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Le Tessere Del Paradiso
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Le Tessere Del Paradiso

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«In questa sala mio padre ricevette molti grandi uomini e prese importanti decisioni. Gli erano care queste quattro mura e gli era cara questa torre, così come gli era cara la vista della nostra amata Palermo guardando dalla loggia. Io ho continuato la sua tradizione e vi ho continuato a tenere le mie udienze private… tuttavia oggi intendo rendere questa sala un luogo di stupore, qualcosa che desti meraviglia, qualcosa degno della cappella del Palazzo e delle cattedrali edificate da mio padre.»

Alessio intanto studiava le pareti e il tetto osservando in tutte le direzioni.

Quando Guglielmo si accorse della distrazione del maestro d’arte, gli chiese:

«Per certo uno con le vostre referenze deve vedervi già l’opera compiuta…»

«In verità, Maestà, scrutavo le linee, la luce e gli spazi… ragionavo sul potenziale che queste mura possono esprimere.»

«E che cosa vedete oltre la pietra?»

Alessio si spostò al centro della sala e, guardando il vertice del tetto a crociera, propose:

«Quattro cherubini dai colori sgargianti, uno per lato!»

Guglielmo storse il muso… letteralmente.

«Niente santi e angeli! Le chiese costruite da mio padre sono già piene di queste immagini, ed io stesso ho continuato il decoro della cappella del Palazzo facendo raffigurare scene bibliche. Avete prestato servizio per l’Imperatore di Costantinopoli, dunque conoscete bene come rappresentare potere e regalità…»

Perciò, mimando con le mani, tutto preso dal progetto, sempre il Re spiegò:

«Il Paradiso… voglio che mi ricreiate il Paradiso! In questa sala concederò udienza privata ad ambasciatori, nobili e vescovi; desidero che ognuno di essi rimanga stupefatto. Si fa un gran parlare dei giardini delle mie residenze fuori Palermo, eppure molta di questa gente non li vedrà mai. Che se ne facciano un’idea osservando le pareti di questa stanza, così da invidiare e rabbrividire dinanzi alla bellezza e alla potenza del mio regno. Voglio tuttavia che nessuno, né l’Arcivescovo né l’ambasciatore dei fatimidi[19 - Fatimidi: potente dinastia musulmana (sciita ismaelita) che dominò il Nordafrica dal X al XII secolo.], possa offendersi a causa di ciò che vede.»

«Si dice che i vostri giardini riproducano la perfezione dell’Eden.»

«I mori lo chiamano jannat al-arḍ[20 - Jannat al-ard: letteralmente “paradiso della terra”. Da questa parola deriva Genoardo, termine con cui si indicava il parco dei re normanni di Sicilia.], il “paradiso della terra”.»

«Mi sia concesso di vedere, seppure da lontano, questo paradiso.»

«A che vi serve? Immaginate pure… e se è il caso esagerate!»

Quella fu l’ultima raccomandazione del Re prima di lasciare la sala insieme a tutti quelli con cui era giunto.

Dunque Alessio si catapultò su Basilio, il quale ancora tentennava ad andarsene, e gli chiese:

«Ascolterete davvero la mia discolpa, Signore?»

«È la parola del Re, ma voi prima dedicatevi a quello che dovete fare. Ricordatevi che ci metto personalmente la faccia nella riuscita del vostro talento e che se l’opera non dovesse piacere al Re, ci rimetterò con la mia reputazione. Finite il mosaico e, dopodiché, se avrò avuto successo tramite voi, vi prometto che non solo ascolterò la vostra discolpa, ma farò di tutto per rendervi un uomo libero.»

Quindi Onesimo, finora intimorito dalla presenza di Guglielmo, intervenne:

«È bene dunque iniziare subito!»

«Mi occuperò io stesso della fornitura dei materiali. Sarò il tramite col mondo esterno, poiché per quanto vi riguarda, finché non avrete finito l’opera, non potrete lasciare questa stanza.» spiegò Basilio.

Alessio sorrise ed esclamò:

«Una prigione per certo più piacevole di quella in cui stavo!»

Fu in quel momento che rientrò l’eunuco Mattia, ovvero colui che era stato incaricato di dare ad Alessio una parvenza più consona al luogo in cui soggiornava.

