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Nel Segno Del Leone
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Nel Segno Del Leone

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Nel Segno Del Leone
Vignaroli Stefano

Anno 2019: ancora una volta, la studiosa Lucia Balleani e l’archeologo Andrea Franciolini ci prenderanno per mano e ci guideranno attraverso gli arcani misteri della Jesi rinascimentale, tra vie, vicoli e Palazzi di un centro storico che, alle porte degli anni ’20 del XXI secolo, inizia a rigurgitare dal sottosuolo antichi e importanti oggetti riferibili a epoche passate. Gli scavi archeologici di Piazza Colocci riserveranno infatti sorprese inaspettate agli occhi di tutta la popolazione jesina.Ricominciamo a seguire le vicende dei personaggi del XVI secolo attraverso le scoperte di antichi documenti e reperti archeologici da parte della giovane coppia di ricercatori dei nostri tempi. Nuovi venti di guerra ricondurranno infatti il Capitano d’armi della Regia Citt? di Jesi ai campi di battaglia. Dopo i primi due episodi della serie “Lo stampatore”, eccoci giunti al finale, all’ultimo episodio della saga dedicata alla Jesi rinascimentale. Abbiamo lasciato Andrea quasi in punto di morte, soccorso dalla sua amata, celata sotto mentite spoglie. La trama si ? trasferita a Urbino, ma di certo i nostri due eroi, Andrea Franciolini e Lucia Baldeschi, dovranno ritornare a Jesi per coronare il loro sogno d’amore. Il matrimonio dovr? essere un evento festoso e sfarzoso, e dovr? essere celebrato dal Vescovo della Citt? di Jesi, Monsignor Piersimone Ghislieri. Ma siamo sicuri che oscure trame, del destino e degli uomini, non riusciranno a ostacolare per l’ennesima volta l’unione tra Andrea e Lucia? I due amanti si sono ritrovati, e per nulla al mondo vorrebbero lasciarsi di nuovo. Andrea vuol finalmente far da padre alla sua bambina, Laura e, perchе no, anche alla figlia adottiva di Lucia, Anna. Le bambine sono fantastiche, stanno crescendo sane e vispe nella residenza di campagna dei Conti Baldeschi, e Andrea si trova a godere della loro vicinanza. Ma venti di guerra condurranno di nuovo il Capitano d’armi della Regia Citt? di Jesi ai campi di battaglia. E a lasciare ben presto la tranquillit? e la pace riconquistata. I Lanzichenecchi premono alle porte dell’Italia settentrionale e il Duca della Rovere, in una strana alleanza con Giovanni De’ Medici, pi? noto come Giovanni Dalle Bande Nere, si prodigher? a evitare che le soldataglie tedesche raggiungano Firenze e persino Roma. Evitare il saccheggio della citt? eterna nel 1527 non sar? compito facile, nе per il Duca Della Rovere, nе per Giovanni dalle Bande Nere, nе tantomeno per il Capitano Franciolino de’ Franciolini. Seguiamo ancora una volta le vicende dei personaggi del XVI secolo attraverso le scoperte di antichi documenti e reperti archeologici della giovane coppia di ricercatori dei nostri tempi. Di nuovo, la studiosa Lucia Balleani e l’archeologo Andrea Franciolini ci prenderanno per mano e ci guideranno attraverso gli arcani misteri della Jesi rinascimentale, tra vie, vicoli e Palazzi di un centro storico che, alle porte degli anni ’20 del XXI secolo, inizia a rigurgitare dal sottosuolo antichi e importanti oggetti riferibili a epoche passate.

Stefano Vignaroli

Stefano Vignaroli

LO STAMPATORE

Nel segno del leone

© 2019 – 2020 Stefano Vignaroli

Tutti i diritti di riproduzione, distribuzione e traduzione sono riservati

I brani sulla storia di Jesi sono stati tratti e liberamente adattati dai testi di Giuseppe Luconi

Illustrazioni del Prof. Mario Pasquinelli, gentilmente concesse dai legittimi eredi

