banner banner banner
Nel Segno Del Leone
Nel Segno Del Leone
Оценить:
Рейтинг: 0

Полная версия:

Nel Segno Del Leone

скачать книгу бесплатно


«Accidenti!», si lasci? sfuggire Andrea in un bisbiglio, per non far arrivare la sua voce al microfono del telefono. «Magari ha deciso di continuare a finanziare le nostre ricerche archeologiche!»

Lucia mise l’indice avanti al naso, per intimare al suo compagno di fare silenzio.

«? un piacere per me apprendere del suo interesse per la mia persona. A cosa debbo, se mi ? lecito chiedere, questo onore?»

«Vedo che ha ricevuto un’ottima educazione, e di questo devo congratularmi con lei e con la sua famiglia. Ma veniamo al dunque. Vede, ai sensi dell'articolo 5 dell'attuale Statuto dell’Ordine di Santo Stefano, e in conformit? agli antichi Statuti dell'Ordine stesso, ogni anno scelgo tre nobiluomini da elevare al grado di Bal? Gran Croce di giustizia, in considerazione di alti meriti acquisiti nella vita, nel lavoro e nello studio. Mai prima d’ora questa onorificenza ? stata riservata a una donna. Ma, visti i risultati dei suoi lavori di ricerca sulle origini e sulla storia della sua nobile famiglia, mi sono sentito per quest’anno di fare uno strappo alla regola. E ho deciso che sia lei la prescelta per essere da me nominata Cavaliere di Gran Croce del Bal?. Pertanto, la invito ufficialmente alla cerimonia di investitura, che si terr? a Firenze nel giorno del Santo Natale.»

«Ma, Natale sar? appena tra quindici giorni! Ho degli impegni, sia di lavoro, sia personali. Sa, il mio fidanzato, la mia famiglia», cerc? di prendere tempo Lucia, un po’ confusa.

«Non si preoccupi. Venga pure a Firenze in compagnia del suo fidanzato o di altri membri della sua famiglia. Chiaramente, il viaggio per lei ? del tutto a mie spese. Le sto gi? inviando per e-mail la prenotazione per il treno Frecciarossa Ancona – Firenze, andata e ritorno, in prima classe. L’aspetto con ansia!», e riattacc?, senza neanche darle il tempo di rispondere.

Andrea e Lucia si guardarono l? per l? con aria allibita, poi scoppiarono in una risata.

«Cavaliere di Gran Croce del Bal?! I miei rispetti, Madonna!», declam? Andrea con aria canzonatoria, proferendosi in un inchino. «Penso di avere abbastanza motivi per iniziare a essere geloso. A mie spese, ti accompagner? a Firenze, non c’? da fidarsi.»

«Ma dai! Sua Eccellenza Imperiale e Regale sar? di certo una vecchia cariatide», replic? Lucia con aria divertita.

«Sua Altezza, non Sua Eccellenza», la corresse Andrea. «In ogni caso, la voce sembrava abbastanza giovanile. Non mi fido, non mi fido. Verr? con te, sempre che tu decida di andare, sia mai che ti lasci andare da sola! E poi non possiamo trascorrere il Natale uno distante dall’altra, non se ne parla nemmeno. Firenze ? una bella citt?, una delle citt? pi? romantiche d’Italia. Meglio non sprecare l’occasione di regalarti il pi? appassionante bacio della tua vita sopra l’Arno, sul Ponte Vecchio.»

«Oh, e da quando in qua saresti diventato romantico, tu che sei sempre stato un ammasso di muscoli e testardaggine?»

«Beh, da quando mi hai fatto ingelosire!», sorrise Andrea. «Ma al di l? di questo, Firenze ? una bellissima citt? d’arte e potremmo unire l’utile al dilettevole. In fin dei conti qualcuno scrisse “La bellezza salver? il mondo”, o sbaglio?»

«Fedor Dostoevskij ne “L’idiota”. Prima di sbilanciarti nel pronunciare una citazione, cerca di essere sicuro di conoscere fino in fondo ci? di cui trattasi, altrimenti piuttosto che la figura dello studioso fai quella…»

«…Dell’idiota!», scoppi? in una risata, si avvicin? a Lucia, la strinse in un caloroso abbraccio, avvicin? le sue labbra al suo viso profumato e inizi? a baciarla.

«L’ultima parola ? sempre la tua, eh?», riusc? a pronunciare Lucia ansimante, cercando di riprendere fiato e sfilandosi la camicetta. Sent? le mani di Andrea andare a cercare la fibbia del reggiseno per slacciarla, poi lo vide togliersi la maglia per rimanere anche lui a torso nudo. L’urgenza dei corpi nel cercare il reciproco contatto li trascin? in camera da letto, dove fresche lenzuola accolsero i due amanti ormai del tutto nudi.

«La bellezza salver? il mondo», ripetе Andrea, facendole capire che questa volta l’allusione era rivolta solo a lei.

