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Jimeno smise di rimuginare e si gir? verso suo figlio, infastidito.
"Una leggenda. Tre o quattro secoli fa quelle donne lasciarono la loro citt? per combattere contro i maomettani".
Cavalcavano a passo lento, a un ritmo che i loro compagni che viaggiavano a piedi potessero seguire. Ma Jimeno affrett? un po' il passo e superarono il carretto.
"E com'? andata?" ripetе Ramiro.
"Io non c'ero" sbuff? Jimeno.
Jimena si chin? verso suo nipote.
"Non ? una storia che a tuo padre piaccia particolarmente..".
"...Leggenda" la corresse il bargello.
A quel punto Jimena si stacc? da loro rallentando il ritmo, costringendo suo fratello e suo nipote a fare la stessa cosa. Poco dopo il carretto li super? di nuovo.
"Leggenda o storia" continu? Jimena, "non ? qualcosa che un uomo come Jimeno, prode bargello, abbia piacere di sentire. In realt?" aggiunse alzando la voce "? una bella storia".
Jimena si schiar? la voce. Con forza. I vicini si strinsero intorno a Roccia per proteggersi dal freddo e aguzzarono l'orecchio per ascoltare.
"Il Regno di Aragona, prima di essere Regno fu una Contea. Il suo fondatore fu Garc?a ??iguez, il primo re di Sobrarbe, conquistatore di Pamplona e A?nsa. Questo re era stato nominato da un gruppo di suoi seguaci cristiani che avevano fatto voto di recuperare le terre che i saraceni avevano strappato ai loro antenati. Sostenuto da quelle fedeli truppe marci? verso le terre dell'ovest fino a raggiungere Аlava. Jaca, benchе vicina ai confini di questo nuovo regno, era ancora sotto il dominio dei mori.
Tutto ci? era motivo di tristezza per i buoni cristiani, e un capitano di nome
Aznar decise di riconquistare la citt? in nome del suo re. Era una scommessa audace, perchе la citt? di Jaca era una fortezza inespugnabile.
Tuttavia, le vittorie di Garc?a ??iguez avevano fatto una strage tra le fila dei saraceni e quelli di Jaca, che non dovevano essere molto perspicaci, lasciarono che i loro uomini migliori partissero per la guerra contro il re di Sobrarbe. Bella trovata, non credete? Informato di questo fatto, Aznar mosse contro la citt? e riusc? a conquistarla dopo una dura lotta contro i suoi difensori. Riemp? le sue strade di cristiani buoni e leali con le loro famiglie, diede loro il permesso di coltivare le terre limitrofe, costru? chiese dove prima erano i templi saraceni e ripar? le mura. Correva l'anno 759.
Garc?a ??iguez ricompens? Aznar nominandolo governatore della nuova e magnifica citt? di Jaca.
L'anno seguente, i mori che avevano lasciato Jaca per andare a combattere contro Garc?a ??iguez fecero ritorno, insieme ad altri ottantamila guerrieri. Quell'enorme esercito era guidato da quattro dei pi? fieri condottieri che mai abbiano fatto parte dell'esercito saraceno. Quella massa sterminata di soldati si avvicinava a Jaca con l'intenzione di riconquistarla e di massacrare i suoi abitanti. La situazione era disperata e s'imponeva un atto di estremo coraggio. Non volendo che la sua citt? e i suoi abitanti subissero alcun danno, il governatore Aznar cre? un esercito formato da tutti gli uomini di Jaca e and? incontro al nemico.
La battaglia fu dura e cruenta; i difensori erano in inferiorit? numerica rispetto ai saraceni e la disfatta sembrava inevitabile. Avendo perso molti dei suoi uomini, Aznar si raccomand? alla Madonna. E Lei ascolt? le sue preghiere. Ben presto un nuovo contingente di truppe comparve sul campo di battaglia. Erano abbigliati di un bianco candido ed erano avvolti da un'aura degna del Paradiso. Venivano da Jaca. "Che rinforzi possono averci mandato da Jaca?" si stup? Aznar. "Non ? rimasto neanche un uomo, laggi?". Il governatore aveva ragione. Non c'era pi? neanche un uomo, in citt?.
