banner banner banner
Le Tessere Del Paradiso
Le Tessere Del Paradiso
Оценить:
Рейтинг: 0

Полная версия:

Le Tessere Del Paradiso

скачать книгу бесплатно


Sconvolto oltre ogni dire e profondamente turbato, Onesimo fece fatica a giudicare l’anima redenta oltre la carne peccaminosa che aveva davanti. Alla fine seppe solo dire:

«Vi assolva Dio che scruta i cuori.» e con una scusa si accomiatò dal suo mentore, deluso da quell’uomo che finora aveva aiutato senza riserve.

A questo punto, ancora frastornato e senza nessuna voglia di vivere, Alessio non era più sicuro nemmeno della genuinità del proprio cuore. Credette di sentirsi in tutto e per tutto come si sente un malvagio.

L’esperto maestro d’arte d’altro canto faceva parte di quel tipo di uomini che dopo il peccato e l’errore cercano in tutti i modi di rimediare – la ricerca di Zoe, dopo tanti anni dai suoi sbagli di gioventù lo dimostrava pienamente – e adesso avrebbe rimediato pure all’ultimo atroce peccato se avesse potuto. Essendo tuttavia la vita qualcosa di esclusiva competenza divina, l’uomo non può ridare ciò che toglie.

Alessio aveva abbozzato sulla calce del supporto i soggetti che avrebbe dovuto realizzare in mosaico. Si trattava di alberi esotici e palme, di animali reali e fantastici: leoni, pavoni, cervi e leopardi, ma anche grifoni e centauri. Quella sera, alla luce tremula della candela, mentre se ne stava disteso sul suo giaciglio, li vide prendere vita. Quello che sarebbe dovuto diventare il Paradiso che il Re tanto desiderava adesso si manifestava nella sua mente come l’Inferno. Alessio si addormentò fissando quelle figure, e pochi minuti più tardi quelle bestie gli sbranavano le carni e lo dilaniavano. Uno dei pavoni disegnati con tanta precisione sul muro adesso gli beccava il cuore. Alessio si svegliò di soprassalto e per quella notte ebbe timore a riaddormentarsi, sicuro che nel sonno i demoni della sua mente si sarebbero destati nuovamente per molestarlo.

L’indomani Onesimo non si presentò e questo tormentò Alessio non meno degli inquietanti sogni della notte appena trascorsa. Rimuginò per tutto il giorno su quanto inutile fosse diventata la sua vita e concluse che dopo il tramonto, quando se ne sarebbero andati tutti, si sarebbe lanciato dalla loggia. Nondimeno, quando i manovali lasciarono la sala, Mattia si presentò tutto intristito. Alessio sorrise… ora lo sfiorava una malsana idea: avrebbe reso un bene al mondo tirandoselo dietro giù dalla balaustra.

«Che avete, mio Signore?» chiese l’abile artista, questa volta recitando.

Alessio boicottava la sua onestà in luogo dell’ipocrisia di chi si spaccia falsamente amico.

«Una nuova minaccia incombe sulla nostra causa!»

«Credevo che il gaito Luca fosse l’ultimo pericolo.»

«Qualcuno vi ha visto allontanare dalla locanda.»

«Vi riferite al tizio che ha provato ad ammazzarmi?»

«No, non a quello… a quanto pare il gaito Luca se ne stava da solo quando venne ritrovato. Chiunque fosse colui che vi ha attaccato aveva buone ragioni per dileguarsi prima che qualcuno chiamasse le guardie.»

Qualcos’altro non quadrava in quella storia. Il nobiluomo che l’aveva aggredito si era volatilizzato nel nulla, probabilmente perché, così come diceva Mattia, lì non doveva esserci. Si trattava forse di un ricercato? Alessio non lo sapeva né poteva chiedere in giro. Tuttavia, riflettendoci, qualche elemento in più per capire la questione ce l’aveva. Il gaito Luca, in preda al terrore, aveva gridato: «Mia Signora, ci attaccano!». C’entrava una donna quindi; ma chi? E perché in luogo di una donna era venuto giù un uomo? Si trattava forse di amanti… una relazione illegittima che il gaito Luca stava proteggendo? Alessio suppose molte cose in pochi minuti.

«Le guardie si mobilitarono non molto dopo; chi diede l’allarme?» chiese ancora il maestro d’arte.

«Vittore!»

«Un uomo con pochi anni meno di me…» descrisse Alessio, credendo ancora che quello fosse il nome della persona che l’aveva assalito.

«No, Vittore è una persona giovane.»

«Non c’era nessun giovane quella notte, né dentro né fuori la locanda.»

