La Divina commedia / Божественная комедия. Книга для чтения на итальянском языке

La Divina commedia / Божественная комедия. Книга для чтения на итальянском языке
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La Divina commedia / Божественная комедия. Книга для чтения на итальянском языке
Canto VI
Al tornar de la mente, che si chiusedinanzi a la pietà d’i due cognati,che di trestizia tutto mi confuse,4 novi tormenti e novi tormentatimi veggio intorno, come ch’io mi movae ch’io mi volga, e come che io guati.7 Io sono al terzo cerchio, de la piovaetterna, maladetta, fredda e greve;regola e qualità mai non l’è nova.10 Grandine grossa, acqua tinta e neveper l’aere tenebroso si riversa;pute la terra che questo riceve.13 Cerbero, fiera crudele e diversa,con tre gole caninamente latrasovra la gente che quivi è sommersa.16 Li occhi ha vermigli, la barba unta e atra,e ’l ventre largo, e unghiate le mani;graffia li spirti ed iscoia ed isquatra.19 Urlar li fa la pioggia come cani;de l’un de’ lati fanno a l’altro schermo;volgonsi spesso i miseri profani.22 Quando ci scorse Cerbero, il gran vermo,le bocche aperse e mostrocci le sanne;non avea membro che tenesse fermo.25 E ’l duca mio distese le sue spanne,prese la terra, e con piene le pugnala gittò dentro a le bramose canne.28 Qual è quel cane ch’abbaiando agogna,e si racqueta poi che ’l pasto morde,ché solo a divorarlo intende e pugna,31 cotai si fecer quelle facce lordede lo demonio Cerbero, che ’ntronal’anime sì, ch’esser vorrebber sorde.34 Noi passavam su per l’ombre che adonala greve pioggia, e ponavam le piantesovra lor vanità che par persona.37 Elle giacean per terra tutte quante,fuor d’una ch’a seder si levò, rattoch’ella ci vide passarsi davante.40 «O tu che se’ per questo ’nferno tratto»,mi disse, «riconoscimi, se sai:tu fosti, prima ch’io disfatto, fatto».43 E io a lui: «L’angoscia che tu haiforse ti tira fuor de la mia mente,sì che non par ch’i’ ti vedessi mai.46 Ma dimmi chi tu se’ che ’n sì dolenteloco se’ messo, e hai sì fatta pena,che, s’altra è maggio, nulla è sì spiacente».49 Ed elli a me: «La tua città, ch’è pienad’invidia sì che già trabocca il sacco,seco mi tenne in la vita serena.52 Voi cittadini mi chiamaste Ciacco:per la dannosa colpa de la gola,come tu vedi, a la pioggia mi fiacco.55 E io anima trista non son sola,ché tutte queste a simil pena stannoper simil colpa». E più non fé parola.58 Io li rispuosi: «Ciacco, il tuo affannomi pesa sì, ch’a lagrimar mi ’nvita;ma dimmi, se tu sai, a che verranno61 li cittadin de la città partita;s’alcun v’è giusto; e dimmi la cagioneper che l’ha tanta discordia assalita».64 E quelli a me: «Dopo lunga tencioneverranno al sangue, e la parte selvaggiacaccerà l’altra con molta offensione.67 Poi appresso convien che questa caggiainfra tre soli, e che l’altra sormonticon la forza di tal che testé piaggia.70 Alte terrà lungo tempo le fronti,tenendo l’altra sotto gravi pesi,come che di ciò pianga o che n’adonti.73 Giusti son due, e non vi sono intesi;superbia, invidia e avarizia sonole tre faville c’hanno i cuori accesi».76 Qui puose fine al lagrimabil suono.E io a lui: «Ancor vo’ che mi ’nsegnie che di più parlar mi facci dono.79 Farinata e ’l Tegghiaio, che fuor sì degni,Iacopo Rusticucci, Arrigo e ’l Moscae li altri ch’a ben far puoser li ’ngegni,82 dimmi ove sono e fa ch’io li conosca;ché gran disio mi stringe di saverese ’l ciel li addolcia o lo ’nferno li attosca».85 E quelli: «Ei son tra l’anime più nere;diverse colpe giù li grava al fondo:se tanto scendi, là i potrai vedere.88 Ma quando tu sarai nel dolce mondo,priegoti ch’a la mente