Sito web http://www.stedevigna.com

E-mail per contatti stedevigna@gmail.com

Edizioni Tektime

Indice dei contenuti

1  PREFAZIONE (#u43c924f8-051d-5b06-a31a-263630691465)

2  PREMESSA (#udc11f0bd-5823-59e1-8452-ff25974fc8a2)

3  CAPITOLO 1 (#u6dda2b28-a973-5c77-a7f8-3c4f09304e7f)

4  CAPITOLO 2 (#ue00e9fd2-cc0e-5190-9b0e-d7d51a957245)

5  CAPITOLO 3 (#u31dd2bbe-8978-5b45-b878-c58d66c5772f)

6  CAPITOLO 4 (#u97ada355-d624-5bf0-b197-bb7db1c3c92b)

7  CAPITOLO 5 (#u8ed43c93-ed91-56aa-a09e-98686aae7fc9)

8  CAPITOLO 6 (#ucf9fa8d4-de58-5159-a28b-7235d07fe50c)

9  CAPITOLO 7 (#uf0ffc24a-d919-5c77-991b-555803ccd0ac)

10  CAPITOLO 8 (#ucecb3417-7fd1-588c-a91c-1792685a6835)

11  CAPITOLO 9 (#u034f2e8b-5f76-570a-9e97-7c981631c9bc)

12  CAPITOLO 10 (#u2be6b8aa-d827-55e3-9a95-adf131907936)

13  CAPITOLO 11 (#litres_trial_promo)

14  CAPITOLO 12 (#litres_trial_promo)

15  CAPITOLO 13 (#litres_trial_promo)

16  CAPITOLO 14 (#litres_trial_promo)

17  CAPITOLO 15 (#litres_trial_promo)

18  CAPITOLO 16 (#litres_trial_promo)

19  CAPITOLO 17 (#litres_trial_promo)

20  CAPITOLO 18 (#litres_trial_promo)

21  CAPITOLO 19 (#litres_trial_promo)

22  CAPITOLO 20 (#litres_trial_promo)

23  CAPITOLO 21 (#litres_trial_promo)

24  CAPITOLO 22 (#litres_trial_promo)

25  CAPITOLO 23 (#litres_trial_promo)

26  CAPITOLO 24 (#litres_trial_promo)

27  CAPITOLO 25 (#litres_trial_promo)

28  CAPITOLO 26 (#litres_trial_promo)

29  CAPITOLO 27 (#litres_trial_promo)

30  CAPITOLO 28 (#litres_trial_promo)

31  EPILOGO (#litres_trial_promo)

32  NOTE DELL’AUTORE (#litres_trial_promo)

33  RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI (#litres_trial_promo)

34  Note (#litres_trial_promo)

35  Ringraziamenti (#litres_trial_promo)

A Giuseppe Luconi e Mario Pasquinelli,

illustri concittadini che fanno

parte della Storia di Jesi

PREFAZIONE

Nel segno del leone chiude magistralmente la trilogia di ambientazione rinascimentale, dal titolo Lo stampatore, inaugurata da “L’ombra del campanile” e seguita da “La corona bronzea”. Protagonisti, ancora una volta, sono l’indomito condottiero, il marchese Andrea Franciolini e la contessina Lucia Baldeschi, condannati dal destino a rimandare costantemente le nozze, suggello di un grande amore. E con essi, i loro discendenti, gli omonimi Andrea e Lucia dei giorni nostri. L’inaspettato richiamo alle armi, giunto dal duca d’Urbino nel giorno del matrimonio, obbliga Andrea a recarsi, attraverso un periglioso viaggio, nel nord Italia prima e nei Paesi Bassi poi, e Lucia a farsi nuovamente carico della reggenza della citt? di Jesi e del suo contado. Cos? la narrazione si sdoppia: da un lato ci sono il cavaliere errante e le sue avventure, costellate e arricchite dall’incontro con personaggi pi? o meno storici, come nel caso dell’astuto e spietato Giovanni dalle Bande Nere e del rivale prima e amico poi, il duca Franz Vollenweider, mercenario, mezzo picaro e mezzo lanzichenecco. Dall’altro Lucia, madre premurosa, amante dalle intense passioni e governante rosa in un’epoca dominata dagli uomini, che nel solo Bernardino, lo stampatore, trova una spalla, un confidente e un alleato. Sullo sfondo, lo scontro tra l’imperatore Carlo V e il papa con i suoi alleati, dal re di Francia ai vari signorotti delle citt? italiane, che stringono e rompono alleanze con fare machiavellico. Battaglie, intrighi, amori, sabba al chiaro di luna e, soprattutto, due grandi misteri, affiorati dalle viscere della terra, dagli scavi nella piazza prospiciente il Palazzo del Governo di Jesi, legano e scandiscono le vicende delle Lucie e degli Andrea di ieri ed oggi. Un antico codice, voluto e bramato addirittura da Hitler, e un’icona, raffigurante il leone traverso, simbolo della citt?, turbano i sogni, generano angoscia e brama di conoscenza e inducono all’azione. Una prosa fluida restituisce non solo i colori, ma anche i suoni e le atmosfere di luoghi e situazioni e incatena il lettore alla pagina, dal primo all’ultimo capitolo, in un crescendo di attesa, per le sorti dei protagonisti. Vignaroli firma un grande affresco storico, in un misto di fantasia ed erudizione, che sigilla degnamente l’ultimo atto di una grande trilogia.

Marco Torcoletti

PREMESSA

Dopo i primi due episodi della serie “Lo stampatore”, eccoci giunti al finale, all’ultimo episodio della saga dedicata alla Jesi rinascimentale. Abbiamo lasciato Andrea quasi in punto di morte, soccorso dalla sua amata, celata sotto mentite spoglie. La trama si ? trasferita a Urbino, ma di certo i nostri due eroi, Andrea Franciolini e Lucia Baldeschi, dovranno ritornare a Jesi per coronare il loro sogno d’amore. Il matrimonio dovr? essere un evento festoso e sfarzoso, e dovr? essere celebrato dal Vescovo della Citt? di Jesi, Monsignor Piersimone Ghislieri. Ma siamo sicuri che oscure trame, del destino e degli uomini, non riusciranno a ostacolare per l’ennesima volta l’unione tra Andrea e Lucia? I due amanti si sono ritrovati, e per nulla al mondo vorrebbero lasciarsi di nuovo. Andrea vuol finalmente far da padre alla sua bambina, Laura e, perchе no, anche alla figlia adottiva di Lucia, Anna.

Le bambine sono fantastiche, stanno crescendo sane e vispe nella residenza di campagna dei Conti Baldeschi, e Andrea si trova a godere della loro vicinanza. Ma venti di guerra condurranno di nuovo il Capitano d’armi della Regia Citt? di Jesi ai campi di battaglia. E a lasciare ben presto la tranquillit? e la pace riconquistata. I Lanzichenecchi premono alle porte dell’Italia settentrionale e il Duca della Rovere, in una strana alleanza con Giovanni De’ Medici, pi? noto come Giovanni Dalle Bande Nere, si prodigher? a evitare che le soldataglie tedesche raggiungano Firenze e persino Roma. Evitare il saccheggio della citt? eterna nel 1527 non sar? compito facile, nе per il Duca Della Rovere, nе per Giovanni dalle Bande Nere, nе tantomeno per il Capitano Franciolino de’ Franciolini.

Seguiamo ancora una volta le vicende dei personaggi del XVI secolo attraverso le scoperte di antichi documenti e reperti archeologici della giovane coppia di ricercatori dei nostri tempi. Di nuovo, la studiosa Lucia Balleani e l’archeologo Andrea Franciolini ci prenderanno per mano e ci guideranno attraverso gli arcani misteri della Jesi rinascimentale, tra vie, vicoli e Palazzi di un centro storico che, alle porte degli anni ’20 del XXI secolo, inizia a rigurgitare dal sottosuolo antichi e importanti oggetti riferibili a epoche passate.

