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Morrigan
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Morrigan

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Poi bisbigliò parole a me sconosciute e incomprensibili e le sue pupille si dilatarono. Il lampo rosso ricomparve e un brivido mi passò su per la schiena.

Ero in pericolo, lo percepivo in ogni singola particella del mio corpo, ma non potevo muovermi né urlare.

Ero sua!

Ero stata rapita da quel serafino immortale e non avrei potuto fare nient’altro se non arrendermi al suo volere.

Chinò la testa su di me e mi baciò.

Non fu un bacio appassionato, bensì un flusso di potere dalle sue labbra alle mie.

Il cuore non pulsava più solamente sangue, ma anche qualcosa di magico che faticai a riconoscere.

Fu proprio in quel preciso istante che capii due cose.

Ero sicura di essere Morrigan, la somma Dea della guerra e del cambiamento.

Ed ero riuscita a dare un nome alla figura sfocata dei ricordi che mi erano venuti in mente pochi istanti prima.

Sapevo chi mi voleva fare del male.

Da quel momento in poi avrei studiato ogni sua mossa.

6

VECCHI RICORDI

La mia stanza era enorme!

Le pareti sembravano d’oro, tutte con delle decorazioni floreali molto semplici. Sul soffitto invece era dipinto un enorme cielo azzurro con delle soffici nuvole bianche e, perfettamente al centro, un elegante lampadario in oro ricadeva giù a forma di piramide a base rotonda in cui era inserita una quantità immensa di candeline.

Ero troppo stanca per mettermi a contarle.

La mia attenzione fu attirata da un enorme letto a baldacchino in legno d’acero con le tende bianche scostate.

Sopra il copriletto ambrato trovai una vestaglia di seta rosa, ricamata attorno al seno. La indossai e andai verso l’enorme finestra che si trovava esattamente di fronte alla porta. Chiusi la pesante tenda e, con mia grande gioia, mi accorsi che non entrava nemmeno un singolo raggio di sole.

Feci spegnere le candele e mi infilai sotto le lenzuola.

Inizialmente non sognai nulla di particolare, poi mi ritrovai in una foresta in mezzo a dei pini enormi, talmente grandi che sembravano bucare il cielo. Ero seduta a terra, sopra un letto di aghi secchi e foglie morte.

Faceva freddo e una sottile nebbiolina inumidiva tutto il corpo, entrando sotto la pelle e raggiungendo le ossa.

Tremavo.

Il cuore pulsava all’impazzata.

Ero terrorizzata!

Volevo piangere, urlare… volevo la mamma.

Poteva essere un ricordo di quand’ero bambina?

Un ricordo che ho voluto cancellare?

Probabilmente sì.

Avevo rivisto quella stessa scena poco prima, nella mia mente, mentre parlavamo con Ares.

Coincidenza o fatalità che fosse risalita a galla proprio ora?

A un certo punto, nel sogno, sentii dei passi leggeri.

Foglie calpestate, rami spezzati.

Qualcuno si stava avvicinando.

Potevo sentire qualcuno respirare affannosamente, come se avesse fatto una gran corsa per arrivare fin lì.

Lo sentii ridere. ‹‹Piccola Sofia, non avere paura. Le altre bambine non hanno mai urlato, non si sono accorte di nulla. Vuoi essere la meno coraggiosa?››.

Quel qualcuno uscì dall’oscurità e si avvicinò a me.

Era un’ombra, una sagoma di un uomo con delle ali oscure, talmente nere che sembravano confondersi con la notte.

Mi misi a piangere più forte che potevo, dimenticandomi del tutto di quello che aveva detto delle altre bambine.

Non mi importava essere la più coraggiosa, volevo solo che qualcuno mi portasse a casa.

L’uomo si mise a farfugliare qualcosa in una lingua sconosciuta.

Alla fine urlò: ‹‹Retan ni stequo pocor. Entra in questo corpo, Somma Dea››.

Una luce verdognola sembrò bucare il cielo e aprirsi sempre di più.

Il raggio verde creò un cerchio perfetto attorno a me, e quella che l’ingenuità di una bambina avrebbe potuto descrivere come la polvere magica di Trilli si alzò verso l’alto creando degli splendidi riflessi arcobaleno ogni volta che entravano in contatto con il fascio di luce.

Allungai le piccole mani per toccarla e smisi di piangere.

Mi sentivo tranquilla, come se fossi stata nel lettone con la mamma e non fuori, in una foresta buia.

Il raggio verde a poco a poco svanì.

L’angelo nero disse: ‹‹E ora che sei entrata nel suo corpo, Dea, ti ucciderò con le mie stesse mani››. Avanzò verso di me. ‹‹Giustizia sarà fatta››.

Qualcosa rimandò il riflesso di un debole raggio di luce lunare e scattò in avanti, verso la mia testa.

Doveva essere una spada o un pugnale. Lo capii dallo swissh che fece tagliando l’aria attorno a me.

Mi svegliai di soprassalto, tutta imperlata di sudore.

Staccai i capelli dalla fronte e dal collo, li tirai indietro e cercai qualcosa per raccoglierli.

Era troppo buio e non era la mia stanza.

La stanza che avevo quand’ero viva.

Fui colpita da una sensazione di smarrimento e vuoto.

Ero sola e sentii un groppo salirmi in gola.