altrui mi rechi:più non ti dico e più non ti rispondo».91 Li diritti occhi torse allora in biechi;guardommi un poco e poi chinò la testa:cadde con essa a par de li altri ciechi.94 E ’l duca disse a me: «Più non si destadi qua dal suon de l’angelica tromba,quando verrà la nimica podesta:97 ciascun rivederà la trista tomba,ripiglierà sua carne e sua figura,udirà quel ch’in etterno rimbomba».100 Sì trapassammo per sozza misturade l’ombre e de la pioggia, a passi lenti,toccando un poco la vita futura;103 per ch’io dissi: «Maestro, esti tormenticrescerann’ ei dopo la gran sentenza,o fier minori, o saran sì cocenti?».106 Ed elli a me: «Ritorna a tua scienza,che vuol, quanto la cosa è più perfetta,più senta il bene, e così la doglienza.109 Tutto che questa gente maladettain vera perfezion già mai non vada,di là più che di qua essere aspetta».112 Noi aggirammo a tondo quella strada,parlando più assai ch’i’ non ridico;venimmo al punto dove si digrada:115 quivi trovammo Pluto, il gran nemico.Canto VII
«Pape Satàn, pape Satàn aleppe!»,cominciò Pluto con la voce chioccia;e quel savio gentil, che tutto seppe,4 disse per confortarmi: «Non ti nocciala tua paura; ché, poder ch’elli abbia,non ci torrà lo scender questa roccia».7 Poi si rivolse a quella ’nfiata labbia,e disse: «Taci, maladetto lupo!consuma dentro te con la tua rabbia.10 Non è sanza cagion l’andare al cupo:vuolsi ne l’alto, là dove Michelefé la vendetta del superbo strupo».13 Quali dal vento le gonfiate velecaggiono avvolte, poi che l’alber fiacca,tal cadde a terra la fiera crudele.16 Così scendemmo nella quarta lacca,pigliando più de la dolente ripache ’l mal de l’universo tutto insacca.19 Ahi giustizia di Dio! tante chi stipanove travaglie e pene quant’ io viddi?e perché nostra colpa sì ne scipa?22 Come fa l’onda là sovra Cariddi,che si frange con quella in cui s’intoppa,così convien che qui la gente riddi.25 Qui vid’ i’ gente più ch’altrove troppa,e d’una parte e d’altra, con grand’ urli,voltando pesi per forza di poppa.28 Percoteansi ’ncontro; e poscia pur lìsi rivolgea ciascun, voltando a retro,gridando: «Perché tieni?» e «Perché burli?».31 Così tornavan per lo cerchio tetroda ogne mano a l’opposito punto,gridandosi anche loro ontoso metro;34 poi si volgea ciascun, quand’ era giunto,per lo suo mezzo cerchio a l’altra giostra.E io, ch’avea lo cor quasi compunto,37 dissi: «Maestro mio, or mi dimostrache gente è questa, e se tutti fuor cherciquesti chercuti a la sinistra nostra».40 Ed elli a me: «Tutti quanti fuor guercisì de la mente in la vita primaia,che con misura nullo spendio ferci.43 Assai la voce lor chiaro l’abbaia,quando vegnono a’ due punti del cerchiodove colpa contraria li dispaia.46 Questi fuor cherci, che non han coperchiopiloso al capo, e papi e cardinali,in cui usa avarizia il suo soperchio».49 E io: «Maestro, tra questi cotalidovre’ io ben riconoscere alcuniche furo immondi di cotesti mali».52 Ed elli a me: «Vano pensiero aduni:la sconoscente vita che i fé sozzi,ad ogne conoscenza or li fa bruni.55 In etterno verranno a li due cozzi:questi resurgeranno del sepulcrocol pugno chiuso, e questi coi crin mozzi.58 Mal dare e mal tener lo mondo pulcroha tolto loro, e posti a questa zuffa:qual ella sia, parole non ci appulcro.61 Or puoi, figliuol, veder la corta buffad’i ben che son commessi a la fortuna,per che l’umana gente si rabuffa;64 ché tutto l’oro ch’è sotto la lunae che già fu, di quest’ anime stanchenon poterebbe farne posare una».67 «Maestro mio», diss’ io, «or mi dì anche:questa fortuna di che tu mi tocche,che è, che i ben del mondo ha sì tra branche?».70 E quelli a