suo eunuco e, dopo aver emesso un lungo respiro, gli disse:

«Sono stati così orribili questi dieci anni in cui hai dovuto servirmi, Mattia?»

«Mia Signora, per la piacevolezza mi sono sembrati un solo giorno.» rispose lui, non immaginando certo cosa nascondesse quella domanda.

«E da quale ora di questo giorno hai cominciato a raccontare i segreti detti in questa stanza?»

Adesso lo sguardo della Regina manifestava tutta la sua delusione.

«Cosa dite?» chiese Amjad, sminuendo col tono della voce l’accusa di lei.

«È per denaro che vendi le mie confessioni?» ripeté il concetto Margherita.

Tuttavia questa volta Amjad sorrise irrispettoso e fece:

«Temo per voi che se davvero io avessi raccontato le vostre privatezze, la vergogna del vostro letto non sarebbe stata presa solo per una diceria e per certo qualcuno ve ne avrebbe chiesto conto. La legge del Regno è chiara riguardo all’infedeltà della moglie, e vostro marito è molto intransigente su questi aspetti… tanto rigido da avere ispirato innumerevoli filastrocche riguardo al suo moralismo. A colei che porta la vergogna nel letto coniugale spetta la morte da parte del congiunto tradito. E se costui non ristabilisce il proprio onore, allora verrà bollato come complice e uomo che non merita rispetto. Pensate che se davvero avessi riferito le vostre confidenze, Sua Maestà sarebbe passato sopra alla vostra vergogna?»

«È dunque questa la vera natura dei tuoi pensieri, Mattia? Offendi la tua Regina parlando di vergogna… mentre sai benissimo quale peso mi è l’essere innamorata di un uomo che non è mio marito.»

Amjad non rispose, consapevole di aver toccato l’argomento più scomodo che riguardasse Margherita, ciò che ledeva il suo onore di regina e di moglie.

«Fammi provare quella d’oro col rubino.» richiese lei, ritornando alle questioni vane.

Nondimeno l’eunuco non aveva ancora finito di agganciare la collana che lei riprese:

«Da domani mi aiuterà un altro servitore ad indossare i miei gioielli.»

Amjad, che serviva quella donna sin dal suo arrivo a Palermo, sin da quando lei a soli sedici anni era stata data in moglie all’erede al trono, si bloccò all’istante, spiazzato, confuso e terrorizzato dall’idea di fare la fine dell’Ammiraglio Filippo e del più recente Forriāni.

«Che significa, mia Signora?»

«Ti sostituirà Luca, già a capo degli eunuchi dell’harem, colui che per esperienza viene appellato gaito, benché non abbia mai impugnato armi. Entrare nel mio appartamento sarà il giusto traguardo per il suo fedele servizio.»

Impietrito, Amjad non sapeva come rispondere.

«E adesso, su… cosa aspetti? Attacca questa collana!»

«Che ne sarà di me se voi mi accantonate per un altro servitore?»

«I nobili accusano l’Ammiraglio di aver mandato lui quella missiva al saraceno, e di tramare insieme ai mori di Sicilia per la fine del Regno. Niente di più falso! Smonterò le accuse che minacciano l’uomo che amo consegnando il vero colpevole alla giustizia.»

Fu adesso che Amjad non pensò più a cosa rispondere. Sopraggiunta la rabbia imbruttì il suo viso, tirò quindi a sé la collana, più di quanto potesse sopportare il delicato collo della Regina. Alle urla strozzate per il soffocamento, Amjad chinò la testa fino all’orecchio di lei e rispose:

«Voi non farete nulla di quanto avete detto, non potete permettervelo. Come reagirebbe vostro marito se gli mostrassi la chiave affidatami dal locandiere per i vostri incontri amorosi? E come reagirebbe il Re se gli facessi leggere le lettere di passione che voi e il vostro Ammiraglio vi scambiate? O credete che le abbia consegnate tutte? Le voci sono voci, è vero… ma io ho le prove! E non pensate che il vostro uomo, benché potente e pericoloso, sia in grado di cancellare la minaccia dello scandalo col sangue, poiché se voi toccate me sarà un altro ad avanzare le prove del vostro adulterio. Ho già preso le mie precauzioni, mia Regina!»

E a questo lasciò la presa, un attimo prima che Margherita di Navarra diventasse cianotica per la mancanza d’aria.

La Regina si teneva la gola, rannicchiata sul pavimento e respirando affannosamente per la paura di star per morire e per l’effettivo danno fisico subito. Quando sollevò il capo, intendendo reagire a colui che aveva osato tanto, comprese di essere rimasta sola.

