La Divina commedia / Божественная комедия. Книга для чтения на итальянском языке

La Divina commedia / Божественная комедия. Книга для чтения на итальянском языке
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La Divina commedia / Божественная комедия. Книга для чтения на итальянском языке
Canto XVII
«Ecco la fiera con la coda aguzza,che passa i monti e rompe i muri e l’armi!Ecco colei che tutto ’l mondo appuzza!».4 Sì cominciò lo mio duca a parlarmi;e accennolle che venisse a proda,vicino al fin d’i passeggiati marmi.7 E quella sozza imagine di frodasen venne, e arrivò la testa e ’l busto,ma ’n su la riva non trasse la coda.10 La faccia sua era faccia d’uom giusto,tanto benigna avea di fuor la pelle,e d’un serpente tutto l’altro fusto;13 due branche avea pilose insin l’ascelle;lo dosso e ’l petto e ambedue le costedipinti avea di nodi e di rotelle.16 Con più color, sommesse e sovrapostenon fer mai drappi Tartari né Turchi,né fuor tai tele per Aragne imposte.19 Come talvolta stanno a riva i burchi,che parte sono in acqua e parte in terra,e come là tra li Tedeschi lurchi22 lo bivero s’assetta a far sua guerra,così la fiera pessima si stavasu l’orlo ch’è di pietra e ’l sabbion serra.25 Nel vano tutta sua coda guizzava,torcendo in sù la velenosa forcach’a guisa di scorpion la punta armava.28 Lo duca disse: «Or convien che si torcala nostra via un poco insino a quellabestia malvagia che colà si corca».31 Però scendemmo a la destra mammella,e diece passi femmo in su lo stremo,per ben cessar la rena e la fiammella.34 E quando noi a lei venuti semo,poco più oltre veggio in su la renagente seder propinqua al loco scemo.37 Quivi ’l maestro «Acciò che tutta pienaesperienza d’esto giron porti»,mi disse, «va, e vedi la lor mena.40 Li tuoi ragionamenti sian là corti;mentre che torni, parlerò con questa,che ne conceda i suoi omeri forti».43 Così ancor su per la strema testadi quel settimo cerchio tutto soloandai, dove sedea la gente mesta.46 Per li occhi fora scoppiava lor duolo;di qua, di là soccorrien con le maniquando a’ vapori, e quando al caldo suolo:49 non altrimenti fan di state i canior col ceffo or col piè, quando son morsio da pulci o da mosche o da tafani.52 Poi che nel viso a certi li occhi porsi,ne’ quali ’l doloroso foco casca,non ne conobbi alcun; ma io m’accorsi55 che dal collo a ciascun pendea una tascach’avea certo colore e certo segno,e quindi par che ’l loro occhio si pasca.58 E com’ io riguardando tra lor vegno,in una borsa gialla vidi azzurroche d’un leone avea faccia e contegno.61 Poi, procedendo di mio sguardo il curro,vidine un’altra come sangue rossa,mostrando un’oca bianca più che burro.64 E un che d’una scrofa azzurra e grossasegnato avea lo suo sacchetto bianco,mi disse: «Che fai tu in questa fossa?67 Or te ne va; e perché se’ vivo anco,sappi che ’l mio vicin Vitalianosederà qui dal mio sinistro fianco.70 Con questi Fiorentin son pado ano:spesse fiate mi ’ntronan li orecchigridando: «Vegna ’l cavalier sovrano,73 che recherà la tasca con tre becchi!»».Qui distorse la bocca e di fuor trassela lingua, come bue che ’l naso lecchi.76 E io, temendo no ’l più star crucciasselui che di poco star m’avea ’mmonito,torna’mi in dietro da l’anime lasse.79 Trova’ il duca mio ch’era salitogià su la groppa del fiero animale,e disse a me: «Or sie forte e ardito.82 Omai si scende per sì fatte scale;monta dinanzi, ch’i’ voglio esser mezzo,sì che la coda non possa far male».85 Qual è colui che sì presso ha ’l riprezzode la quartana, c’ha già l’unghie smorte,e triema tutto pur guardando ’l rezzo,88 tal divenn’ io a le parole porte;ma vergogna mi fé le sue minacce,che innanzi a buon segnor