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Frammenti Di Cuore
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Frammenti Di Cuore

3

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Frammenti Di Cuore

“Non voglio farlo,” ripeté. “Lasciatemi andare. Tenetevi i soldi ma lasciatemi andare.

All'improvviso Ralph smise di sfiorarlo e gli infilò un dito dentro. Aaron urlò.

Ralph mosse il dito, affondandolo e ritraendolo in un ritmo persistente.

“Registra,” ordinò. Premette con forza contro lo stretto anello di muscoli e inserì un altro dito. Bruciava.

Aaron era sicuro di stare sanguinando. Si schiacciò contro il letto e sussultò quando l'uccello premette contro il materasso. Aaron sentiva le dita di Ralph muoversi dentro e fuori. Le sentiva premere, allargarlo, torcerlo. Un dito si piegò e toccò qualcosa che gli fece vedere le stelle. Iniziò a piangere, ogni parvenza di dignità ormai sparita.

Ralph colpì ripetutamente quel punto, poi aggiunse un terzo dito. Aaron stava tremando ovunque. Aveva caldo. Ogni ondata di piacere provocata da quelle dita era subito seguita da una di nausea. La sua bocca si riempì di saliva e sale. Stava per vomitare. Stava per essere inculato lì, legato a un letto, nel suo stesso vomito, e sarebbe venuto come una vera puttana. E tutto sarebbe stato caricato online, in modo che migliaia di persone potessero vederlo. Aaron Beaumont è stato scopato nel culo e l'ha adorato. Aaron Beaumont è una puttana. Aaron Beaumont fa schifo.

Le dita di Ralph si muovevano ancora dentro e fuori dalla sua apertura. Gli strisciavano dentro e lui riusciva a sentire ogni dannato tocco. Tre, poi due, poi tre, tre, due, prostata, indietreggiano, due, tre, prostata, prostata, prostata.

Aaron voltò la testa e vomitò.

Ralph ridacchiò. Farley continuava a registrare, o forse no. Forse a quel punto si stava soltanto divertendo.

Pietà,” sussurrò Aaron. La puzza di sudore, vomito e sesso era forte. Cercò di allontanarsi dal macello che aveva combinato, ma non riuscì a sfuggire a quell'odore, non riuscì a sfuggire a quelle voci.

Pietà,” singhiozzò.

“Povero ragazzo,” rispose Ralph. “Non è la mia safe word.”

Aaron non riuscì a capire se urlò ancora. Sentì una risata. Venne colpito con forza sulla schiena. Udì qualcosa sbattere, poi un forte scoppio. Sentì qualcuno gridare. Ralph ritrasse le dita.

Lo stomaco di Aaron si rivoltò ma strinse i denti. Girò la testa in direzione dello scoppio. Era arrivato dalla parte opposta della stanza, quella vicino alla porta. Provò a togliersi la benda dagli occhi ma non ci riuscì.

All'improvviso calò il silenzio.

“Spostati da lui,” ordinò una voce profonda.

“Hai distrutto la telecamera,” protestò Farley.

Ci fu un altro scoppio. Il peso sulla schiena di Aaron sparì di colpo.

“Tutti fuori,” disse la voce.

Aaron udì dei passi. Pochi secondi dopo la benda venne tolta di mezzo e Aaron si ritrovò a fissare dei familiari occhi azzurro ghiaccio. Il Dom di prima adesso era vestito e aveva un lungo cappotto gettato su una spalla.

Il Dom non perse tempo per fargli le classiche domande – “Stai bene?” “Sei ferito?” –, piuttosto lavorò rapidamente per slegarlo. Prima le mani, poi la barra divaricatrice. Infine gli liberò l'uccello. Aaron non osò guardare in basso.

“Torneranno tra poco,” disse il Dom. “Dobbiamo sbrigarci.”

Aaron annuì, sbattendo le palpebre davanti alle luci troppo intense della stanza. Si strinse lo stomaco con le braccia.

