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Posseduta Dagli Alfa
Posseduta Dagli Alfa
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Posseduta Dagli Alfa

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«Come ha potuto andarsene?» disse Bryce, passando vicino a dove sedeva Kaidan.

Joshua, seduto al computer e preso a scovare informazioni, rispose: «Era titubante. Lo hai visto. Credevi davvero che sarebbe rimasta qui?» Il suo sguardò non si alzò mai dallo schermo.

I due si erano svegliati e dei ringhi erano usciti a forza dal loro petto, quando si erano allungati verso un’omega che se ne era andata da tempo, abbastanza perché il suo posto diventasse freddo. Il fatto che avessero dormito mentre se ne andava dimostrava quanto li avesse sfiniti, o quanto fosse brava a sgattaiolare via. A giudicare dal modo in cui aveva fatto scattare ogni misura di sicurezza introducendosi nel loro ufficio, sospettava fosse la prima.

Eppure, Kaidan non riusciva a scuotersi il suo profumo dalle narici. Non riusciva a dimenticare quanto dolcemente si fosse concessa a lui, il modo in cui le sue cosce si erano spalancate in segno di resa.

Non fiducia, non ancora, ma non poteva certo biasimarla. Essere montata da degli estranei duranti il calore non era il genere di cosa che un’omega avrebbe desiderato.

Sta mangiando? Si sta prendendo cura di sé?

Kaidan si massaggiò il naso, mentre le domande frullavano nel suo cervello.

Un’omega era quasi più vulnerabile finito il calore. Una volta appagata, si sentiva stanca, debole, bisognosa di un po’ di riposo e del nutrimento adeguato. Si sarebbe dovuta raggomitolare in un nido, con l’alfa che l’aveva soddisfatta a prendersi cura di lei, non andarsene in giro tutta sola.

«Trovato qualcosa?» Bryce si fermò di fianco al divano, il suo sguardo puntato sull’oggetto d’arredo, come se stesse rivivendo tutto ciò che vi era accaduto la notte precedente. Allungò la mano con il palmo aperto e poi la chiuse a pugno, come a volerla afferrare e avvicinare a sé.

Una strana reazione.

Bryce, fra loro, era quello che sentiva meno la mancanza delle donne. A Kaidan mancavano quando le condividevano, come erano soliti fare di tanto in tanto, ma sapeva che il suo amico non desiderava niente di duraturo. Eppure, la verità era ben visibile sul suo volto.

L’omega gli mancava.

Joshua non era da meno. Sebbene avesse ringhiato e imprecato meno, si era mosso con la determinazione di un uomo con una missione importante. Si era seduto alla scrivania, aveva acceso il computer e si era messo al lavoro nel momento stesso in cui si era reso conto che l’omega se ne era andata. Anche quando prendeva parte alla conversazione, anche quando rispondeva alle domande, la sua attenzione non si spostava mai dallo schermo.

«Forse dovremmo lasciarla andare.»

«Che cosa?» Entrambi gli uomini fecero la stessa domanda con lo stesso tono affilato.

Kaidan fece ruotare le spalle, indolenzite dai graffi profondi che l’omega gli aveva lasciato sulla schiena la notte precedente. «Siamo stati chiari nel dire che non volevamo niente di duraturo, giusto? Non ha trovato niente nei nostri sistemi, non ha trovato ciò che stava cercando, quindi perché rintracciarla?»

Gli occhi di Joshua si assottigliarono, ma non parlò.

Bryce si voltò e il suo labbro si sollevò come se non potesse farne a meno. «Si è introdotta nel nostro cazzo di ufficio, Kaidan. Vuoi davvero lasciar correre? E se stesse lavorando per qualcuno che ci vuole morti? Abbiamo già abbastanza nemici senza doverci preoccupare di una donna che esegue i loro ordini.»