fa servo forte.91 I’ m’assettai in su quelle spallacce;sì volli dir, ma la voce non vennecom’ io credetti: ’Fa che tu m’abbracce’.94 Ma esso, ch’altra volta mi sovvennead altro forse, tosto ch’i’ montaicon le braccia m’avvinse e mi sostenne;97 e disse: «Gerion, moviti omai:le rote larghe, e lo scender sia poco;pensa la nova soma che tu hai».100 Come la navicella esce di locoin dietro in dietro, sì quindi si tolse;e poi ch’al tutto si sentì a gioco,103 là ’v’ era ’l petto, la coda rivolse,e quella tesa, come anguilla, mosse,e con le branche l’aere a sé raccolse.106 Maggior paura non credo che fossequando Fetonte abbandonò li freni,per che ’l ciel, come pare ancor, si cosse;109 né quando Icaro misero le renisentì spennar per la scaldata cera,gridando il padre a lui «Mala via tieni!»,112 che fu la mia, quando vidi ch’i’ erane l’aere d’ogne parte, e vidi spentaogne veduta fuor che de la fera.115 Ella sen va notando lenta lenta;rota e discende, ma non me n’accorgose non che al viso e di sotto mi venta.118 Io sentia già da la man destra il gorgofar sotto noi un orribile scroscio,per che con li occhi ’n giù la testa sporgo.121 Allor fu’ io più timido a lo scoscio,però ch’i’ vidi fuochi e senti’ pianti;ond’ io tremando tutto mi raccoscio.124 E vidi poi, ché nol vedea davanti,lo scendere e ’l girar per li gran maliche s’appressavan da diversi canti.127 Come ’l falcon ch’è stato assai su l’ali,che sanza veder logoro o uccellofa dire al falconiere «Omè, tu cali!»,130 discende lasso onde si move isnello,per cento rote, e da lunge si ponedal suo maestro, disdegnoso e fello;133 così ne puose al fondo Gerioneal piè al piè de la stagliata rocca,e, discarcate le nostre persone,136 si dileguò come da corda cocca.Canto XVIII
Luogo è in inferno detto Malebolge,tutto di pietra di color ferrigno,come la cerchia che dintorno il volge.4 Nel dritto mezzo del campo malignovaneggia un pozzo assai largo e profondo,di cui suo loco dicerò l’ordigno.7 Quel cinghio che rimane adunque è tondotra ’l pozzo e ’l piè de l’alta ripa dura,e ha distinto in dieci valli il fondo.10 Quale, dove per guardia de le murapiù e più fossi cingon li castelli,la parte dove son rende figura,13 tale imagine quivi facean quelli;e come a tai fortezze da’ lor soglia la ripa di fuor son ponticelli,16 così da imo de la roccia scoglimovien che ricidien li argini e ’ fossiinfino al pozzo che i tronca e raccogli.19 In questo luogo, de la schiena scossidi Gerion, trovammoci; e ’l poetatenne a sinistra, e io dietro mi mossi.22 A la man destra vidi nova pieta,novo tormento e novi frustatori,di che la prima bolgia era repleta.25 Nel fondo erano ignudi i peccatori;dal mezzo in qua ci venien verso ’l volto,di là con noi, ma con passi maggiori,28 come i Roman per l’essercito molto,l’anno del giubileo, su per lo pontehanno a passar la gente modo colto,31 che da l’un lato tutti hanno la fronteverso ’l castello e vanno a Santo Pietro,da l’altra sponda vanno verso ’l monte.34 Di qua, di là, su per lo sasso tetrovidi demon cornuti con gran ferze,che li battien crudelmente di retro.37 Ahi come facean lor levar le berzea le prime percosse! già nessunole seconde aspettava né le terze.40 Mentr’ io andava, li occhi miei in unofuro scontrati; e io sì tosto dissi:«Già di veder costui non son digiuno».43 Per ch’io a figurarlo i piedi affissi;e ’l dolce duca meco si ristette,e assentio ch’alquanto in dietro gissi.46 E quel frustato celar si credettebassando ’l viso; ma poco li valse,ch’io dissi: «O tu che l’occhio a terra gette,49 se le fazion che porti non son false,Venedico se’ tu Caccianemico.Ma che ti mena a sì pungenti salse?».52 Ed elli a me: «Mal volontier