Stefano Vignaroli

CAPITOLO 1

Bernardino, sulla soglia della sua stamperia, che si affacciava in Via delle Botteghe, in corrispondenza dell’arco dell’antica Domus Verronum, con grande soddisfazione guardava sfilare il corteo nuziale. Alfine, dopo tanti ostacoli e alterne vicende, la contessa Lucia Baldeschi, in un radioso giorno della tarda estate 1523, si sarebbe unita in matrimonio con Andrea De’ Franciolini. Anzi, per la precisione, con il Marchese Franciolino De’ Franciolini, Signore dell’Alto Montefeltro e Capitano d’Arme della Regia Citt? di Jesi. Il corteo vero e proprio era stato preceduto da rulli di tamburi e squilli di trombe, dall’esibizione di sbandieratori, dalle evoluzioni degli eleganti rapaci lanciati in volo da abili falconieri, e ancora dalla sfilata delle famiglie nobili dei vari rioni della citt?, ognuna identificata dal proprio gonfalone e dallo stendardo del quartiere di appartenenza. La citt? era un tripudio di colori. Ogni via, ogni vicolo e ogni palazzo era addobbato a festa. L’aria frizzantina di settembre, con l’avanzare della giornata verso le ore centrali, aveva ceduto ai raggi del sole, che stavano riscaldando l’atmosfera in maniera davvero insolita per la stagione, tanto che molti nobili sciorinavano sudore all’interno dei loro abiti di broccato o velluto. Le pi? fortunate erano le nobildonne che avevano scelto di indossare freschi abiti di seta colorata. Bernardino aveva riconosciuto gli appartenenti alle pi? importanti famiglie Jesine, non solo dai vessilli, ma perchе conosceva bene le loro fisionomie. I Conti Marcelli, i Marchesi Honorati, gli Amatori, gli Amici e i Colocci. Tutti diretti verso Piazza San Floriano per assistere alla funzione religiosa presieduta dal Cardinale Piersimone Ghislieri, vescovo molto amato dalla cittadinanza tutta. Dopo un passaggio di giocolieri e mangiafuoco e un’altra giostra di sbandieratori, comparve finalmente la sposa, bellissima, sopra un cavallo dal manto bianco candido, dalla criniera acconciata in fini treccine che ricadevano da un lato e dall’altro dell’elegante collo dell’animale. Lucia indossava una splendida gamurra di seta damascata rossa, arricchita da motivi floreali disegnati a leggero ricamo in rilievo. Allo scollo rettangolare e ai bordi delle maniche era stato aggiunto del pizzo bianco. L’abito, lungo fino ai piedi, abbellito da bottoni incastonati e gemme preziose, stretto in vita da una cintura finemente intrecciata, non consentiva alla damigella di sedere in sella al cavallo come un’amazzone, cos? come ella era abituata. Entrambe le gambe dovevano essere poggiate dallo stesso lato della cavalcatura, rendendo ancor pi? difficile e faticoso mantenere l’equilibrio sulla sella. Ma Lucia manteneva uno sguardo altezzoso, reggendosi leggera alle redini, senza mai guardare alcun cittadino fisso negli occhi. Si lasciava ammirare, senza ricambiare lo sguardo a chicchessia. Solo quando pass? accanto a Bernardino, il suo viso si illumin? e abbozz? un sorriso a mo’ di saluto rivolto al suo caro amico e mentore. Lo stampatore se ne accorse e se ne compiacque tra sе e sе. Guardando con ossequiosa ammirazione la Contessina Baldeschi, ramment? come il rosso fosse il colore preferito dalle spose del tempo. Il rosso era il simbolo della potenza creatrice e, quindi, della fertilit?, ma soprattutto i tessuti di quel colore erano i pi? costosi e apprezzati. Il corteo nuziale era ritenuto parte integrante della cerimonia. Di solito esso rappresentava una pubblica ostentazione delle ricchezze della famiglia della sposa, che sfilava per le vie della citt? nella sua pregiatissima veste nuziale, accompagnata dai nobili cavalieri della famiglia. Niente di tutto questo per Lucia Baldeschi, che non aveva voluto nessun presunto appartenente alla sua famiglia attorno a sе. La sua sobria eleganza e il suo portamento era quasi quello di una regina che si recava all’altare per sposare il suo principe. Una regina che comunque si era fatta sempre amare dal suo popolo per ci? che era e non per ci? che voleva apparire. E non si sarebbe mai sognata di apparire in maniera diversa solo perchе quello era un giorno speciale. Tutti i cittadini jesini avevano imparato ad amarla come donna dal carattere forte e determinato, ma nel contempo dall’animo buono e gentile. Bernardino si accod? al corteo che, di l? a poco, sarebbe giunto sul sagrato della Chiesa di San Floriano, dove ad attenderlo doveva esserci lo sposo insieme al Cardinal Ghislieri. L?, sul sagrato, si sarebbe svolta la cerimonia nuziale con lo scambio degli anelli. Dopo di che, sposi, celebranti e invitati sarebbero entrati in Chiesa, per la celebrazione della Messa vera e propria.

Anche se non lo dava a vedere, Lucia non stava pi? nella pelle dall’ansia. Non vedeva l’ora di scendere dal destriero e avvicinarsi al suo sposo, protendendo in avanti la sua mano sinistra, in maniera tale che lui la baciasse e la continuasse a tenere stretta alla sua. Ma appena il cavallo bianco mise piede nella Piazza, che a suo tempo aveva dato i natali all’imperatore Svevo, fu subito evidente alla sposa e a tutto il suo seguito che il Capitano Franciolini non era al suo posto, sotto il baldacchino preparato all’uopo davanti alla Chiesa. Il Vescovo, il Cardinal Ghislieri, accolse la giovane sposa allargando le braccia imbarazzato. Era evidente che non sapeva da che parte iniziare per riferire le dovute spiegazioni.

«Uomini del Duca Della Rovere… S?, erano proprio uomini del Duca Della Rovere quelli che si sono presentati poco fa. Hanno scambiato poche parole con il Marchese e gli hanno messo in mano una busta sigillata. Lui l’ha letta in un batter di ciglia poi, senza proferire parola alcuna, ? saltato sul suo cavallo ed ? partito di gran carriera dietro a quegli uomini. Prima di scomparire, si ? rigirato gridandomi “Scusatemi con la Contessina, ma la mia persona ? richiesta a Mantova con la massima urgenza!”»

