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Storey
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Storey

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CAPITOLO SEI

IL SUO INCONTRO con Frost aveva fruttato qualcosa — ci sarebbe stata una visita la settimana successiva, e la prospettiva di un’altra se fosse riuscito a persuaderli che l’area era decente. A Paul si stringeva lo stomaco al solo pensiero di avere estranei in giro per la casa, ma sapeva che doveva lasciar correre. Non aveva nemmeno vissuto in quel posto per quasi vent’anni, di cosa si preoccupava?

Inviò un messaggio di risposta a Frost, dicendo che poteva farsi trovare a casa se voleva. O si sarebbe tolto di mezzo. Non voleva incontrare i possibili interessati se lui riusciva a fare da solo — che Frost si guadagni il suo stipendio.

Si appoggiò allo schienale della sedia e chiuse il suo portatile. Era fortunato che ci fosse ancora il segnale WiFi; siccome suo padre era uno che comprava sempre nuovi congegni, volle subito internet, come un bambino in un negozio di giocattoli. Paul aveva trovato una macchina fotografica digitale nuova, una chiavetta per il videoregistratore, un paio di binocoli digitali, e molte altre piccole apparecchiature elettriche a cui poteva trovare un utilizzo. Il servizio internet era pagato fino alla fine del mese, in seguito avrebbe trovato qualche altro posto dove connettersi.

Aveva messo il suo portatile su un tavolo di fronte alla finestra a golfo, dove poteva guardare dritto fino alla macchia di verde al di là del giardino, un pezzetto di prato che era stato tagliato dal comune e serviva da area di gioco per i bambini del quartiere, e luogo in cui defecare per cani randagi. Per raggiungere la strada e la macchina, si usciva dalla porta principale, scendendo per un breve percorso e poi attraversando questo prato di erbacce. Ora due adolescenti stavano calciandosi ripetutamente una palla, insultandosi e facendo finta di essere giocatori in una partita che avevano visto in TV.

Paul si ricordò di quando lo faceva anche lui — cavolo, quasi trent’anni fa ormai, il suo compagno di gioco Johnny Hall che abitava in fondo alla strada, sebbene lui preferisse trafficare con le bici, sporcarsi le mani d’olio stringendo una catena o cambiando una ruota. Paul aveva una buona coordinazione già allora e creò la squadra di rugby della scuola; prendeva un autobus per raggiungere la scuola nei freddi sabati mattina, salendo in un furgone bianco malridotto per essere portato nelle scuole dei ricchi — King Henry VIII, Bablake, certe volte anche più lontano, fuori città. Poi, a diciassette-diciotto anni, dopo la partita, ed essere stati scaricati di nuovo a scuola, un gruppo di loro avrebbe camminato fino al pub più vicino, e lui si sarebbe seduto in silenzio con la schiena al muro, mentre i chiacchieroni si raccontavano bugie sul sesso e le varie teorie cospiratorie sugli alieni a cui credevano.

Si chiese come lo avrebbero visto adesso, di ritorno dalla Vecchia Londra con la coda tra le gambe, disoccupato, la reputazione andata, nessun amico in città se non questa banda di falliti che gli era capitata. In qualche modo era contento che suo padre fosse morto prima di avere a che fare con lui. Il problema a Londra era esploso mentre lui era in ospedale e Paul era riuscito a tenerlo lontano dalle notizie. I pochi estratti che furono mostrati non lo citavano come agente in questione e non voleva rendere gli ultimi giorni di suo padre ancora più sofferenti di quanto non lo fossero già.

Era un suo problema e doveva inghiottire e andare avanti, non farne un dramma.

Sollevò il telefono e cercò il numero di Millie, voleva chiamarla ma non lo fece, era passato troppo poco tempo dall’ultima conversazione. Non voleva che pensasse che dipendeva da lei o non sapeva gestirsi senza qualche tipo di approvazione da parte sua. Doveva chiamare Rick, tuttavia si trattenne e si convinse di smettere di disturbare i suoi amici bussando alla loro porta.

Stava fissando lo schermo quando il telefono squillò con il suo curioso trillo elettronico.

E c’era la fantastica voce scozzese di Araminta a palargli come se lo avesse conosciuto da sempre, si ricordava la fatica che aveva fatto a lasciarle il suo numero chiedendosi se lo avrebbe mai usato.

Ora disse, ‘Volevo sapere come stavi e chiederti un favore.’