lo dico;ma sforzami la tua chiara favella,che mi fa sovvenir del mondo antico.55 I’ fui colui che la Ghisolabellacondussi a far la voglia del marchese,come che suoni la sconcia novella.58 E non pur io qui piango bolognese;anzi n’è questo loco tanto pieno,che tante lingue non son ora apprese61 a dicer ’sipa’ tra Sàvena e Reno;e se di ciò vuoi fede o testimonio,rècati a mente il nostro avaro seno».64 Così parlando il percosse un demoniode la sua scuriada, e disse: «Via,ruffian! qui non son femmine da conio».67 I’ mi raggiunsi con la scorta mia;poscia con pochi passi divenimmolà ’v’ uno scoglio de la ripa uscia.70 Assai leggeramente quel salimmo;e vòlti a destra su per la sua scheggia,da quelle cerchie etterne ci partimmo.73 Quando noi fummo là dov’ el vaneggiadi sotto per dar passo a li sferzati,lo duca disse: «Attienti, e fa che feggia76 lo viso in te di quest’ altri mal nati,ai quali ancor non vedesti la facciaperò che son con noi insieme andati».79 Del vecchio ponte guardavam la tracciache venìa verso noi da l’altra banda,e che la ferza similmente scaccia.82 E ’l buon maestro, sanza mia dimanda,mi disse: «Guarda quel grande che vene,e per dolor non par lagrime spanda:85 quanto aspetto reale ancor ritene!Quelli è Iasón, che per cuore e per sennoli Colchi del monton privati féne.88 Ello passò per l’isola di Lennopoi che l’ardite femmine spietatetutti li maschi loro a morte dienno.91 Ivi con segni e con parole ornateIsifile ingannò, la giovinettache prima avea tutte l’altre ingannate.94 Lasciolla quivi, gravida, soletta;tal colpa a tal martiro lui condanna;e anche di Medea si fa vendetta.97 Con lui sen va chi da tal parte inganna;e questo basti de la prima vallesapere e di color che ’n sé assanna».100 Già eravam là ’ve lo stretto callecon l’argine secondo s’incrocicchia,e fa di quello ad un altr’ arco spalle.103 Quindi sentimmo gente che si nicchiane l’altra bolgia e che col muso scuffa,e sé medesma con le palme picchia.106 Le ripe eran grommate d’una muffa,per l’alito di giù che vi s’appasta,che con li occhi e col naso facea zuffa.109 Lo fondo è cupo sì, che non ci bastaloco a veder sanza montare al dossode l’arco, ove lo scoglio più sovrasta.112 Quivi venimmo; e quindi giù nel fossovidi gente attuffata in uno stercoche da li uman privadi parea mosso.115 E mentre ch’io là giù con l’occhio cerco,vidi un col capo sì di merda lordo,che non parea s’era laico o cherco.118 Quei mi sgridò: «Perché se’ tu sì gordodi riguardar più me che li altri brutti?».E io a lui: «Perché, se ben ricordo,121 già t’ho veduto coi capelli asciutti,e se’ Alessio Interminei da Lucca:però t’adocchio più che li altri tutti».124 Ed elli allor, battendosi la zucca:«Qua giù m’hanno sommerso le lusingheond’ io non ebbi mai la lingua stucca».127 Appresso ciò lo duca «Fa che pinghe»,mi disse, «il viso un poco più avante,sì che la faccia ben con l’occhio attinghe130 di quella sozza e scapigliata fanteche là si graffia con l’unghie merdose,e or s’accoscia e ora è in piedi stante.133 Taide è, la puttana che rispuoseal drudo suo quando disse «Ho io graziegrandi apo te?»: «Anzi maravigliose!».136 E quinci sian le nostre viste sazie».Canto XIX