“Aggrappati a me,” ordinò il Dom con voce tuttavia gentile. “Ti aiuto io ad alzarti.”

Aaron fece come gli era stato detto. Le sue ginocchia tremavano come impazzite ma le costrinse a collaborare.

Il Dom si tolse il cappotto dalla spalla e lo avvolse intorno ad Aaron. Infilò la pistola nella cintura dei pantaloni neri, poi, con un movimento fluido, sollevò Aaron tra le braccia.

Anche col peso di Aaron, si mosse veloce. Si diresse a passo svelto e sicuro verso la porta. Lasciò andare il ragazzo giusto il tempo di raccogliere la borsa con i soldi dall'angolo in cui era stata appoggiata e i vestiti di Aaron. Gli mise tutto tra le mani, poi lo afferrò saldamente e lo riprese tra le braccia.

Alcune voci echeggiarono nel corridoio dietro di loro. Il Dom si mise a correre e Aaron si aggrappò con forza alle sue spalle. Aprì la porta d'ingresso con un calcio, uscendo nell'aria fresca della notte.

“Qual è la tua auto?”

“Quella nera. Laggiù,” rispose Aaron. Indicò una macchina parcheggiata poco distante.

“Le chiavi?”

Aaron frugò nella pila di vestiti che aveva in grembo e recuperò le chiavi. Il Dom lo appoggiò con gentilezza sull'asfalto e Aaron si strinse i vestiti al petto.

L'uomo gli aprì la portiera, poi si affrettò dal lato del guidatore e si mise al volante. Aaron non aveva neppure le forze necessarie per protestare.

Farley era già davanti all'ingresso dell'edificio, affiancato da Ralph e Dio solo sapeva chi altro.

Il motore si accese ruggendo e il Dom fece retromarcia premendo con forza sull'acceleratore. Procedettero all'indietro fino alla fine del vialetto, raggiungendo la strada principale in pochi secondi. Il Dom mise subito la marcia senza fermarsi neanche per un secondo.

Ce l'avevano fatta. Aaron si voltò indietro, osservando la facciata di quel luogo terribile sparire dietro gli alberi. Si lasciò sprofondare nel sedile.

Lanciò un'occhiata all'uomo che in quel momento stava guidando la sua auto, mentre sentiva l'adrenalina scorrergli con forza nelle vene. “Non so neanche come ti chiami,” mormorò.

“Silas.”

Aaron annuì. “Grazie, Silas. Sono in debito con te.”

Capitolo Tre

Al Sicuro

“Dove vivi?” chiese Silas.

Aaron si premette le mani sugli occhi. “Vai a casa tua. Tornerò alla mia da lì.”

“C'è qualcuno che può prendersi cura di te?”

Aaron deglutì a fatica. Robert doveva essere a casa, a meno che non fosse rimasto ancora al bar. Se davvero c'era un Dio in paradiso, lo avrebbe fatto rimanere ancora a lungo fuori casa per impedirgli di assistere alla caduta di Aaron.

“Lo prendo come un no,” disse Silas.

Aaron doveva aver impiegato troppo tempo per rispondere.

“Mio padre,” disse. “Vivo con mio padre.”

“È sicuro?” domandò Silas. “Si prenderà cura di te?”

“Non preoccuparti.” Si spostò sul sedile e il culo gli inviò una fitta. Il fantasma della mano di Ralph gli toccò la carne martoriata. “Accosta,” farfugliò.

“Che succede?”

Aaron si afferrò lo stomaco. “Accosta e basta,” ringhiò. Silas rallentò e fermò l'auto sul ciglio della strada.

Aaron spalancò di colpo la portiera e si sporse fuori. Aveva voglia di vomitare ma non c'era più niente da buttare fuori. Rimase chinato in avanti, ansimando in cerca d'aria.

Silas gli toccò una spalla e Aaron sussultò così forte che quasi cadde a terra.

