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Frammenti Di Cuore
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Frammenti Di Cuore

3

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Frammenti Di Cuore

Aaron annuì di nuovo.

“Non dirlo a Jack. Ha la bocca larga. Si lascerà sfuggire qualcosa con Daniel, e Daniel penserà che hai bisogno di aiuto. Ma non ti aiuterà, dico bene?”

“Sì,” sussurrò Aaron.

“Risolverai tutto.”

“Sì, papà.”

“Riporta indietro il denaro. Fai quello che devi fare. Non tornare a casa.”

Aaron sentì qualcosa spezzarsi nel proprio corpo, come un osso, ma più in profondità. Chiuse gli occhi e si mise una mano sullo stomaco. “Per favore,” mormorò.

“Non dire niente,” lo interruppe Robert. “Non farlo.”

Aaron si morse la lingua.

“Prendi la macchina,” disse Robert. “Ti ho messo un po' di cose sul sedile posteriore: cibo non deperibile e acqua. Temo di non poterti dare di più. Hai fatto le valigie?”

Aaron scosse la testa.

“Avresti dovuto farle. Non venirmi a dire che non ti immaginavi quello che sarebbe successo. Ti avevo avvertito.”

“Lo so.”

“Ora dovresti andare.”

Portafoglio, chiavi, auto. Aaron aveva tutto. Non riuscì a muoversi.

Robert lo afferrò per il colletto della camicia, aprì la portiera e lo spinse nella macchina. Gli gettò le chiavi in grembo. “Vattene.”

Le mani di Aaron iniziarono a tremare di nuovo violentemente. Non riusciva a smettere di tremare, cazzo. Robert chiuse la portiera.

Aaron finalmente alzò lo sguardo verso il padre, fissandolo attraverso il finestrino. Robert lo guardava torvo e ogni tanto lanciava un'occhiata in direzione della casa. Quando Aaron non riuscì a inserire la chiave nel quadro, Robert fece un passo in direzione dell'auto.

Aaron riuscì a mettere in moto. Se avesse tardato ancora, Robert lo avrebbe picchiato di nuovo, più forte. Tuttavia, Daniel era al sicuro. Robert non lo avrebbe mai picchiato. Aaron chiuse gli occhi e pregò che fosse vero.

Cercando di ingoiare le lacrime, afferrò il volante con una mano e inserì la marcia con l'altra. Non si guardò indietro neanche una volta mentre si allontanava.

Capitolo Nove

Semantica

Aaron tirò fuori una scatola di cartone dal cassonetto dietro l'edificio dove aveva visto Farley l'ultima volta. La ricompose e ci ficcò dentro il denaro, poi scrisse 'Farley' sulla parte superiore con un pennarello nero. Appoggiò la scatola vicino alla porta e corse alla macchina. Aspettò un po', con le portiere ben chiuse, poi inviò un messaggio a Farley. Erano le quattro del mattino.

La donna che aveva visto durante le riprese uscì dall'edificio. Rimase in piedi sotto il lampione, guardandosi intorno nel parcheggio. Quando vide la sua macchina, fece un cenno ad Aaron e prese la scatola. Alcuni minuti più tardi, Farley gli inviò un messaggio. “È un piacere fare affari con te.”

Aaron se ne andò. Guidò fino al posteggio di un negozio di alimentari ancora chiuso e parcheggiò sul retro. Controllò che le portiere fossero ancora bloccate e si circondò il busto con le braccia.

I soldi non c'erano più. I soldi che avrebbero aiutato Daniel ad andarsene, erano spariti. Robert non avrebbe mai permesso a Danny di andarsene. Daniel aveva bisogno dell'aiuto di Aaron per mettere insieme il denaro necessario e poi lasciare quella casa.

Stai cercando delle scuse per tornare a casa. Ma non puoi farlo.