O Simon mago, o miseri seguaciche le cose di Dio, che di bontatedeon essere spose, e voi rapaci4 per oro e per argento avolterate,or convien che per voi suoni la tromba,però che ne la terza bolgia state.7 Già eravamo, a la seguente tomba,montati de lo scoglio in quella partech’a punto sovra mezzo ’l fosso piomba.10 O somma sapienza, quanta è l’arteche mostri in cielo, in terra e nel mal mondo,e quanto giusto tua virtù comparte!13 Io vidi per le coste e per lo fondopiena la pietra livida di fóri,d’un largo tutti e ciascun era tondo.16 Non mi parean men ampi né maggioriche que’ che son nel mio bel San Giovanni,fatti per loco d’i battezzatori;19 l’un de li quali, ancor non è molt’ anni,rupp’ io per un che dentro v’annegava:e questo sia suggel ch’ogn’ omo sganni.22 Fuor de la bocca a ciascun soperchiavad’un peccator li piedi e de le gambeinfino al grosso, e l’altro dentro stava.25 Le piante erano a tutti accese intrambe;per che sì forte guizzavan le giunte,che spezzate averien ritorte e strambe.28 Qual suole il fiammeggiar de le cose untemuoversi pur su per la strema buccia,tal era lì dai calcagni a le punte.31 «Chi è colui, maestro, che si crucciaguizzando più che li altri suoi consorti»,diss’ io, «e cui più roggia fiamma succia?».34 Ed elli a me: «Se tu vuo’ ch’i’ ti portilà giù per quella ripa che più giace,da lui saprai di sé e de’ suoi torti».37 E io: «Tanto m’è bel, quanto a te piace:tu se’ segnore, e sai ch’i’ non mi partodal tuo volere, e sai quel che si tace».40 Allor venimmo in su l’argine quarto;volgemmo e discendemmo a mano stancalà giù nel fondo foracchiato e arto.43 Lo buon maestro ancor de la sua ancanon mi dipuose, sì mi giunse al rottodi quel che si piangeva con la zanca.46 «O qual che se’ che ’l di sù tien di sotto,anima trista come pal commessa»,comincia’ io a dir, «se puoi, fa motto».49 Io stava come ’l frate che confessalo perfido assessin, che, poi ch’è fitto,richiama lui per che la morte cessa.52 Ed el gridò: «Se’ tu già costì ritto,se’ tu già costì ritto, Bonifazio?Di parecchi anni mi mentì lo scritto.55 Se’ tu sì tosto di quell’ aver sazioper lo qual non temesti tòrre a ’ngannola bella donna, e poi di farne strazio?».58 Tal mi fec’ io, quai son color che stanno,per non intender ciò ch’è lor risposto,quasi scornati, e risponder non sanno.61 Allor Virgilio disse: «Dilli tosto:«Non son colui, non son colui che credi»»;e io rispuosi come a me fu imposto.64 Per che lo spirto tutti storse i piedi;poi, sospirando e con voce di pianto,mi disse: «Dunque che a me richiedi?67 Se di saper ch’i’ sia ti cal cotanto,che tu abbi però la ripa corsa,sappi ch’i’ fui vestito del gran manto;70 e veramente fui figliuol de l’orsa,cupido sì per avanzar li orsatti,che sù l’avere e qui me misi in borsa.73 Di sotto al capo mio son li altri trattiche precedetter me simoneggiando,per le fessure de la pietra piatti.76 Là giù cascherò io altresì quandoverrà colui ch’i’ credea che tu fossi,allor ch’i’ feci ’l sùbito dimando.79 Ma più è ’l tempo già che i piè mi cossie ch’i’ son stato così sottosopra,ch’el non starà piantato coi piè rossi:82 ché dopo lui verrà di più laida opra,di ver’ ponente, un pastor sanza legge,tal che convien che lui e me ricuopra.85 Nuovo Iasón sarà, di cui si leggene’ Maccabei; e come a quel fu mollesuo re, così fia lui chi Francia regge».88 Io non so s’i’ mi fui qui troppo folle,ch’i’ pur rispuosi lui a questo metro:«Deh, or mi dì: quanto tesoro volle91 Nostro Segnore in prima da san Pietroch’ei ponesse le chiavi in sua balìa?Certo non chiese se non «Viemmi retro».94 Né Pier né li altri tolsero a Matiaoro od argento, quando fu sortitoal loco che perdé l’anima ria.97 Però ti sta, ché tu se’ ben punito;e guarda ben la mal tolta monetach’esser ti fece contra Carlo ardito.100 E se non fosse ch’ancor lo mi vietala reverenza de le somme chiaviche tu tenesti ne la vita lieta,103 io userei parole ancor più gravi;ché la vostra avarizia il mondo attrista,calcando i buoni e sollevando i pravi.106 Di voi pastor s’accorse il Vangelista,quando colei che siede sopra l’acqueputtaneggiar coi regi a lui fu vista;109 quella che con le sette teste nacque,e da le diece corna