«Le case di Palermo hanno gli occhi, Mastro Alessio! Vittore, il venditore di conchiglie, vi ha visto, anzi ha visto entrambi… a voi uscire dalla locanda e a me starmene ad aspettarvi lì vicino. Essendo che mi ha riconosciuto quale eunuco del Re, ha bazzicato attorno al Palazzo per due giorni. Stamattina mi ha ritrovato, proprio mentre mi recavo dalla vostra Zoe… e sapete cosa mi ha detto?»

«Cosa?»

«Che avrebbe saputo indicare me e voi ad un processo. Quindi mi ha chiesto del denaro per il suo silenzio… molto denaro.»

«Dategli quanto chiede e mettetelo a tacere!»

«Non dispongo di quella cifra; forse voi sì?»

«Vi risparmio pure di riferirmi l’entità della cifra… sapete benissimo che ho perso tutto.»

«Dunque dovremo agire come l’ultima volta, rapidi e incisivi.»

«I manovali affidati al mio comando mi hanno riferito giusto stamattina che l’Ammiraglio del Regno, tale Majone, sta rivoltando la città da cima a fondo, intenzionato a prendere l’assassino del gaito Luca.»

«Sciocchezze! Neppure il Re si è scomodato a rientrare a Palermo dopo il misfatto.»

«Che il vostro sovrano sia molle e disinteressato è cosa risaputa… e che deleghi il suo ministro anche.»

Mattia sorrise e rispose:

«Avete capito tutto di questo Regno pur standovene tra quattro mura!»

«Perciò prendete tempo con chi vi ricatta e aspettate che le acque si calmino.»

«Abbiamo tempo fino all’11 del mese e poi parlerà.»

Alessio ci pensò un attimo. Con molta probabilità Mattia ne stava inventando un’altra con lo scopo di indurlo ad eliminare i suoi nemici. D’altro canto, se fosse stato vero, Alessio sarebbe andato incontro ad una morte certa… né più e né meno quello che era previsto comunque per lui. Cosa cambiava nella sua condizione? Nulla… se non altro che se quel Vittore avesse parlato, lui avrebbe pagato con la giusta pena il suo peccato. Si prospettava quindi la possibilità di scontare le sue colpe e di far cadere la responsabilità pure sull’eunuco Mattia, vera mente e vero manovratore del delitto. Alessio decise quindi che non avrebbe mosso un dito e che sarebbe andato incontro al suo destino.

«L’11 è fra due giorni!» esclamò il recluso tra i due.

«Capite perciò che non c’è tempo da perdere!»

«Domani, ma non stanotte, non oggi che i ricordi del gaito Luca morente sono ancora vividi nella mia testa.»

Così, con una scusa, Alessio prendeva tempo. Avrebbe rimandato fino al termine dei suoi giorni, consapevole che in tale modo avrebbe messo fine al male, ed il male in questo caso era lui stesso.

Capitolo 7

Notte del 10 Novembre 1160 (Anno Mundi 6669), Balermus

Alessio sapeva che Mattia si sarebbe ripresentato nel corso della giornata del dieci per persuaderlo ad agire proprio quella notte, così pensava a quale scusa avrebbe dovuto addurre questa volta per esimersi da quel compito ingrato.

Durante la mattinata, in mezzo al suo intricato groviglio di pensieri, l’unico diversivo alla monotonia della quotidianità lo ebbe con la consegna di un cesto contenente alcune tessere dorate. Quelli erano i primi quadrelli che giungevano dalle officine dei mastri vetrai palermitani. Il maestro d’arte avrebbe dovuto adesso saggiarne la qualità e riportare la sua impressione al logotheta Basilio, patrocinatore dell’opera. Benché quelle tessere avessero perso su Alessio il loro precedente ascendente, questi non poté ignorare che si trattava di un prodotto ben fatto, degno del palazzo di un Re. Quindi, passato da poco mezzogiorno e congedati i manovali per il pranzo, venne fuori sulla loggia intento a valutare i riflessi che la lamina d’oro e la pasta vitrea che la ricopriva producevano alla luce del sole.

«Sarebbe davvero un peccato che a completare questo mosaico non foste voi.» esordì Mattia, giunto silenziosamente alle spalle di Alessio.

«Sarebbe un peccato per voi non vederlo finito.» rispose a tono l’artista, voltandosi.

«Dunque è chiaro che non possiamo aspettare oltre questo giorno.»

«Questa volta mandate qualcun altro, qualcuno il cui viso non getti sospetti. Vi ricordo che uno sconosciuto, probabilmente influente e sicuramente temibile, mi ha visto in faccia.»

L’eunuco Mattia si avvicinò, l’afferrò con vigore per le spalle e disse:

«Mastro Alessio, voi siete come un padre per me; di chi altri dovrei fidarmi?»

«Assoldate qualcuno che lo fa per mestiere.»