“Aaron,” mormorò piano l'uomo.

“Non toccarmi,” ansimò Aaron. Sentiva le mani di Ralph ovunque sul proprio corpo.

'Bravo ragazzo.'

Aaron scese barcollando dall'auto, una mano ancora stretta intorno alla portiera. L'erba fresca e bagnata di rugiada gli accarezzò le ginocchia. Sentì la portiera dal lato del guidatore aprirsi e poi richiudersi.

Silas si inginocchiò in modo da avere gli occhi alla stessa altezza dei suoi. “Penso che dovresti andare al pronto soccorso,” mormorò.

Il pronto soccorso. Non era un'emergenza. Non era stato violentato. Si stava solo comportando come un bambino. Aveva soltanto bisogno di calmarsi. Aveva soltanto bisogno di smettere di tremare. “Sto bene,” rispose. Il suo stomaco sussultò di nuovo.

“Hai bisogno di farti vedere da un dottore.”

“Non posso farlo.”

Non posso permettere a nessuno di vedermi così. E che io sia maledetto se rischierò di farmi riconoscere da qualcuno all'ospedale.

“Allora lascia che ti porti a casa mia,” disse Silas gentilmente. “Ero un medico, una volta. Ma capisco se non ti fidi di me.”

Aaron finalmente riuscì ad alzare lo sguardo dal terreno.

Le sopracciglia di Silas erano aggrottate dalla preoccupazione. La sua espressione in qualche modo faceva sentire ancora più dolore ad Aaron.

“Ho bisogno di sapere cos'è successo – se ti hanno drogato e in che modo ti hanno picchiato – ma non voglio metterti a disagio.”

“Mi ha solo messo alcune dita nel culo e schiaffeggiato un po',” borbottò Aaron. “Ecco tutto. Non mi ha violentato.” Barcollò leggermente e strinse la presa sulla portiera. “Non è un grande problema. Sto solo reagendo in modo esagerato. Ogni tanto lo faccio. Probabilmente per attirare l'attenzione. Ignorami e basta.”

“Aaron.” La voce di Silas era ancora dolce ma adesso conteneva anche una punta di autorità. “Questo è un grosso problema.”

“Non lo è,” ribatté Aaron. Aveva la vista offuscata dalle lacrime e stava per piangere di nuovo, dannazione. Non si meritava di tornare a casa. Non si meritava suo padre o suo fratello.

“Riesci a rientrare in auto?” domandò Silas.

Aaron chiuse gli occhi e annuì.

“Hai bisogno di aiuto?”

Scosse la testa. Il minimo che poteva fare era riuscire ad alzarsi da solo. Si sollevò, sentendo le ginocchia tremare con forza, e si rimise seduto. Silas gli chiuse la portiera e prese di nuovo posto dietro il volante.

“A casa mia?” domandò.

“Sì,” mormorò Aaron.

Silas guidò velocemente. Quando raggiunse il quartiere in cui viveva, fece più volte il giro dell'isolato, dicendo che era il modo migliore per assicurarsi che nessuno li stesse seguendo. Dopodiché, si fermò in un vialetto e parcheggiò la macchina.

“Aaron,” lo chiamò, con voce ancora gentile, “ho bisogno che tu prenda le chiavi e ti sieda al volante con le portiere bloccate. Vado a controllare la casa e il giardino per assicurarmi che siamo davvero soli.”

“Non dovresti andare da solo,” disse Aaron.

Silas sembrava quasi offeso. “Ti giuro che andrà tutto bene.” Gli consegnò le chiavi e prese la pistola. “Se vedi qualcosa di sospetto o qualcuno che non sono io avvicinarsi, non aspettarmi: guida il più lontano possibile e il più velocemente possibile, senza guardarti indietro.

Col cazzo che lo farò.

“Va bene,” rispose comunque.