Da quel giorno Amjad non vide più la donna che aveva servito per dieci anni, in quanto, ancor prima di capire se questa l’avesse accantonato veramente per un altro, decise che sarebbe stato lui a non presentarsi, consapevole che quel rapporto di estrema fiducia ormai rotto non si sarebbe rinsaldato. Ad ogni modo, dal fatto che la Regina non denunciò mai quel tradimento né l’aggressione alla sua persona, era evidente che il ricatto dell’eunuco avesse sortito l’effetto sperato.

Agli inizi di marzo Amjad ricevette la conferma di essere entrato nelle grazie del padrone alla cui presenza segretamente ambiva prostrarsi. Uno dei reduci di Mahdia volle incontrarlo mentre lui se ne stava in casa dell’amata sorella per il consueto incontro settimanale.

«Un uomo sulla porta cerca il mio Signore.» avvertì una delle serve, saracena anch’ella, a cui l’eunuco aveva affidato la cura di Naila.

Avendone dunque accertato l’identità, e nonostante lo preoccupasse il fatto che qualcuno fosse risalito con tale facilità a lui, Amjad lo ricevette in casa.

«Il mio nome è Ahmed. Ho rischiato l’arresto e la morte in naufragio per incontrarti, mio Signore. Il califfo mi ha nascosto tra i cristiani che ha rimandato dal loro re, e costoro, grati per la libertà accordatagli da Abd al-Mu’min, non hanno voluto rivelare chi fossi. Ed eccomi qui, al cospetto dell’uomo a cui il mio signore è debitore.»

«Siamo tutti debitori ad Allah! Di’ al mio signore che non mi deve nulla, eccetto che il suo braccio agisca ancora con la stessa risolutezza con cui ha colpito fino ad ora.»

«Il braccio di Abd al-Mu’min è più esteso di quanto riuscirebbe ad esserlo se egli fosse un uomo solo. Ogni persona che china il capo verso La Mecca guarda al mio signore con speranza, e grazie ad uomini come te il suo potere arriva perfino al cuore del suo nemico. Perciò il mio signore ti chiede di radunare tutti coloro che tossiscono di fronte alle malefatte degli infedeli e di portarli alla rivolta, affinché questo volgare regno muoia così come esso è nato, con dolore e patimenti, e questa terra ritorni ad essere pura del fango dei miscredenti.»

Amjad si sentì investito di un rinnovato senso di responsabilità, qualcosa di maggiore a qualunque altra funzione avesse ricoperto finora alla corte di Re Guglielmo. Poi, a suggello del ruolo a cui era stato appena iniziato, l’uomo del califfo gli donò un oggetto dal significato emblematico. Si trattava di una piccola scultura in malachite, una mano aperta avente sul palmo l’abbozzo di un occhio.

«Il verde è il colore del Profeta e cinque, come queste dita, sono i precetti del Corano… affinché tu non scordi mai che la causa del tuo signore è anche la causa di Allah, Colui che come quest’occhio vede tutto, l’esposto e il segreto, i tuoi atti favorevoli e il tuo eventuale tradimento.»

L’eunuco di corte strinse quell’oggetto nel suo pugno ed inspirò profondamente ad occhi chiusi. Quel risveglio che era cominciato con Forriāni di Sfax, adesso per Amjad diventava un sogno ad occhi aperti dai contorni vividi e reali.

Capitolo 10

Novembre 1160 (555 dall’egira) Balermus

Amjad fece presto a radunare in seno alla comunità araba di Palermo i sostenitori della causa almohade. La casa di Naila divenne da quel momento la base di coloro che cospiravano contro il Regno e il quartiere saraceno della città il mare da cui pescare nuove reclute da risvegliare alla jihad[45 - Jihad: parola araba che significa letteralmente “sforzo”. Può indicare la lotta interiore per raggiungere la fede perfetta, ma generalmente con questo termine si indica la guerra santa compiuta dai musulmani in difesa della propria fede.].

Nel giro di pochi mesi, Amjad, trasformato in predicatore, aveva raggruppato attorno a sé una considerevole cricca di fedeli pronti alla rivolta. Tra di essi vi erano alcuni fuoriusciti dell’esercito del Regno, che avevano preferito vivere in clandestinità, e pochi giovani di famiglia agiata, cresciuti nell’ambiente opulento di Palermo, la cui noia li aveva portati a covare risentimento verso le istituzioni del Palazzo Regio. Adesso avrebbero aspettato che Abd al-Mu’min preparasse la flotta e desse un segnale, e allora nel cuore del Regno si sarebbe scatenata la guerra santa contro gli infedeli, preparando così il terreno all’arrivo del califfo. La restrizione di Majone che proibiva ai saraceni di portare armi aveva certamente svantaggiato gli uomini di Amjad, tuttavia aveva avuto la conseguenza di fare inabissare il loro raggruppamento nel silenzio e nell’ombra, senza che nessuno si preoccupasse della sua esistenza.