«Lo farò… sicuramente lo farò se vi rifiuterete di aiutarmi. Però, lasciatemelo dire: vi sottraete alla soluzione di un problema che riguarda anche voi… e questo mi delude.»

Alessio tornò a voltarsi verso il panorama. Se era vero quanto diceva Mattia, in qualunque caso quell’uomo sarebbe morto. Pensò che non passava molta differenza tra l’essere l’esecutore materiale di un delitto e permetterlo pur potendolo impedire. Forse poteva riscattare quella vita dalla morte e riequilibrare davanti a Dio il peso dei suoi meriti con quello dei suoi torti.

«Va bene, lo farò io!» esclamò d’impulso.

Mattia sorrise e l’abbracciò.

«Sapevo che non mi avreste deluso!»

«Informatemi quando ritenete che il momento sia propizio.»

Quel giorno, una volta rimasto solo, Alessio lo passò in preghiera e meditazione. Col cuore compunto e lo spirito contrito chiese a Dio di tener conto della buona azione che si accingeva a compiere in cambio dell’errore commesso poche sere prima. Ragionò che se quel giovane uomo, Vittore, fosse davvero un ricattatore, allora sarebbe andato incontro alla sua meritata fine portandosi dietro Mattia… Se invece ancora una volta quest’ultimo si era inventato tutto, allora avrebbe fatto all’eunuco lo sgarbo di salvare la vita al suo nemico.

A buio inoltrato Mattia e Alessio uscirono dal Palazzo e si diressero verso il porto. In una delle case sulla punta del Cassaro, in una delle abitazioni più modeste, oltre le mura e dirimpetto al bacino del porto, viveva Vittore, il presunto testimone dell’omicidio del gaito Luca. Quando giunsero nei pressi della piazza in cui le navi in entrata e in uscita pagano all’ufficiale reale il dazio sulle merci, si accorsero che tirava un forte vento di tramontana proveniente dal mare e dovettero ripararsi nei loro mantelli. Alessio si guardò intorno, l’ambiente non era certo quello della locanda… qui normalmente si muovevano brutti ceffi da porto e criminali; ringraziò il Cielo che quella notte il vento gelido spazzasse via anche la mala gente e i loro affari notturni.

Mattia dunque si fermò sull’ingresso della piazza e da qui indicò l’abitazione di Vittore.

«Eccola lì in fondo, tra le case dei pescatori. Vi basterà sfondare una finestra per essere dentro. Io vi aspetterò qui…»

«Perché dovrei penetrare in casa di quell’uomo con la violenza, col rischio di finire in una lotta in cui potrei avere la peggio? Dirò di essere venuto a consegnare quanto ha chiesto e poi rivelerò l’inganno a suo discapito.»

«No, non vi fidate di quell’uomo. Egli è più infido delle vipere!»

«È lui che non dovrebbe fidarsi di me. Non preoccupatevi.»

Alessio si diresse lentamente verso le case che danno sulla discesa per il mare, mentre Mattia lo supplicava ancora di starlo ad ascoltare circa il metodo migliore per risolvere la questione. Dopo nemmeno un minuto Alessio era ormai troppo lontano per avvertire la voce dell’altro e il fischio del vento nelle sue orecchie copriva ogni raccomandazione. Attraversò quindi la piazza e giunse davanti alla porta dell’uomo da colpire. Dopo qualche secondo da uno spiraglio si affacciò un’anziana donna con gli occhi semichiusi e la capigliatura scompigliata; dietro di essa si potevano intravedere almeno tre uomini. Anche se Alessio avesse avuto cattive intenzioni, con molta probabilità non ne sarebbe uscito vivo.

«Vittore.» disse spaesato e con un filo di voce.

Si fece allora avanti un giovane uomo dall’aspetto forzuto.

«Chi siete?»

Chiaramente, se quello era Vittore, quel “chi siete” la diceva lunga sulle menzogne di Mattia, in quanto il presunto ricattatore avrebbe dovuto riconoscere l’assassino dell’eunuco del Re. Alessio tirò un sospiro di sollievo e raccolse tutta la sua determinazione per fare quel torto a Mattia.

«Parlate greco?» chiese il maestro d’arte.

«Sono un pescatore e un commerciante, non esiste lingua di questa terra che io non comprenda e parli.» rispose l’altro.

«Vittore, il venditore di conchiglie, siete voi?»

«Forse lo sono, o forse no, dipende da chi siete voi.»

«I vostri nemici progettano il male per colpirvi… sono venuto a dirvelo.»

«Chi vi manda?»

«Io sono il tramite di quel progetto che ha come risultato la vostra morte. Tuttavia non avete nulla da temere, poiché intendo fare uno sgarbo al mio mandante e risparmiarvi.»