CAPITOLO 7

Cavalcare nella pianura Padana in quella stagione fu considerato da Andrea quasi peggio che navigare in mare aperto. Abituato alle colline e alla montagne delle sue amate terre, non si sarebbe mai aspettato di avanzare per leghe e leghe in un terreno del tutto piatto. Ma l’elemento peggiore era l’umidit?, la nebbia che faceva perdere il senso dell’orientamento, tanto era fitta in certi punti, e si infiltrava sotto i vestiti fino ad arrivare a tormentare le ossa. Per non parlare dei sentieri, che spesso si perdevano nel fitto della boscaglia o che portavano dritti a paludi e acquitrini, impossibili da attraversare, costringendo a lunghi e interminabili aggiramenti, se non addirittura a ritornare indietro sui propri passi a scegliere un’altra diramazione della strada. E per fortuna i due soldati che lo accompagnavano erano pratici dei luoghi, altrimenti Andrea avrebbe gi? rinunciato a raggiungere Ferrara, gettandosi a terra e rimanendo in bal?a delle insidie della natura selvaggia della piana dell’Eridano. Finalmente, usciti dal bosco di Porporana, un ampio tratto di campagna coltivata si estendeva, verso il borgo di Pallantone, fino alla riva del fiume Po. Dopo il mezzogiorno, il sole era riuscito a trionfare sull’umidit?, e cos? Andrea not?, non senza disappunto, che senza protezione del bosco e della nebbia, lui e i due armigeri che lo accompagnavano erano del tutto allo scoperto e facile bersaglio di eventuali malintenzionati. Non fece neanche in tempo a terminare questa considerazione, che due cavalieri stranamente bardati li superarono di gran carriera, sollevando schizzi di fango e brandendo sopra le loro teste delle daghe un po’ pi? lunghe di quelle che Andrea era abituato a usare.

«Chi sono?», chiese Andrea preoccupato.

«Lanzichenecchi. Le spade che avete visto sono dette Lanzichenette, o Katzbalger. Quest’ultimo termine, nella loro lingua, significa pelliccia di gatto. Qualcuno vuol dire che, essendo i portatori di quest’arma di bassa estrazione sociale, essi sono incapaci di acquistarsi un fodero vero e proprio e quindi utilizzano la pelle di un felino domestico in sostituzione di esso. Ma non ? cos?. Molti Lanzichenecchi, pur combattendo come soldati mercenari, appartengono alla ricca borghesia o alla nobilt? teutonica. Il termine Katzbalger ? in effetti riferito alla ferocia ferina con cui essi combattono. In battaglia sono capaci di gettarsi tra le prime linee dei picchieri nemici, passando sotto la selva delle lance protese e vibrando quelle spade come mannaie, al fine di spezzarle. Ma non si fanno alcuno scrupolo neanche di mutilare gli avversari, mirando a parti del loro corpo non protette dalle armature. Datemi retta, mio Signore, ? gente pericolosa. Meglio starne alla larga.»

«Se sono cos? pericolosi come riferite, come mai sono liberi di scorrazzare cos? per le nostre terre?»

«Sono mercenari, e quindi liberi di mettersi al soldo del Signore che li paga meglio. I peggiori di loro sono quelli pagati a doppio soldo. Essi sono i pi? spietati, addestrati a combattere in prima linea o in zone considerate ad alto rischio. E pertanto vengono pagati con una paga doppia.»

«Non ? che magari il termine “doppio soldo” significa che non si facciano scrupolo di mettersi al servizio di due padroni allo stesso tempo, infiltrandosi come traditori o spie tra le file del nemico?»

«Pu? anche darsi! Ve l’ho detto. ? gente di cui non c’? da fidarsi. Ma bando alle chiacchiere!», prosegu? Fulvio, il fido armigero. «Il borgo di Pallantone ? rinomato per le sue taverne. Cucinano la cacciagione come in nessun altro posto che io conosca…»

«…E la accompagnano con un ottimo vino rosso frizzante. Una vera prelibatezza», aggiunse Geraldo, l’altro armigero che fino a quel momento non aveva mai parlato.

Andrea, attraversando le strade del borgo, not? diverse insegne di locande e taverne, ma i suoi accompagnatori si diressero sicuri fino alla piazzetta principale, dove un’insegna a bandiera indicava in scritte a caratteri gotici la Locanda dei guardiani degli argini. In effetti dalla piazza si avvertiva distintamente il rumore dell’acqua che scorreva con impeto nella golena subito dietro gli edifici di quel lato. Andrea e i suoi accompagnatori legarono le cavalcature agli anelli infissi nel muro esterno della taverna, si assicurarono di avere le spade nei rispettivi foderi ed entrarono nel locale. La sala era piuttosto gremita e l’odore di cacciagione cucinata in salm? si mescolava alla puzza di sudore emanata dagli avventori. Un uomo grassoccio, dal viso rubizzo e la fronte imperlata di sudore, con un sinale bianco legato attorno alla vita, venne loro incontro e li accompagn? a un tavolo libero.

«Cosa gradiscono lor signori?»

«Portaci un buon pasticcio di quaglie, pernici e coturnici. E un bel boccale di lambrusco per ognuno di noi», ordin? Fulvio, facendosi portavoce di tutto il gruppo.

