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Nel Segno Del Leone
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Nel Segno Del Leone

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Lucia stava per chiedere di poter fare lei il lavoro ma, conscia che la richiesta sarebbe stata motivo di serio imbarazzo per il Priore, si trattenne. Avrebbe dovuto trovare una valida alternativa per essiccare gli stimmi prima di tornare a Jesi. Non sapeva come, ma ci avrebbe pensato.

«Bene, certo, capisco. Fornitemi almeno alcuni vasetti di vetro per conservarli in modo adeguato.»

«Va bene, mia Signora, per quelli non ci sono difficolt?. Dopo i vespri, potrete consumare la cena in refettorio con noi e, alla fine del pasto, il nostro fratello custode vi consegner? i vasetti di cui avete bisogno.»

«Vi ringrazio moltissimo, Padre, e prima di andarmene non mancher? di elargire una generosa offerta al vostro Convento.»

Piuttosto che sulle preghiere e sui vasetti di vetro, i pensieri di Lucia erano concentrati su ben altri interessi, anche nel corso del colloquio con il priore. Era ben conscia che in quel giorno, 21 di Marzo, ricorreva l’equinozio di primavera, ma la notte che stava per giungere sarebbe stata ancor pi? magica per la circostanza astrale che prevedeva sia il novilunio, sia l’entrata del sole nella costellazione dell’ariete. Nella sua testa risuonava una frase che spesso la nonna le aveva ripetuto: “La luna nuova in ariete porta il fuoco sacro dell’amore, che ci render? tutte libere.”

Cos?, una volta rimasta sola nella stanzetta della foresteria, pi? volte si era affacciata alla finestra ad ammirare la volta celeste, che si presentava ai suoi occhi come un tappeto di stelle luminose, in cui la luna non si vedeva, ma la sua presenza si intuiva come un disco scuro evidente in un preciso punto del cielo. Ricordava una per una le parole della preghiera che la nonna Elena le aveva insegnato, da rivolgere alla Terra, alla Buona Dea.

Rendimi libera.Accendi il Fuoco Sacro eRendimi libera di essere.Rendimi libera di Amare. Rendimi libera e mi insegnerai ad aver dentro di me tutti gli amori del Mondo.

Prov? un brivido lungo la schiena al pensiero che qualcuno dei frati avesse potuto intuire poc’anzi i suoi pensieri. L’inquisizione era un’istituzione della Chiesa molto potente, anche in quei luoghi sperduti, e non era proprio il caso di doverci aver a che fare. Ma ora il desiderio di raggiungere il Colle dell’Aggiogo, il luogo magico in cui a suo tempo era stata iniziata all’arte di guaritrice e le era stato consegnato il volume “La chiave di Salomone” perchе ne fosse la custode, era troppo forte. In fin dei conti, che c’era di male, una volta giunta lass?, nell’accendere un fal?, magari al fine di essiccare al calore dello stesso gli stimmi dei crocus, recitare la preghiera alla Buona Dea e celebrare cos? l’equinozio di primavera in maniera degna, anche se in solitudine? Sarebbe potuta ritornare al monastero prima dell’alba, prima della preghiera mattutina dei monaci, e nessuno si sarebbe accorto di nulla

Quando fu sicura che tutto fosse tranquillo, afferr? i vasetti con i crocus e usc? nel freddo pungente della notte, raggiunse il suo cavallo, lo sciolse, per non far rumore lo condusse a piedi per un bel tratto, poi salt? in sella e prese su per l’erta che, superati i piccoli centri abitati di Poggio e di Frontale, conduceva al Colle dell’Aggiogo.

La radura antistante quelli che erano i ruderi della dimora di Alberto e Ornella era illuminata in maniera tenue dal chiarore bluastro emanato dalle stelle. La volta celeste era attraversata dalla via lattea ed erano ben riconoscibili da Lucia le principali costellazioni, il Piccolo e il Grande Carro, Orione, il Toro, l’Auriga, il Cane Maggiore, e via dicendo. Il luogo ricordava troppo a Lucia i tragici eventi di cui era stato teatro neanche due anni addietro, e quindi decise di proseguire verso la sommit? del colle. Individu? uno spiazzo tranquillo, leg? Morocco a un albero, raccolse la legna e accese il fal?. In breve le fiamme salirono allegre, disperdendosi verso l’alto in mille scintille. La giovane dispose i Crocus in prossimit? del fuoco, e si concentr? sulle fiamme, che in ogni istante assumevano forme e sfumature di colore diversi.