CAPITOLO 2

La rocca dei principi di Carpegna era un sicuro rifugio, data l’inaccessibilit? del luogo, arroccato com’era su uno sperone roccioso, sovrastante un borgo di poche case sul Monte della Carpegnia. Erano passati ormai un paio di mesi dal memorabile 27 marzo 1523, giorno in cui Andrea era rimasto ferito in maniera grave, durante un torneo cavalleresco, per mano del vile Masio da Cingoli. Era ovvio che costui era invidioso della sua posizione e sperava nella sua morte, o quanto meno in una sua grave invalidit?, per entrare nelle grazie del Duca Della Rovere al suo posto. E ci aveva provato in tutti i modi, ma gli era andata male. Andrea aveva saputo solo in seguito che lo stesso giorno, lo stesso 27 marzo, il papa Adriano VI aveva firmato la bolla che provvedeva a legalizzare la posizione di Francesco Maria Della Rovere, confermando in suo favore tutte le singole concessioni fatte dai papi precedenti e annullando la sentenza di Leone X, che assegnava i territori di Urbino e del Montefeltro ai Medici. Il Duca era stato reintegrato nella sua posizione, e gli erano stati restituiti i suoi territori, per il censo annuo di 1340 fiorini per il Ducato di Urbino, 750 per la citt? di Pesaro e 100 per Senigallia. Solo San Leo e Maiolo, dove si erano attestate, tra il gennaio e il febbraio del 1523, le truppe di Giovanni De’ Medici, meglio conosciuto come Giovanni dalle Bande Nere, rimanevano sotto il dominio dei Medici, a far da cuscinetto tra le terre feltresche e quelle medicee.

Andrea si era ripreso in maniera davvero lenta, vuoi per la grave perdita di sangue subita, vuoi perchе gli era stato di nuovo offeso un braccio gi? lesionato durante il sacco di Jesi. Aveva sperato, riaprendo gli occhi dopo giorni di agonia, di ritrovare accanto a sе la sua amata Lucia, come era accaduto quando era stato ferito anni prima. Invece, la sola presenza che avvertiva era quella di un frate francescano, che si dava da fare con decotti e impiastri, di cui Andrea era sicuro che costui ignorasse le propriet? curative. Magari era stato istruito cos? dalla contessina che, non potendo rimanere accanto a lui, aveva affidato al frate i suoi rimedi. Rimaneva infatti stampata nella sua mente l’immagine inconfondibile degli occhi di Lucia, intravisti attraverso la visiera di una celata prima di perdere conoscenza. Ma ne era sicuro? O era solo la sua immaginazione a farglielo credere? Gi?, l’immaginazione di una persona con addosso la paura della morte, che gli fa travisare la realt? in favore di concetti a lui benevoli. In ogni caso, comunque fossero andate le cose, ora stava meglio. La spalla continuava s? a trasmettergli dolori lancinanti, ma era ora di riprendersi appieno e la prima cosa a cui pensare era la vendetta nei confronti di Masio. La vendetta ? un piatto che va assaporato freddo. E lui aveva avuto tutto il tempo di pensare al da farsi.

Stava recuperando le forze poco a poco, e i piani d’altura del Monte Carpegna erano l’ideale per cavalcate tranquille e ristoratrici. Non si potevano temere imboscate, in quanto l’orizzonte del tutto scoperto non consentiva a chicchessia di giungere di nascosto. Pertanto, al fine di ritemprare lo spirito e la muscolatura, Andrea era ormai solito sellare una mite cavalcatura di buon mattino e uscire nell’aria pura e frizzantina che solo la montagna poteva offrire. Ogni giorno si sentiva pi? forte e pi? sicuro di sе, anche se la spalla ancora gli doleva. Ma lui stringeva i denti, cercava di resistere come nulla fosse, e in breve i dolori si dileguavano come neve al sole. Desiderava essere di nuovo in piena salute, per raggiungere quanto prima la sua amata e la sua citt?, per mettere in atto la promessa di matrimonio, ma anche per riprendere in mano il governo della sua citt?. E in virt? di ci? che gli era stato concesso dal Duca Della Rovere, poteva esigere tutto ci? a pieno titolo. Non era pi? il semplice figlio di un mercante, per quanto nominato dal popolo jesino suo capitano. Ora era nobile, era un Marchese, con tanto di terre, anche se aspre terre di montagna, e per di pi? era nelle grazie del Duca di Urbino. Certo, doveva obbedienza a quest’ultimo, ma si sentiva di poter tornare a Jesi in piena autonomia. Nonostante immerso in questi pensieri, non potе fare a meno di scorgere in lontananza la nuvola di polvere sollevata da un manipolo di uomini a cavallo che stava risalendo lungo la sterrata che conduceva verso la rocca. Ud? in lontananza i richiami delle sentinelle dagli spalti. Anche se le voci non sembravano allarmate, ci fu il colpo di cannone ad avvertire dell’arrivo di un potenziale nemico. Poi, i rintocchi delle campane fecero capire ad Andrea che non c’era pericolo, che chi si stava avvicinando non era in assetto da combattimento. Quando il gruppo cominci? a distinguersi meglio, not? un cavaliere dal portamento pi? fiero, su un destriero che superava in altezza tutti gli altri palafreni, cavalcati da armigeri dalle leggere armature. I colori erano quelli Medicei.

Giovanni De’ Medici, si disse Andrea tra sе e sе, il famoso e famigerato Giovanni dalle Bande nere, o meglio Ludovico di Giovanni De’ Medici, rinnegato in maniera ufficiale dalla sua famiglia in quanto figlio illegittimo di Giovanni il Popolano, ma comunque ancora legato con forza ad essa. Perchе mai si sar? spinto fin qui? Avr? saputo della mia presenza? Sar? venuto a sfidarmi? Vorr? riprendersi i territori dell’alto Montefeltro per conto della sua famiglia?