Non fece in tempo a terminare di pronunciare queste parole, che la porta fu spalancata in malo modo con un calcio sferrato dall’esterno da un individuo di stazza robusta, seguito subito dietro da un altro uomo della sua stessa risma. Entrambi tenevano la spada in mano, anzichе infoderata. Accortisi della presenza dei Lanzichenecchi, la maggior parte dei presenti si alz? dai tavoli, cercando di guadagnare l’uscita, al fine di evitare inutili scaramucce con uomini noti per la loro arroganza e prepotenza. Pi? di un uomo, in prossimit? della soglia, inciamp? per caso nello stivale di uno dei due. Chi rotolava in terra non aveva neanche il coraggio di affrontare lo sguardo del Lanzichenecco. Si rialzava, si scrollava la polvere di dosso e usciva dalla taverna a gambe levate. Andrea, Fulvio e Geraldo rimasero ai loro posti, fissando il loro sguardo sui nuovi arrivati quasi con aria di sfida. Quelli, sul momento, finsero di non farci neanche caso. Presero posto a un tavolo lasciato libero dai precedenti avventori, sbattendo con fragore le loro Katzbalger sopra di esso. Uno dei due afferr? una brocca di lambrusco, la port? alla bocca, ne tracann? ampie sorsate, e infine si esib? in un rumoroso rutto.

«Scheisse! Bleah! Questo vino ? merda. Oste, portaci della birra.»

«Sapete bene che non abbiamo birra dalle nostre parti», rispose quasi balbettando l’uomo dalla faccia rubizza e dalla sudorazione che stava aumentando in maniera notevole. «Se non gradite il vino rosso, posso andare gi? in cantina a prendervi un buon bianco fresco. Vi assicuro che non ve ne pentirete!»

«Te ne pentirai tu, di non averci servito della birra!»

Uno dei due Lanzichenecchi scatt? in piedi e afferr? l’uomo da dietro, stringendogli un possente braccio intorno al collo. Andrea vide il cameriere diventare in viso sempre pi? rosso, sollevato da terra dalla notevole altezza del suo aguzzino, i piedi penzolanti a un palmo dal pavimento. Se non fosse intervenuto, quell’uomo a breve sarebbe morto soffocato.

«Ora basta!», esclam? Andrea alzandosi in piedi. «Se volete attaccare briga, non prendetevela con una persona inerme. Non c’? divertimento. Combattete da uomini, e non da vigliacchi, contro chi ? armato al pari vostro.»

Il Lanzichenecco, colto alla sprovvista, allent? la presa, permettendo al locandiere di riprendere fiato. Ma il suo amico, che fino a quel momento era rimasto seduto al suo tavolo, afferr? la sua spada e si diresse minaccioso verso Andrea. Quest’ultimo, estraendo la sua spada dal fodero, cerc? di studiare a colpo d’occhio il suo avversario.

Molti muscoli, ma poco cervello. Devo giocare d’astuzia. Vediamo. La spada ? possente, e tenuta con una sola mano. Ma la guardia ? particolare, costituita da un tondino in ferro sagomato a forma di otto, come quella dei grandi spadoni da battaglia. Posso parare il suo fendente in calata, ma non riuscirei a fargli sfuggire l’arma di mano. Io sarei sbilanciato, a quel punto, e il ritorno incrociato non mi lascerebbe scampo. In un batter d’occhio, con un sol colpo, potrebbe staccarmi la testa dal collo. E addio Andrea!

«Perchе ti impicci di cose che non ti riguardano amico? Non ? buona educazione interrompere una discussione in cui non si ha voce in capitolo. Specie per un nobile che sulla propria casacca ha ricamato il disegno di un leone rampante. Ors?, dimostrami quanto di leonino hai nel tuo sangue!»

Solo il tavolo di legno apparecchiato separava Andrea dal Lanzichenecco. Fulvio e Geraldo si erano alzati dalle loro sedie e si stavano dirigendo verso l’altro energumeno, al fine di evitare che anche lui afferrasse la spada. Furono lesti ad afferrarlo sottobraccio, uno per lato, costringendolo ad abbandonare la presa sul locandiere. Poi Fulvio estrasse uno stiletto e glielo appoggi? contro il collo, in modo da renderlo inoffensivo. Andrea, dal canto suo, vide il suo avversario sollevare la Katzbalger. Si mise con la sua daga in posizione di difesa, ad attendere il fendente da parare. Attese il colpo calante ma, facendo una finta all’ultimo momento, permise alla spada del lanzichenecco di proseguire la sua traiettoria e, per inerzia, di trascinarsi dietro il braccio che la reggeva. Il filo tagliente della Katzbalger si and? a infiggere sul tavolo, spaccandolo in due. Il teutone, squilibrato, cadde in terra insieme alla spada. La brocca di Lambrusco, volata in aria, disegn? una traiettoria ad arco, ricadendo e schiantandosi proprio sulla sua testa. Intorno al lanzichenecco si and? formando una chiazza rossa di vino e sangue. Andrea approfitt? dello stordimento momentaneo dell’avversario per giungergli sopra e appoggiargli la punta della spada contro la nuca.

«Come ti chiami, amico?», gli chiese sollevandolo per un braccio e riportandolo in posizione eretta, ma senza abbassare la guardia, continuando a minacciarlo con la punta della spada.

«Franz», rispose quello.

«Bene, Franz. Per oggi sei fortunato. Mi tengo la tua spada e ti risparmio la vita. Ma non capitare pi? sulla mia strada, perchе non sar? altrettanto clemente con te una seconda volta», e cos? dicendo lo spinse verso l’uscita, lo rigir? e lo cacci? fuori con un calcio nel sedere, mandandolo a mangiare la polvere della piazza antistante. Non and? altrettanto bene al suo compare, che giaceva in terra senza vita nella pozza del suo stesso sangue. Fulvio non aveva esitato ad affondare la lama dello stiletto al minimo tentativo del suo avversario di divincolarsi per sfuggire alla presa.