Col passare dei mesi le file dei rivoltosi si ingrossarono, sennonché quell’atteso segnale che avrebbe dovuto richiamare alla guerra i saraceni di Sicilia tardò ad arrivare. Una causa che si regge su una promessa prossima a realizzarsi è sicuramente una causa destinata al fallimento quando l’attesa supera l’aspettazione… E così per Amjad tenere uniti tutti quegli uomini, specie i meno convinti, divenne sempre più complicato. L’entusiasmo, che era alto in primavera, andò scemando in estate e parve scomparire del tutto in autunno. L’eunuco dovette attingere allora alle migliori argomentazioni per rinvigorire lo zelo che quelli avrebbero dovuto conservare per la battaglia. Ma fu adesso che la paura della defezione si materializzò con la più terribile delle sorprese.

La giovane Naila aveva limitato la sua complicità negli affari del fratello alla sola disponibilità dell’abitazione. Sapeva bene in quali guai Amjad si stesse cacciando e aveva assistito alla sua progressiva radicalizzazione sin da quando questi era entrato in contatto col vecchio Forriāni. Comunque sia, indottrinata dall’amato congiunto, aveva anche riposto le sue speranze nell’avanzata degli almohadi, affinché ricostituissero le basi per una nuova Sicilia islamica. Nondimeno, all’ingresso di novembre, qualcosa in Naila parve improvvisamente cambiare.

Un giorno questa informò il fratello che attorno al suo appartamento circolavano da qualche tempo alcune guardie reali, e che alcune voci dicevano che stessero lì per indagare riguardo a certe riunioni di rivoltosi. Amjad ci credette e prese le sue precauzioni, salvo scoprire poco dopo che Naila si era inventata tutto. Per l’eunuco del Re quella ragazza aveva da sempre rappresentato la più forte ragione di vita, l’unica persona che aveva amato quasi come si ama una moglie. Amjad ne uscì deluso, tradito, e una gelosia mai provata prima lo pervase da testa a piedi. Avrebbe potuto affrontarla, avrebbe potuto ricercare una spiegazione direttamente parlandole, tuttavia conosceva già quella malattia che induce le donne a mentire; Margherita di Navarra era stata colpita da un simile cambiamento il giorno in cui Majone era entrato nella sua vita e aveva cominciato a tradire Guglielmo. Amjad ne era sicuro, Naila si era innamorata di un uomo e costui si stava sostituendo al suo affetto e alle sue cure. Decise allora di indagare e non ci volle molto per scoprire che Naila, senza la presenza di un protettore che la limitasse nelle libertà, lasciava giornalmente la sua abitazione per incontrarsi con un tale raccoglitore di conchiglie di nome Vittore. Amjad rimase sconvolto. Se si fosse trattato di un circonciso se ne sarebbe fatto una ragione, ma saperla tra le braccia di un infedele demolì la sua anima. Inoltre Naila era una donna raffinata e molto bella; che cosa poteva avere mai in comune con uno che vendeva conchiglie e pesce al mercato del porto? Amjad proprio non si dava pace e, non riuscendo neppure a guardare in faccia l’amata sorella, decise che avrebbe posto fine a quella relazione sentimentale affrontando quel giovanotto che abitava sulla punta del Cassaro.

Il cinque del mese, poco prima di mezzogiorno, si recò al mercato del pesce portando con sé cinquanta tarì[46 - Tarì: fu una delle monete principali utilizzate in Sicilia dal periodo arabo sino al XIX secolo. Letteralmente significa “fresco di conio”.]. Benché avesse smesso per quel giorno le sue vesti di seta e i suoi gioielli, non passavano inosservate la sua pelle liscia, la bellezza dei suoi occhi e la sua camminata raffinata; in molti si voltarono al suo passaggio e all’olezzo emanato dai suoi lunghi capelli, mormorando tra di loro che quello doveva essere sicuramente uno degli eunuchi del Re. Amjad avanzava tra la folla privo di seguito o scorta, intenzionato a risolvere la questione senza fare troppo rumore. Temeva, infatti, che se si fosse saputo l’inghippo, la reputazione della sorella ne sarebbe uscita compromessa dinanzi alla comunità islamica della città. Amjad, che già faticava a tenere alto lo zelo dei suoi, sapeva che la sua credibilità ne sarebbe uscita macchiata qualora per risolvere la questione non avesse agito con risolutezza. Prima di predicare l’epurazione della Sicilia dal male degli infedeli, ogni suo seguace gli avrebbe chiesto di ripulire la sua stessa casa. Per tutte queste ragioni Amjad doveva muoversi con segretezza.

Gli indicarono il banco del venditore di conchiglie, proprio quello in fondo alla strada e il più vicino alla discesa per il mare.