«Se si fosse trattato di un nemico, sarebbe stata più preparata. Quella ragazza non aveva idea di quello che stava facendo. Darle della dilettante sarebbe farle un complimento. Se quello fosse il meglio che possono fare i nostri nemici, penso che ne sarei offeso.»

«Potrebbe trattarsi di un inganno, potrebbe essersi presa gioco di noi. O qualcuno la stava usando.»

«Mandando un’omega prossima al calore? Di nuovo, non avrebbe alcun senso e se anche fosse vero, lei sarebbe innocente. Smettila di piegare i fatti a tuo piacimento. Ammettilo, non ha niente a che vedere con il suo aver fatto irruzione qui.»

Bryce non rispose, non si calmò, non ammise nulla. No, non Bryce. Quell’uomo era ostinato come un mulo e due volte più ottuso. Tuttavia, quella riluttanza ad arrendersi lo rendeva un buon capo e un buon amico.

Joshua spezzò la situazione di stallo. «Potrebbe essere incinta.»

«Le probabilità—»

«Non importa. C’è una possibilità e, se lo è, potrebbe essere di uno qualunque fra noi. C’è una ragione se non abbiamo mai preso un’omega in calore prima d’ora e, ora che è successo, sei disposto a ignorare l’eventualità? Sei disposto a lasciare che se ne vada senza una parola, quando potrebbe avere il figlio di uno di noi in grembo?» La parola “figlio” uscì dalle labbra di Joshua pesante e impacciata. La perdita lascia delle brutte ferite.

Bryce emise un brusco respiro. «Vorresti dirmi che non vuoi trovarla? Pensavo che avresti colto al volo l’occasione.»

Kaidan si alzò dalla sedia. «Certo che sono interessato, ma l’ultima cosa che voglio è prendermi gioco di quella ragazza. Non ha bisogno di noi tre che facciamo irruzione nella sua vita, se poi voi due decidete di non volere qualcosa di più. Non è giusto nei suoi confronti.»

«E a te piace sempre essere giusto, vero?» scattò Bryce, cercando di aizzare Kaidan. Lottare era più facile che ammettere la verità.

Kaidan non gli diede nulla contro cui infuriarsi, lasciando invece che le sue parole ribollissero nella stanza.

Alla fine, le spalle di Bryce si abbassarono di un paio di centimetri. «Voglio trovarla, okay? Potrebbe essere nei guai, deve essere coinvolta in qualcosa di più grande di lei se è entrata qui. L’idea che possa essere in pericolo non mi piace.» Esitò, poi continuò, la sua voce bassa. «E l’idea di non vederla più è anche peggio, okay?»

Kaidan sorrise di fronte all’onestà petulante dell’altro uomo. «Non era così difficile, no? D’accordo, andiamo a cercarla.»

«Se riusciamo a capire chi è.»

Joshua si alzò in piedi, facendo scivolare il cellulare nella tasca. «So esattamente chi è, o chi finge di essere, perlomeno. Su, andiamo a trovare la nostra omega ribelle.»

* * * *

Tiffany, seduta su uno sgabello di fronte a Claire, sorrise, facendo oscillare le gambe. «Credo che mi piaccia.»

Claire stava lavorando sul registro che aveva di fronte, suddividendo gli ordini in sospeso in diversi gruppi, uno per quelli da richiamare, uno per quelli da mettere in attesa e uno per quelli da chiamare per dire loro che non sarebbe riuscita a recuperare l’articolo. «Stai attenta, Tiffany.»

La giovane ragazza era appoggiata con il gomito sul bancone, i suoi capelli raccolti in uno chignon spettinato. Non era poi così giovane, in realtà, a diciotto anni, ma le ricordava troppo se stessa a quell’età, la sua innocenza e la sua fede nella fondamentale bontà del mondo.

Claire aveva dovuto imparare la lezione da un alfa che aveva desiderato di possederla. Avrebbe fatto di tutto perché Tiffany non lo imparasse allo stesso modo.