L’uomo dal viso rubizzo stava guardando allibito la scena. Nel frattempo era uscito dalle cucine un altro locandiere, molto somigliante al primo, sia pur con meno capelli in testa, con tutta probabilit? suo fratello.

«Che cosa avete combinato?», intervenne quest’ultimo. «Siete folli! Siamo abituati alle angherie di questi bellimbusti. Li lasciamo sfogare, si ubriacano, fanno qualche danno, sfasciano qualcosa, ma poi se ne vanno e per giorni e giorni viviamo in pace. Ora invece…»

«Non passeranno due giorni che di questo locale non rimarranno che ceneri fumanti», replic? il fratello, massaggiandosi il collo dolorante. «E i guardiani degli argini verranno ritrovati in fondo alla golena, finitici chiss? come!»

«Immagino che i guardiani degli argini siate voi due», disse Andrea, rivolto ai due locandieri. «Intanto, in fondo alla golena gettiamoci questo goto!»

«In effetti, mio Signore, non ? stata una buona idea lasciare libero quel Franz. Di certo torner? qui in forze a pretendere la sua vendetta. E noi non saremo pi? qui. Saranno loro due a farne le spese», intervenne Fulvio, indirizzando un cenno alla volta di Geraldo, che lo aiut? a tirar su di peso il cadavere, trascinarlo fino alla finestra e, attraverso quella, scaraventarlo nel canale che scorreva dietro la locanda.

Andrea, Fulvio e Geraldo si sporsero dal davanzale, osservando con aria soddisfatta come la forte corrente stesse portando via con sе il corpo inerte del Lanzichenecco.

«Trover? il modo di offrire adeguata protezione ai nostri ospiti», sentenzi? Andrea. «Ne parler? col Duca di Ferrara. Sono certo che invier? qui alcune sue guardie a loro protezione. Fulvio, Geraldo! Andiamo. Cerchiamo di raggiungere la citt? prima che faccia sera.»

I Guardiani degli argini si soffermarono all’ingresso della locanda, guardando i tre cavalieri allontanarsi fino a sparire nella foschia pomeridiana. In cuor loro sapevano che nessuna guardia del Duca D’Este sarebbe mai arrivata in quel luogo sperduto per offrire protezione a due locandieri. Non restava che sprangare il locale e allontanarsi da Pallantone. Ne andava delle loro vite.

CAPITOLO 8

Bernardino usc? davanti alla sua bottega con una copia del suo ultimo lavoro in mano. Voleva vederlo alla luce del giorno, osservare come erano venute le illustrazioni a colori. Con quell’edizione illustrata della Divina Commedia aveva superato non solo il suo predecessore Federico Conti, ma anche se stesso. Bernardino aveva ripreso l’edizione fiorentina del poema del sommo poeta Dante Alighieri. Sapeva che nell’anno del Signore 1481, Lorenzo Pierfrancesco De’ Medici aveva commissionato a Sandro Botticelli la realizzazione di cento tavole illustranti le scene del poema. Di queste cento il Botticelli ne aveva realizzate solo diciannove, che erano state incise su lastre, per poter essere stampate, dall’incisore Baccio Baldini. Non essendo stata portata a termine l’opera da Sandro Botticelli, l’edizione fiorentina, che presentava uno spazio bianco all’inizio di ogni canto, era stata alla fine commercializzata senza immagini. Il sogno di poter realizzare un’edizione principe della Divina Commedia, con tutte le illustrazioni stampate a colori, era stato coltivato da Bernardino per anni e anni. Era riuscito a far disegnare le tavole mancanti, sullo stesso stile del Botticelli, da alcuni monaci benedettini dell’Abbazia di Sant’Urbano, in quel di Apiro. Ma il vero tocco da maestro, che gli aveva permesso di veder realizzato il suo sogno, era stato quello di aver fatto rintracciare da alcuni suoi fidi collaboratori le incisioni del fiorentino Baccio Baldini. Quest’ultimo era stato dato per morto a Firenze nel 1487, all’et? di cinquantuno anni. Erano passati altri trentacinque anni e, dunque, fosse stato vivo, sarebbe stato ultra ottuagenario. Cosa rara, ma non impossibile, si era sempre detto Bernardino. E in effetti si sapeva che dalla sua bottega continuavano a uscire finissimi lavori di incisione su oro e rame, che non potevano essere opera dei suoi giovani allievi. Dietro c’era il suo zampino, che continuava a lavorare nell’ombra. Perchе volesse farsi credere morto, anche se le ipotesi erano assai, nessuno lo sapeva con certezza. Qualcuno diceva che volesse sfuggire ai creditori a cui doveva somme esorbitanti. Altri raccontavano che temesse le ire del Botticelli, in quanto non aveva soddisfatto le sue aspettative nel realizzare le incisioni delle lastre con cui dovevano essere stampate alcune sue opere a decorazione del poema di Dante Alighieri. Fatto sta che le diciannove lastre prodotte a suo tempo erano rimaste nella bottega dell’incisore e non erano state pi? stampate. Non solo, ma non erano state pi? reclamate nе dal Medici che le aveva commissionate, nе da Botticelli, che aveva ideato i disegni.