Silas annuì, anche se non sembrava del tutto tranquillo. Chiuse la portiera e aspettò che Aaron le avesse bloccate tutte prima di andarsene. La sua figura scomparve rapidamente nell'ombra e Aaron lo perse di vista. I dieci minuti successivi si trascinarono in modo estremamente lento.

Quando la luce del portico si accese, Aaron rilasciò un respiro che non si ricordava neanche di aver trattenuto. Silas ricomparve nel suo campo visivo, alzando un pollice in direzione dell'auto.

Aaron afferrò in fretta i vestiti e la borsa e scese. Silas si offrì di portarlo di nuovo in braccio ma Aaron rifiutò, la sua dignità era stata già calpestata abbastanza per un solo giorno. Silas lo condusse in soggiorno e gli disse di mettersi comodo sul divano mentre andava a chiudere la macchina e il garage.

Pochi minuti dopo era di ritorno. “La tua macchina è al sicuro. Il sistema di allarme è inserito e tutte le porte e le finestre sono bloccate. I sensori in giardino sono attivi e lascio la luce del portico accesa, quindi sarà difficile sgattaiolare in casa senza venire scoperti. Sei al sicuro, qui.”

“Porno attore, dottore, esperto di sicurezza…” elencò Aaron.

“Sono un ex-militare,” gli spiegò Silas.

“Oh. Non ci avevo pensato. Esercito?”

“Una cosa del genere.”

Quello spiegava molte cose. “Eri un medico nell'esercito?” domandò Aaron.

“Sì.” Silas fece il giro del divano. “Posso avvicinarmi?”

“Certo.”

Silas si avvicinò, la testa inclinata e le sopracciglia aggrottate. “Vorrei darti un'occhiata,” disse. “Ma non so se ti aiuterei o peggiorerei la situazione. Sono abituato a trattare i traumi fisici. Con quelli psicologici non ho molta esperienza.”

Aaron appoggiò la testa contro l'imbottitura del divano. Era ancora avvolto nel giubbotto di Silas, e si stringeva il borsone e i vestiti contro il petto. Gli avvenimenti delle ultime ore stavano sul serio iniziando a pesargli addosso. Si sentiva in bilico tra intorpidimento e pazzia. Aveva voglia di urlare.

“Non voglio vomitare sul tuo divano,” disse.

“Penso che il tuo stomaco sia completamente vuoto,” rispose Silas. “Quando è stata l'ultima volta che hai mangiato?”

“Non ne sono sicuro,” mormorò Aaron. “L'altro ieri?”

“Gesù,” sospirò Silas. “Hai bisogno di mangiare… niente di pesante, ovviamente, ma il tuo corpo ha bisogno di energie. Ti consiglio di farti una doccia, o un bagno se ti senti troppo debole, poi vorrei visitarti e dopo ancora darti da mangiare.”

“Va bene.”

Silas lo guardò. “Posso accompagnarti in bagno?”

“Sì.”

'Sì, signore.'

Aaron si coprì il viso con le mani. Trenta docce non sarebbero state sufficienti neppure per iniziare a lavare via quello che era successo. Era sporco. Ma avrebbe dovuto imparare a conviverci.

Permise a Silas di trascinarlo in piedi e di accompagnarlo in bagno.

“Doccia o vasca?” domandò Silas.

“Doccia,” rispose subito Aaron. “Non voglio rimanere immerso nella sporcizia.”

Silas fece scorrere lentamente il pollice sulla spalla di Aaron, poi aprì l'acqua e controllò la temperatura. “Hai bisogno di aiuto per lavarti?”

Aaron guardò il pavimento piastrellato e sentì come se la sua testa fosse diventata troppo pesante per poter essere sollevata. “No,” borbottò.

“Sei sicuro? Ho già aiutato molti pazienti a lavarsi. Non ti farò del male.”

Aaron trattenne un singhiozzo. Avrebbe dovuto dare ascolto a Silas quando gli aveva detto che Ralph era rude. Avrebbe dovuto insistere per restare con Silas. Non avrebbe dovuto dare ascolto alla propria avidità. Avrebbe dovuto accontentarsi della riduzione di denaro ma stare bene.