me: «Oh creature sciocche,quanta ignoranza è quella che v’offende!Or vo’ che tu mia sentenza ne ’mbocche.73 Colui lo cui saver tutto trascende,fece li cieli e diè lor chi conducesì, ch’ogne parte ad ogne parte splende,76 distribuendo igualmente la luce.Similemente a li splendor mondaniordinò general ministra e duce79 che permutasse a tempo li ben vanidi gente in gente e d’uno in altro sangue,oltre la difension d’i senni umani;82 per ch’una gente impera e l’altra langue,seguendo lo giudicio di costei,che è occulto come in erba l’angue.85 Vostro saver non ha contasto a lei:questa provede, giudica, e perseguesuo regno come il loro li altri dèi.88 Le sue permutazion non hanno triegue:necessità la fa esser veloce;sì spesso vien chi vicenda consegue.91 Quest’ è colei ch’è tanto posta in crocepur da color che le dovrien dar lode,dandole biasmo a torto e mala voce;94 ma ella s’è beata e ciò non ode:con l’altre prime creature lietavolve sua spera e beata si gode.97 Or discendiamo omai a maggior pieta;già ogne stella cade che salivaquand’ io mi mossi, e ’l troppo star si vieta».100 Noi ricidemmo il cerchio a l’altra rivasovr’ una fonte che bolle e riversaper un fossato che da lei deriva.103 L’acqua era buia assai più che persa;e noi, in compagnia de l’onde bige,intrammo giù per una via diversa.106 In la palude va c’ha nome Stigequesto tristo ruscel, quand’ è discesoal piè de le maligne piagge grige.109 E io, che di mirare stava inteso,vidi genti fangose in quel pantano,ignude tutte, con sembiante offeso.112 Queste si percotean non pur con mano,ma con la testa e col petto e coi piedi,troncandosi co’ denti a brano a brano.115 Lo buon maestro disse: «Figlio, or vedil’anime di color cui vinse l’ira;e anche vo’ che tu per certo credi118 che sotto l’acqua è gente che sospira,e fanno pullular quest’ acqua al summo,come l’occhio ti dice, u’ che s’aggira.121 Fitti nel limo dicon: «Tristi fummone l’aere dolce che dal sol s’allegra,portando dentro accidioso fummo:124 or ci attristiam ne la belletta negra».Quest’ inno si gorgoglian ne la strozza,ché dir nol posson con parola integra».127 Così girammo de la lorda pozzagrand’ arco, tra la ripa secca e ’l mézzo,con li occhi vòlti a chi del fango ingozza.130 Venimmo al piè d’una torre al da sezzo.Canto VIII
Io dico, seguitando, ch’assai primache noi fossimo al piè de l’alta torre,li occhi nostri n’andar suso a la cima4 per due fiammette che i vedemmo porre,e un’altra da lungi render cenno,tanto ch’a pena il potea l’occhio tòrre.7 E io mi volsi al mar di tutto ’l senno;dissi: «Questo che dice? e che rispondequell’ altro foco? e chi son quei che ’l fenno?».10 Ed elli a me: «Su per le sucide ondegià scorgere puoi quello che s’aspetta,se ’l fummo del pantan nol ti nasconde».13 Corda non pinse mai da sé saettache sì corresse via per l’aere snella,com’ io vidi una nave piccioletta16 venir per l’acqua verso noi in quella,sotto ’l governo d’un sol galeoto,che gridava: «Or se’ giunta, anima fella!».19 «Flegiàs, Flegiàs, tu gridi a vòto»,disse lo mio segnore, «a questa volta:più non ci avrai che sol passando il loto».22 Qual è colui che grande inganno ascoltache li sia fatto, e poi se ne rammarca,fecesi Flegiàs ne l’ira accolta.25 Lo duca mio discese ne la barca,e poi mi fece entrare appresso lui;e sol quand’ io fui dentro parve carca.28 Tosto che ’l duca e io nel legno fui,segando se ne va l’antica prorade l’acqua più che non suol con altrui.31 Mentre noi corravam la morta gora,dinanzi mi si fece un pien di fango,e disse: «Chi se’ tu che vieni anzi ora?».34 E io a lui: «S’i’ vegno, non rimango;ma tu chi se’, che sì se’ fatto