Le scintille rendono tutto ci? che ? invisibile e irreale, reale e visibile.

Ora il viso di Lucia era illuminato dalle fiamme e reso ancor pi? vivo dalla loro luce. La ragazza, immersa nei suoi pensieri e nelle sue meditazioni, non si era neanche accorta delle giovani donne che man mano si stavano avvicinando al fal? e che, tenendosi per mano, si erano unite alle sue meditazioni.

Tutto ? amore, e l’amore libera tutto e tutti e ci rende liberi.

Lucia sent? giungere queste parole alle sue orecchie, in maniera ovattata, quasi fossero pronunciate sottovoce da lei stessa. Poi si guard? intorno e si vide circondata da almeno una decina di ragazze che, al calore del fal? si erano iniziate a spogliare fino a rimanere nude, formando un cerchio intorno al fuoco. Gett? altra legna a ravvivare le fiamme e aumentarne l’altezza, e sent? l’istinto di liberarsi anche lei delle vesti.

L’Ariete ci avvolge nel suo abbraccio. Ci invita ad abbracciare, a sentire la stretta, a sentire il cuore che scoppia nel petto per la felicit?.

Declamando queste parole, prese per mano due delle giovani vicine a lei, invitando le altre a fare altrettanto per unirsi in un circolo attorno al fal?.

Noi meritiamo noi stesse.

Noi dobbiamo amare noi stesse.

Noi dobbiamo guarire dando amore e amore.

Guarire ? liberare l’amore che abbiamo dentro,

e sprigionare la forza che sentiamo dentro.

? tempo di sbocciare e di assaporare l’aria frizzante

e piena d’amore.

Le ragazze ora, dodici in tutto, compresa Lucia, danzavano in cerchio tenendosi strette per mano, completamente nude, alla luce del fuoco e delle stelle.

In questa Luna Nuova, che porta cambiamento

e insegnamento, dobbiamo solo abbracciarci tra noi

ed essere capaci di amare fino in fondo.

L’ariete porta in dono il fuoco dell’amore

.

A quel punto, il cerchio si ruppe e, a due a due, le ragazze si lasciarono cadere a terra, iniziando a carezzarsi tra loro, i corpi madidi di sudore, che luccicavano alle fiamme. Mani accarezzavano fianchi, lingue cercavano turgidi capezzoli, labbra rosse come il fuoco baciavano roride vagine. La terra accoglieva mugolii e grida sommesse, via via che ognuna delle giovani raggiungeva il sommo piacere. Poi si cambiava compagna e si ricominciava il rito. Lucia aveva raggiunto l’apice gi? tre volte, quando si accorse che il fuoco stava scemando, la luminosit? della volta celeste si stava attenuando e che, verso est, si iniziava a vedere il chiarore che preludeva al nuovo giorno. Si rese conto di essere rimasta sola, che accanto a lei non c’era pi? nessuno. Che avesse immaginato tutto? Che, in preda a una trance incontrollabile, avesse solo praticato dell’autoerotismo, stimolata dal calore del fuoco? Non importava! La notte era stata meravigliosa, il suo corpo aveva goduto, si era fuso con alcuni degli elementi della natura, con il fuoco, con la terra, con l’aria, con l’acqua, che ora sentiva scorrere in un ruscello l? vicino. Insomma, era in pace con se stessa. Anche i Crocus si erano essiccati al punto giusto e potevano essere utilizzati per scopi curativi. Ma adesso doveva essere lesta a ritornare al convento. O a decidere di non ritornarci affatto, per evitare che ai frati, soprattutto al Priore, venisse qualche sospetto su di lei e sul suo comportamento. Non si addiceva certo a una donzella aggirarsi per i boschi in una notte di luna nuova, soprattutto se coincideva con l’equinozio di primavera. Sarebbe stata subito tacciata di essere una strega!

Pertanto, raccolse le sue cose, recuper? il suo destriero e si diresse verso il centro abitato di Apiro. Meglio raccontare al Priore di essere partita di buon ora per non disturbare i frati. In fin dei conti, Germano degli Ottoni, alla cui dimora si stava recando, avrebbe confermato la versione dei fatti, qualora ci fosse stata ombra di dubbio da parte di qualcuno. Ma forse erano preoccupazioni del tutto inutili.