“La safe word non ha funzionato,” sussurrò Aaron, con lo sguardo sempre rivolto al pavimento. “L'ho detta, ma…” Trattenne un altro singhiozzo. Il rumore della doccia in sottofondo gli rendeva più facile parlare, faceva sembrare la sua voce più leggera e distante.

“Sono dei mostri,” disse Silas. “Non avrei dovuto lasciarti solo con loro.”

“Come puoi lavorare con persone del genere?” chiese Aaron. Si pentì delle proprie parole appena le ebbe pronunciate. Silas non era un mostro. Non avrebbe dovuto accostarlo a loro.

“Ho lavorato con loro per due settimane,” rispose Silas. “Questa è stata la prima volta che li ho visti fare qualcosa di così brutto. Anche se probabilmente sparare al regista e al Dom di turno mi farà ricevere una lettera di licenziamento molto presto.”

Aaron rise. Quella risata lo fece sentire un po' meglio, come se gli avvenimenti di quel giorno avessero fatto un piccolo passo indietro.

Alzò lo sguardo su Silas, che gli rivolse un mezzo sorriso venato di tristezza prima di dire: “Devo confessare che sono in parte, se non del tutto, responsabile di quello che ti è successo.”

“Come può essere colpa tua?”

“Ripicca,” rispose Silas. “Dicono che ci metto troppo tempo e che le mie scene non sono convincenti. Ti hanno punito per punire me.”

“Ne dubito,” lo contraddisse Aaron. “Farley era già piuttosto incazzato prima che tu entrassi nella stanza.”

Silas sospirò. “Mi dispiace così tanto averti lasciato da solo con loro. Sapevo che non avrei dovuto farlo, ma l'ho fatto lo stesso.”

“Non è colpa tua,” disse Aaron. “Ti ho detto io di andartene.”

Me la sono cercata. È stata colpa mia.

Aaron tornò a fissare il pavimento.

La mano di Silas era ancora appoggiata sulla sua spalla. “Non gli permetterò di farti ancora del male.”

Aaron annuì, ma si allontanò dal suo tocco.

Silas lo lasciò andare. “Chiamami se hai bisogno di aiuto.”

“Lo farò.”

Senza aggiungere altro, Silas si voltò e lasciò la stanza, chiudendosi la porta del bagno alle spalle.

Capitolo Quattro

Minestra e Cappotto

Aaron strofinò il proprio corpo fin quasi a scorticarsi vivo. Il suo uccello era dolorante e l'acqua calda gli pungeva la pelle dove Ralph lo aveva colpito. Si appoggiò alle piastrelle e ruotò la manopola fino a quando l'acqua diventò quasi troppo calda e il vapore così denso da impedirgli di respirare. Il bruciore dell'acqua annullava il ricordo del dolore causato da Ralph. Nella propria mente cercò di convincersi che la sofferenza che provava era dovuta all'acqua bollente. La doccia era troppo calda. Era un dolore che poteva controllare.

Da solo, a occhi chiusi e sotto il potente getto d'acqua, la sua mente iniziò a vagare e gli sembrò quasi di essere a casa propria e che non fosse accaduto niente, come se le ultime ventiquattro ore non fossero mai esistite.

Quando uscì dalla doccia, la sua pelle era arrossata e dolorante. Si asciugò e vide che Silas aveva lasciato per lui due pile di vestiti sulla tavoletta del water. La prima comprendeva i suoi vestiti, quelli che aveva indossato per le riprese. L'altro mucchietto era sconosciuto, morbido e profumava di pulito. Optò per i vestiti nuovi. Era quasi certo che avrebbe bruciato i propri appena ne avesse avuta la possibilità.