Deglutii due o tre volte per scioglierlo e cercai di scendere dall’enorme letto per aprire un po’ i tendoni. Incespicando e avanzando con le mani davanti per non cadere a terra, arrivai alla finestra.

Un sorriso di soddisfazione per l’impresa riuscita mi fece calmare un po’.

Un battito d’ali attirò la mia attenzione. Sembrava così vicino.

Mi girai per guardarmi alle spalle, ma dietro di me c’erano solo oscurità e silenzio.

Quell’oscurità disarmante in cui a ogni singolo rumore udito il cuore comincia a battere forte e la mente cerca disperatamente di dare un nome alla cosa sconosciuta che ci sta facendo morire di paura.

Sentii ancora il battito d’ali e qualcosa che graffiava la finestra.

Trattenni il respiro. Il cuore galoppava talmente forte che lo sentivo rimbombare in tutta la stanza.

Afferrai per un’estremità il tendone con tutte e due le mani e diedi un bel colpo per aprirlo.

Cacciai un urlo talmente forte che sorprese anche me.

Mi ritrovai di fronte a un enorme corvo. I suoi occhi neri erano puntati verso di me.

Aprì le ali e cominciò a graffiare con le zampe sul pesante vetro della finestra.

Urlai più forte sovrastando il suo gracido cra cra e, balzando indietro dalla paura, inciampai sul tappeto e caddi a terra.

Affondai la testa fra le ginocchia e cominciai a dondolare dicendomi di stare calma, che non sarebbe successo niente.

Sembravo una pazza appena uscita dal manicomio e i capelli fradici e scompigliati davano un tocco di follia in più.

Ares fu il primo a precipitarsi nella stanza.

Poi fu il turno di Sara che si gettò al mio fianco per tranquillizzarmi.

Sonia invece arrivò con più calma. ‹‹Cos’è tutto questo baccano?››. Si accorse di me a terra e dell’enorme corvo che voleva entrare a tutti i costi nella stanza. ‹‹Mia Dea! Ma quello è… Stai bene, Sofia?››.

Alzai la testa per accennare un sì, presi un respiro profondo e vidi Ares aprire la finestra e far entrare quell’uccellaccio.

Sgranai gli occhi e cominciai a urlare. ‹‹Sei pazzo? Vuole farmi del male. Tieni distante da me quella bestiaccia!››

E mi aggrappai a Sara.

Gli occhi verdi brillarono e un’incontenibile risata sembrò impossessarsi di lui. Avrei giurato che avesse le lacrime agli occhi dal ridere.

Io stavo morendo di paura e lui mi rideva in faccia.

Lo trapassai con uno sguardo pieno di rabbia.

‹‹Scusate, ma trovo divertente il fatto che la nostra Dea abbia paura del suo animale››. Stava cercando di mantenere il controllo, ma qualche risatina ogni tanto gli scappava.

‹‹Il mio animale è uno solo… o meglio, era››. Cacciai indietro il groppo alla gola che era tornato a galla. ‹‹Ade, un cane dolcissimo››.

‹‹Ade? Hai chiamato il cane Ade? Come il dio degli Inferi? Non posso crederci››. E rise di nuovo.

Si stava prendendo gioco di me.

Non me lo sarei mai aspettata da Ares, lo credevo un vero principe.

Evidentemente mi sbagliavo.

‹‹Prendimi pure in giro. Fai come se non ci fossi››.

Mi alzai offesa e mi sedetti sul letto incrociando le braccia e guardando Ares in cagnesco.

Lui si avvicinò a me con il grosso corvo nero appollaiato sulla sua spalla nuda. Si sedette sul letto e mi passò un braccio sulle spalle.

Il corvo mi guardò con i suoi occhietti neri e fece un cra che sembrava un ciao.

Ares mi tirò a sé. ‹‹Sofia, tesoro, lui è il corvo di Morrigan. Il suo umile servitore e messaggero. Guarda››, prese la zampa nera dell’animale e notai che vi era legato un tubicino d’argento. Con delicatezza lo sfilò e me lo porse. ‹‹Tieni, questo è per te››.

Sfilai il tappo del tubicino. Dentro, arrotolato perfettamente, c’era un foglietto di carta bianca.

Lo tirai fuori con calma, non volevo rischiare di strapparlo.

Fortunatamente scivolò sul metallo senza nessun problema.

Lessi cosa c’era scritto.

Sbiancai e mi cadde di mano il foglietto.

Sonia lo tirò su e lesse a voce alta il messaggio. ‹‹La piccola Dea ora è cresciuta, i sogni le rivelano la verità. Qualcuno sta giocando con lei, chi sarà il traditore? Non capisco, cosa vorrebbe dire?››

‹‹Morrigan riceveva spesso questi messaggi misteriosi››, spiegò Ares. ‹‹Venivano spediti dalla sibilla del Regno di Tenot, Kerrigan››.

‹‹Kerrigan? Una sibilla? Ma perché nessuno ce ne ha mai parlato? Io e Sara abbiamo un pezzo del potere della Dea e nessuno ci racconta certi dettagli››. Sonia si era offesa e aveva ragione. ‹‹Prevenire le mosse delle sue guardie ci sarebbe stato di grande aiuto››.

Se la Dea si serviva di una sibilla avrebbero dovuto saperlo anche loro. Sarebbe stato comodo in caso fosse scoppiata una guerra fra i due Regni.

Che pensiero sciocco!