Aaron si appoggiò alla portiera. Non dire a Jack quello che era successo equivaleva a non poterlo neanche vedere, il che significava che non poteva più lavorare, che a sua volta voleva dire non avere più uno stipendio. Non aveva fatto le valigie, quindi non aveva neppure un cambio di vestiti oltre quelli che indossava. E quelli erano sporchi. Il suo petto si strinse. La camicia che aveva addosso sapeva di Ralph, anche se Ralph non l'aveva mai toccata. O forse lo aveva fatto. Aaron non lo avrebbe mai scoperto.

Si passò una mano sul viso. Sentiva caldo. Voleva abbassare il finestrino, ma aveva paura. Digrignò i denti e iniziò a spogliarsi, cercando di fare del suo meglio visto lo spazio ristretto. Getto i vestiti, le scarpe e i calzini sul sedile posteriore. Sentì qualcosa scricchiolare e si ricordò che Robert gli aveva detto di aver lasciato alcune cose.

La tristezza lasciò il posto alla paura, che ben presto lasciò il posto alla rabbia. Aaron conosceva bene la rabbia. Lo aveva reso forte. Non aveva bisogno di pensare a niente, quando era arrabbiato, doveva solo agire.

Completamente nudo, scese dall'auto e aprì la portiera posteriore. Gettò sull'asfalto tutto quello che Robert ci aveva messo, senza controllare neanche cos'era. Soddisfatto, richiuse la portiera e tornò dietro il volante.

Il motore tornò alla vita con un ruggito e Aaron diede gas. Alcuni minuti dopo, fece un inventario mentale di quello che gli era rimasto. La macchina era sua. Era un regalo di Robert e Jack. Il telefono era suo, ma lo stava pagando Robert. Probabilmente il suo numero sarebbe stato bloccato presto. Aveva bisogno di farsi un altro numero. Robert non voleva certo rischiare che Daniel lo chiamasse. Aaron poteva ignorare i messaggi e le e-mail, ma una chiamata dal suo fratellino… scosse la testa e tornò a concentrarsi.

Nel portafogli c'erano la patente, alcune carte, qualche tessera fedeltà di negozi a caso e venti dollari.

Aveva sempre tenuto l'auto pulita ai limiti della follia, conosceva ogni oggetto lì dentro, e, dopo aver buttato fuori quello che gli aveva dato Robert, sapeva che non c'era più niente che avesse un valore.

Avrebbe dovuto rubare dei vestiti nuovi… ma non poteva certo entrare nei negozi completamente nudo. C'era una coperta nel bagagliaio. Si sarebbe accontentato, per il momento. Era quasi l'alba. Il telefono di Aaron squillò. Sullo schermo apparve un numero sconosciuto. Non era quello che aveva usato Farley in precedenza, ma qualcosa gli disse di non rispondere. Ignorò il proprio istinto.

“Ciao, bellezza,” disse Farley.

“Ho restituito i soldi,” sbottò Aaron. “Cosa vuoi?”

“Non c'è bisogno di usare questo tono,” sogghignò l'uomo. “Volevo solo dirti di informare Silas che, se non sporgerà denuncia, riceverà comunque il suo ultimo stipendio.”

“Cosa?”

“Immagino che tu sia rimasto in contatto con lui? Non risponde alle mie chiamate, e questo è un affare abbastanza urgente.”

“Non sono in contatto con lui.”

“Ah, capisco. Non importa allora. Addio.”

“Perché dovrebbe sporgere denuncia?” chiese Aaron. La sua domanda cadde nel silenzio. Farley aveva già riattaccato. Aaron gettò il telefono sul sedile. Dentro di lui prese vita una strana lotta tra il desiderio di richiamarlo e quello di fuggire lontano. Ignorando entrambi i desideri, recuperò la coperta dal bagagliaio e tornò in città.