L’inaspettato arrivo un po’ preoccupava Andrea, anche perchе in un’eventuale scontro con gli sgherri Medicei avrebbe avuto dalla sua solo pochi uomini al servizio dei Conti di Carpegna. Ed erano ben poca cosa rispetto alla fama che accompagnava i soldati di ventura del Capitano Giovanni dalle Bande Nere. Si rigir? verso la rocca, pensando che era meglio conferire con il Medici tra mura sicure e affiancato da uomini di sua fiducia, quando vide che gi? i Conti Carpegna, i fratelli Piero e Bono, erano usciti di gran carriera e stavano cavalcando verso di lui per portargli manforte. Certo di avere le spalle protette, si rigir? dunque verso i potenziali nemici, che erano ormai giunti a breve distanza da lui. Andrea pose mano all’elsa della spada, assicurata alla sella della sua cavalcatura, stringendola, pronto a sfoderarla a qualsiasi cenno di ostilit? da parte dei nuovi arrivati. Il Dalle Bande Nere alz? un braccio, facendo segno al suo seguito di fermarsi, poi con un balzo scese da cavallo e si avvicin? a piedi, mantenendo le braccia larghe e sollevate. Il gesto era evidente e Andrea si rilass?, staccando la mano dall’arma e scendendo a sua volta da cavallo. Quando fu a pochi passi da lui, l’uomo si profer? in una profonda riverenza. Andrea lo osserv?, lo squadr? dalla testa ai piedi, cercando di capire come mai a quella persona all’apparenza cos? mite era stata associata la fama di guerriero spietato. Era un uomo giovane, avr? avuto s? e no sui venticinque anni, il viso ornato da una barba curata, non troppo lunga. I capelli, scuri e tagliati corti, erano evidenti grazie al fatto che il capitano non indossava celata di sorta e facevano da contorno a un viso tondo dall’aria serena. L’uomo non era neanche alto, visto cos? a terra. Con tutta probabilit? cercava di cavalcare animali alti e possenti per sovrastare chi gli stava intorno. Indossava un farsetto color terra bruciata, con ricamate sul davanti le cinque palle rosse e il giglio a tre punte, a simboleggiare la fedelt? alla sua famiglia di origine.

«? un onore per me vedervi qui, messere», fece Andrea, abbozzando a sua volta un inchino a mo’ di saluto, ansioso di conoscere il motivo dell’inaspettata visita. «Or dunque, posso sapere che cosa vi ha spinto a muovere dalla rocca di San Leo, vostro indiscusso baluardo, fino al Monte della Carpegnia, che rappresenta per voi un terreno infido e pieno di perigli?»

Giovanni si schern? e allarg? la bocca in un sorriso, poi Andrea lo vide avvicinarsi di pi? a lui, fino a porgli una mano sulla spalla, quasi in un gesto di amicizia. Da lui? Da uno che considerava un nemico? Doveva aspettarsi di cadere in una qualche trappola? C’era poco da fidarsi. Andrea si irrigid? e l’altro abbass? il suo braccio, poi inizi? a parlare.

«Porto buone notizie per voi, forse un po’ meno per me», esord? il Medici. «Il Duca di Urbino si ? accordato col nuovo Papa, e…»

«Mi state raccontando cose di cui gi? sono al corrente. L’accordo con Adriano VI ? avvenuto un paio di mesi fa!»

Sulle labbra dell’interlocutore si stamp? di nuovo un sorriso.

«Non mi interrompete, fatemi terminare. Non parlo del Papa che, credo ancora per poco, siede sullo scranno pontificio. Parlo del Vescovo di Firenze, di Giulio De’ Medici, che ben presto prender? il posto che gli spetta. Girano voci che Adriano Florensz abbia una salute molto cagionevole e che abbia una vita ormai breve. Se il buon Dio non lo richiamer? accanto a sе, dovr? comunque rinunciare a breve alla carica. E il papato torner? di nuovo alla casa dei Medici.»

«E voi siete qui a volermi far credere che il mio signore, il Duca Della Rovere, da sempre acerrimo nemico della casata a cui appartenete, si sia gi? in segreto accordato con il Vescovo di Firenze, ancor prima di avere la certezza che sar? eletto al soglio pontificio? Ma fatemi il favore!»

«Credetemi! Per dimostrarvi la mia buona fede, vi ho portato un omaggio, che so per certo vi sar? gradito.»

Con uno schiocco di dita, Giovanni fece cenno di avvicinarsi a uno degli sgherri rimasti a breve distanza. Quest’ultimo balz? a terra e si avvicin?, andando a posare in terra, vicino al suo signore, una grossa cesta di vimini. Quindi si profer? in una riverenza e ritorn? indietro sui suoi passi. La tensione si poteva tagliare con il coltello. Tutti rimanevano in silenzio, persino i Conti di Carpegna si erano fermati a rispettosa distanza ed erano in attesa di come si sarebbero svolti i fatti. L’unico rumore che si poteva avvertire era il garrire degli stendardi, che si tendevano sotto la spinta del vento. Giovanni scoperchi? la cesta e afferr? il macabro contenuto, mostrandolo ad Andrea. Una testa mozzata di netto dal collo, ancora sgocciolante sangue, i capelli impigliati tra le dita di colui che con il braccio teso gliela stava sventolando fiero sotto il naso. Andrea trattenne a stento un conato di vomito, ma riconobbe a chi era appartenuto in vita quella specie di trofeo.

«Il vostro peggior nemico, Messer Franciolini! Masio da Cingoli. Come vedete, mi sono preso la briga di fare in modo che non vi dia pi? noia. Me ne dovreste essere grato e riconoscente!»

«A dire il vero avevo altre intenzioni su di lui. Avrei descritto i fatti al Duca Della Rovere, tramite una missiva il cui contenuto avevo gi? in mente, reclamando un giusto processo per questo poco di buono. L’ultimo dei miei desideri era quello di ucciderlo senza intervento della giustizia. Se lo avessi fatto, mi sarei messo al paro di lui. Sia mai che si dica in giro che il Marchese Franciolini ? un vigliacco!»