brutto?».Rispuose: «Vedi che son un che piango».37 E io a lui: «Con piangere e con lutto,spirito maladetto, ti rimani;ch’i’ ti conosco, ancor sie lordo tutto».40 Allor distese al legno ambo le mani;per che ’l maestro accorto lo sospinse,dicendo: «Via costà con li altri cani!».43 Lo collo poi con le braccia mi cinse;basciommi ’l volto e disse: «Alma sdegnosa,benedetta colei che ’n te s’incinse!46 Quei fu al mondo persona orgogliosa;bontà non è che sua memoria fregi:così s’è l’ombra sua qui furiosa.49 Quanti si tegnon or là su gran regiche qui staranno come porci in brago,di sé lasciando orribili dispregi!».52 E io: «Maestro, molto sarei vagodi vederlo attuffare in questa brodaprima che noi uscissimo del lago».55 Ed elli a me: «Avante che la prodati si lasci veder, tu sarai sazio:di tal disio convien che tu goda».58 Dopo ciò poco vid’ io quello straziofar di costui a le fangose genti,che Dio ancor ne lodo e ne ringrazio.61 Tutti gridavano: «A Filippo Argenti!»;e ’l fiorentino spirito bizzarroin sé medesmo si volvea co’ denti.64 Quivi il lasciammo, che più non ne narro;ma ne l’orecchie mi percosse un duolo,per ch’io avante l’occhio intento sbarro.67 Lo buon maestro disse: «Omai, figliuolo,s’appressa la città c’ha nome Dite,coi gravi cittadin, col grande stuolo».70 E io: «Maestro, già le sue meschitelà entro certe ne la valle cerno,vermiglie come se di foco uscite73 fossero». Ed ei mi disse: «Il foco etternoch’entro l’affoca le dimostra rosse,come tu vedi in questo basso inferno».76 Noi pur giugnemmo dentro a l’alte fosseche vallan quella terra sconsolata:le mura mi parean che ferro fosse.79 Non sanza prima far grande aggirata,venimmo in parte dove il nocchier forte«Usciteci», gridò: «qui è l’intrata».82 Io vidi più di mille in su le porteda ciel piovuti, che stizzosamentedicean: «Chi è costui che sanza morte85 va per lo regno de la morta gente?».E ’l savio mio maestro fece segnodi voler lor parlar segretamente.88 Allor chiusero un poco il gran disdegnoe disser: «Vien tu solo, e quei sen vadache sì ardito intrò per questo regno.91 Sol si ritorni per la folle strada:provi, se sa; ché tu qui rimarrai,che li ha’ iscorta sì buia contrada».94 Pensa, lettor, se io mi sconfortainel suon de le parole maladette,ché non credetti ritornarci mai.97 «O caro duca mio, che più di settevolte m’hai sicurtà renduta e trattod’alto periglio che ’ncontra mi stette,100 non mi lasciar», diss’ io, «così disfatto;e se ’l passar più oltre ci è negato,ritroviam l’orme nostre insieme ratto».103 E quel segnor che lì m’avea menato,mi disse: «Non temer; ché ’l nostro passonon ci può tòrre alcun: da tal n’è dato.106 Ma qui m’attendi, e lo spirito lassoconforta e ciba di speranza buona,ch’i’ non ti lascerò nel mondo basso».109 Così sen va, e quivi m’abbandonalo dolce padre, e io rimagno in forse,che sì e no nel capo mi tenciona.112 Udir non potti quello ch’a lor porse;ma ei non stette là con essi guari,che ciascun dentro a pruova si ricorse.115 Chiuser le porte que’ nostri avversarinel petto al mio segnor, che fuor rimasee rivolsesi a me con passi rari.118 Li occhi a la terra e le ciglia avea rased’ogne baldanza, e dicea ne’ sospiri:«Chi m’ha negate le dolenti case!».121 E a me disse: «Tu, perch’ io m’adiri,non sbigottir, ch’io vincerò la prova,qual ch’a la difension dentro s’aggiri.124 Questa lor tracotanza non è nova;ché già l’usaro a men segreta porta,la qual sanza serrame ancor si trova.127 Sovr’ essa vedestù la scritta morta:e già di qua da lei discende l’erta,passando per li cerchi sanza scorta,130 tal che per lui ne fia la terra aperta».Canto IX