Mezz'ora dopo stava parcheggiando nel vialetto della casa di Silas. Il sole aveva appena iniziato a sorgere. La luce del portico era spenta. Aaron riusciva a vedere dei frammenti di vetro per terra. Si strinse la coperta intorno al corpo e scese, avvicinandosi alla casa. Quando bussò alla porta si rese conto che era socchiusa. Entrò in fretta e se la chiuse alle spalle.

L'interno era devastato. Il divano dove aveva dormito con Silas era squarciato. Il tavolo era stato ribaltato. C'erano carte e frammenti della vita di Silas sparsi ovunque, sul pavimento.

“Silas,” lo chiamò. Si diresse a grandi passi in cucina e quasi inciampò nella gamba spezzata di una sedia. “Silas, sei qui?” Si tenne la coperta addosso con una mano e afferrò il legno con l'altra, per usarlo come una mazza in caso di bisogno.

Continuò il giro della casa. La porta del bagno era chiusa. Tenendo su la coperta con le braccia, provò ad abbassare la maniglia. Era bloccata. Bussò. “Silas? Sei lì dentro?” Nessuna risposta.

Bussò più forte e chiamò di nuovo il suo nome. Ancora nessuna risposta. Fece qualche passo indietro, sperando di guadagnare abbastanza slancio nel corridoio, poi sbatté la spalla contro il legno.

La serratura si ruppe e l'anta si aprì. Aaron si precipitò dentro il bagno, una mano stretta attorno alla coperta e l'altra intorno alla gamba della sedia. Gli ci volle un lungo secondo per elaborare quello che stava vedendo.

La stanza puzzava di erba ed era piena di un misto di fumo e vapore.

Silas era seduto nella vasca da bagno, le sopracciglia sollevate in una espressione allarmata. Si tolse un grosso paio di cuffie e le fece cadere sul pavimento piastrellato. Il suo telefono era appoggiato sul bordo della vasca, collegato alle cuffie. Reggeva una canna proprio sopra il bordo dell'acqua.

“Ciao, Aaron,” disse. Il suo viso era coperto di varie sfumature di blu e viola. Aveva un labbro spaccato e un occhio così gonfio da essere quasi chiuso. Aveva un brutto taglio su una spalla e il petto era disseminato di lividi. Nonostante le ferite, si accigliò quando vide il volto di Aaron. “È stato Farley?”

“A fare cosa?” domandò Aaron.

“A picchiarti. In faccia.”

“Oh,” fece Aaron, mentre il suo cervello ricominciava a funzionare. “No, non è stato lui. Che ti è successo?”

Silas scrollò le spalle. “Farley era convinto che avessi rubato i soldi. Il che, tecnicamente, è vero.”

“Mi dispiace,” mormorò Aaron. Farley aveva ovviamente picchiato Silas, convinto che avesse lui il denaro. “Glieli ho restituiti.”

Silas inclinò la testa.

“Ho dovuto farlo,” gli spiegò. “Ha contattato la mia famiglia. Ha mandato a mio fratello un pezzo del video dove noi… di quello che abbiamo fatto.” Scosse la testa. “Mi dispiace. Ho dovuto farlo,” ripeté.

Silas sbatté le palpebre. “Aaron,” disse lentamente. “Stai indossando una coperta?”

Aaron si sentì arrossire. “Oh. Ehm, sì.”

“Hai qualcosa sotto?”

Aaron scosse la testa.

“Aaron,” lo chiamò di nuovo Silas. “Le coperte non sono vestiti.”

“Sì, lo so. Quanto sei fuori? Ti sei fumato anche il sapone?”

Silas scosse la testa. “Il sapone mica si fuma.” Porse lo spinello ad Aaron. “Vuoi fare un tiro?”

Aaron sospirò. “Sicuro.” Si avvicinò alla vasca e prese nota delle ferite di Silas. L'acqua del bagno era pulita ma con una leggera sfumatura rosa. Dopotutto Silas era ferito dalla testa ai piedi. Prese la canna. “Stai sanguinando.”

“Ormai ha smesso di sanguinare.”