Capitolo 3

5 Novembre 1160 (Anno Mundi 6669), Balermus, Palazzo Reale

Compiacere il Re per ottenere la propria libertà… questo divenne il principale obiettivo di Alessio nei giorni successivi al primo incontro col sovrano. Non rivide più Guglielmo, così come non rivide più molta della gente che il giorno del suo arrivo accompagnava il monarca. Incontrò tuttavia più volte Basilio, interessato per fini personali all’opera, e l’eunuco Mattia, preposto alla sua cura. Ovviamente non poté staccarsi dall’insistente presenza di Onesimo, il quale dall’alba al tramonto non smise mai di tempestare di domande e richiedere delucidazioni su ciò che il maestro d’arte si accingesse a fare.

Una sera Alessio, già sbarbato e rasato come il Re desiderava, se ne stava disteso sul suo giaciglio ed osservava la malta ancora umida stesa sul soffitto; tale strato sarebbe servito come preparazione e supporto per il legante e le tessere. Onesimo aveva lasciato quel luogo da mezz’ora quando qualcun altro girò la chiave nel chiavistello. Alessio non si aspettava di ricevere visite; il servo incaricato a chiuderlo dentro non tornava mai dopo essersene andato. Si sedette perciò sul suo giaciglio ed aspettò che dal buio si manifestasse il soggetto. La luce di una lampada rischiarò l’intero ambiente.

«Avete già deciso cosa rappresenterete su queste mura?» chiese in greco l’eunuco Mattia, venendo avanti e coprendosi con un lembo della sua veste il naso, forse infastidito dall’odore della calce.

«C’eravate anche voi quando il Re ha richiesto il Paradiso.»

«Non cadete in inganno, Mastro Alessio. Guglielmo desidera soltanto che i suoi gusti vengano vezzeggiati. Non dovete inventare nulla… semplicemente interpretate.»

«Non conosco abbastanza bene il Re per interpretare i suoi gusti.»

«Giochi di geometrie, motivi floreali, simmetrie perfette, alberi verdeggianti…»

«Non sono forse le stesse cose con cui abbelliscono i loro palazzi i sultani d’Africa?»

«Guardate bene dove siete e ragionate se nel mondo cristiano esiste un luogo tanto vicino all’Islam come questa città.»

Alessio sapeva bene di cosa Mattia stesse parlando e in quel momento non poté fare a meno di osservare come l’eunuco vestisse al pari di un principe saraceno.

«Lo conoscete bene il Re…» commentò il mosaicista.

Quello allora si sedette su uno sgabello e spiegò:

«Servo questa casa sin dalla mia tenera età. Nacqui come Amjad, ma al battesimo mi diedero un nuovo nome.»

Dunque sempre Mattia, intanto che lo scrutava con i suoi occhi truccati di nero, chiese:

«Non ditemi che non l’avevate capito…»

Alessio aveva capito molte cose di quell’uomo. Per certo era uno degli eunuchi, nonostante egli non l’avesse mai detto. Il tono della voce, la strana cantilena, l’assenza di barba, i lunghi capelli intrecciati, i monili, la delicata sciarpa che gli ricopriva il collo e il trucco gli davano un’aria più femminile che maschile.

«Siete venuto per discutere dei mosaici?» chiese Alessio affinché quello andasse al dunque.

«No, mi chiedevo soltanto come mai un uomo che se ne sta rinchiuso per tre anni non senta la necessità di incontrare una donna. Che non c’entri in questo quel monachello che vi gironzola intorno… Forse gradite altro?»

Alessio capì l’allusione, tuttavia evitò di scavare a fondo pur di non scoprire se si trattasse di una sorta di proposta.

«Sono un uomo che si attiene ai detti di Dio!» rispose invece, lasciando trasparire tutto il suo senso di religiosità.

«Eppure avete ucciso un uomo…»

«Il caso verrà riesaminato e io verrò scagionato da tutte le accuse.»

«Ma per intanto rimanete quello che il mondo vi crede: un assassino! Ho chiesto in giro e sembra che abbiate ucciso un certo giudeo messinese.»

Alessio stava per spazientirsi, nondimeno si trattenne quando l’altro disse:

«Sappiate comunque che non vi condanno. Chi sono io per giudicare i motivi che vi hanno spinto ad una azione del genere? Parlatemi di questa donna… Zoe.»