CAPITOLO 10

Con l’impressione di essere spiati nel loro percorso attimo per attimo, Andrea, Fulvio e Geraldo raggiunsero Ferrara che era gi? buio da un bel pezzo. Avevano illuminato il cammino con le torce, sobbalzando a ogni minimo rumore. Solo la visione dell’imponente sagoma del castello estense era riuscita ad acquietare i loro animi. In effetti, dal borgo di Pallantone a Ferrara non avevano pressochе incontrato anima viva, ma il timore di incocciare di nuovo in bande di Lanzichenecchi aveva pervaso i loro animi per tutto il tragitto. Il castello di San Michele era un enorme baluardo, circondato da un importante fossato, fatto erigere circa un secolo e mezzo prima per volere del Marchese Nicol? II. Andrea e i suoi compagni entrarono di gran carriera attraverso la porta principale, ritrovandosi nel piazzale interno della fortezza. Non furono intercettati dalle guardie solo perchе queste ultime erano state avvisate del loro arrivo dal Duca Alfonso in persona. Altrimenti tre uomini armati, che attraversavano il ponte sul fossato per raggiungere l’interno della fortezza, sarebbero stati facile bersaglio delle frecce delle guardie dagli spalti. Difatti, anche se la porta era aperta, tutta la fortezza era ben presidiata da sentinelle, presenti in gran numero sulle torri e sui camminamenti.

Alfonso I d’Este aveva al tempo 47 anni, ma ne dimostrava molti di pi?, forse provato nella vita dal matrimonio con Lucrezia Borgia, da cui aveva avuto ben 7 figli, di cui 3 morti in et? neonatale o puerile, e da una grave ferita riportata nell’anno del Signore 1512 nella battaglia a difesa di Cento. Ricevette Andrea nella sala delle udienze, vestito di tutto punto con una zimarra di velluto rosso, stretta in vita da un’elegante cintura di seta e sovrastata da un mantello di ermellino. Al collo del Duca spiccava una grande collana metallica finemente lavorata, con un pendente dove era raffigurata l’effige della sua defunta moglie, Lucrezia, morta di parto nel 1519. Anche Isabella Maria, la figlia nata in quella sfortunata occasione, era venuta a mancare a soli due anni di et?. Il Duca aveva fama di guerriero, tanto che anche durante le udienze, come in quel momento, portava la spada infoderata sul suo fianco sinistro, con l’elsa che sporgeva dalla cintura in maniera evidente. Dall’altro lato, sulla destra, una scarsella doveva servirgli per conservare denaro contante da utilizzare a ogni occasione fosse stato necessario. Alfonso I d’Este non solo era un grande esperto di tecnica balistica, ma era anche un maestro d’artiglieria, un metallurgista e fonditore di cannoni, tanto da essere soprannominato il Duca Artigliere. Nel 1509, durante la battaglia di Polesella, i cannoni del Ducato di Ferrara, fusi sotto la sua supervisione, erano riusciti a sgominare una flotta veneziana che aveva risalito il Po per raggiungere la citt? estense. Il Duca e i suoi artiglieri avevano atteso che una provvidenziale piena del Po sollevasse le navi fino alla linea di tiro dei cannoni, poi avevano fatto fuoco, distruggendo gran parte della flotta. Al tempo, la sconfitta navale della Repubblica Veneta da parte di un esercito terrestre aveva destato grande impressione, e aveva favorito il riappacificarsi dei rapporti tra la Serenissima e la citt? di Ferrara. Di recente il Duca aveva messo a punto una nuova tecnica di fabbricazione della polvere da sparo, da lui usata per la realizzazione di una nuova arma micidiale, detta granata, che era andata a sostituire i proiettili esplosivi. La granata, lanciata con l’utilizzo di armi da fuoco, cannoni o bombarde, si attivava al contatto col suolo. La polvere da sparo contenuta all’interno esplodeva e la deflagrazione spargeva tutto intorno materiali, quali schegge e frammenti metallici, atti a danneggiare il nemico.

Il Duca, gli occhi stanchi e arrossati, invit? Andrea ad avvicinarsi, e nel contempo chiam? accanto a sе un altro uomo, che apparve baldanzoso da una porta secondaria. Con non poca sorpresa, Andrea riconobbe Franz, il Lanzichenecco con cui aveva avuto a che fare non pi? di qualche ora prima. L’uomo si accost? al Duca con un ghigno stampato in volto. Andrea, di rimando, lo guard? in cagnesco. Ma doveva fare buon viso a cattivo gioco e attendere che fosse il Duca Alfonso a prendere la parola.