Aaron osservò il taglio sulla sua spalla.

Silas seguì la direzione del suo sguardo. “C'è solo quell'osso martoriato e il mio naso. È rotto. Il naso, non l'osso della spalla.”

“Non dovresti bendarlo, o qualcosa del genere?” domandò Aaron.

“Lo farò più tardi.” Strinse gli occhi mentre lo osservava a fondo. “Chi ti ha colpito?”

“Mio padre.”

“Ah. Tuo padre ha visto il pezzo di video che Farley ha inviato a tuo fratello?”

“Quindi stai prestando attenzione alla conversazione.”

“Certo,” rispose Silas. “È una cosa seria.” Si guardò intorno nella stanza. “Immagino che il luogo non sia dei migliori. E, se non hai intenzione di fumarla, restituiscimela.”

Aaron gli ripassò la canna.

Silas fece subito un tiro. “Penso che sia il caso di uscire dalla vasca da bagno. Voltati, o se preferisci guarda pure, io comunque ti ho avvisato.”

Aaron si voltò e si fermò sulla soglia. Sentì un tonfo, poi il rumore dell'acqua che scendeva nello scarico.

“Sono coperto,” gli disse Silas. “Se è quello che ti spaventa.”

Aaron si voltò. Silas aveva un asciugamano avvolto intorno alla vita e aveva gettato via lo spinello.

“Vuoi continuare questa conversazione in camera da letto, in soggiorno o in cucina?” domandò. “Se posso permettermi, ti suggerirei il soggiorno, è quello meno incasinato al momento.”

“Andiamo in soggiorno,” concordò Aaron.

“Dopo di te.”

Quando raggiunsero il soggiorno, Silas si lasciò cadere sul divano rovinato. Il sangue gli colava ancora dal naso.

Aaron tornò in bagno e recuperò una scatola di fazzolettini, che poi porse a Silas.

L'uomo guardò prima i fazzolettini, poi Aaron. “Grazie.” Se li appoggiò in grembo.

Aaron alzò gli occhi al cielo. “Stai sanguinando di nuovo,” gli fece notare.

“Oh, giusto.” Piegò la testa indietro, afferrò una salvietta e iniziò a tamponare il naso. “Quindi,” disse poi, la voce leggermente soffocata, “tuo padre ti ha picchiato.”

“Sì.”

“È successo altro?”

“No.”

“Allora spiegami come mai hai buttato giù la porta del mio bagno indossando una coperta.”

Aaron sospirò, poi si sedette accanto a lui sul divano.

“Puoi dirmelo dopo,” disse Silas.

“Sì, forse più tardi. Cosa ti hanno fatto?”

Silas si strinse nelle spalle. “Ralph pensava che prendermi a calci e distruggere la casa avrebbe fatto apparire dal nulla i soldi spariti. Non vorrei essere io a dirtelo, ma si sbagliava.”

Aaron si portò una mano allo stomaco. “Lui… cosa ti ha fatto? Ti ha fatto del male?” 'Male' non era la parola giusta. Certo, Ralph ovviamente lo aveva ferito. Ma non era quello che intendeva Aaron. Tuttavia non ebbe il coraggio di chiederglielo. Non riuscì neppure a mantenere il contatto visivo. Si tirò la coperta sulle spalle e si guardò i piedi.

“Ha tirato un paio di pugni,” disse Silas. “Farley e Regina hanno perquisito la casa. Hanno fatto in fretta, però.”

La quantità di lividi sul corpo di Silas raccontava una storia del tutto diversa. “Perché non hai detto loro che ho preso i soldi quando me ne sono andato?” domandò Aaron.

“Farley ha insistito che stava cercando i suoi soldi,” ribatté Silas. “I soldi che tu hai preso erano tuoi. Non ho idea del perché pensasse di trovare i suoi soldi a casa mia.

“Amico,” lo fermò Aaron. “Un gioco di parole? Sul serio? Hai usato la semantica in un momento del genere?”