E quello, con impareggiabile calma e perfino un filo di sbruffonaggine, ripeté:

«Perciò vi chiedo chi vi manda.»

«Mattia… vi dice qualcosa questo nome?»

Vittore sorrise; quel nome gli evocava una strana ilarità.

«Quell’essere né uomo né donna mi aveva giurato che mi avrebbe scagliato contro l’intero esercito del Re, e invece mi manda solo voi… voi che, con tutto rispetto, non avete neppure la parvenza di un assassino. Ma non offendetevi, straniero, poiché se aveste avuto tali sembianze sareste già passato all’altro mondo. Nessuno tocca nessuno in questa piazza! Guardatevi attorno.»

Alessio si voltò: gruppi composti da quattro o cinque uomini stazionavano nel bel mezzo della piazza e fissavano nella direzione dell’intruso.

«Da dove sbucano?» domandò Alessio meravigliato.

«Sono sempre stati lì!»

Il maestro d’arte provò una forte sensazione di terrore, sudore freddo e fiato corto. Si trovava proprio nel covo degli scaricatori di porto e dei pescatori, i quali, tutti insieme, costituivano una sorta di corporazione per proteggersi dalle minacce esterne e dagli abusi perpetrati ai loro danni. Di Mattia, ovviamente, non vi era più neanche l’ombra,

«Mi dispiace dirvelo, ma questa notte eravate voi la vittima di quella maledetta volpe!» spiegò perciò Vittore.

Ad Alessio quasi non cedettero le gambe. Ancora una volta era stato così tanto stupido da cascarci. Mattia non aveva mentito quando aveva detto che quella notte l’unico testimone dell’uccisione del gaito Luca doveva morire… tuttavia era ora di comprendere che l’unico testimone, colui che sapeva troppo e che rappresentava quindi una minaccia per i suoi malvagi disegni, era proprio lui. D’altronde l’esperto mosaicista era stato già condannato a morte, e, non avendo niente da perdere, avrebbe potuto parlare circa l’assassinio del gaito Luca. Inoltre, Alessio era stato visto in viso da quel tizio che aveva provato a difendere la sua vittima, e perciò, se riconosciuto, avrebbe potuto fare il nome di Mattia. Ovviamente, essendo proprio questi il responsabile del prigioniero, l’eunuco doveva aver già preparato un alibi che lo discolpasse da una plausibile accusa di complicità riguardo a quella fuga.

«Vi ha mandato qui per farvi ammazzare. Che gli avete fatto?» aggiunse ancora Vittore, intanto che il suo interlocutore se ne stava ammutolito e sconvolto.

«Io… io…» ripeté stralunato Alessio.

Vittore, che ormai aveva spalancato la porta di casa sua, prese a ridere. Tutti gli altri, coloro che se ne stavano all’interno della casa e quelli sulla piazza, risposero scompisciandosi come dei bambini che trovano piacere nel loro gioco.

«Ma almeno siete venuto armato, poveruomo?» chiese il giovane pescatore per aumentare l’ironia.

«Armato di coraggio sicuro!» rispose uno dei presenti.

«Compari, poco scherzo, io voglio ringraziare quest’uomo a cui sono debitore della vita.» fece Vittore.

Dunque tirò fuori dalla tasca un ducale[26 - Ducale: moneta d’argento coniata dai Re normanni. Il ducale era uno scifato, ovvero una particolare moneta a forma di scodella. Per tale motivo nel Regno di Sicilia ducale e scifato erano ritenuti sinonimi.] di Re Guglielmo e lo mise in mano ad Alessio.

Tutti scoppiarono a ridere. Vittore sminuiva il gesto inusuale dell’altro ricambiandolo con una moneta di medio valore. Quello era il momento di andarsene, prima che l’umiliazione si trasformasse in qualcosa di più pericoloso.

«Vi ringrazio!» rispose Alessio, stringendo il pugno e la moneta, intimorito e abbassando il capo.

Quando nondimeno voltò le spalle per andarsene, Vittore gli tirò un calcio nel sedere, facendolo capitolare proprio nel bel mezzo del cerchio di persone.

«Dite a quel castrato di mandarmi qualcuno che valga più di una moneta d’argento. Se crede che mi sporchi le mani con un poveraccio, ha capito ben poco di me. Non sono un criminale, ma so difendermi da chi mi intralcia. Venga di persona quell’essere immondo, e lo ricompenserò a dovere!»

In quel momento una folata di vento fece volare via il cappuccio dalla testa di Alessio. Fu allora che uno dei presenti provò stupore nell’osservare i capelli e la barba grigia del maestro d’arte.

«Vittore, non ricalca costui la descrizione che ci ha fatto il capo della guardia?»

Il ragazzo osservò per bene lo straniero ed esclamò:

«Se non è lui poco ci manca!»