Alessio si chiese come facesse a sapere così tante cose di lui, tuttavia era la prima volta che qualcuno si interessasse ai motivi del suo viaggio in Sicilia. Forse Mattia, al pari di una donna sfaccendata e curiosa, amava impicciarsi nei fatti altrui. Comunque sia, sentire dalla bocca di qualcun altro quel nome, Zoe, lo fece quasi commuovere. Probabilmente fu per disperazione, per quel peso maggiore della prigionia che si portava sul cuore, che Alessio sentì di potersi fidare dell’eunuco.

«Zoe è la mia unica figlia.» rispose.

«Siete venuto fin qui per vostra figlia?»

«Per lei e per la promessa che feci ad una donna morente.»

Mattia si sporse in avanti, appoggiò il mento sul pugno, fissò il gomito sul ginocchio, e spiegò:

«Per quanto voi abbiate passato gli ultimi tre anni recluso tra quattro mura, sappiate che in vita siete stato più libero di me… La mia condanna è stata eseguita già durante la mia fanciullezza, cosicché il resto della mia esistenza è stato segnato per sempre. La mia prigione è il ruolo che ricopro in questo Palazzo: custode dell’harem, guardiano delle donne, servitore del Re e soprintendente ai bisogni della Regina… un ruolo segnato sul mio corpo. Dunque non stupitevi se vi chiedo di parlarmi di voi, poiché il vostro racconto rappresenta una delle possibili vite che avrei potuto vivere se non fossi stato recluso in questa condizione di prigionia.»

Alessio provò tenerezza per quell’uomo.

«Quanti anni avete?» chiese perciò curioso.

«Trentadue.»

«E da quanti anni fate parte del seguito del Re?»

«Divenni valletto di Ruggero all’età di nove anni. Temo tuttavia che la mia vita non possa paragonarsi alla vostra. Se continuassi a rispondere alle vostre curiosità sono sicuro che vi annoierei. Sappiate solo che anche nella mia vita c’è una donna, una giovane sorella che amo più del sole.»

«Conoscete quindi il sentimento che muove il mondo, mio Signore! Bene, vi dirò di Zoe… Conobbi sua madre molti anni fa, venticinque per l’esattezza, durante una visita sull’isola di Corcira. In quegli anni ero un giovane apprendista che si stava affrancando con successo dall’insegnamento del suo maestro. Essendo quindi il mio servizio a buon mercato, venni assoldato per un lavoro da un certo notaio dell’isola. Questi mi chiedeva la stesa di un mosaico pavimentale in opus sectile[21 - Opus sectile: antica tecnica artistica che utilizza marmi e paste vitree tagliate ad hoc per realizzare intarsi pavimentali e parietali.] come abbellimento della cappella privata della sua famiglia. Benché si trattasse di un’arte molto complicata, mi gettai nella sfida sicuro che non avrei fallito. Fallii tuttavia come uomo timorato di Dio quando mi imbattei nella moglie del notaio, una donna dalla bellezza sconvolgente dieci anni più grande di me. Non so ben dire se fui io a corteggiare lei o se fu lei a sedurmi; la mia mente era annebbiata dalla passione e il mio cuore in preda ad un turbinio di emozioni. Ci vedemmo clandestinamente per due mesi, quindi, determinato ad allontanare da me la tentazione e ad acquietare il senso di dannazione che andava crescendo nella mia anima, scomparvi senza neppure completare l’opera. Col tempo la mia mente dimenticò il viso di quella donna e il mio cuore barattò l’amor carnale per quello sacro. Divenni intanto famoso e ricco come mai avrei immaginato. Ritrovandomi tuttavia un giorno in meditazione con me stesso e guardando i miei capelli grigi, riflettei che in luogo della fama e del denaro avrei preferito l’affetto di una famiglia. L’archimandrita[22 - Archimandrita: superiore di un monastero di rito greco ortodosso.] di un monastero, un amico d’infanzia, mi consigliò allora di scegliere la solitaria contemplazione di Dio e di prendere i voti… mi propose quel tipo di famiglia che è il monastero. Quando io però gli chiesi se sarebbe stato saggio riavvicinarmi ai rimpianti di gioventù, lui mi rispose che un uomo che rimugina sui rimpianti per certo non ha mai smesso di praticare il peccato nel suo cuore. Gli dissi allora di essere venuto a sapere che il marito di quella donna era morto e che i miei sentimenti si erano destati a causa di quella notizia. Lui mi spiegò quindi che se non l’avessi rincontrata non avrei mai potuto scoprire quello che la Volontà Divina desiderava per me. Partii immediatamente per Corcira e dopo poco tempo ritrovai la donna che molti anni prima mi aveva indotto al peccato. La ricordavo splendente… bella, ed invece adesso avevo di fronte una persona vecchia e malata. La ritrovai distesa sul suo letto e, tenendole la mano, le giurai comunque che questa volta non l’avrei abbandonata. In fin dei conti mi sarebbe bastato considerarla un’anziana madre. Ma lei, lusingata per la mia offerta benché ormai senza alcuna voglia di vivere, mi fece giurare per Dio di renderla felice in un’altra maniera. Mi disse di aver avuto un’unica figlia, una bambina che lei aveva amato più di ogni altra cosa, e che tale creatura era il frutto del nostro amore clandestino. Rimasi sbigottito, eppure sorrisi come se quella fosse la notizia più felice che un uomo potesse ascoltare. Quando nondimeno vide la mia gioia, turbò la sua espressione e pianse. Mi disse che Zoe era stata presa durante il saccheggio dell’isola da parte dei siciliani nel 1147, secondo il vostro calendario. Era stata catturata il primo giorno ed esposta sulla piazza in quello successivo. Lei le era stata accanto tutto il tempo, finché un nobile siciliano, un comandante di galea molto apprezzato tra i suoi, non aveva voluto comprarla ad un prezzo talmente alto da superare qualunque tentativo di riscatto da parte del notaio suo marito. Mi chiese quindi di ritrovarla e di riscattare ad ogni costo la sua libertà. Stetti al capezzale di quella donna per un’intera settimana, e quindi, ad un certo punto, mi disse:

«Non capite come sarebbe cambiata la sorte della mia amata Zoe se voi non ve ne foste mai andato?»

Compresi allora tutta la mia responsabilità nella faccenda. Adesso, oltre al desiderio di avere una famiglia, nacque in me l’obbligo verso il mio sangue. Era chiaro che la Volontà Divina mi stesse parlando nel più comprensibile dei modi…

Lei morì due giorni più tardi e io salpai per queste terre subito dopo averle chiuso gli occhi.

Giunsi a Messina l’estate di tre anni fa, intento ad arrivare a Palermo e trovare Zoe. Passai alcuni giorni in un monastero di rito greco sulle montagne che spingono quella città verso il mare, e dunque, mentre facevo la spola tra quel luogo di contemplazione e il mercato, venni a sapere che quel noto comandante di galea soggiornava da alcuni giorni nei pressi del porto. Quella era la mia occasione… Dio mi stava mettendo dinanzi alla soluzione e per certo mi avrebbe spianato la strada. Mi presentai sorridente e amichevole, intendendo contrattare l’acquisto della ragazza. Quello aveva la mia stessa età e per certo possedeva più fama e denaro di me. Ad ogni modo, si alterò non appena gli menzionai il nome di Zoe e mi disse di non farmi più vedere. Sapevo che non sarebbe stato facile, per cui lo ricercai la sera dello stesso giorno, raddoppiando l’offerta e parlandogli col cuore in mano. Questa volta mi stette a sentire e mi assicurò che la cosa si poteva fare. Perciò mi diede appuntamento all’alba presso uno dei magazzini del porto, dove disse che si sarebbe presentato con un notaio per stipulare la vendita. Non chiusi occhio e già un’ora prima che spuntasse il sole arrivai al luogo concordato. Temetti a portare il denaro e pensai bene di lasciarlo nelle mani del fedele Onesimo, istruendolo che avrebbe dovuto consegnarlo solo a me quando più tardi sarei tornato insieme a degli sconosciuti… e che se non fossi tornato, avrebbe dovuto custodirlo fino a quando non avrebbe colto un segno della Volontà Divina. Queste parole, recepite da un cuore onesto come quello di Onesimo, mi hanno permesso di conservare la vita ritardando l’esecuzione. Sarebbe tuttavia complicato spiegarvi questa sera in che modo quel frate mi ha salvato la vita…