Quel color che viltà di fuor mi pinseveggendo il duca mio tornare in volta,più tosto dentro il suo novo ristrinse.4 Attento si fermò com’ uom ch’ascolta;ché l’occhio nol potea menare a lungaper l’aere nero e per la nebbia folta.7 «Pur a noi converrà vincer la punga»,cominciò el, «se non… Tal ne s’offerse.Oh quanto tarda a me ch’altri qui giunga!».10 I’ vidi ben sì com’ ei ricoperselo cominciar con l’altro che poi venne,che fur parole a le prime diverse;13 ma nondimen paura il suo dir dienne,perch’ io traeva la parola troncaforse a peggior sentenzia che non tenne.16 «In questo fondo de la trista concadiscende mai alcun del primo grado,che sol per pena ha la speranza cionca?».19 Questa question fec’ io; e quei «Di radoincontra», mi rispuose, «che di noifaccia il cammino alcun per qual io vado.22 Ver è ch’altra fiata qua giù fui,congiurato da quella Eritón crudache richiamava l’ombre a’ corpi sui.25 Di poco era di me la carne nuda,ch’ella mi fece intrar dentr’ a quel muro,per trarne un spirto del cerchio di Giuda.28 Quell’ è ’l più basso loco e ’l più oscuro,e ’l più lontan dal ciel che tutto gira:ben so ’l cammin; però ti fa sicuro.31 Questa palude che ’l gran puzzo spiracigne dintorno la città dolente,u’[7] non potemo intrare omai sanz’ ira».34 E altro disse, ma non l’ho a mente;però che l’occhio m’avea tutto trattover’ l’alta torre a la cima rovente,37 dove in un punto furon dritte rattotre furie infernal di sangue tinte,che membra feminine avieno e atto,40 e con idre verdissime eran cinte;serpentelli e ceraste avien per crine,onde le fiere tempie erano avvinte.43 E quei, che ben conobbe le meschinede la regina de l’etterno pianto,«Guarda», mi disse, «le feroci Erine.46 Quest’ è Megera dal sinistro canto;quella che piange dal destro è Aletto;Tesifón è nel mezzo»; e tacque a tanto.49 Con l’unghie si fendea ciascuna il petto;battiensi a palme e gridavan sì alto,ch’i’ mi strinsi al poeta per sospetto.52 «Vegna Medusa: sì ’l farem di smalto»,dicevan tutte riguardando in giuso;«mal non vengiammo in Teseo l’assalto».55 «Volgiti ’n dietro e tien lo viso chiuso;ché se ’l Gorgón si mostra e tu ’l vedessi,nulla sarebbe di tornar mai suso».58 Così disse ’l maestro; ed elli stessimi volse, e non si tenne a le mie mani,che con le sue ancor non mi chiudessi.61 O voi ch’avete li ’ntelletti sani,mirate la dottrina che s’ascondesotto ’l velame de li versi strani.64 E già venìa su per le torbide ondeun fracasso d’un suon, pien di spavento,per cui tremavano amendue le sponde,67 non altrimenti fatto che d’un ventoimpetuoso per li avversi ardori,che fier la selva e sanz’ alcun rattento70 li rami schianta, abbatte e porta fori;dinanzi polveroso va superbo,e fa fuggir le fiere e li pastori.73 Li occhi mi sciolse e disse: «Or drizza il nerbodel viso su per quella schiuma anticaper indi ove quel fummo è più acerbo».76 Come le rane innanzi a la nimicabiscia per l’acqua si dileguan tutte,fin ch’a la terra ciascuna s’abbica,79 vid’ io più di mille anime distruttefuggir così dinanzi ad un ch’al passopassava Stige con le piante asciutte.82 Dal volto rimovea quell’ aere grasso,menando la sinistra innanzi spesso;e sol di quell’ angoscia parea lasso.85 Ben m’accorsi ch’elli era da ciel messo,e volsimi al maestro; e quei fé segnoch’i’ stessi queto ed inchinassi ad esso.88 Ahi quanto mi parea pien di disdegno!Venne a la porta e con una verghettal’aperse, che non v’ebbe alcun ritegno.91 «O cacciati del ciel, gente dispetta»,cominciò elli in su l’orribil soglia,«ond’ esta oltracotanza in voi s’alletta?94 Perché recalcitrate a quella vogliaa cui non puote il fin mai esser mozzo,e che più volte