Cercava di portarlo dalla sua parte, pensò: non aveva mai mostrato interesse per lui prima d’ora, quindi perché proprio ora?’ Era come se fosse automatico per lei — mostrati interessata a qualcuno così hai il permesso di chiedere un favore.

Disse, ‘Siete molto esigenti voialtri, continuate a volermi far fare cose per voi. Cosa sono, il nuovo garzone tra gli schiavi?

‘Ok, va bene, eri l’unico in giro e ho pensato che ti potesse piacere la proposta. Ci si vede in giro.’

‘Che cos’è che vuoi?’ disse. Forzandosi di rendere la sua voce annoiata sebbene fosse veramente incuriosito e volesse vederla di nuovo.

‘Non essere così sulla difensiva. Hai la macchina, vero?’

‘Perché?’

‘Voglio che mi porti da qualche parte stasera.’

‘Hai intenzione di intervistare qualcuno su tutta questa corruzione?’

‘Puoi farlo o no? Risposta semplice, sì o no.’

Non poteva dire se lei si stesse infastidendo o no — quel tono sembrava essere la sua impostazione predefinita — così non reagì.

Prendendo altro tempo disse, ‘Non ti può portare Cliff o uno della sua squadra?’

‘Se avessi voluto che uno di loro mi portasse glielo avrei chiesto, giusto?’

‘Difficile da dire. Sei così diplomatica.’

Prima che lei ribattesse lui le chiese dove sarebbero andati e lei disse che era fuori a Coundon, alla fine di Holyhead Road. Paul era stato da suo cugino Derek’s Christening da quelle parti da ragazzo, ma non conosceva la zona. Sapeva che c’era un centro commerciale in cui si trovava il vecchio stabilimento Alvis, perché suo padre gli aveva detto che là aveva comprato un frigorifero alla Comet, prima che fallisse. Aveva un vago ricordo del fatto che Alvis avesse costruito carri armati per l’esercito prima di essere venduto.

Lei disse, ‘Vienimi a prendere dove ci siamo incontrati l’altra sera. Alle sette.’

‘Devo portare nulla?’

‘No.’

‘Quindi cosa stiamo andando a fare?’

Lei disse, ‘Ho pensato che ti piacerebbe conoscere il mio ragazzo.’

CAPITOLO SETTE

LUI LA VIDE in piedi sul ciglio della strada prima di arrivare e avvicinarsi, notando che indossava ancora un abbigliamento diverso — i leggings a fantasia appariscente che aveva visto indossare a molte donne, una grande pashmina color crema che scendeva diagonalmente dal collo come un poncho, coprendole una spalla insieme a una borsa bianca a tinta unita.

Salita nel sedile accanto a lui sembrava più giovane, più dolce, come se stesse andando a un primo appuntamento e non sapesse cosa aspettarsi. Paul si sentì salire l’agitazione e si disse di darsi una calmata.

Non appena si scostò dal marciapiedi lei diede un’occhiata in giro in macchina, una Volvo 60 turbo diesel di dieci anni, e gli sembrò che stesse giudicando questo e i suoi gusti. Lui colse una traccia del suo profumo, sempre lo stesso. Era fruttato, ma c’era anche qualcosa di legnoso, più fastidioso.

Ora guardava nel cruscotto, spostando i suoi pacchetti di gomme da masticare e una mini torcia e alcuni pezzi di plastica che si erano staccati dal porta GPS.

Lui disse, ‘Stai cercando qualcosa in particolare?’

‘Pensavo di scoprire qualcosa di te. Passaporto, patente o qualcosa così.’

‘Non c’è niente da sapere.’

‘L’uomo del mistero, non è vero?’ Lo disse con un tono scozzese, la sua cadenza veniva fuori sempre di più, più la conosceva. ‘Appari un giorno da Starbucks e un attimo dopo sappiamo che conosci tutti i nostri torbidi segreti mentre non sappiamo un bel niente di te.’

‘Cos’è Cliff per te?’

‘Non quello che vorrebbe essere.’

‘E sarebbe?’

Gli lanciò uno sguardo buffo. ‘Usa la tua immaginazione.’

‘Così tu sei una giornalista alla moda e lui cos’è … lo sfigato del villaggio? Cosa ci stai a fare?’

‘Reputazione da duro. Biglietti per concerti. Droghe toste. Un sacco di roba losca.’ Prendendolo in giro, lo sapeva, e nemmeno gentilmente: non le importava proprio cosa lui pensasse.