Qualcuno si era fatto avanti per rimettere insieme i pezzi di Claire, per aiutarla a crescere e a ricostruire se stessa. Aveva avuto qualcuno che le aveva insegnato come nascondere ciò che era, come crearsi una vita e Claire si sforzava ogni giorno per fare altrettanto per altre omega.

«So di dover fare attenzione, ma non ci si può semplicemente nascondere.»

«Come farai a nascondergli i tuoi inibitori, se le cose dovessero diventare serie? Cosa farai se andrai in calore? E se dovessi andare parzialmente, se le medicine non dovessero funzionare? Non puoi nascondere una cosa del genere da qualcuno con cui sei molto intima.»

Tiffany fece scorrere le dita sui solchi del bancone della libreria di Claire. La sua voce suonò debole e insicura. «Hai mai pensato di trovare un alfa?»

Lo sguardo di Claire si alzò di scatto, le liste dimenticate. «Che cosa?»

Tiffany evitò di guardarla negli occhi. «Voglio dire, e se prima imparassi a conoscerlo, prima che scopra cosa sei? Potresti frequentarlo e, se ti piace, se ti fidi, potresti dirgli cosa sei. Non dovresti nasconderlo, a quel punto.»

Il cuore di Claire prese a battere contro le sue costole, mentre quella paura che non se ne andava mai via iniziava a crescere. Tiffany era giovane. Non aveva idea di quanto potessero essere pericolosi gli alfa, di cosa fossero in grado di fare. Fluttuava ancora fra i racconti romantici di alfa che reclamavano le loro omega e si prendevano cura di loro.

Non era che una fantasia, una fantasia molto pericolosa.

«Ti prego, dimmi che non ti stai vedendo con un alfa.» Quando la ragazza non rispose, Claire le afferrò la mano, desiderosa di essere ascoltata. «Stai giocando a un gioco pericoloso, Tiff. Fidati di me, so cosa può fare un alfa.»

Tiffany allontanò la mano, sul suo viso l’espressione da so-tutto-io tipica della gioventù. «Non lo conosci, come puoi dire una cosa del genere? Non tutti gli alfa sono uguali.»

«Lo sono, invece. Nel profondo, lo sono. E quando lo capisci, quando te lo rivelano, è troppo tardi ormai per fuggire.» Claire fece un respiro profondo e cercò di governare la propria rabbia, le proprie paure. Tiffany non le avrebbe mai prestato ascolto se non si fosse calmata e, se avesse insistito troppo, la ragazza sarebbe potuta fuggire dall’alfa e lontano da lei. «Promettimi solo di fare attenzione. Pensaci, okay?»

L’espressione dura sul viso di Tiffany si allentò. Annuì e i suoi lineamenti giovanili fecero stringere il cuore a Claire.

Quante omega aveva visto prendere quelle decisioni sbagliate? Quante si erano rifiutate di prestare ascolto ai consigli di Claire ed erano rimaste uccise o peggio? I corpi che aveva identificato, le tombe che aveva visitato, i visi contusi che non aveva più rivisto – la perseguitavano tutti. Non poteva vedere Tiffany tra loro, un’altra omega perduta per colpa dell’ego di un alfa.

Il campanello situato sulla porta ruppe il silenzio e Claire offrì un sorriso a Tiffany, per farle sapere che non era arrabbiata. Claire era sempre stata attenta a rassicurare tutte le omega che aveva aiutato, di cui si era presa cura, a cui aveva insegnato, che avevano un posto in cui stare. Non importava cosa avessero fatto, quanto si fossero allontanante dai consigli di Claire, avevano sempre una casa insieme a lei. Per un gruppo emarginato, perseguitato e abusato così spesso, un luogo sicuro era molto importante.

Claire si voltò verso il nuovo cliente, solo per trovarsi davanti i tre alfa di due giorni prima.

L’avevano trovata.