Le donne di Jaca, mandate dalla Vergine Maria, si scagliarono sui mori con furia e senza piet?. Uccisero moltissimi nemici al primo attacco e i loro abiti bianchi che non si macchiavano del sangue degli infedeli sparsero il panico
tra i sopravvissuti. Ben presto tutti i nemici scagliarono a terra le loro armi e fuggirono dal campo di battaglia, lasciando sul terreno i cadaveri dei quattro condottieri. I cristiani tagliarono loro le teste e le inchiodarono alle porte di Jaca. Da allora rappresentano lo scudo della citt?".
Al termine del racconto, gli abitanti del villaggio si scambiarono le loro impressioni. Ad alcuni sembrava che fosse tutta un'invenzione. Altri giuravano che era tutto vero. Quasi tutti sostenevano che fosse una bella storia per ammazzare il tempo in un viaggio come quello. Nel tempo che Jimena aveva impiegato a raccontarla erano quasi arrivati a Yеquera.
"Credo che sia proprio una bella storia" afferm? Ramiro.
Jimena sorrise a suo nipote.
"Me l'ha raccontata tuo zio Guillеn. Lui la racconta meglio di me, questo ? certo" afferm? mentre scendeva dalla sua cavalcatura. "Avr? anche la pelle da pastore ma ? nato bardo".
Anche Jimeno e Ramiro smontarono da cavallo e continuarono a piedi. Il villaggio era ormai alle loro spalle e Yеquera era a trecento varas 1, ma la notte era gi? calata ed ebbero bisogno di un po' di luce per illuminare l'ultimo tratto di cammino. Jimeno trem? di nuovo dal freddo. L'ambiente si stava raffreddando rapidamente e il vento soffiava.
Una bella cena accanto al fuoco ? ci? di cui abbiamo bisogno. E non disciocche storielle.
Il castello diventava sempre pi? grande man mano che si avvicinavano.
Ramiro continuava a fare domande a sua zia a proposito di quella storia, visibilmente interessato. Il bargello guard? il suo ragazzo.
"? solo una leggenda, figliolo. E ci d? un insegnamento" spieg?. "E
1 La vara ? un’unit? di misura della lunghezza utilizzata nella Penisola Iberica e nelle zone di influenza ispano-lusitana, e corrispondeva a tre piedi o pies. La vara era leggermente diversa da regione a regione, ma la pi? diffusa era la vara castigliana o di Burgos (0,835905 metri) equivalente a tre pies castigliani (0,278635 m.)
l'insegnamento ? che, se combatti bene, non dovrai mai subire l'onta di essere salvato dalle donne".
Capitolo II: LA FANTESCA
Il cuore del castello di Yеquera era un grande salone al quale si accedeva attraverso uno stretto patio. Era protetto da una solida muraglia di pietra costruita su un rilievo al centro di una pianura circondata di montagne. Un minuscolo cortiletto ne soffocava ancora di pi? l'interno. La Torre Maggiore, dove si trovavano gli appartamenti di don Yеquera, era rivolta a ovest; mentre la Torre Minore, dove si trovavano la dispensa e l'armeria, guardava a est.
In questa seconda costruzione Marcela, l'anziana fantesca, stava scegliendo le mele migliori per preparare la torta che le due guardie della fortezza avrebbero mangiato la mattina dopo, al sorgere del sole. Le sue ossa erano invecchiate pi? in fretta della sua mente e non riuscire a portare a termine tutte le incombenze che si era prefissata per la giornata era per lei fonte di grande frustrazione. Le sue callose mani da serva reggevano il cesto della frutta come meglio potevano.
Ud? gli zoccoli dei cavalli ancor prima di vederli. Il suono metallico dei ferri contro la pietra si propagava con facilit?, in una notte ventosa come quella.
Con il cuore in gola, Marcela si affacci? alla stretta finestra della dispensa e scrut? all'esterno. Le prime ombre della sera erano ormai scese sul castello di Yеquera avvolgendolo nell'oscurit?, ma riusciva comunque a distinguere le sagome di un gran numero di sconosciuti che si avvicinavano, protetti dalle tenebre.
"Gli albari" sussurr?. Da quando si era diffusa la notizia che il bargello aveva ucciso uno di quei mostri, e quelle erano notizie che volavano veloci come un incendio d'estate, la donna aveva la sensazione che, se avesse abbandonato le solide mura della fortezza, un gruppo di uomini armati avrebbe potuto sorprenderla e sgozzarla senza esitare. E cos?, scorgendo quelle ombre che si avvicinavano le parve di vedere tutti gli abitanti del castello passati a fil di spada. Lasci? cadere il cesto pieno di mele e usc? nel cortile: "Ci attaccano, ci attaccano!"