ebbe argomento,fin che virtute al suo marito piacque.112 Fatto v’avete dio d’oro e d’argento;e che altro è da voi a l’idolatre,se non ch’elli uno, e voi ne orate cento?115 Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre,non la tua conversion, ma quella doteche da te prese il primo ricco patre!».118 E mentr’ io li cantava cotai note,o ira o coscienza che ’l mordesse,forte spingava con ambo le piote.121 I’ credo ben ch’al mio duca piacesse,con sì contenta labbia sempre atteselo suon de le parole vere espresse.124 Però con ambo le braccia mi prese;e poi che tutto su mi s’ebbe al petto,rimontò per la via onde discese.127 Né si stancò d’avermi a sé distretto,sì men portò sovra ’l colmo de l’arcoche dal quarto al quinto argine è tragetto.130 Quivi soavemente spuose il carco,soave per lo scoglio sconcio ed ertoche sarebbe a le capre duro varco.133 Indi un altro vallon mi fu scoperto.Canto XX
Di nova pena mi conven far versie dar matera al ventesimo cantode la prima canzon, ch’è d’i sommersi.4 Io era già disposto tutto quantoa riguardar ne lo scoperto fondo,che si bagnava d’angoscioso pianto;7 e vidi gente per lo vallon tondovenir, tacendo e lagrimando, al passoche fanno le letane in questo mondo.10 Come ’l viso mi scese in lor più basso,mirabilmente apparve esser travoltociascun tra ’l mento e ’l principio del casso,13 ché da le reni era tornato ’l volto,e in dietro venir li convenia,perché ’l veder dinanzi era lor tolto.16 Forse per forza già di parlasiasi travolse così alcun del tutto;ma io nol vidi, né credo che sia.19 Se Dio ti lasci, lettor, prender fruttodi tua lezione, or pensa per te stessocom’ io potea tener lo viso asciutto,22 quando la nostra imagine di pressovidi sì torta, che ’l pianto de li occhile natiche bagnava per lo fesso.25 Certo io piangea, poggiato a un de’ rocchidel duro scoglio, sì che la mia scortami disse: «Ancor se’ tu de li altri sciocchi?28 Qui vive la pietà quand’ è ben morta;chi è più scellerato che coluiche al giudicio divin passion comporta?31 Drizza la testa, drizza, e vedi a cuis’aperse a li occhi d’i Teban la terra;per ch’ei gridavan tutti: «Dove rui,34 Anfiarao? perché lasci la guerra?».E non restò di ruinare a vallefino a Minòs che ciascheduno afferra.37 Mira c’ha fatto petto de le spalle;perché volse veder troppo davante,di retro guarda e fa retroso calle.40 Vedi Tiresia, che mutò sembiantequando di maschio femmina divenne,cangiandosi le membra tutte quante;43 e prima, poi, ribatter li convenneli duo serpenti avvolti, con la verga,che riavesse le maschili penne.46 Aronta è quel ch’al ventre li s’atterga,che ne’ monti di Luni, dove roncalo Carrarese che di sotto alberga,49 ebbe tra ’ bianchi marmi la speloncaper sua dimora; onde a guardar le stellee ’l mar non li era la veduta tronca.52 E quella che ricuopre le mammelle,che tu non vedi, con le trecce sciolte,e ha di là ogne pilosa pelle,55 Manto fu, che cercò per terre molte;poscia si puose là dove nacqu’ io;onde un poco mi piace che m’ascolte.58 Poscia che ’l padre suo di vita uscìoe venne serva la città di Baco,questa gran tempo per lo mondo gio.61 Suso in Italia bella giace un laco,a piè de l’Alpe che serra Lamagnasovra Tiralli, c’ha nome Benaco.64 Per mille fonti, credo, e più si bagnatra Garda e Val Camonica e Penninode l’acqua che nel detto laco stagna.67 Loco è nel mezzo là dove ’l trentinopastore e quel di Brescia e ’l veronesesegnar poria, s’e’ fesse quel cammino.70 Siede Peschiera, bello e forte arneseda fronteggiar Bresciani e Bergamaschi,ove la riva ’ntorno più discese.73 Ivi convien che tutto quanto caschiciò che ’n grembo a Benaco star non può,e fassi fiume giù per verdi paschi.76 