Ritornando a quella maledetta mattina vi dico quello che successe. Quando entrai nel magazzino la luce di una torcia si spegneva al contatto col suolo e un uomo lì accanto boccheggiava supino come fanno i pesci presi all’amo. Gli occhi di costui mi terrorizzarono: li aveva spalancati, fissi verso qualcosa di indefinito. Sul suo petto vi erano almeno tre profonde ferite e in una di esse se ne stava ancora conficcato il pugnale che gli aveva squarciato il cuore. In men che non si dica quello smise di boccheggiare e con ancor meno tempo si presentò quel maledetto nobile. Questi mi vide piegato sul morto e dunque si mise a gridare che un uomo era appena stato ucciso. In quel momento pensai di scappare… di restare e spiegare tutto… di inventare una storia che avrebbe alleviato la mia posizione. Non ebbi il tempo di fare nulla, poiché mi circondarono e mi presero in custodia. Pochi giorni dopo venne emessa la mia condanna a morte, decisione maturata grazie alla testimonianza di quell’uomo che asseriva di avermi colto in flagranza di crimine.»

«Davvero una storia incredibile! Mi chiedo però come mai riluttiate a dire il nome della donna che amaste in gioventù.»

«Perché voglio esimere il suo nome dal giudizio degli uomini. Giudichi Dio i suoi peccati!»

«E perché dunque mi avete nascosto anche quello del nobile comandante di galea vostro nemico?»

«Provo nausea perfino a pronunciarlo quel nome… e poi, voi che sapevate così tante cose di me ancor prima di questa sera, dovreste saperlo.»

«In verità la vostra storia mi ha appassionato già giorni or sono, quando sotto invito del Re mi fu chiesto di capire chi foste davvero. Sì, lo ammetto, ho indagato su di voi! Tuttavia fino ad oggi ho avuto come elemento solo quel nome, Zoe, credendo tra l’altro che si trattasse della vostra amata.»

«Ecco perché questa notte venite a svegliarmi… per scavare a fondo nella mia persona e dare risposta al Re.»

«No, Mastro Alessio, c’è dell’altro.»

A ciò Mattia si alzò dallo sgabello e prese a gironzolare nella stanza.

«Io non ho mai avuto un padre.»

«Neppure io conobbi il mio, se questo vi può consolare.» rispose Alessio, comprendendo il tono triste dell’altro.

«Ma voi avete colmato tale vuoto con il vostro carattere avventuriero e virile. Io invece cerco di riempire questa assenza ravvisando la figura di un padre negli uomini che incontro durante le mie giornate. Voi, Mastro Alessio, mi date questa idea più di ogni altro uomo con cui mi sia rapportato. La mia non è più semplice curiosità o la risposta ad un’esigenza del Re… io voglio aiutarvi a ritrovare la vostra Zoe.»

Alessio era confuso e al tempo stesso lusingato.

«Dite davvero?»

«Sì, ma voi ditemi prima il nome dell’uomo che l’ha strappata dalle braccia di sua madre anni or sono.»

Alessio stava per dirglielo, poi parve pensarci. In tutta questa storia era finito prigioniero e quasi impiccato proprio per fidarsi troppo della gente.

«No, Signore, datemi prima un segno che vi interessate davvero della mia causa. Trovatelo voi il nome di costui!»

Dunque l’eunuco, invece di offendersi, sorrise.

«È una richiesta ragionevole. D’altronde, come potrei dimostrarvi il mio affetto se non vi fosse alcuno sforzo in quello che faccio…»

Quella fu l’ultima frase prima di lasciare la sala e l’artista che avrebbe dovuto abbellirla.

Capitolo 4

7 Novembre 1160 (Anno Mundi 6669), Balermus, Palazzo Reale

Passati due soli giorni Mattia entrò nella sala e, mentre Alessio ed altri tre operai se ne stavano sull’impalcatura, urlò:

«Mastro Alessio, venite giù!»

Ci volle qualche minuto prima che l’abile maestro d’arte si calasse fino al pavimento.

«Giordano di Rossavilla!» esordì l’eunuco.

Alessio si stranì in viso; era più il disgusto che provava per quel nome che la sorpresa per la scoperta di Mattia.

Onesimo si avvicinò curioso. Sapeva benissimo quali fossero i sentimenti del suo mentore nei confronti della persona in questione.

Alessio diede quindi le spalle all’eunuco e cercò un pretesto per troncare lì quella conversazione. Prese in mano la cazzuola sporca di malta e si mise a ripulirla con un altro arnese identico.

«Come può esservi utile conoscere il nome della persona che mi ha rovinato?» chiese sempre Alessio, trovando il coraggio per affrontare l’argomento.

«Egli trattiene pure vostra figlia.» rispose Mattia.