Con un cenno della mano, quest’ultimo fece accomodare i suoi ospiti alla tavola imbandita. I servi versarono il vino nelle coppe e poi si congedarono, lasciando il terzetto alla totale riservatezza.

«Oggi ? un giorno fortunato per me», attacc? il Duca sollevando la coppa e assaporando il vino. «Quasi in contemporanea, uno dal nord, l’altro dal sud, sono giunti qui a Ferrara, al mio cospetto, due valorosi guerrieri, anzi, oserei dire, due valorosi condottieri. Ors?, stringetevi la mano e fate amicizia tra voi, perchе ? mia intenzione affidarvi un’importante missione, che porterete a termine insieme. Franz di Vollenweider, Signore del sud Tirolo, vi presento il Marchese Franciolini, Signore delle terre dell’Alto Montefeltro!»

Andrea, pensieroso, sorseggi? il vino, addentando un pezzetto di focaccia intinto nel sugo del pasticcio di faraona.

«Signore del Sud Tirolo?», fece Andrea rivolto al Duca. «Al borgo di Pallantone, oggi all’ora di pranzo, questo Signore rendeva pi? l’idea di essere uno scellerato Lanzichenecco che altro. Abbiamo gi? avuto modo di conoscerci!»

«Gi?», replic? l’altro. «Se non erro siete in debito con me di un uomo e di una spada!»

«Suvvia, bando ai rancori!», riprese Alfonso, scolando la coppa di vino ed emettendo un sonoro rutto. «Ora ho bisogno che siate in accordo tra voi. Dovete raggiungere per me Giovanni dalle Bande Nere, su nel bergamasco, riferendogli importanti notizie da parte mia e da parte del Santo Padre.»

«Se dovete riferirgli notizie, perchе non inviare un messaggero, anzichе due valorosi condottieri, come ci avete definito poco fa?», intervenne Andrea, portando alla bocca un succoso boccone di petto di faraona e parlando a bocca piena.

«Lasciatemi spiegare, Marchese Franciolini. La questione ? delicata e raggiungere Bergamo, anzi il paese di Caprino Bergamasco, dove ? accampato Ludovico di Giovanni de’ Medici con i suoi soldati di ventura, non ? facile, ? molto rischioso. ? per questo che solo voi due, insieme, potete portare a termine la missione con successo. Voi, Andrea Franciolini, siete persona dalla spiccata intelligenza e dalle note doti diplomatiche. Oltre un condottiero, avete fama di essere un saggio amministratore. Inoltre conoscete gi? Giovanni, che si fider? di certo di voi. Dal canto suo, Franz ? in grado di tenere testa alle bande di Lanzichenecchi che infestano la zona, in quanto conosce molto bene le loro abitudini e si esprime nella loro lingua. Credo che possiate riuscire a raggiungere il bergamasco senza colpo ferire, cosa in pratica impossibile per un messaggero che, anche se scortato, potrebbe ritrovarsi sgozzato come niente fosse.»

«Da quello che so, Giovanni dalle Bande Nere ? impegnato su due fronti, ossia sta tenendo testa a due nemici diversi», riprese Andrea, interrompendo di nuovo il Duca Alfonso. «Nello scorso Agosto, ? stato ingaggiato dagli Imperiali e sta combattendo i Francesi e le loro mire espansionistiche in Italia. Soprattutto sta proteggendo Milano, per cercare di mantenerla in mano agli Sforza, che sono suoi familiari per parte di madre. Ma combatte anche contro i Lanzichenecchi, che mirano alla stessa citt? per conto dell’Imperatore Carlo V, perchе da qui sarebbe facile dilagare verso il sud, verso Firenze, e quindi verso Roma. L’Asburgo vuol riunirsi ai suoi cugini napoletani, agli Aragona, per riportare tutta l’Italia sotto la sua corona! Ma non pu? esporsi pi? di tanto e quindi manda avanti un’armata irregolare, che al bisogno pu? rinnegare in qualsiasi momento.»