La porta della latrina si apr? un attimo dopo e Fidel ne usc? sistemandosi le braghe.
"Cosa stai dicendo, donna?" esord? mentre si ricomponeva, cercando di recuperare la dignit?.
"Ci attaccano!" ripetе la serva, prendendolo per un braccio. "Arrivano dalla parte del paese!"
La guardia mise la mano sul manico del suo martello e sal? i gradini della Torre Minore due per volta. La sua grossa pancia lo accompagn? dondolando su e gi?. Marcela lo segu? su per le scale pi? in fretta che potе, e al suo arrivo lo vide affacciato alla feritoia.
"Arriva gente" disse. Questo lo so, pens? Marcela , ma cosa aspetta adattaccarli? "Non mi sembrano banditi. Sembra pi? gente del villaggio"
aggiunse.
Fidel si fece da parte in modo che la fantesca potesse dare un'occhiata.
Se quelle ombre avessero avuto intenzione di attaccare il castello, una cosa era certa: se la stavano prendendo con molta calma. Conducevano i cavalli tenendoli per la cavezza e camminavano tranquilli. C'era anche un carretto e sulla parte posteriore erano seduti alcuni uomini. All'orecchio di Marcela arrivarono delle voci e qualche risata. Adesso non le sembravano pi? banditi.
"Maledizione, donna" grid? Fidel, "sono due giorni che non riesco ad andare di corpo, e quando finalmente il mio culo decide di mettersi al lavoro ti metti a strillare" la accus? puntando il dito. "Questa volta le mie braghe saranno pi? sporche del solito".
Per la verit? sono sempre piene di macchie, vecchio maiale, pens? osservando il corpo gonfio di quello che era stato un guerriero dal fisico asciutto.
"Mi dispiace, con quella faccenda degli albari e delle loro facce bianche…"
si scus? la donna, cercando di calmare gli animi. Eppure, un attimo dopo si rese conto che era stata lei a dare l'allarme. "Un momento! Non eri tu di
guardia, stanotte?"
L'omone grugn? qualcosa di incomprensibile.
"Infatti ero proprio di guardia!" si scherm? lui dopo, scendendo le scale.
"Adesso non posso andare un attimo alla latrina?"
"No, non puoi se sei di guardia! Basterebbe un momento di disattenzione e potremmo trovarci con un centinaio di persone intorno al castello".
Fidel ritorn? verso il cortile e si avvicin? al portone della fortezza per accendere una delle torce. La fiamma illumin? il viso della guardia, segnato dal tempo.
Tre colpi avvertirono i due che la gente era gi? davanti all'entrata. Fidel stava trafficando con la trave che teneva chiuso il portone mentre Marcela si
avvicinava
alla
finestrella
che
dava
all'esterno.
Riconobbe
immediatamente l'uomo dall'altra parte. Jimeno mostr? i denti in quello che voleva essere un sorriso.
"Buonasera, Marcela. So che l'ora ? tarda, la nostra intenzione era quella di arrivare prima del tramonto ma le cattive condizioni del sentiero ce l'hanno impedito. Sua signoria ? ancora sveglio?”
La serva rispose affermativamente alla domanda del bargello e si fece di lato, in modo che Fidel potesse aprire la porta. Uno alla volta, Jimeno e i suoi accompagnatori passarono all’interno. Erano coperti di polvere che avevano raccolto lungo la strada e i loro volti tradivano un misto di freddo e di stanchezza.
"Ah, Jimeno!" esclam? Fidel tendendo la mano al bargello. "Siate il benvenuto. Dopo che Marcela vi ha confuso con gli albari, vi assicuro che ? un sollievo vedere il vostro volto cupo".
"Dite davvero?" chiese Jimeno girandosi verso la donna. "In questo caso vi confermo che non sono un albare, ma uno dei loro pi? fieri avversari". Il bargello si compiacque del suo sorriso orgoglioso e si fece da parte per lasciar passare il carro. "Siamo affamati, e vorremmo approfittare della ben nota ospitalit? di don Yеquera. Abbiamo con noi qualcosa per cena, non
temete, ma vorremmo poterci sistemare da qualche parte accanto al fuoco".