«Potevate sempre sfidarlo a duello, ma visto che qualcun altro ha pensato a lui, avete avuto salvo l’onore e potete di certo ritenervi soddisfatto», e cos? dicendo Giovanni Dalle Bande Nere gett? con disprezzo la testa di Masio a terra, in prossimit? dei piedi di Andrea, riprendendo subito il discorso, prima che quest’ultimo avesse modo di ribattere. «Ma c’? di pi?, e questa ? la bella notizia per voi. Io e miei uomini stiamo lasciando San Leo. Visti i termini dell’alleanza tra i Medici e il Duca Della Rovere, non c’? pi? nulla da temere in questi luoghi. Nei giorni prossimi le comunit? di San Leo e Maiolo ricadranno nella vostra giurisdizione. La nostra presenza ? invece reclamata a Brescia. Sembra che i Lanzichenecchi si siano mossi da Bolzano e premano alle porte di questa citt?. I Gonzaga da un lato e i Visconti-Sforza dall’altro, si sentono in pericolo, essendo il grosso delle forze Veneziane in questo momento impegnate in Dalmazia a respingere gli attacchi degli Ottomani. Il Della Rovere, da solo, non riesce a tener testa a quelle bande di soldatacci, e nessuno vuole che, dietro costoro, giunga l’esercito di Carlo V d’Asburgo a minacciare citt? come Milano, Firenze o, peggio, Roma. C’? bisogno dei miei soldati di ventura, e il nostro comune amico, Francesco Maria, lo ha ben capito!»

Se non fossi in queste condizioni, di certo il Duca avrebbe convocato me e i miei uomini a combattere al suo fianco, piuttosto che questo sanguinario con la faccia da angioletto, si disse Andrea tra sе e sе, guardandosi bene dall’esprimere questo suo pensiero. Ma, in fin dei conti, forse ora ? meglio cos?. Via il Medici, questi territori al momento sono tranquilli e io potr?, appena possibile, far rientro a Jesi e sposare la contessina Lucia.

Gett? un ultimo sguardo alla testa di Masio, ne ebbe piet?, la raccolse e la rinfil? dentro la cesta, chiudendola con il coperchio, poi si rivolse a Giovanni.

«Sono contento per voi, Messer Ludovico», e rimarc? la voce su questo nome, conscio di come fosse sgradito alla persona che gli era davanti essere chiamato cos?. «Vi ringrazio di tutto e vi auguro buona fortuna.»

Detto questo, si rigir?, balz? in sella al cavallo, raggiunse Piero e Bono, che erano rimasti fino a quel momento silenziosi spettatori, e si riavvi? al loro fianco verso la rocca, spronando la cavalcatura a passo veloce.

«Uno sbruffone, non c’? che dire!», si lasci? sfuggire Piero di Carpegna.

«Gi?!», replic? Bono.

«Lasciate perdere», intervenne Andrea. «Non ci dar? pi? fastidio, e questo ? l’importante. Piuttosto, fate recuperare la cesta con la testa di Masio. Voglio che gli venga data una degna sepoltura. Non sopporto davvero che qualcuno si sia preso la briga di fare giustizia per me, e non voglio che si dica che io abbia accettato con piacere l’esecuzione sommaria di quel vile. Vigliacco era in vita e vigliacco rimane. Ma io non sono pari a lui!»

«Ed ? vero!», rispose ancora Piero. «Avete un animo nobile e generoso, e tutti noi lo apprezziamo. Provvederemo a far sistemare i resti mortali di Masio. Anzi, manderemo qualcuno anche a cercare il resto del corpo, dopo che Giovanni Dalle Bande Nere avr? lasciato San Leo.»

CAPITOLO 3

Eleonora era bellissima. Il suo corpo nudo, semi abbandonato sul letto, imperlato di sudore, rifletteva le fiamme del camino, assumendo una colorazione ambrata, che ravvivava di nuovo il desiderio di Francesco Maria. Far l’amore con la sua sposa era molto pi? appagante che farlo con una servetta o, peggio, con una sgualdrina. Allung? una mano a sfiorarle un capezzolo. Lo sent? drizzarsi sotto il suo tocco delicato, poi vide Eleonora muoversi, risvegliarsi dal torpore e protendersi di nuovo verso di lui. Le bocche si unirono in un lungo bacio. Un incontro di labbra, di lingue, di corpi nudi ardenti di unirsi di nuovo, in un intreccio di lunghi capelli, biondi quelli di lei, scuri quelli di lui. Prima di penetrare di nuovo sua moglie, il Duca infisse i suoi occhi scuri, quasi neri, in quelli azzurro mare di lei.

«Ti amo», le sussurr?, rendendosi conto che quelle due parole, all’apparenza cos? semplici e scontate, non le avrebbe pronunziate in presenza di alcun’altra donna. Per tutta risposta, Eleonora prese il suo viso tra le sue mani calde, accarezz? la sua barba ruvida, accompagnandolo a distendersi supino sulle lenzuola di lino. Poi si mise a cavalcioni sopra di lui, facendo scivolare il suo membro turgido tra le sue cosce. Francesco Maria era in estasi. Gli piaceva moltissimo che fosse lei a prendere l’iniziativa. Guardava Eleonora dal basso dondolare sopra di lui, in un crescendo sempre pi? serrato di movimenti altalenanti, in un ritmo sempre pi? veloce e incalzante. Gocce di sudore, dalla fronte di lei, giungevano a imperlargli il petto, le gote, la fronte. Spinse le sue mani di guerriero lungo i fianchi della sua indomita puledra, fino a raggiungere i seni, per iniziare a carezzarli con movimento circolare. Sent? Eleonora eccitarsi ancora di pi?, sent? il suo fiato ansimante tramutarsi quasi in un grido di piacere. Cap? di non poter pi? trattenersi e inond? il ventre della sua donna che, raggiunto l’orgasmo, grid? ancor pi? forte, poi si ferm? e si accasci? sopra di lui, facendo in modo che il suo membro ancora non abbandonasse le spire del grembo di lei. Francesco sospir?, sazio della nottata d’amore, attese che l’erezione pian piano terminasse, poi scost? con delicatezza l’inerme corpo femminile. Sapeva bene che dopo il terzo amplesso, Eleonora si addormentava profondamente. Si assicur? che il suo respiro fosse regolare, ricopr? il suo corpo nudo con il lenzuolo, e si alz? dal letto, infilandosi le calze braghe. Port? alla bocca un paio di acini di dolce uva bianca poi, pensieroso, si avvicin? alla finestra ammirando i riflessi argentei della luna sulle acque del lago. Erano alcuni mesi che era ospite nel castello scaligero di Sirmione, un castello circondato dalle acque su tutti e quattro i lati e costruito in posizione strategica, sulla riva meridionale del Lago di Garda, dai Signori di Verona, proprio per contrastare i temibili nemici che immancabilmente scendevano dalle Alpi, lungo la vallata del fiume Adige. E in quel periodo il nemico era ancor pi? temibile, perchе anzichе essere costituito da un esercito regolare, era composto di sanguinarie bande armate di tedeschi, che venivano chiamati Lanzichenecchi, e che combattevano a tutto vantaggio dell’imperatore Carlo V d’Asburgo, ma lo facevano a modo loro. Le acque del lago erano tranquille in quella notte di met? Novembre e il paesaggio circostante, illuminato dalla luna e sovrastato dalle sagome delle montagne, era davvero suggestivo. Dalla finestra, Francesco Maria poteva gettare lo sguardo sulla darsena sottostante, un ampio piazzale dalla forma di quadrato irregolare, delimitato dalle mura del castello e invaso dalle acque del lago. Attraverso un’apertura della cinta muraria, imbarcazioni anche di una certa stazza potevano trovare rifugio sicuro all’interno. La darsena era il luogo di stanza per la flotta scaligera, una flotta che difficilmente avrebbe visto il mare aperto, considerando che il lago non aveva emissari navigabili comunicanti con le rive dell’Adriatico. Solo attraverso una serie di complicate manovre lungo canali d’acqua artificiali e campi allagati le imbarcazioni potevano essere trasferite alla grande darsena presso la Cittadella armata della citt? di Mantova. Da qui, attraverso il Mincio, si poteva poi raggiungere con facilit? il grande fiume Po, l’antico Eridano, e alfine navigare verso i territori Veneziani e verso il Mare Adriatico.