Capitolo quattro

Dietro di lei, Tiffany si immobilizzò, la sua tensione palpabile. In quanto omega, erano in grado di riconoscere gli alfa dal loro odore, l’abilità una forma di difesa. Sapevano cos’erano gli uomini, anche se gli uomini non sapevano cos’erano loro.

Beh, sapevano cos’era Claire.

Quella consapevolezza la fece muovere. Tiffany era più importante di qualsiasi altra cosa. Claire prese un libro a caso dallo scaffale e lo rifilò alla ragazza. Le posò una mano sulla schiena e la spinse verso la porta. «Ecco il tuo ordine. Ti chiamerò quando arriveranno gli altri articoli.»

Tiffany si mosse lentamente, gli occhi puntati sul pavimento, le spalle incurvate. Quando Kaidan e Joshua si fecero da parte, quasi senza degnarla di un’occhiata, la ragazza scivolò fra di loro e si affrettò verso l’uscita.

Non appena Tiffany se ne fu andata, non appena fu al sicuro, Claire fece un respiro profondo. Era rimasta sola con i tre uomini, ma fintanto che Tiffany fosse stata in salvo, sarebbe andato tutto bene.

A volte la vita di un omega consisteva solo nel sopravvivere il più a lungo possibile. Tiravano avanti, cercavano di insegnare alle più giovani le tecniche di sopravvivenza e speravano che la generazione successiva riuscisse a sopravvivere più a lungo.

«Come avete fatto a trovarmi?» La debolezza nella sua voce le dava sui nervi. Avrebbe voluto suonare sicura e forte, non come un docile topolino.

«Non è stato difficile. Di certo sapevi che ti stavi introducendo nell’ufficio di esperti della sicurezza, no?» Bryce si addentrò nel negozio e il suo sguardo la abbandonò per osservare gli scaffali, gli espositori. «Libri? Non me lo sarei mai aspettato.»

Ovviamente no. Gli alfa credevano che le omega fossero stupide e Claire era stata nuda e fuori di sé durante tutto il tempo che avevano trascorso insieme. Ciò le ricordò che anche lei non sapeva nulla di loro. Nulla di quegli uomini che stavano in piedi nel suo negozio, con tutto il potere nelle loro mani.

«Che cosa volete?»

Joshua si avvicinò a Claire, oltrepassando Bryce, quel suo sorriso affascinante sulle labbra. «Credevi che ti avremmo lasciata andare così facilmente?»

Claire fece un passo indietro, ponendo il bancone fra loro. L’odore di alfa colpì il suo naso e le fece venire voglia di fuggire.

Joshua sollevò le mani e si fermò. «Piano, Claire. Non siamo qui per farti del male.»

No, vogliono solo possedermi, controllarmi.

«Non ti fidi di noi? Dopo che ti abbiamo fatto passare una così bella serata?» Il suo tono scherzoso non la fece rilassare. Stava tentando di costruire un ponte con il suo umorismo, una connessione fra loro, ma Claire aveva imparato la lezione.

Aveva sofferto per mano di un alfa che l’aveva attirata con sorrisi e parole dolci. Si rifiutava di commettere due volte lo stesso errore.

Kaidan spinse Joshua da parte, un sacchetto in mano. «Non puoi affascinare ogni donna» sussurrò, prima di tirare fuori dal sacchetto un contenitore bianco da asporto e posarlo sul tavolo. «Devi essere affamata.»

Quando aprì il coperchio e il cibo apparve davanti ai suoi occhi, a Claire venne l’acquolina in bocca. Strisce di carne riposavano su riso e fagioli, tutte le proteine di cui aveva bisogno, che non si era concessa. Dopo la notte passata insieme a loro aveva dormito tutto il giorno e poi, la mattina dopo, aveva riaperto regolarmente il negozio. Aveva avuto a malapena il tempo di pensare, figuriamoci di mangiare.

In ogni caso, non voleva niente da quegli uomini. Gli alfa non concedevano niente senza aspettarsi qualcosa in cambio e Claire non poteva permettersi di pagare.