«Bene, vedo che siete ben informato, ma quello che non sapete, per aver viaggiato in mare alcuni giorni, e che rappresenta il fatto pi? importante, ? che circa una decina di giorni fa, e precisamente il 23 settembre, Papa Adriano VI ? venuto a mancare all’improvviso. E noi sappiamo tutti da chi sar? rimpiazzato, da un Medici, dall’arcivescovo di Firenze. Giulio de’ Medici cercher? una possibile alleanza con i francesi, proprio per evitare che l’imperatore, Carlo V, giunga a Firenze e poi a Roma. Quindi quello che dovrete riferire a Giovanni ? che il suo zietto ? disposto a pagare tutti i suoi debiti, purchе lui inizi a pensare di smettere di combattere i francesi. Ha ottenuto delle belle vittorie su di essi, respingendo in questi giorni anche l’armata Svizzera, che stava scendendo dalla Valtellina per dar loro manforte. Ma da ora in poi non sar? pi? necessario. Deve concentrare i suoi sforzi solo nel combattere i Lanzichenecchi. Detto questo, detto tutto. Facciamo ora onore alla tavola!»

Al battito delle mani del Duca Alfonso, le porte del salone si spalancarono e i servi rientrarono con un enorme vassoio, dove faceva bella mostra di sе un intero cinghiale arrosto, che venne deposto al centro della tavola. Altri vassoi pi? piccoli, contenenti verdure e intingoli vari, andarono in breve a circondare il primo. Oltre il vino, in onore di Franz fu portata in tavola anche una brocca di liquido ambrato spumoso e fresco.

« Endlich Bier!», esclam? il Lanzichenecco. «Birra, finalmente, e di quella buona!»

«Bevete e mangiate a volont?, amici miei», raccomand? il Duca ai suoi ospiti. Domani prima dell’alba avrete delle cavalcature fresche e partirete alla volta di Bergamo.»

«E la mia scorta?», chiese Andrea. «Fulvio e Gerardo mi seguiranno in questa avventura?»

«No, dovrete andare voi due da soli. Provveder? io stesso a far s? che i due uomini possano trasferirsi a Mantova per riunirsi alla vostra compagnia e al Capitano da Mar Tommaso de’ Foscari. Voi stesso, Marchese, portata a termine la missione, potrete raggiungere con facilit? la citt? dei Gonzaga o, se pi? vi aggrada, raggiungere il vostro amato Duca Della Rovere al castello di Sirmione. Quest’ultima soluzione vi eviter? una scomoda quanto lunga navigazione, dalla darsena di Mantova al Lago di Ben?co, attraverso fiumi, canali e campi allagati, per di pi? a bordo di una nave troppo grande da manovrare con agilit? in tali acque.»

«Bene, questo lo potr? valutare al momento opportuno, replic? Andrea. «Accetto di buon grado una missione richiestami da un Signore noto amico e alleato del Duca Francesco Maria Della Rovere. Ma quali garanzie mi date che il qui presente Franz, una volta portata a termine la missione, non si rivolti contro di noi? Come ci fa credere ora che sta dalla nostra parte, potrebbe sempre fare il doppio gioco e passare di nuovo dalla parte dei suoi amici Lanzichenecchi e del suo caro imperatore Carlo V!»

A queste parole, un sorriso sardonico si stamp? sulla bocca di Franz, che replic? ad Andrea anticipando il Duca Alfonso.

«Suvvia, Marchese! Consideriamo la scaramuccia di oggi acqua passata. Voglio abbuonarvi i debiti che avete con me. In fin dei conti, il mio amico sar? egregiamente sostituito da voi, che siete molto pi? valido come compagno d’avventura rispetto a quella mezza calzetta che avete ucciso. Per quanto riguarda poi la mia spada, la mia Katzbalger, ve ne voglio fare dono. Io ne ho altre e sono sicuro che voi ne farete buon uso!»

«Una spada poco maneggevole, direi! Comunque vi ringrazio e accetto il dono, ma queste non mi sembrano ancora garanzie sufficienti.»

«Ma sar? sufficiente, a garanzia della mia buona fede, ci? che il Duca Alfonso mi ha promesso in dono», aggiunse Franz, abbassando la testa in segno di rispetto al Duca e aspettando che fosse quest’ultimo a riprendere la parola.

«Certo! Ho promesso a Franz che, in caso di esito positivo della missione, potr? ritornare a pieno titolo nelle sue terre del Sud Tirolo. Sar? nominato Arciduca di Bolzano e avr? giurisdizione sulla citt? e su tutta l’alta vallata dell’Adige. L’alto Adige diverr? territorio indipendente e garantir? io stesso la protezione dei suoi confini nei confronti degli eserciti imperiali. E sar? uno stato che far? da cuscinetto fra l’Impero e la nostra Italia, ora che la maggior parte dei governi italiani si sta alleando con il Re di Francia.»


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