Lui disse, ‘Quando ero a scuola lui era quello da cui stare lontani. Ce n’erano due — lui e un altro ragazzo, un po' più grande, Wigton. Sempre a fare a botte, quei due. Se ricordo bene, Cliff peggiorò crescendo, Wigton mise la testa a posto, si rimboccò le maniche.’

‘C’è una morale in questa storia?’

‘Pensavo solo che fosse una cosa curiosa, e mi ricordo che lo pensavo fin da piccolo. Si vedeva che direzione stavano prendendo già a cosa, tredici, quattordici anni?’

‘Cos’è accaduto a Wigton?’

‘Fu investito per strada il giorno prima dell’ultimo giorno di scuola. Giocava a calcio, correva dietro alla palla, una macchina sbucò da dietro l’angolo e lo gettò contro un lampione. Si fratturò il cranio.’

‘Così non sai che cosa gli sarebbe successo dopo, quindi. Sarebbe potuto tornare ad essere quello di prima.’

Paul alzò le spalle. ‘Può darsi. Ma stava diventando un’altra persona. E quindi non penso.’

Lei gli diede indicazioni e guidò oltre Gosford Green, dove giocava a tennis da ragazzo, sebbene i campi fossero scomparsi da tempo, un parco giochi per bambini ora, poi svoltarono a destra intorno alla tangenziale, infine girando per Holyhead Road.

Gli disse di girare a sinistra al parcheggio di Texaco e le case apparvero improvvisamente più imponenti, lontane dalla strada, posto auto davanti e archi di pietra alle porte d’ingresso.

‘Quella,’ disse, indicando, e lui rallentò fino a fermarsi. Lei aprì la portiera e si voltò a guardarlo. ‘Vieni?’

‘Cosa dovrei dirgli? Chi sono, lo chauffeur?’

‘Non preoccuparti, non è un tipo geloso. Penso che ti piacerà.’

QUANDO DAVID APRÌ la porta e fece un passo indietro per farli passare, Paul lo guardò bene. Era circa della stessa altezza di Paul, pallido, col torace incavo e barba e capelli ispidi color paglia sporca. Paul immaginò che lavorasse al chiuso, magari un giornalista come Araminta dichiarava di essere.

Lei fece una breve presentazione, agitando una mano verso Paul, come se David avesse potuto non vederlo entrare.

‘Non fare caso a lui.’ disse a David, ‘è solo uno che conosco, mi ha portato qui.’

David incrociò lo sguardo di Paul ma non c’era nulla in questo, o forse appena una vaga curiosità, Paul pensava che sicuramente fosse indisposto o arrabbiato a vedere la sua ragazza presentarsi con un altro uomo.

Paul vide che la casa era grande ma non sembrava vissuta — intravide attraverso una porta aperta una stanza senza tappeto con carta da parati a tinta unita e nient’altro, nessun mobile o quadro alla parete. C’era odore di un qualche tipo di detergente al pino, come se David avesse pulito il parquet prima che loro arrivassero.

Ora David li condusse attraverso una stanza sul retro, Paul notò larghe finestre panoramiche a mostrare un giardino piuttosto ampio, curato e con una rimessa in fondo, luci solari scintillanti nelle aiuole. Forse passava più tempo là fuori che in casa, pensò Paul, potando rose o qualunque cosa si faccia con i giardini.

Araminta si era seduta su di un divano di pelle nera e Paul le sedeva di fronte, David chiese se volevano un caffè, un tè o qualcosa di più forte, entrambi risposero di no.

Aveva pensato che David sembrasse un tipo remissivo, così fu sorpreso quando disse ad Araminta, diretto, ‘Cosa ci fa lui qui? Cosa sta succedendo? Hai detto che era importante.’

Lei incrociò le mani sulle ginocchia, prendendo tempo, poi alzò il volto e lo guardò. ‘Paul è un collega, ok? Gli ho chiesto di portarmi qui. Ed è vero, dovevo vederti questa sera.’ Si girò e guardò Paul. ‘Ci dai un minuto? Vai a ispezionare la cucina o qualcosa così.’

Senza dargli altra scelta a meno che non volesse iniziare una discussione inutile.