Guardando oltre le mura di settentrione, Francesco Maria, al momento, poteva osservare solo placide acque, punteggiate qua e l? di scafi, e baluardi montuosi, le cui cime avevano gi? cominciato a ricoprirsi della prima neve. Ma il nemico poteva comparire all’improvviso, da un momento all’altro, e il Duca non era contento che sua moglie Eleonora e il suo seguito fossero l?. S?, da un lato era felice di poter godere della sua compagnia e degli incontri amorosi come quello appena conclusosi, ma dall’altro temeva per la sua incolumit?. Erano passati quasi vent’anni da quando si erano sposati. Certo, erano solo due ragazzini quindicenni al tempo del matrimonio, un matrimonio politico che aveva rafforzato l’alleanza tra le famiglie Urbinate e Mantovana, ma le occasioni di stare insieme erano state davvero poche. Lei a Mantova, alla corte dei Gonzaga, e lui nelle Marche a combattere e combattere e combattere. Il primo figlio, Guidobaldo, che aveva ora nove anni, era arrivato dopo quasi due lustri dal giorno delle nozze, e quegli ultimi due mesi erano stati il primo vero periodo in cui Francesco Maria aveva potuto godere della sua vicinanza. Dal momento che la famiglia era riunita, si poteva anche pensare di mettere in conto qualche altro figlio, magari qualche femmina, in modo da nulla togliere al suo primogenito Guidobaldo. Ma sembrava che, nonostante i frequenti incontri amorosi degli ultimi tempi, Eleonora non accennasse a rimanere incinta. Che fosse ormai troppo anziana per procreare ancora? Ma no! In fin dei conti aveva trentatre anni, non era pi? una ragazzina, ma era di certo ancora in et? fertile. In tutto questo, il cuore gli suggeriva da un lato di tenere la moglie accanto a sе, per poter godere del suo amore e della sua presenza, dall’altro di rispedirla a Mantova per proteggerla dagli orrori di un’eventuale battaglia contro i famigerati Lanzichenecchi. Oltre tutto, era giunta proprio in quei giorni la notizia della morte del Papa Adriano VI, che era stato prontamente sostituito al soglio pontificio da Giulio De’ Medici, con il nome di Clemente VII. Non che fosse un evento inaspettato. Francesco Maria aveva previsto questo e i suoi emissari avevano lavorato per stringere patti con il Medici, ancor prima che fosse stato eletto Papa. Ma quello che lo preoccupava, e per cui non riusciva a dormire la notte, neanche dopo un appagante incontro con la bella Eleonora, era come avrebbe reagito Carlo V alla nuova situazione. Si sarebbe mosso, certo si sarebbe mosso su pi? fronti, in maniera ufficiale contro la Francia di Francesco I Valoise, contro il suo nemico di sempre, in maniera meno ufficiale facendo dilagare i Lanzichenecchi nell’Italia Settentrionale al fine di soggiogare Milano e mirare a Firenze e Roma, per riunire tutti i territori italiani, oltre quelli gi? posseduti di Napoli, Sicilia e Sardegna, sotto l’unica corona imperiale. Non sarebbe stato facile impedire all’esercito germanico, una volta spianata la strada dai Lanzichenecchi, di raggiungere Roma, metterla a ferro e fuoco e arrivare alfine alla citt? di Napoli, alleata di Carlo V. C’era solo da sperare nel valore e nell’intraprendenza di Giovanni Ludovico De’ Medici. E del suo uomo, che stava aspettando con ansia di giorno in giorno, il suo fido Marchese dell’Alto Montefeltro. A interrompere lo scorrere dei pensieri di Francesco Maria fu l’avvistamento della sagoma di un’enorme imbarcazione, un trealberi battente bandiera della Repubblica Serenissima, che dalle acque del lago reclamava l’apertura della porta d’accesso alla darsena. Mentre le guardie, dal camminamento della ronda, mettevano in atto la serie di complicate manovre che avrebbero permesso l’apertura della porta, il Duca si rese conto che, accanto allo stendardo raffigurante il leone di San Marco, disteso e con il classico libro aperto tra le zampe, ve ne era un altro pi? piccolo su cui campeggiava un leone rampante coronato. Era stato grazie ai raggi della luna che era riuscito a distinguere i disegni delle bandiere pur nel buio della notte. Il suo cuore era finalmente pi? sollevato. Quella bandiera era il segnale che aveva convenuto con i suoi uomini. Stava arrivando il Marchese Franciolino Franciolini, o meglio, il suo pi? fidato Capitano d’armi, Andrea Franciolini da Jesi. Col cuore in gola, si termin? di rivestire e scese in fretta le scale, per raggiungere un ampio salone e disporsi in impaziente attesa. Terminate le manovre di attracco, chi scendeva dalle imbarcazioni, doveva per forza entrare in quella stanza. Il Duca fece chiamare alcuni domestici, che provvidero a imbandire la tavola al fine di accogliere a dovere i nuovi arrivati. Anche se l’ora era tarda, dopo un lungo viaggio, trovare di che rifocillarsi era di certo gradito a chiunque.