Iniziò a vestirsi, poi però si ricordò che Silas aveva detto qualcosa sul dargli un'occhiata. Per qualche ragione che non capiva, il pensiero di vestirsi e poi spogliarsi davanti a qualcuno gli faceva paura. Si avvolse un asciugamano intorno alla vita e si piegò sul lavandino.

Un lieve bussare risuonò nella stanza. “Ti ho sentito chiudere l'acqua,” disse la voce di Silas. “Va ancora tutto bene?”

Per un breve, orribile momento Aaron desiderò aprire la porta con un calcio e picchiare Silas fino a farlo sanguinare. Un'altra domanda, un'altra frase piena di preoccupazione, un'altra implicazione che Aaron fosse troppo debole per comportarsi in modo normale… Poi, con la stessa rapidità con cui era apparsa, la rabbia sparì.

“Aaron?”

“Sto bene,” rispose. “Puoi fare in fretta a darmi un'occhiata?”

“Sei sicuro di volerlo fare?” domandò Silas, sempre parlando attraverso la porta.

“No, ma probabilmente è la cosa migliore, vero?”

Silas fece una pausa. “Non ne sono sicuro,” rispose sinceramente. “Non ho mai avuto a che fare con una vittima di stupro, prima d'ora. Non voglio farti…”

Aaron afferrò il portaspazzolino dal bordo del lavandino e lo lanciò contro il muro. Il contenitore, che si rivelò essere di ceramica, andò in frantumi.

“Non sono stato violentato!” urlò Aaron.

Silas aprì la porta, guardandolo con gli occhi spalancati.

Aaron lo fissò, poi guardò i frammenti di ceramica sul pavimento. Si allontanò dalla porta fino a quando andò a sbattere contro la parete. Scivolò lungo il muro fino a ritrovarsi seduto, il viso stretto tra le mani.

Percepì Silas avvicinarsi e sedersi al suo fianco.

“Scusami,” disse Silas. “Non sono famoso per le mie buone maniere.”

“Non è colpa tua,” mormorò Aaron. “Sono solo un po' incasinato, in questo momento.”

“Hai tutto il diritto di esserlo,” rispose l'altro. “Non dovrei metterti fretta.”

“Ti comprerò un nuovo spazzolino. E anche un contenitore.”

“Questa è davvero l'ultima delle mie preoccupazioni, al momento,” lo rassicurò Silas. “Te la senti di mangiare un po' di minestra?”

Aaron sbuffò. “Sinceramente prima vorrei che mi dessi un'occhiata. Penso di stare sanguinando, e non voglio macchiarti i vestiti. E sicuramente non voglio continuare a rimanere nudo e seduto sul pavimento di un bagno.”

“Va bene,” disse Silas. “Assumi qualche farmaco?”

“L'alcol conta?”

“No. Beh, tecnicamente no. Ma ne prendo nota.”

“Allora no, non assumo niente.”

“Che ne dici degli integratori? Sia da banco che da erboristeria?”

“No. Solo alcol.”

Silas annuì e si alzò. Spinse di lato alcuni frammenti di ceramica e frugò nell'armadietto dei medicinali sopra il lavandino. Recuperò diverse bottigliette, poi indicò la porta con la testa. “Vieni con me.”

Aaron si tirò su e seguì Silas in soggiorno. C'erano una ciotola di acqua calda e un asciugamano sul tavolo, oltre a un grosso kit di pronto soccorso organizzato in modo quasi maniacale.

Silas notò che Aaron stava guardando i medicinali mentre appoggiava i flaconcini di pillole sul tavolo. “Volevo che fosse già tutto pronto, per fare più in fretta possibile,” disse. Aprì una delle bottigliette e si fece cadere una pastiglia sul palmo. “Hai mai assunto lo Xanax prima d'ora?”

“No.”

Gli porse la pastiglia. “Questa è la dose da un milligrammo. Ti aiuterà con l'ansia e lo stress. Potresti sentirti un po' assonnato. Se la tua vista inizia ad oscurarsi, o ti senti confuso in qualche modo, dimmelo subito.”