Tosto che l’acqua a correr mette co,non più Benaco, ma Mencio si chiamafino a Governol, dove cade in Po.79 Non molto ha corso, ch’el trova una lama,ne la qual si distende e la ’mpaluda;e suol di state talor esser grama.82 Quindi passando la vergine crudavide terra, nel mezzo del pantano,sanza coltura e d’abitanti nuda.85 Lì, per fuggire ogne consorzio umano,ristette con suoi servi a far sue arti,e visse, e vi lasciò suo corpo vano.88 Li uomini poi che ’ntorno erano spartis’accolsero a quel loco, ch’era forteper lo pantan ch’avea da tutte parti.91 Fer la città sovra quell’ ossa morte;e per colei che ’l loco prima elesse,Mantua l’appellar sanz’ altra sorte.94 Già fuor le genti sue dentro più spesse,prima che la mattia da Casalodida Pinamonte inganno ricevesse.97 Però t’assenno che, se tu mai odioriginar la mia terra altrimenti,la verità nulla menzogna frodi».100 E io: «Maestro, i tuoi ragionamentimi son sì certi e prendon sì mia fede,che li altri mi sarien carboni spenti.103 Ma dimmi, de la gente che procede,se tu ne vedi alcun degno di nota;ché solo a ciò la mia mente rifiede».106 Allor mi disse: «Quel che da la gotaporge la barba in su le spalle brune,fu – quando Grecia fu di maschi vòta,109 sì ch’a pena rimaser per le cune -augure, e diede ’l punto con Calcantain Aulide a tagliar la prima fune.112 Euripilo ebbe nome, e così ’l cantal’alta mia tragedìa in alcun loco:ben lo sai tu che la sai tutta quanta.115 Quell’ altro che ne’ fianchi è così poco,Michele Scotto fu, che veramentede le magiche frode seppe ’l gioco.118 Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente,ch’avere inteso al cuoio e a lo spagoora vorrebbe, ma tardi si pente.121 Vedi le triste che lasciaron l’ago,la spuola e ’l fuso, e fecersi ’ndivine;fecer malie con erbe e con imago.124 Ma vienne omai, ché già tiene ’l confined’amendue li emisperi e tocca l’ondasotto Sobilia Caino e le spine;127 e già iernotte fu la luna tonda:ben ten de’ ricordar, ché non ti nocquealcuna volta per la selva fonda».130 Sì mi parlava, e andavamo introcque.Canto XXI
Così di ponte in ponte, altro parlandoche la mia comedìa cantar non cura,venimmo; e tenavamo ’l colmo, quando4 restammo per veder l’altra fessuradi Malebolge e li altri pianti vani;e vidila mirabilmente oscura.7 Quale ne l’arzanà de’ Vinizianibolle l’inverno la tenace pecea rimpalmare i legni lor non sani,10 ché navicar non ponno – in quella vecechi fa suo legno novo e chi ristoppale coste a quel che più viaggi fece;13 chi ribatte da proda e chi da poppa;altri fa remi e altri volge sarte;chi terzeruolo e artimon rintoppa – :16 tal, non per foco ma per divin’ arte,bollia là giuso una pegola spessa,che ’nviscava la ripa d’ogne parte.19 I’ vedea lei, ma non vedea in essamai che le bolle che ’l bollor levava,e gonfiar tutta, e riseder compressa.22 Mentr’ io là giù fisamente mirava,lo duca mio, dicendo «Guarda, guarda!»,mi trasse a sé del loco dov’ io stava.25 Allor mi volsi come l’uom cui tardadi veder quel che li convien fuggiree cui paura subita sgagliarda,28 che, per veder, non indugia ’l partire:e vidi dietro a noi un diavol nerocorrendo su per lo scoglio venire.31 Ahi quant’ elli era ne l’aspetto fero!e quanto mi parea ne l’atto acerbo,con l’ali aperte e sovra i piè leggero!34 L’omero suo, ch’era aguto e superbo,carcava un peccator con ambo l’anche,e quei tenea de’ piè ghermito ’l nerbo.37 Del nostro ponte disse: «O Malebranche,ecco un de li anzian di Santa Zita!Mettetel sotto, ch’i’ torno per anche40 a quella terra, che n’è ben fornita:ogn’ uom v’è barattier, fuor che Bonturo;del no, per li denar, vi si fa ita».43 Là giù ’l buttò, e per lo scoglio durosi volse; e mai non fu