Paolo e Valentino, due fedeli lavoranti di Bernardino, si erano recati a Firenze e avevano individuato la bottega dell’incisore. Di lui, neanche l’ombra. Forse qualche anno addietro era morto davvero e i suoi allievi erano riusciti in effetti ad affinare le tecniche di bottega fino a raggiungere e superare l’arte del loro maestro. Non fu impresa facile per Paolo e Valentino, ma alla fine l’offerta in denaro fece capitolare gli allievi di Baccio, che cedettero le incisioni delle opere del Botticelli per una somma di tremila fiorini d’oro. Molto pi? di quello che valessero in effetti, ma Bernardino era convinto che avrebbe di certo recuperato la somma con i dovuti interessi, qualora fosse riuscito a stampare la sua Divina Commedia. I frati avevano realizzato non solo le illustrazioni mancanti, ma anche le incisioni delle stesse su lastre di rame, che Bernardino avrebbe poi riportato su lastre di piombo, pi? idonee per la stampa. Usare inchiostri colorati per le illustrazioni non era una novit?, ma implicava passaggi lunghi e ripetitivi per poter ottenere un buon risultato. Oltre il nero, Bernardino aveva usato il rosso, il blu e il giallo. Non pi? di quattro colori, si era detto, altrimenti non ne sarebbe venuto a capo.

Sfogli? con soddisfazione pagina per pagina, apprezz? ognuna delle cento illustrazioni, annus? l’odore della carta stampata, tast? con i polpastrelli la copertina in pelle seguendo con le dita le incisioni del titolo, lettera per lettera, la D, la I, la V, e cos? via. Alz? alfine gli occhi verso il cielo azzurro, terso, senza nuvole, del primo pomeriggio di una giornata di fine marzo. Ammir? le rondini che gi? volteggiavano nell’aria, animandola con i loro garriti. Era stanco, si sentiva stanco. Avrebbe voluto essere una di quelle rondini per vedere il mondo da una prospettiva diversa, dall’alto, volando come loro e scendendo in picchiata su tutto ci? che attirasse la sua attenzione. Ma capiva, dalla pesantezza delle sue gambe, che l’et? si faceva sentire ogni giorno di pi?. A grandi passi stava per raggiungere i sessant’anni, e non erano pochi, soprattutto per uno che aveva sempre lavorato come lui. Ebbe la sensazione di un vuoto nel torace, il cuore fare un tuffo come quando si prova una paura improvvisa. Alcuni battiti mancati, qualche colpo di tosse, e il cuore riprese a ritmo accelerato, per poi acquietarsi nel giro di qualche istante. Era una sensazione sgradita, ma alla quale Bernardino da qualche tempo si stava abituando. Rimessa a fuoco la vista, a pochi passi da lui si materializz? la nobile Lucia Baldeschi.

«Bernardino! Come siete pallido! Che succede?»

«Oh, niente di grave, Madonna Lucia. Palpitazioni. Ogni tanto il mio cuore fa le bizze, ma ho imparato che imponendomi di fare qualche robusto colpo di tosse, esso riprende il suo ritmo regolare.»

«Niente di grave, dite? Avete una certa et?, e i segnali che vi manda il cuore non vanno sottovalutati, o queste palpitazioni, come le chiamate voi, vi porteranno diritto alla tomba. E questa sarebbe un’evenienza a me ben poco gradita. Tenete!», e gli allung? una piccola boccetta di vetro scuro, contenente del liquido. «Quando avvertite questi disturbi, mettetene un paio di gocce in bocca. Ma non ingoiatele, trattenetele a lungo sotto la lingua e rimetteranno in sesto il vostro cuore, riportandolo a un ritmo e a una forza di contrazione normali. Se poi la vostra tachicardia – cos? si chiama in termini medici il vostro disturbo – dovesse peggiorare, ogni sera prima di coricarvi assumete un goccia di questo elisir, trattenendolo sotto la lingua come vi dicevo poc’anzi. Cos? facendo sarete preservato da nuovi attacchi, che potrebbero prima o poi rivelarsi fatali.»

«Mia Signora, volete incutermi timore? So di essere anziano, so che l’incidente occorsomi durante l’incendio della mia stamperia non mi ha lasciato indenne, so di avere anche qualche acciacco dovuto al fatto che sono anni che lavoro con il piombo, ma da qui a volermi far credere che sia a un passo dalla tomba…»

«Non dico questo, Bernardino. Dico solo che dovete riguardarvi. Sapete bene quanto tenga a voi e alla vostra amicizia. E infatti ? per questo che sono qui. Volevo dirvi che mi recher? ad Apiro i giorni prossimi, e cos? ero passata a salutarvi.»

Lo stampatore infisse i suoi occhi in quelli nocciola della nobildonna. Ammir? la sua bellezza, ammir? come, da ragazza che era, nel giro di breve tempo fosse diventata una donna matura, ancor pi? bella e piacevole. Avvolta nella sua gamurra dalle tonalit? del celeste, stretta in vita da un’elegante cintura di cuoio, la generosa scollatura che metteva in mostra la curva dei suoi seni, Lucia era di una bellezza che mozzava il fiato. I capelli neri, lunghi, erano raccolti dietro la nuca in una treccia, mentre la fronte era circondata da un semplice laccio in cuoio, abbellito sul davanti da una pietra preziosa dello stesso colore azzurro dell’abito che indossava. Bernardino, che non si era mai voluto legare a nessuna donna in vita sua, capiva che l’unica di cui si fosse innamorato, con cui era riuscito a condividere la passione per le arti, per la poesia e per la letteratura, era in quel momento a un passo da lui, ma era del tutto irraggiungibile. Non solo non avrebbe mai fatto l’amore con lei, ma da lei non avrebbe neanche mai ottenuto un bacio o una carezza. Doveva accontentarsi dei suoi sguardi, dei suoi sorrisi, delle sue parole. E gi? era tanto. Per il resto, poteva solo sognarla.