Vittore era un giovane uomo discretamente più alto della media e muscoloso. Portava sul viso un perpetuo ghigno di fierezza e una cicatrice sulla guancia sinistra appena al di sopra della folta barba. Vestiva gli abiti della gente comune, ma, controcorrente agli altri venditori, non indossava giacca e mantello, lasciando scoperte le braccia a sprezzo del clima del periodo. I suoi capelli erano scompigliati e bruni, e le sue sopracciglia folte; un aspetto selvaggio, benché non spiacevole, che rese più volte perplesso e confuso Amjad. L’eunuco dubitò perfino che quel tizio fosse davvero lo spasimante di Naila.

Vittore bandiva la sua merce, gridando:

«Pesce per i figli e collane per le mogli!»

Ovviamente lo diceva nel latino del popolo, la lingua a cui era più avvezzo.

«Volete una collana?» domandò Vittore non appena Amjad si fu accostato al banco.

«Una collana per femmina…» puntualizzò ancora il venditore, scambiandosi occhiate con Duccio, l’amico del banco accanto, e ridacchiando per via di quell’allusione sull’assenza di mascolinità del cliente appena giunto.

«Sì, una collana…» rispose l’eunuco pieno di imbarazzo.

Vittore allora gliene mostrò una decina, tutti monili creati da lui con le più belle conchiglie che era riuscito a trovare sulle spiagge dei dintorni di Palermo.

«Quale vi piace?»

E Amjad ne indicò una a caso.

Adesso tuttavia il viso di Vittore cambiò espressione e, parlando sottovoce, chiese:

«Non vorrete farmi credere che un eunuco del Re, che per certo può permettersi di indossare oro, argento e pietre preziose, si spinga fin qui per comprare i gioielli dei poveracci…»

«Se voi immaginate già qualcosa… è quello!» rispose serio Amjad, non lasciandosi intimorire dal tono sospettoso del venditore.

«Io non immagino proprio niente.» chiosò Vittore, ritornando a sorridere beffardo.

La sacca contenente le monete d’oro tintinnò adesso sul banco.

«Cinquanta tarì.»

Vittore si guardò attorno circospetto e recitò ancora:

«Voi confondete il valore di ciò che intendete acquistare.»

«La vostra insulsa collana… e che lasciate in pace la mia Naila…»

«Allora credo che la posta valga più di cinquanta monete d’oro.» spiegò Vittore, ritornando serio da far paura.

«Suvvia, pezzente, dove lo hai mai visto tutto questo denaro?»

Vittore, che era ricco d’orgoglio anche se povero di beni, emise un lungo respiro.

«Prendete il vostro denaro e non fatevi più vedere!»

E dunque, ritornando a fissare la folla, riprese a gridare:

«Pesce per i figli e collane per le mogli!»

Se Vittore passava sopra all’insulto e non rispondeva col coltello, quello con cui sbudellava il pesce per intenderci, lo faceva per non finire nei guai. Sapeva quali ripercussioni avrebbero potuto subire lui e la sua famiglia nel momento in cui avesse colpito un eunuco del Re. Comunque sia, adesso fu Amjad a dare in escandescenza.

«Va bene, ditemi quanto volete!» riprese l’eunuco, digrignando i denti e stringendo i pugni.

«Non vendo ciò che non è in vendita… Ve lo ripeto, andatevene!»

Amjad perciò si avvicinò repentino e, sporgendosi in avanti fino ad afferrargli la maglia, gli disse:

«Voi non sapete in quale razza di guaio vi state cacciando! Chiedetelo in giro chi è Mattia… Vi scaglierò addosso tutto l’esercito del Re!»

Ma Vittore, che non poteva tollerare che quello si spingesse fino al punto di toccarlo, lo afferrò per i capelli e lo tirò sul banco del pesce. Dunque concluse quell’azione affondandogli la testa nella cesta delle sardine. I mercanti e il resto dei presenti presero a ridere come se stessero osservando la scena più divertente in cui si fossero mai imbattuti.

«Senti la puzza di pesce? È di questo che profumano gli uomini!» gli fece Vittore all’orecchio, sollevandogli leggermente il capo per i capelli.

Quando infine il venditore di conchiglie mollò la presa, Amjad indietreggiò spaesato, tanto da perdere l’equilibrio e cadere.

«Ve ne farò pentire!» urlò da per terra.

Vittore era tuttavia consapevole che il danno fosse già stato fatto. Si avvicinò perciò all’eunuco e, mentre alcuni compari del mercato impedivano all’atterrato di rialzarsi e di muoversi, gli infilò al collo la collana che precedentemente gli aveva mostrato. Per concludere lo obbligò a gattonare, conducendolo per mezzo di quel guinzagliò composto da conchiglie acuminate. Per Vittore quella fu l’apoteosi del suo successo; venne acclamato e osannato dai presenti più di quanto avessero mai fatto col Re in persona.