“L'ho fatto anche in momenti molto più critici,” rispose Silas, un angolo della bocca che fremeva come se stesse cercando di trattenere un sorriso.

Aaron scosse la testa. “Dov'è il tuo kit di pronto soccorso?”

“Sul comodino nella mia stanza, o forse da qualche parte sul pavimento.”

Aaron si alzò e andò in camera di Silas. Il kit era sul pavimento, parzialmente aperto. Raccolse il contenuto sparso, lo gettò di nuovo dentro e tornò da Silas.

Capitolo Dieci

Pistole e Coperte

Tornando in soggiorno, vide che Silas si era spostato in cucina. “Che stai facendo?” gli domandò.

Silas stava frugando in un armadietto sopra il microonde. Tirò fuori una grande tavola di legno, che somigliava in modo sospetto alla base dello stesso armadietto. “Rifornimenti,” rispose. Estrasse una borsa nera e rettangolare di grosse dimensioni e la porse ad Aaron. “Se avessero sprecato meno tempo a cercare di intimidirmi e più a frugare in giro, forse avrebbero trovato qualcosa di utile.”

“Sei davvero preparato a tutto, a quanto vedo,” commentò Aaron.

“La parola che stai cercando è paranoico,” lo corresse Silas. Afferrò un sacchetto del ghiaccio e un pacco di piselli surgelati dal congelatore. Tornò in salotto e Aaron lo seguì. Silas iniziò a svuotare la borsa nera: era piena di flaconi di pillole. “Ti fa male la faccia?” chiese ad Aaron.

“Non molto.” Faceva male ma non era un dolore insopportabile. Robert di solito evitava di colpirlo in viso. I lividi sarebbero stati troppo visibili. I segni sulla schiena e sullo stomaco di solito impiegavano un paio di settimane per sparire del tutto ma nessuno poteva vederli.

Silas prese un tubetto di crema dal kit di pronto soccorso. “Vieni qui, questo ti aiuterà.”

“Prima occupiamoci di te,” ribatté Aaron. “Senza offesa, ma sei un disastro.” Prese la crema dalle mani di Silas e lesse le istruzioni. Era una specie di antibiotico generico. “Questo posso metterlo sulla tua spalla, vero?”

“Sì.”

Aaron prese uno dei guanti usa e getta dal kit, immaginando che fosse necessario indossarli per evitare la contaminazione incrociata, o qualcosa del genere. Trovò un pacchettino contenente una salvietta imbevuta di disinfettante e ripulì la ferita dal sangue. Lasciò passare una manciata di secondi perché si asciugasse, poi si spremette un po' di crema sulla punta delle dita e la strofinò con cura sul taglio.

Silas si sedette più dritto, improvvisamente immobile, e guardò Aaron con un'espressione tra il divertito e l'intrigato.

Aaron prese una garza e la attaccò sopra la ferita, poi controllò il resto del corpo di Silas in cerca di altri tagli e lesioni di cui poteva occuparsi.

“Ci sono solo lividi,” gli disse Silas. “Guariranno da soli.”

“E il tuo naso?”

Silas alzò il pacchetto di piselli surgelati. “Questi sono per la mia faccia, e questo,” gli porse il sacchetto del ghiaccio, “è per la tua.”

Afferrò un po' di cotone sterile, ci spremette sopra la crema e, prima che Aaron potesse protestare, la spalmò rapidamente sulla sua guancia, appiccicandoci poi un grosso cerotto. Per tutto il tempo continuò a premersi il sacchetto di verdure sul naso.

“Grazie,” mormorò Aaron. Seguì il suo esempio e si appoggiò il ghiaccio sulla guancia.

“Ti ha picchiato altre volte?” domandò Silas.

“Non voglio parlarne,” rispose Aaron. “Così come tu non vuoi dire quello che ti è successo davvero.”

Silas sospirò. “Dammi la mano, per favore.”