Li lasciò, chiudendosi la porta alle spalle, e fece un giro al pian terreno, provando un paio di altre porte prima di trovarne una che portava ad un ufficio — scaffali di libri, un tavolo con un portatile e una lampada da scrivania, poltroncina su ruote imbottita. Si sedette sulla sedia e guardò fuori dalla finestra, che per qualche scherzo strutturale aveva la stessa visuale della facciata d’ingresso della casa. Era buio fuori ora, e riusciva a vedere poco a parte le macchine che passavano occasionalmente sulla strada principale.

Gli venne un’idea e tornò a guardare le foto sul muro. Foto di David da bambino, poi una con la famiglia — lui, una ragazzina che prese per sua sorella minore, e i genitori, e poi un cane nero, tutti quanti in piedi davanti a una casa coperta di edera con due colonne ai lati della porta d’ingresso. Sembrava potesse trattarsi di Oxford o dei dintorni di Londra. Classe e denaro.

Poco più in là, una coppia di certificati incorniciati, uno di livello 8 in pianoforte, un altro per avere vinto un rally in Africa; forse era più tosto di quanto sembrasse.

Dieci minuti dopo sentì la porta del soggiorno riaprirsi e si recò in corridoio, Araminta e David uscendo sembravano diversi, come se ci fosse stata una sorta di trasformazione durante la sua assenza. Araminta sorrideva, rilassata, il suo linguaggio corporeo aveva perso la solita tensione. Mentre David era pallido, le sue guance scavate, sembrava invecchiato di dieci anni.

Paul si disse che sarebbe dovuto stare più attento in futuro — questa donna poteva avere effetti sconvolgenti sulla salute.

Araminta si girò verso di lui, dicendo, ‘Pronto?’ come se stessero andando a fare il giro della domenica pomeriggio, e si diresse verso la porta d’uscita. Paul vide l’espressione di David diventare ancora più avvilita mentre la seguiva con lo sguardo.

Lo guardò quando David chiese, ‘Allora siamo ancora d’accordo per domani sera? Le foto?’

Araminta lo evitò. ‘Dovresti aspettarti di non vedermi per qualche giorno, ma questo non significa che tu debba dimenticarti cosa ho detto. Va bene?’

‘Immagino di sì.’

‘Su col morale. Non sarà così terribile.’

‘Ti penserò.’

Lei posò gli occhi su Paul, che catturò l’occhiata ma non sapeva cosa volesse dire. Disse a David, ‘Non pensare a me. Pensa a quello che ti ho detto.’

Aprì la porta e se ne andò senza voltarsi indietro, allontanandosi dalla casa giù per il vialetto del cancello principale. Paul fece un cenno di saluto a David e la seguì, chiudendosi dietro la porta. Non aveva dubbi che aveva appena assistito a qualcosa di premeditato ma non sapeva che cosa.

Ora Araminta era in piedi dall’altra parte del cancello, già al telefono. Fu una chiamata breve e si voltò verso di lui quando ebbe finito, dicendo, ‘Non mi devi portare a casa. Ho chiamato un taxi.’

‘Per quale motivo?’

‘Non iniziare a fare domande. Ho bisogno di stare da sola, va bene?’

Paul pensò che magari non voleva che vedesse dove viveva.

Rimase con lei, sentiva la notte diventare fredda intorno a loro.

Disse, ‘Non devi dirmi cosa è successo là dentro.’

‘Bene.’

‘Ma devo saperlo — è veramente il tuo ragazzo? Il modo in cui lo tratti, come un bambino?’

‘Non gli dà fastidio quanto a te.’

‘Come lo sai?’

‘Lo hai visto — sembra un po' imbranato, ma è diretto. Se qualcosa lo infastidisse me lo farebbe sapere, o mi lascerebbe.’

‘Non sembri molto preoccupata.’

‘Perché dovrei esserlo? Ci sono tantissimi altri pesci nell’oceano.’ Sembrava stufa e forse iniziava a essere irritata dalle sue domande.

Paul disse, ‘Mi chiedo solo come si senta ora.’

‘Tu non ne sai nulla.’

Stava cercando di chiudere la conversazione, pensò Paul, non le piaceva che le facesse domande sull’altro ragazzo.

Si sentiva arrabbiato con lei ora, voleva scalfire la sua sicurezza di sé, disse, ‘Dunque perché hai voluto che venissi?’

‘Pensavo che avresti dovuto conoscerlo.’

‘Convincermi che avevi un ragazzo così non mi creavo aspettative.’