mastino scioltocon tanta fretta a seguitar lo furo.46 Quel s’attuffò, e tornò sù convolto;ma i demon che del ponte avean coperchio,gridar: «Qui non ha loco il Santo Volto!49 qui si nuota altrimenti che nel Serchio!Però, se tu non vuo’ di nostri graffi,non far sopra la pegola soverchio».52 Poi l’addentar con più di cento raffi,disser: «Coverto convien che qui balli,sì che, se puoi, nascosamente accaffi».55 Non altrimenti i cuoci a’ lor vassallifanno attuffare in mezzo la caldaiala carne con li uncin, perché non galli.58 Lo buon maestro «Acciò che non si paiache tu ci sia», mi disse, «giù t’acquattadopo uno scheggio, ch’alcun schermo t’aia;61 e per nulla offension che mi sia fatta,non temer tu, ch’i’ ho le cose conte,perch’ altra volta fui a tal baratta».64 Poscia passò di là dal co del ponte;e com’ el giunse in su la ripa sesta,mestier li fu d’aver sicura fronte.67 Con quel furore e con quella tempestach’escono i cani addosso al poverelloche di sùbito chiede ove s’arresta,70 usciron quei di sotto al ponticello,e volser contra lui tutt’ i runcigli;ma el gridò: «Nessun di voi sia fello!73 Innanzi che l’uncin vostro mi pigli,traggasi avante l’un di voi che m’oda,e poi d’arruncigliarmi si consigli».76 Tutti gridaron: «Vada Malacoda!»;per ch’un si mosse – e li altri stetter fermi -e venne a lui dicendo: «Che li approda?».79 «Credi tu, Malacoda, qui vedermiesser venuto», disse ’l mio maestro,«sicuro già da tutti vostri schermi,82 sanza voler divino e fato destro?Lascian’ andar, ché nel cielo è volutoch’i’ mostri altrui questo cammin silvestro».85 Allor li fu l’orgoglio sì caduto,ch’e’ si lasciò cascar l’uncino a’ piedi,e disse a li altri: «Omai non sia feruto».88 E ’l duca mio a me: «O tu che sieditra li scheggion del ponte quatto quatto,sicuramente omai a me ti riedi».91 Per ch’io mi mossi e a lui venni ratto;e i diavoli si fecer tutti avanti,sì ch’io temetti ch’ei tenesser patto;94 così vid’ io già temer li fantich’uscivan patteggiati di Caprona,veggendo sé tra nemici cotanti.97 I’ m’accostai con tutta la personalungo ’l mio duca, e non torceva li occhida la sembianza lor ch’era non buona.100 Ei chinavan li raffi e «Vuo’ che ’l tocchi»,diceva l’un con l’altro, «in sul groppone?».E rispondien: «Sì, fa che gliel’ accocchi».103 Ma quel demonio che tenea sermonecol duca mio, si volse tutto prestoe disse: «Posa, posa, Scarmiglione!».106 Poi disse a noi: «Più oltre andar per questoiscoglio non si può, però che giacetutto spezzato al fondo l’arco sesto.109 E se l’andare avante pur vi piace,andatevene su per questa grotta;presso è un altro scoglio che via face.112 Ier, più oltre cinqu’ ore che quest’ otta,mille dugento con sessanta seianni compié che qui la via fu rotta.115 Io mando verso là di questi mieia riguardar s’alcun se ne sciorina;gite con lor, che non saranno rei».118 «Tra’ti avante, Alichino, e Calcabrina»,cominciò elli a dire, «e tu, Cagnazzo;e Barbariccia guidi la decina.121 Libicocco vegn’ oltre e Draghignazzo,Ciriatto sannuto e Graffiacanee Farfarello e Rubicante pazzo.124 Cercate ’ntorno le boglienti pane;costor sian salvi infino a l’altro scheggioche tutto intero va sovra le tane».127 «Omè, maestro, che è quel ch’i’ veggio?»,diss’ io, «deh, sanza scorta andianci soli,se tu sa’ ir; ch’i’ per me non la cheggio.130 Se tu se’ sì accorto come suoli,non vedi tu ch’e’ digrignan li dentie con le ciglia ne minaccian duoli?».133 Ed elli a me: «Non vo’ che tu paventi;lasciali digrignar pur a lor senno,ch’e’ fanno ciò per li lessi dolenti».136 Per l’argine sinistro volta dienno;ma prima avea ciascun la lingua strettacoi denti, verso lor duca, per cenno;139 ed elli avea del cul fatto trombetta.