Aaron esitò prima di prendere la pillola tra le dita.

“Non devi prenderla per forza,” disse Silas. “Te l'ho data solo per aiutarti a calmare i nervi.”

Aaron la afferrò. Fino a quel momento si era fidato di Silas, che lo aveva aiutato. Senza indugiare oltre, la ingoiò, poi si mise in attesa di una reazione, sentendosi uno stupido quando non accadde nulla – non poteva avere una reazione immediata, no? Uno schiocco catturò la sua attenzione.

Silas si stava mettendo dei guanti di lattice. “Pensavo di controllare prima il tuo ano,” gli spiegò. All'improvviso sembrò avere difficoltà a mantenere il contatto visivo. “Il resto dell'esame sarà molto meno invasivo.”

“Facciamolo e basta,” sbottò Aaron. “Devo piegarmi e afferrarmi le caviglie?” Cercò di ridere ma la risata gli si strozzò in gola. Evidentemente il suo cervello pensava che fosse ancora troppo presto per fare delle battute.

“Se potessi sdraiarti su un fianco con le ginocchia divaricate, penso che sarebbe meglio,” disse Silas. Gli porse un cuscino e stese un asciugamano sull'imbottitura.

Aaron non seppe cosa rispondere, quindi rimase in silenzio e si stese come gli aveva detto Silas, infilandosi il cuscino tra le ginocchia.

“È importante che tu mi dica come ti senti mentre ti esamino,” gli spiegò Silas. “Se ti faccio male, dimmelo. Se ti senti a disagio, dimmelo. Se ti senti incapace di continuare, dimmelo.”

“Sono a disagio dalle cinque di questo pomeriggio,” ribatté Aaron con un grugnito.

“Sto per toccarti,” disse Silas. “Solo all'esterno. Ti aprirò soltanto le natiche.”

Aaron gemette e prese fiato. “Fammi un favore,” sbottò. “Evita di raccontare tutto per filo e per segno.”

“D'accordo,” gli assicurò Silas. Dopodiché tenne la bocca chiusa. Le sue dita erano scivolose, ma non appiccicose come quelle di Ralph. Le sue mani erano calde e decise, ma ancora gentili. Non era invasivo né brusco. Se Aaron sussultava, si fermava per un paio di secondi prima di continuare. L'intero esame durò più o meno cinque minuti.

“L'apertura è un po' lacerata,” disse Silas. “Guarirà da sola, ma vorrei applicare una pomata per alleviare il dolore e prevenire un'infezione.”

“Va bene,” rispose Aaron. Aveva il viso girato nell'altra direzione e guardava i cuscini azzurri del divano. Se ne tirò uno vicino al petto, come per proteggersi.

“Vorrei anche applicare una crema sulle natiche dove Ralph ti ha colpito. La pelle non è ferita ma molto arrossata. La crema ti aiuterà col dolore.”

“Va bene,” ripeté Aaron.

Sentì Silas toccargli il culo, poi allargargli di nuovo le natiche e sfregargli qualcosa di fresco contro l'apertura. Impiegò meno di trenta secondi per fare tutto.

Silas si tolse i guanti. “Puoi voltarti lentamente, adesso.”

Aaron si girò e trovò Silas pronto a coprirlo con un asciugamano tiepido.

“Devo controllare anche la presenza di lividi e segni di traumi sul pene e sui testicoli,” gli disse l'uomo.

Aaron fissò il cuscino.

“Te lo ripeto, la comunicazione è fondamentale.”

“Va bene,” bofonchiò allora Aaron.

Silas si infilò un altro paio di guanti e sollevò l'asciugamano dal suo inguine. Aprì delicatamente le ginocchia di Aaron, in modo molto simile a come aveva fatto quando si erano incontrati per la prima volta quel pomeriggio, quando era stato “Padrone” e non “Silas”.

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