v’ha cresciuta doglia?97 Che giova ne le fata dar di cozzo?Cerbero vostro, se ben vi ricorda,ne porta ancor pelato il mento e ’l gozzo».100 Poi si rivolse per la strada lorda,e non fé motto a noi, ma fé sembianted’omo cui altra cura stringa e morda103 che quella di colui che li è davante;e noi movemmo i piedi inver’ la terra,sicuri appresso le parole sante.106 Dentro li ’ntrammo sanz’ alcuna guerra;e io, ch’avea di riguardar disiola condizion che tal fortezza serra,109 com’ io fui dentro, l’occhio intorno invio:e veggio ad ogne man grande campagna,piena di duolo e di tormento rio.112 Sì come ad Arli, ove Rodano stagna,sì com’ a Pola, presso del Carnaroch’Italia chiude e suoi termini bagna,115 fanno i sepulcri tutt’ il loco varo,così facevan quivi d’ogne parte,salvo che ’l modo v’era più amaro;118 ché tra li avelli fiamme erano sparte,per le quali eran sì del tutto accesi,che ferro più non chiede verun’ arte.121 Tutti li lor coperchi eran sospesi,e fuor n’uscivan sì duri lamenti,che ben parean di miseri e d’offesi.124 E io: «Maestro, quai son quelle gentiche, seppellite dentro da quell’ arche,si fan sentir coi sospiri dolenti?».127 E quelli a me: «Qui son li eresiarchecon lor seguaci, d’ogne setta, e moltopiù che non credi son le tombe carche.130 Simile qui con simile è sepolto,e i monimenti son più e men caldi».E poi ch’a la man destra si fu vòlto,133 passammo tra i martìri e li alti spaldi.Canto X
Ora sen va per un secreto calle,tra ’l muro de la terra e li martìri,lo mio maestro, e io dopo le spalle.4 «O virtù somma, che per li empi girimi volvi», cominciai, «com’ a te piace,parlami, e sodisfammi a’ miei disiri.7 La gente che per li sepolcri giacepotrebbesi veder? già son levatitutt’ i coperchi, e nessun guardia face».10 E quelli a me: «Tutti saran serratiquando di Iosafàt qui tornerannocoi corpi che là sù hanno lasciati.13 Suo cimitero da questa parte hannocon Epicuro tutti suoi seguaci,che l’anima col corpo morta fanno.16 Però a la dimanda che mi faciquinc’ entro satisfatto sarà tosto,e al disio ancor che tu mi taci».19 E io: «Buon duca, non tegno ripostoa te mio cuor se non per dicer poco,e tu m’hai non pur mo a ciò disposto».22 «O Tosco che per la città del focovivo ten vai così parlando onesto,piacciati di restare in questo loco.25 La tua loquela ti fa manifestodi quella nobil patria natio,a la qual forse fui troppo molesto».28 Subitamente questo suono uscìod’una de l’arche; però m’accostai,temendo, un poco più al duca mio.31 Ed el mi disse: «Volgiti! Che fai?Vedi là Farinata che s’è dritto:da la cintola in sù tutto ’l vedrai».34 Io avea già il mio viso nel suo fitto;ed el s’ergea col petto e con la frontecom’ avesse l’inferno a gran dispitto.37 E l’animose man del duca e prontemi pinser tra le sepulture a lui,dicendo: «Le parole tue sien conte».40 Com’ io al piè de la sua tomba fui,guardommi un poco, e poi, quasi sdegnoso,mi dimandò: «Chi fuor li maggior tui?».43 Io ch’era d’ubidir disideroso,non gliel celai, ma tutto gliel’ apersi;ond’ ei levò le ciglia un poco in suso;46 poi disse: «Fieramente furo avversia me e a miei primi e a mia parte,sì che per due fiate li dispersi».49 «S’ei fur cacciati, ei tornar d’ogne parte»,rispuos’ io lui, «l’una e l’altra fiata;ma i vostri non appreser ben quell’ arte».52 Allor surse a la vista scoperchiataun’ombra, lungo questa, infino al mento:credo che s’era in ginocchie levata.55 Dintorno mi guardò, come talentoavesse di veder s’altri era meco;e poi che ’l sospecciar fu tutto spento,58 piangendo disse: «Se per questo ciecocarcere vai per altezza d’ingegno,mio figlio ov’ è? e perché non è teco?».61 