“Perché?”

“Voglio dire qualcosa e vorrei sembrare il più sincero possibile.”

“Sembra già una bugia.”

“Va bene, allora lo dirò e basta.” Silas prese aria. “Farley, Ralph e Regina sono entrati in casa mia. Farley e Regina hanno iniziato a cercare tra le mie cose, Ralph invece mi ha stuzzicato e io ho reagito. Ovviamente ha vinto lui. È più grosso di me, ma mi consolo sapendo che gli ho provocato quasi altrettanti danni. Ho afferrato un coltello e lui me lo ha preso, facendomi il taglio che hai appena fasciato. Poi mi ha rotto il naso e poco dopo Farley lo ha chiamato. Ecco tutto.” Scrutò Aaron, probabilmente per vedere se lo stava ascoltando. “Abbiamo fatto a botte. È stato spiacevole. Ma questo è davvero tutto quello che è successo.”

Aaron si morse il labbro. “Mi dispiace di essermene andato senza dirti niente.” Avrebbe dovuto svegliarlo. Erano complici ormai. Avrebbe dovuto lasciare i soldi a casa di Silas. Non avrebbe dovuto farsi prendere dal panico. Il panico era sempre stato la sua prima reazione. Robert faceva bene a tenerlo alla larga da Daniel. Aaron non era di alcun aiuto nel momento del bisogno. Se si fosse fermato a riflettere, avesse svegliato Silas e poi chiamato Daniel per spiegare la situazione a suo fratello, probabilmente avrebbero potuto ideare un piano d'azione e Silas non sarebbe stato attaccato. Se Aaron non fosse stato completamente addormentato durante le chiamate di Farley, Silas adesso non sarebbe stato ridotto a uno straccio maciullato.

“Aaron.”

Alzò lo sguardo su Silas.

“Non è stata colpa tua,” disse l'uomo. “Non mi hanno violentato. Sono stato meglio, questo è vero, ma sono solo ferite esterne, che guariranno in fretta. Non è stata colpa tua.”

Aaron si allontanò un po' da lui. Era bello sentirsi dire che perlomeno qualcosa non era colpa sua… troppo bello. Non poteva rischiare di abituarsi, oppure avrebbe cercato l'assoluzione per tutti i suoi errori.

“Non sei tu il responsabile di quello che è successo,” disse Silas con forza. “Lo capisci?”

“Sì.”

“Prima o poi mi spiegherai perché non indossi niente a parte una coperta?”

Aaron si appoggiò contro lo schienale del divano. “Ho avuto una sorta di attacco nel parcheggio di un supermercato. Non lo so. È una cosa stupida. Semplicemente, non volevo più indossare quei vestiti.” Non aveva idea di quanti pezzi della storia Silas stesse riuscendo a mettere insieme. Aaron sapeva di non avergli fornito molto materiale su cui lavorare.

Silas non curiosò oltre. Si stiracchiò e sbadigliò. “Non ho dormito molto stanotte. Mi rendo conto che tecnicamente è mattina, ma non ho un programma da rispettare. Direi che anche tu sia stanco?”

Aaron annuì.

“La mia camera da letto è un disastro, come avrai notato, ma il materasso è ancora in buone condizioni. Io userò il divano.”

“Userò io il divano,” ribatté Aaron. “Sei messo peggio di me.”

Dormiamo insieme. Lo abbiamo già fatto. Non deve essere per forza lui a proporlo.

“Grazie, ma no. Anche se,” rifletté Silas, “il materasso gonfiabile potrebbe essere ancora tutto intero. Vado a controllare.” Si alzò, ondeggiò e poi barcollò lungo il corridoio. Tornò un attimo dopo portando con sé una pompa elettrica e un insieme di plastica sgonfia. “Io uso questo. Tu prendi il letto.”

“Non è sicuro dormire qui,” gli fece notare Aaron. “Possiamo condividere la camera da letto. Non è un problema.”