«Madonna, perchе andare ad Apiro? Non c’? pi? nessuno che vi leghi a quei luoghi. Sono luoghi dannati da Dio, popolati da demoni e da servi del demonio, streghe e stregoni. Voi siete una nobildonna, perchе volete essere scambiata per una guaritrice o, peggio, per una strega?»

«Oh, avanti, Bernardino! Cosa sono questi discorsi? Vi ha fatto male lavorare con i frati dell’abbazia di Sant’Urbano? Anche loro sono di Apiro, eppure vi hanno fatto comodo per il vostro lavoro. Per preparare infusi e medicinali come quello che vi ho fornito or ora, ho bisogno di raccogliere piante officinali. E ad Apiro, soprattutto nella zona di Colle del Giogo, se ne raccolgono tante e di ottima qualit?. E poi questa ? la stagione migliore per raccoglierne. Inoltre sfrutter? la fioritura dei Crocus per ricavarne i preziosi stimmi e potr? trovare anche tanti buoni germogli di asparagina. Cos? potr? rifornire anche le mie cucine. Star? via qualche giorno e ritorner? ritemprata nel corpo e nello spirito. L’invernata ? stata lunga e l’ho passata nell’angoscia per non aver avuto alcuna notizia di Andrea. Ora ho bisogno di distrarmi un po’, e di farlo a modo mio. Tra l’altro, mi piacerebbe anche far visita a Germano degli Ottoni, il reggente della Comunit? di Apiro.»

«Vedo che i miei consigli sono come parole gettate al vento. Datemi ascolto almeno in questo: fatevi accompagnare da una scorta fidata! In pi?, a questo punto, visto che vi recherete in quel di Apiro, voglio chiedervi un piccolo favore», e mise nelle mani di Lucia il prezioso libro che fino a poc’anzi aveva rimirato. «Questa ? la prima copia da me stampata della Divina Commedia contenente le illustrazioni realizzate proprio dai frati di Sant’Urbano. Fermatevi all’Abbazia e consegnate il volume al Padre Guardiano, salutandolo e ringraziandolo da parte mia. Credo che sar? ben felice di vedere quest’opera finalmente ultimata, e di tenerne una copia a corredo della biblioteca del Convento.»

«Siete sicuro di volervene separare? Mi sembra che sia l’unica copia che abbiate finora stampato!»

«Ne ho verificato la qualit? e ho tutto pronto per stamparne centinaia e centinaia di copie. Ritengo giusto che questa prima copia sia da consegnare alla comunit? di frati che tanto ha lavorato per la sua realizzazione.»

«Bene, Bernardino, se ? la vostra volont?, sar? ben lieta di portare a termine questa missione per vostro conto.»

Lucia fece quasi scomparire il tomo infilandolo sotto braccio. Poi si avvicin? con delicatezza allo stampatore, sfiorandogli una guancia con le sue labbra, a mo’ di saluto. Bernardino fece finta di nulla, ma il suo cuore era in subbuglio. Mentre la guardava allontanarsi, si abbandon? seduto su una panca di legno, in prossimit? dell’ingresso della bottega. Mise una mano in tasca e strinse la boccetta che gli aveva dato Lucia. Ma non fece in tempo a mettere in bocca qualche goccia del medicinale, perchе croll? prima. Ansim?, cercando aria, le palpebre si abbassarono. Sent? che il cuore non batteva pi?, era fermo. Scivol? dalla panca, fino a giungere in terra, poi tutto intorno si fece buio. Quando riapr? gli occhi vide Valentino, il suo garzone, sopra di lui, che gli stringeva il naso con le dita e spingeva forte il suo fiato all’interno della sua bocca. Gli fece cenno di smettere, trovando la forza di portare fino alla bocca la boccetta che ancora stringeva in mano. Riusc? a versare qualche goccia, trattenendola sotto la lingua. Nel giro di qualche istante si sent? pervadere da uno strano calore, riconquist? le sue forze, si ritir? in piedi, rifiutando l’aiuto di Valentino che gli tendeva la mano, e ritorn? dentro la bottega.

«Paolo! Valentino! Preparate le macchine. Si va in stampa!»

CAPITOLO 9

La primavera ? estasi.

Fiorire ? un atto d’amore.

(Anonimo)

Prima di lasciare la citt?; Lucia si rec? al Palazzo Vescovile per salutare il Monsignor Piersimone Ghislieri, che fu lieto di riceverla nella sala delle udienze.

«Mia cara Contessina, sono ben felice di vedervi», profer?, tendendo la mano inanellata verso la giovane, prostrata ai suoi piedi. «Su, su, alzatevi, e ditemi, piuttosto! Novit? da parte del Vostro promesso sposo? Si sa quando sar? di ritorno? Quando potr? finalmente unirvi in matrimonio?»