E io a lui: «Da me stesso non vegno:colui ch’attende là, per qui mi menaforse cui Guido vostro ebbe a disdegno».64 Le sue parole e ’l modo de la penam’avean di costui già letto il nome;però fu la risposta così piena.67 Di subito drizzato gridò: «Come?dicesti «elli ebbe»? non viv’ elli ancora?non fiere li occhi suoi lo dolce lume?».70 Quando s’accorse d’alcuna dimorach’io facea dinanzi a la risposta,supin ricadde e più non parve fora.73 Ma quell’ altro magnanimo, a cui postarestato m’era, non mutò aspetto,né mosse collo, né piegò sua costa;76 e sé continuando al primo detto,«S’elli han quell’ arte», disse, «male appresa,ciò mi tormenta più che questo letto.79 Ma non cinquanta volte fia raccesala faccia de la donna che qui regge,che tu saprai quanto quell’ arte pesa.82 E se tu mai nel dolce mondo regge,dimmi: perché quel popolo è sì empioincontr’ a’ miei in ciascuna sua legge?».85 Ond’ io a lui: «Lo strazio e ’l grande scempioche fece l’Arbia colorata in rosso,tal orazion fa far nel nostro tempio».88 Poi ch’ebbe sospirando il capo mosso,«A ciò non fu’ io sol», disse, «né certosanza cagion con li altri sarei mosso.91 Ma fu’ io solo, là dove soffertofu per ciascun di tòrre via Fiorenza,colui che la difesi a viso aperto».94 «Deh, se riposi mai vostra semenza»,prega’ io lui, «solvetemi quel nodoche qui ha ’nviluppata mia sentenza.97 E par che voi veggiate, se ben odo,dinanzi quel che ’l tempo seco adduce,e nel presente tenete altro modo».100 «Noi veggiam, come quei c’ha mala luce,le cose», disse, «che ne son lontano;cotanto ancor ne splende il sommo duce.103 Quando s’appressano o son, tutto è vanonostro intelletto; e s’altri non ci apporta,nulla sapem di vostro stato umano.106 Però comprender puoi che tutta mortafia nostra conoscenza da quel puntoche del futuro fia chiusa la porta».109 Allor, come di mia colpa compunto,dissi: «Or direte dunque a quel cadutoche ’l suo nato è co’ vivi ancor congiunto;112 e s’i’ fui, dinanzi, a la risposta muto,fate i saper che ’l fei perché pensavagià ne l’error che m’avete soluto».115 E già ’l maestro mio mi richiamava;per ch’i’ pregai lo spirto più avaccioche mi dicesse chi con lu’ istava.118 Dissemi: «Qui con più di mille giaccio:qua dentro è ’l secondo Federicoe ’l Cardinale; e de li altri mi taccio».121 Indi s’ascose; e io inver’ l’anticopoeta volsi i passi, ripensandoa quel parlar che mi parea nemico.124 Elli si mosse; e poi, così andando,mi disse: «Perché se’ tu sì smarrito?».E io li sodisfeci al suo dimando.127 «La mente tua conservi quel ch’uditohai contra te», mi comandò quel saggio;«e ora attendi qui», e drizzò ’l dito:130 «quando sarai dinanzi al dolce raggiodi quella il cui bell’ occhio tutto vede,da lei saprai di tua vita il viaggio».133 Appresso mosse a man sinistra il piede:lasciammo il muro e gimmo inver’ lo mezzoper un sentier ch’a una valle fiede,136 che ’nfin là su facea spiacer suo lezzo.Canto XI
In su l’estremità d’un’alta ripache facevan gran pietre rotte in cerchio,venimmo sopra più crudele stipa;4 e quivi, per l’orribile soperchiodel puzzo che ’l profondo abisso gitta,ci raccostammo, in dietro, ad un coperchio7 d’un grand’ avello, ov’ io vidi una scrittache dicea: ’Anastasio papa guardo,lo qual trasse Fotin de la via dritta’.10 «Lo nostro scender conviene esser tardo,sì che s’ausi un poco in prima il sensoal tristo fiato; e poi no i fia riguardo».13 Così ’l maestro; e io «Alcun compenso»,dissi lui, «trova che ’l tempo non passiperduto». Ed elli: «Vedi ch’a ciò penso».16 «Figliuol mio, dentro da cotesti sassi»,cominciò poi a dir, «son tre cerchiettidi grado in grado, come que’ che lassi.19 