“Ti sentiresti a tuo agio?”

“Non te lo avrei proposto se mi fossi sentito a disagio.”

“Allora va bene.” Silas tornò in camera da letto.

Aaron si concesse un momento per calmare l'improvvisa tensione nelle spalle e nello stomaco, poi lo seguì. Esaminò la porta della camera da letto. “Il legno è cavo,” disse.

“È importante?”

“È più facile da buttare giù.”

“Non torneranno,” disse Silas. “E, se lo faranno, gli sparerò.” Fece un cenno in direzione della pistola posata sul pavimento lì vicino. Aaron non si era neanche accorto che l'avesse presa. “Dormirò tra te e la porta.”

“Okay,” disse Aaron. “Io terrò d'occhio la finestra.”

“Oppure potrei serrare la finestra, dormire tra te e la porta e lasciarti riposare in pace sapendo che siamo al sicuro.”

“Non siamo al sicuro,” gli fece notare Aaron. “Siamo degli… obiettivi. E se questa casa è così sicura, come hanno fatto ad entrare?”

“Oh,” fece Silas. “Capisco. Pensi che abbiano fatto irruzione qui dentro.”

“Non è così?”

“No, li ho fatti entrare.”

“Perché cazzo avresti dovuto farlo?”

“Perché non avevo niente da nascondere,” rispose tranquillamente. “Ed è stato divertente vedere Farley sbuffare e lanciare minacce ma andarsene comunque a mani vuote.”

“Questo è…” iniziò Aaron. “Non lo so. È strano.”

Silas si strinse nelle spalle e infilò la pompa elettrica nel materasso gonfiabile. Si avvicinò al comò mentre si gonfiava. Prese una manciata di vestiti e raccolse alcuni oggetti che erano stati gettati sul pavimento. Consegnò tutto ad Aaron. “Nel caso in cui tu voglia abbandonare quella coperta.”

Afferrò altri vestiti dal pavimento e uscì dalla stanza, sicuramente, pensò Aaron, per dargli un po' di privacy mentre si cambiava. Per la seconda volta nel giro di poche ore, si infilò di nuovo i vestiti di Silas. Si sentiva più pulito, ma più stanco. Si tirò la sua coperta fino alle spalle. Quando Silas tornò, Aaron notò che aveva indossato un pigiama al posto dell'asciugamano.

“Prendo io il materasso ad aria,” disse Aaron.

“No.”

“Sì. Ho visto i tuoi lividi. Le tue costole potrebbero essere rotte o incrinate. Non sono un medico, ma sono sicuro che ti abbiano colpito abbastanza forte.”

“No,” ripeté Silas. “Inoltre, avrò una visuale migliore dal pavimento.” Fece un cenno verso la sua pistola. Si stese in fretta al centro del materasso gonfiabile, il cuscino infilato sotto la testa e il corpo coperto dal soffice piumino.

“D'accordo,” sospirò Aaron. Chiuse la porta e girò la chiave nella serratura.

“Apprezzo la tua preoccupazione,” disse Silas. “Ma sono io quello esperto di medicina. Sono abbastanza sicuro di sapere cos'è meglio per me stesso.”

“Sei anche quello che tra i due ha uno strano desiderio di morte.”

“Non ho nessun desiderio di morte.”

“Certo, come no.” Aaron strisciò sul letto. Il materasso cedette leggermente sotto il suo peso.

Silas si girò, dando le spalle ad Aaron. “Se ti svegli prima di me, questa volta preferirei che non te ne andassi senza farmelo sapere.”

“Va bene.” Si sarebbe concesso un giorno per riposare, poi se ne sarebbe andato. Non poteva restare in città. Robert non glielo avrebbe permesso. Aveva solo bisogno di dormire e recuperare un po' di energie, a quel punto sarebbe stato pronto per partire.

Si addormentò cercando di ricordare quanti soldi gli fossero rimasti nel conto in banca.

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