«Nei hai bisogno.» Kaidan lo spinse verso di lei sul bancone, una forchetta al suo fianco. «Stai strizzando gli occhi, le tapparelle sono abbassate. Il sole ti dà fastidio agli occhi, vero? Mal di testa? Hai bisogno di proteine dopo un calore per riprenderti. Mangia.»

«Non dirmi cosa devo fare», sbottò Claire, una reazione automatica a un alfa che cercava di darle ordini.

Aveva lavorato troppo duramente per lasciare che accadesse.

Eppure, nonostante tutto, quando le parole lasciarono la sua bocca, Claire trasalì e sollevò un braccio come se si aspettasse di essere colpita per la sua impertinenza.

Un momento più tardi, non sentendo che silenzio e assenza di dolore, abbassò il braccio e si ritrovò davanti i tre uomini immobili, tutti intenti a fissarla con lo stesso sguardo negli occhi.

Compassione.

Odiava la compassione.

Invece di riconoscere la tensione nata dalla sua reazione, Claire afferrò l’angolo del cibo con un dito e lo tirò verso il bordo del bancone, il più lontano possibile da loro senza andarsene.

Si sedette sulla sedia, sollevò la forchetta e a quel punto si immobilizzò.

«Non ci abbiamo messo della droga», disse Kaidan.

«Perché dovrei credervi?»

Fu Bryce a rispondere alla domanda, il tono brusco e impaziente. «Perché non ne abbiamo alcun motivo. Potremmo portarti via da qui sulle nostre spalle e nessuno direbbe nulla. Potremmo denunciare la tua effrazione o segnalarti come omega non registrata. Perché dovremmo prenderci la briga di drogarti?»

Lo sguardo di Claire cadde sul cibo di fronte alla verità delle sue parole. Non aveva alcun potere. Non aveva nulla. Avrebbero potuto fare qualsiasi cosa e lei non aveva nulla con cui ricattarli, niente da barattare. Era di nuovo in trappola. Un decennio a fuggire e una sola notte era bastata a intrappolarla.

Claire diede il primo morso al cibo, riluttante all’idea di mostrare loro la sua reazione.

«Perché sei fuggita, tesoro?» Joshua prese lo sgabello su cui era seduta Tiffany e si accomodò di fronte a lei, tanto vicino che le loro ginocchia riuscivano a toccarsi sotto il tavolo.

«Perché non avrei dovuto farlo?» Claire parlò tra un morso e l’altro, incurante delle buone maniere dopo che il primo pezzo di cibo era entrato in contatto con la sua lingua, dopo che il suo stomaco aveva preso a brontolare, ricordandole quanta fame avesse.

«Perché siamo stati attenti, ci siamo presi cura di te.»

«Non significa che io voglia restare con voi e diventare una proprietà.»

Di nuovo, nessuno di loro parlò, e il peso dei loro sguardi le rese difficile deglutire.

«La vera domanda è: perché ti sei introdotta nel nostro ufficio?» Bryce non si sedette, ma continuò a camminare avanti indietro, i suoi passi rumorosi nel piccolo negozio.

«Stavo cercando una cosa.»

«Che cosa?»

Le sue labbra si strinsero intorno a un boccone. Anche se non credeva che fossero direttamente coinvolti, gli alfa facevano fronte comune. Non poteva fidarsi di un alfa, non con qualcosa di così importante.

«Ti ho già detto tutte le cose che potremmo fare con te. Credi davvero che non rispondere alle mie domande sia una buona idea?»

Claire sollevò il viso per guardare in faccia Bryce, attingendo al proprio coraggio. «Consegnami all’ufficio del registro, allora. Consegnami alla polizia. Non ti dirò niente.»

Bryce fece un passo avanti, ma Kaidan sollevò una mano. «Non minacciarla. Abbiamo già deciso di non consegnarla, quindi tutto questo è inutile.»