Tutti son pien di spirti maladetti;ma perché poi ti basti pur la vista,intendi come e perché son costretti.22 D’ogne malizia, ch’odio in cielo acquista,ingiuria è ’l fine, ed ogne fin cotaleo con forza o con frode altrui contrista.25 Ma perché frode è de l’uom proprio male,più spiace a Dio; e però stan di sottoli frodolenti, e più dolor li assale.28 Di violenti il primo cerchio è tutto;ma perché si fa forza a tre persone,in tre gironi è distinto e costrutto.31 A Dio, a sé, al prossimo si pònefar forza, dico in loro e in lor cose,come udirai con aperta ragione.34 Morte per forza e ferute dogliosenel prossimo si danno, e nel suo avereruine, incendi e tollette dannose;37 onde omicide e ciascun che mal fiere,guastatori e predon, tutti tormentalo giron primo per diverse schiere.40 Puote[8] omo avere in sé man violentae ne’ suoi beni; e però nel secondogiron convien che sanza pro si penta43 qualunque priva sé del vostro mondo,biscazza e fonde la sua facultade,e piange là dov’ esser de’ giocondo.46 Puossi far forza ne la deitade,col cor negando e bestemmiando quella,e spregiando natura e sua bontade;49 e però lo minor giron suggelladel segno suo e Soddoma e Caorsae chi, spregiando Dio col cor, favella.52 La frode, ond’ ogne coscienza è morsa,può l’omo usare in colui che ’n lui fidae in quel che fidanza non imborsa.55 Questo modo di retro par ch’incidapur lo vinco d’amor che fa natura;onde nel cerchio secondo s’annida58 ipocresia, lusinghe e chi affattura,falsità, ladroneccio e simonia,ruffian, baratti e simile lordura.61 Per l’altro modo quell’ amor s’obliache fa natura, e quel ch’è poi aggiunto,di che la fede spezial si cria;64 onde nel cerchio minore, ov’ è ’l puntode l’universo in su che Dite siede,qualunque trade in etterno è consunto».67 E io: «Maestro, assai chiara procedela tua ragione, e assai ben distinguequesto baràtro e ’l popol ch’e’ possiede.70 Ma dimmi: quei de la palude pingue,che mena il vento, e che batte la pioggia,e che s’incontran con sì aspre lingue,73 perché non dentro da la città roggiasono ei puniti, se Dio li ha in ira?e se non li ha, perché sono a tal foggia?».76 Ed elli a me «Perché tanto delira»,disse, «lo ’ngegno tuo da quel che sòle?o ver la mente dove altrove mira?79 Non ti rimembra di quelle parolecon le quai la tua Etica pertrattale tre disposizion che ’l ciel non vole,82 incontenenza, malizia e la mattabestialitade? e come incontenenzamen Dio offende e men biasimo accatta?85 Se tu riguardi ben questa sentenza,e rechiti a la mente chi son quelliche sù di fuor sostegnon penitenza,88 tu vedrai ben perché da questi fellisien dipartiti, e perché men crucciatala divina vendetta li martelli».91 «O sol che sani ogne vista turbata,tu mi contenti sì quando tu solvi,che, non men che saver, dubbiar m’aggrata.94 Ancora in dietro un poco ti rivolvi»,diss’ io, «là dove di’ ch’usura offendela divina bontade, e ’l groppo solvi».97 «Filosofia», mi disse, «a chi la ’ntende,nota, non pure in una sola parte,come natura lo suo corso prende100 dal divino ’ntelletto e da sua arte;e se tu ben la tua Fisica note,tu troverai, non dopo molte carte,103 che l’arte vostra quella, quanto pote,segue, come ’l maestro fa ’l discente;sì che vostr’ arte a Dio quasi è nepote.106 Da queste due, se tu ti rechi a mentelo Genesì dal principio, conveneprender sua vita e avanzar la gente;109 e perché l’usuriere altra via tene,per sé natura e per la sua seguacedispregia, poi ch’in altro pon la spene.112 Ma seguimi oramai che ’l gir mi piace;ché i Pesci guizzan su per l’orizzonta,e ’l Carro tutto sovra ’l Coro giace,115 e ’l balzo via là oltra si dismonta».