«Eh, quante domande, Vostra Eminenza. Avessi le risposte, sarei ben lieta di rendervene partecipe. Purtroppo, i miei informatori mi segnalano che Andrea ? stato inviato lo scorso autunno a combattere nei Paesi Bassi, ad affiancare i soldati francesi nella sporca guerra contro Carlo V d’Asburgo. L’inverno ? stato lungo, e di Andrea e dei suoi compagni d’armi non se ne ? saputo pi? nulla. Ma il mio cuore mi dice che ? di certo vivo.»

«Da quello che so, i francesi stanno avendo la peggio, tanto che il nostro Papa Clemente VII, per non essere travolto dagli eventi, sta cercando di tessere una possibile alleanza con l’Imperatore, al fine di salvaguardare lo Stato della Chiesa.»

«Davvero? E al resto dell’Italia, il nostro beneamato Papa non pensa? Cos? facendo aprirebbe la strada ai Lanzichenecchi, che potrebbero giungere fino a Milano, saccheggiarla, e da l? spingersi a Firenze e finanche a Roma. E i nostri, che stanno dando man forte all’esercito francese, che fine faranno?»

«Dobbiamo avere fiducia nel nostro Santo Padre. Vedrete, andr? tutto per il meglio. Ma ditemi il vero motivo che vi ha spinto a venirmi a trovare. Non credo, Contessina Lucia, che siate venuta qui a parlare di guerra e di politica. Quindi?», e il Cardinale si mise in atteggiamento di ascolto, guardando la giovane di sottecchi, con occhi furbi.

Lucia arross? leggermente, sentendosi osservata cos? da un alto prelato. Cerc? di dissimulare l’imbarazzo, distaccando lo sguardo dagli occhi del Cardinale e fissando le fiamme allegre del grande caminetto.

«Per alcuni giorni star? lontana da Jesi, e dunque non potr? seguire, come ho fatto per tutto l’inverno, il governo e l’amministrazione della citt?. Pertanto, in mia assenza, rimetto queste funzioni, che con tanta fiducia mi avete a suo tempo affidato, nelle vostre mani. Chiaro, fino al mio rientro.»

«Bene, non ho problema in questo, anche se sono pi? esperto in governo delle anime, piuttosto che delle faccende materiali e terrene. Ma, di grazia, ditemi dove volete recarvi, e per quanto tempo sarete assente. Non avrete intenzione di raggiungere il vostro amato nei Paesi Bassi, mettendo a rischio la vostra stessa vita?»

«No, non vi preoccupate. ? mia intenzione star via solo pochi giorni. Andr? verso l’Appennino e raggiunger? l’abbazia di Sant’Urbano. Ho una missione da compiere per conto di Bernardino, lo stampatore. Devo consegnare ai frati Benedettini, fratelli a Voi ben cari, una copia della Divina Commedia realizzata dal mio caro amico tipografo e arricchita con le illustrazioni disegnate dalla mano degli stessi monaci. Coglier? l’occasione per raccogliermi qualche giorno in meditazione e preghiera e fare penitenza. Dopo la lunga invernata trascorsa, ne avverto proprio il bisogno.»

«Bene, mia cara contessina. Non voglio ostacolare in nessun modo questa vostra volont?. Ma permettetemi di farvi accompagnare da alcuni uomini di mia fiducia. Vi faranno da scorta, e io mi sentir? pi? tranquillo.»

Lucia, che non aveva alcuna intenzione di essere controllata giorno e notte dagli sgherri del Cardinale, fece finta di pensarci un po’ su, poi riprese la parola.

«Vi ringrazio, Vostra Eminenza», e Lucia si abbass? un poco per riprendere la mano del Porporato e baciare l’anello per congedarsi. «Ho gi? dato ordine a quattro miei uomini di preparare i cavalli e le provviste. Sono gi? ben scortata. Non preoccupatevi per me.»

Come ovvio, l’indomani mattina di buon ora, ancor prima dell’alba, Lucia impart? istruzioni alle governanti delle bambine, svegli? lo stalliere, fece sellare Morocco, e se ne part? al galoppo, senza alcuna scorta e senza alcuna provvista.

Giunse all’abbazia di Sant’Urbano che era pomeriggio inoltrato. L’aria era frizzante. Anche se splendeva il sole, le montagne intorno erano ancora innevate. Risalendo da Esinante verso l’abbazia, Lucia si era fermata in un’ampia radura costellata di fiori colorati. La caratteristica di questi bei fiori, chiamati Crocus, era quella di spuntare in prati di montagna subito dopo lo scioglimento della neve. Gli stimmi dei crocus erano molto ricercati da massaie e guaritrici. Le prime, dalle piantine coltivate che fiorivano in autunno, ricavavano lo zafferano, ottimo condimento di colore giallo rossiccio da usare per rendere saporiti piatti particolari. Le guaritrici sfruttavano invece le propriet? medicamentose dei fiori selvatici, che in natura sbocciavano a primavera. Gli stimmi di questi ultimi andavano essiccati appena raccolti e poi conservati in vasetti di vetro ben chiusi. Il Crocus, oltre ad avere propriet? digestive, sedative e tranquillanti, poteva infatti risultare tossico, soprattutto se assunti a dosi elevate oppure se gli stimmi non fossero stati essiccati a dovere, secondo le regole tramandate di madre in figlia. Pertanto, una volta soddisfatta di quanto raccolto, Lucia fu lesta a saltare di nuovo in sella al suo destriero per raggiungere l’abbazia. Tra le altre cose avrebbe chiesto al Priore, Padre Gerolamo, di utilizzare l’essiccatoio di cui senza dubbio era fornita la farmacia del convento. Ma, giunta sul posto, la prima cosa che le balz? all’occhio, e che fece passare in secondo piano tutto il resto, fu il carretto di Padre Ignazio Amici, abbandonato nel piazzale erboso. Certo, era ricoperto di un bello strato di polvere, a dimostrazione che era l? da un bel pezzo. Ma il fatto che Padre Ignazio potesse giungere l? da un momento all’altro le metteva non poca ansia addosso.