I primi a sbarcare furono i servitori, che provvidero ad accatastare sul molo bauli ed effetti personali dei nobili guerrieri che avevano accompagnato in navigazione. La servit? del castello si precipit? fuori, sia per trasferire i bagagli di ognuno nelle stanze gi? assegnategli, sia per indirizzare i servi appena sbarcati verso le ali del castello loro riservate, affinchе potessero rifocillarsi, riposarsi e, se avessero voluto, approfittare della compagnia di qualche sgualdrina. Subito appresso scesero a terra i marinai, che furono tosto indirizzati verso le aperture che davano accesso al centro abitato di Sirmione, sul lato meridionale delle mura della darsena. Essi non vedevano l’ora di raggiungere le bettole, per banchettare, bere vino e adescare qualche bella paesana. Le donne delle terre Venete e Lombarde erano infatti rinomate in tutta la penisola per essere amanti appassionate e sempre disponibili. E poi parlavano con quell’idioma cantilenante che avrebbe aperto il cuore anche al pi? burbero dei marinai. E il tutto per pochi denari, molto meno di quello che si era abituati a pagare in altre zone per i favori sessuali di certe donzelle.

Gli ultimi a scendere dalla grande imbarcazione furono i nobili guerrieri, ognuno scortato dai propri attendenti. Uno dopo l’altro, varcavano la soglia dell’ampio salone dove venivano accolti dal Duca Della Rovere, che li invitava a congedare i sottoposti e sedersi alla tavola imbandita. Presto sarebbe stata festa, il cibo non sarebbe certo mancato e il vino sarebbe scorso a fiumi. A un cenno del Duca, alcune ancelle dalle colorate vesti trasparenti, che nulla lasciavano all’immaginazione, iniziarono a danzare sinuosamente su un lato della sala, al ritmo di una nenia richiamante atmosfere esotiche. Donne prese prigioniere e rese schiave durante le campagne della Serenissima contro l’impero ottomano. Donne che provenivano dalle terre del Vicino Oriente e che sapevano far danzare il loro ventre in maniera indipendente dal resto del corpo. A un secondo cenno del Duca, le ragazze si liberarono delle tuniche colorate e mantennero indosso solo minuscoli costumi a coprire seni e pube. La musica cambi? e le giovani ancelle, una pi? bella dell’altra, una pi? sensuale dell’altra, iniziarono a esibirsi nella provocante danza del ventre. Intanto i servi riversavano sopra la tavola imbandita ogni ben di dio, dai pasticci di lepre, all’arrosto di cinghiale, dalla selvaggina in agrodolce, ai conigli in salm?, alle verdure dai colori variegati, ai brodi di pollo e di manzo aromatizzati alle spezie. Le brocche di vino non facevano in tempo a fare la loro comparsa in tavola che gi? dovevano essere sostituite con altre piene.

Francesco Maria passava in rassegna i visi dei suoi ospiti. Il Duca di Orvieto, con una coscia di pollo in mano e un boccale di vino nell’altra, si era gi? avvicinato a una delle danzatrici, lanciando baci con le labbra unte in direzione di lei. Quella, per tutta risposta, si era liberata della parte superiore del costume ed era rimasta a seno nudo, continuando la danza in maniera ancor pi? provocante. Il Marchese di Villamarina, dal canto suo si era accomodato al desco, con la seria intenzione di mangiare e bere a saziet?, quasi infischiandosene dello spettacolo di danza. Scuoteva per? la testa al ritmo della musica. Messer Vittorio dei Gherardeschi, Conte della Caccia e Signore delle terre di Polverigi, si guardava intorno un po’ smarrito, come se tutto quello che stava accadendo nel salone non lo riguardasse affatto. Si avvicin? a Francesco Maria, lo salut? con rispetto e chiese di essere accompagnato nei suoi alloggi, in quanto era molto stanco e voleva riposare. Il Duca Della Rovere aveva scrutato tutti, ma non era riuscito ancora a individuare Andrea. Quest’ultimo, in maniera del tutto inaspettata, entr? a un certo punto nel salone dall’ingresso opposto a quello da cui erano entrati tutti gli altri, quello utilizzato da chi proveniva dalla terraferma, dal centro abitato di Sirmione. Andrea appariva provato, era molto pallido e aveva gli occhi cerchiati di scuro.

«Mio Dio, Andrea! Sembra proprio che le navi siano il tuo peggior nemico!», e cos? dicendo Francesco Maria si avvicin? al suo amico, stringendolo in un affettuoso abbraccio. «Per fortuna ho altri progetti per te, e domani ne parleremo in tutta tranquillit?. Ora accomodati e godi appieno della mia ospitalit?. Potrai rinfrancare corpo e spirito, e domani ti sentirai un altro uomo!»

Vide Andrea guardarsi intorno, ammirare la tavola imbandita, gettare lo sguardo sulle danzatrici orientali che, ormai quasi tutte a seni scoperti, qualcuna anche del tutto nuda, si concedevano alle voglie represse dei nobili guerrieri. Poi il giovane Capitano d’armi si avvicin? alla tavola, pilucc? qualche oliva in salamoia, bevve una coppa di vino ed espresse il desiderio di congedarsi.

«Raccontami del viaggio, Andrea! Come mai sei sceso dalla nave e sei giunto fin qui da terra?», prov? a trattenerlo Francesco.