"Naturalmente" disse Marcela, "passate nel salone e sedetevi a tavola. Vi prego di essere cos? gentile da aggiungere un po' di legna al caminetto. Il mio signore patisce molto il freddo. Poi potrete mangiare". Esamin? la lunga fila di uomini con preoccupazione. "Stavo per preparare la cena per don Yеquera, ma a quanto pare dovr? aumentare un po' le dosi".
"Avete bisogno d'aiuto?" chiese Jimeno. Per un attimo, la fantesca pens? che il bargello si stesse mettendo a sua disposizione. "Mia sorella potrebbe darvi una mano" e indic? Jimena, che si trovava qualche passo indietro.
A Marcela non sfugg? lo sguardo breve ma intenso che la sorella scocc? al bargello.
"Un bel pezzo di carne alla brace" sugger? Fidel. "? da una settimana che non mangio carne alla brace. Con le cipolle e una bella innaffiata d'olio".
La donna non apprezz? che le venisse detto cosa doveva cucinare nе quando. Ma alla vista di tutta la gente che era venuta al castello quella sera immagin? che la carne alla brace sarebbe stata molto gradita ai suoi vicini affamati. E diversamente da molti di loro, i forzieri di don Yеquera potevano permetterselo a cuor leggero.
"Vedr? cosa posso fare".
Il bargello battе le mani compiaciuto.
"Bene, allora ceneremo quanto stabilito. E un'altra cosa" aggiunse.
"Abbiamo con noi cavalli e asini, e anche un mulo. Passeranno la notte nella stalla. Chiama lo stalliere che se ne occupi".
"Vicente non ? pi? con noi" spieg? la donna. "Il ragazzo se n'? andato a servizio da un altro padrone. Forse ad Aratorеs o Borau, non ricordo. Non abbiamo ancora preso un nuovo stalliere".
Jimeno schiocc? la lingua.
"Perbacco… strano che Vicente se ne sia andato, dopo tanti anni…" si
lament?. Poi si pass? una mano sul mento rasato e volse lo sguardo verso il portone del castello. "C'? qualcuno l? fuori… magari se ne intende di bestie, lasciamo che se ne occupi lui".
Marcela sapeva bene a chi si riferisse.
Maledetto.
Jimeno guard? da un'altra parte, fingendo di non accorgersi della rabbia della donna. Leg? le redini a un anello e and? in sala da pranzo, seguito da quasi tutti gli altri. Compreso Fidel, che avrebbe dovuto essere di guardia.
La serva imprec? tra i denti ma lasci? perdere la guardia per occuparsi di suo figlio.
"Io comincio a sbucciare le cipolle" disse Jimena, "fate pure con vostro comodo".
La donna accett?, grata. Attravers? il portone e subito not? il vento ghiacciato. Vicino al carro vide suo figlio con la testa che spuntava timidamente tra gli animali. Gli asini che tiravano il carretto erano tranquilli, gradivano la mano magra che accarezzava le loro schiene ruvide.
Sancho il Nero alz? la testa.
"I miei rispetti, madre".
Marcela abbracci? stretto il suo unico figlio, circondandogli il collo con le braccia. Sentendo il suo corpo. Tutto ossa. Coperto di un sottile strato di cuoio che non poteva neanche chiamarsi giubba. E sotto, neanche un po'
di carne. Lo tenne abbracciato a lungo e poi appoggi? le mani su quelle di Sancho. Erano prive del minimo calore umano.
"Fa freddo fuori, figlio mio. Vieni dentro" lo preg?. Ma suo figlio non sembrava d'accordo. "A nessuno dar? fastidio che tu entri".
"A Jimeno s?. E non voglio che accusino don Yеquera di tenermi sotto il suo tetto. Mi hanno detto che sta morendo, non voglio essergli d'impiccio proprio adesso. Non entrer? in casa sua".
La donna sospir?.
"Sono ormai quattro anni che sta morendo ma ? ancora tra noi" disse prendendo le mani di suo figlio con fermezza. Anche se non credo che ilmio povero signore resister? ancora a lungo. "? stato Jimeno a impedirti di entrare?" Non fu necessario che Sancho confermasse. "Che sia maledetto quell'uomo e la sua anima nera. ? l'unico in tutto il regno a ricordare quello che successe con tuo padre, e non c'? posto per il perdono nel suo cuore di ghiaccio".
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