Il Priore, con ogni probabilit?, aveva scorto dalla finestra della sua cella la damigella titubante nel piazzale dell’abbazia. E cos? era uscito per aiutarla a scendere da cavallo e per darle il benvenuto.

«Mia Signora, sono veramente onorato dalla vostra presenza. Ma, ditemi, come mai siete giunta fin qui, in questa stagione ancora rigida, e per di pi? da sola, senza alcuna scorta? Non ? poco prudente per una nobildonna andare in giro come fate voi?»

«Beh, ora che vedo quel carretto, qualche timore inizia anche a venirmi addosso.»

«Non preoccupatevi», sorrise Padre Gerolamo. «Se vi riferite a Padre Ignazio Amici, credo che non avremo pi? a che fare con lui e con le sue manie inquisitorie. Un anno e mezzo fa, dopo aver inscenato quella farsa di processo su al Colle dell’Aggiogo, ? scomparso e nessuno ha saputo pi? nulla di lui. Ma vi assicuro che non si aggira in questi boschi come un lupo. Qualcuno prima o poi lo avrebbe avvistato. Io stesso ho fatto dei sopralluoghi e ho trovato delle tracce inconfutabili che mi hanno reso convinto che il nostro fratello Ignazio, il giorno stesso delle ignobili esecuzioni, abbia messo i piedi in fallo, precipitando all’interno di una risorgiva sulfurea. Satana lo ha richiamato a sе, ? precipitato dritto dritto all’inferno!»

«Bene, anche se non auguro la morte mai a nessuno, neanche al mio pi? acerrimo avversario, questa notizia mi conforta. Ma veniamo ai motivi della mia visita.»

«Sicuro, ma non qui, mia Signora. Sta iniziando a fare freddo. Venite con me, raggiungiamo la biblioteca. Converseremo avanti a un bel camino acceso.»

La biblioteca era di per sе un ambiente caldo e confortevole. Le pareti erano quasi del tutto ricoperte di scaffalature ricolme di libri. Ogni sezione era contrassegnata da una lettera dell’alfabeto, a indicare l’iniziale del titolo dei testi ivi conservati. Alcuni frati lavoravano in assoluto silenzio, seduti ad alcuni scrittoi, disposti al centro della stanza. Un grande camino spandeva luce e calore a tutto l’ampio salone. A un cenno del Priore, gli amanuensi riposero in buon ordine i loro strumenti e si congedarono, uno dopo l’altro. In breve Lucia rimase da sola con Padre Gerolamo. Per prima cosa gli consegn? il prezioso tomo affidatole da Bernardino. Il Priore lo apprezz?, dapprima annusandolo, per sentire l’odore della carta stampata, poi sfogliandone alcune pagine, infine soffermandosi su alcune delle illustrazioni.

«Un ottimo lavoro!», si pronunci?, dirigendosi verso la sezione della biblioteca contrassegnata dalla lettera D. «Ringraziate il vostro amico tipografo. Pochi al mondo sanno lavorare come lui.»

«? lui che ringrazia voi. Senza il vostro lavoro, la sua opera avrebbe avuto ben pi? scarso valore. Ed ? per questo che ci teneva a farvi avere la prima copia che ha stampato.»

«Ne sono lusingato, e anche i miei confratelli lo saranno. Ma veniamo a noi. Fra non molto caleranno le tenebre, e immagino che abbiate bisogno di ospitalit?. Non abbiamo suore qui a Sant’Urbano, quindi dovr? farvi preparare una stanza per la notte nella foresteria. Spero non abbiate timore di dover rimanere da sola.»

«Non preoccupatevi, sono molto stanca e dormir? come un ghiro. E poi si tratta solo di una notte. Domattina all’alba ripartir?. Far? una visita di cortesia al Sindaco Germano degli Ottoni e rientrer? a Jesi prima di domani sera. Ma vorrei chiedervi ancora un paio di cosette. Innanzitutto vorrei pregare, e quindi vi chiederei di poter partecipare alla preghiera dei vespri insieme ai vostri confratelli.»

«E per questo non c’? problema. Recitiamo la preghiera vespertina nella chiesa e c’? sempre qualche fedele ad assistere. Prendete posto nella navata centrale e rivolgetevi al Signore come meglio ritenete. Ci sono anche dei Padri confessori, se volete approfittare. Avete qualche altra richiesta, mia Signora?»

«S?, se mi ? concesso. L’ultimo favore che vorrei chiedervi ? quello di far essiccare per me gli stimmi dei Crocus che ho raccolto stamani. Sapete bene che vanno essiccati il prima possibile, per sfruttarne le loro propriet? medicinali.»

«Purtroppo, in questo non posso accontentarvi. Il fratello che curava la farmacia era molto anziano ed ? venuto a mancare giusto qualche mese fa. Non abbiamo ancora avuto modo di sostituirlo, e quindi non c’? nessuno che sia in grado di usare lo strumentario che era di sua pertinenza.»