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La Fossa Di Oxana
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La Fossa Di Oxana

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“Dove sono le loro domande?”

Tese la mano e lasciò cadere il polso indicando verso il basso. La sua collezione di bracciali di argento ed oro tintinnò sul dorso della sua mano.

Tosh seguì il suo dito puntato verso il cestino, dove vide le tre domande spiegazzate giacere sotto una fradicia bustina di tè.

Capitolo Cinque

Oxana estese la sua ospitalità a Raymond Chase permettendogli di trascorrere la notte nella sua remota baracca nella giungla. Lo fece dormire nella sua infermeria, che per puro caso conteneva un letto appena liberatosi.

Il giorno seguente, dopo aver consumato il pranzo preparato dal cuoco e Alginon, sulla veranda di Oxana, il signor Chase esaminò venticinque esemplari di ambra. Apparentemente non impressionato da questi, chiese di rivedere la salamandra e gli scorpioni.

Nel frattanto che Oxana lo osservava studiare l’ambra contenente la salamandra maculata, notò un lieve tremore nella mano destra.

Cos’è che lo rende così nervoso? Spero che non faccia nulla di stupido.

“Oxana!” urlò qualcuno dalla fossa.

Spostò la sedia dal tavolo traballante e zoppicò verso la ringhiera, dove si sporse per vedere chi l’aveva chiamata.

Devereux. Ma guardalo, lì sul fondo alla fossa, flettendo quegli enormi bicipiti per me. La sua camicia è di nuovo sbottonata e non capisco come possa mettersi quegli stretti pantaloncini. Sono così dannatamente stretti, che il suo... Guardò oltre la sua spalla verso Chase. Non appena mi libererò di lui, farò fare un allenamento a quel giovane stallone.

Uno degli indigeni si inginocchiò ai piedi di Devereux, piegandosi a metà, con le braccia premute contro il suo stomaco. Sembrava un adolescente.

“Qual è il problema, Devereux? Perché quegli uomini non stanno lavorando?”

Una dozzina di nativi, tutti indiani Yanomani, stavano in semicerchio dietro Devereux, guardando qualcosa. Tre guardie puntarono i loro fucili sugli uomini scheletrici.

“Questo ragazzo qui è in pessimo stato,” gridò Devereux. “Quello laggiù è quasi morto, di sicuro.” Annuì verso gli altri indiani che si stavano sporgendo sulle loro pale iniziando un lamento doloroso per il caduto membro della loro tribù.

“Portali entrambi in infermeria, sciocco! Non vedi che siamo a corto di lavoratori? Devo proprio prendere ogni decisione?” Prima che Devereux potesse risponderle, gridò a una delle guardie: “Hamo, se non riesci a far lavorare quei pigri bastardi, troverò qualcuno che potrà farlo. Devono prendersi una vacanza ogni volta che qualcuno cade?”

Devereux ordinò a quattro di loro di portare i due feriti fuori dalla fossa e poi in infermeria.

Hamo fece oscillare l’impugnatura del suo fucile, colpendo un uomo sulla spalla ossuta, urlando loro di iniziare a scavare.

Oxana tornò al tavolo, si lasciò cadere sulla sedia e si schiacciò una grossa zanzara che aveva sull’avambraccio. “Quel cretino e stupido Devereux è proprio un rompipalle,” mormorò. “Se non fosse così fico...”

“Mi perdoni?” Chiese Chase.

“Ho detto che odio questo fottuto posto. Faremo affari oppure no?”

“Accetta dollari americani?” Chase sorrise mentre rimetteva con cura l’ambra sul tavolo, in linea con quella che conteneva gli scorpioni.

“Per quale pezzo?”

“Entrambi. Gli scorpioni e la lucertola.”

“Voglio ottantamila Real brasiliani per i due.”

“Sì.” Si leccò le labbra e deglutì. “Sono circa quarantamila dollari americani.”

“Mi faccia vedere i suoi soldi.”

La zanzariera si aprì cigolando e Alginon uscì con due bevande fredde su un vassoio. Rajindar lo seguì.

Alginon posò le bevande sul tavolo mentre Chase infilava la mano in una tasca interna della giacca e tirava fuori un fagotto di soldi. Contò i soldi, cercando di separare le banconote appiccicose con le dita.

Rajindar si appoggiò al muro, le braccia incrociate. Alginon poggiò il vassoio e rimase in piedi accanto a Oxana, con la mano sullo schienale della sua sedia.

Mentre sorseggiava il suo drink, Oxana e i due uomini guardarono Chase contare i soldi.

Finalmente Chase fece scivolare una grande pila di banconote sul tavolo. Mise il resto dei soldi accanto al suo drink.

“Tutte da cento?” Oxana prese la banconota in cima alla pila e la tenne controluce.

Chase estrasse un bianco fazzoletto sgualcito da una tasca per asciugarsi la fronte.

Oxana guardò Rajindar e inclinò la testa verso la porta. Egli entrò e tornò un attimo dopo con un pennarello. La donna ne tolse il cappuccio, e lo passò sulla banconota da cento dollari.

Gli occhi di Rajindar si spalancarono a causa di ciò che vide. Si schiarì la gola per attirare l’attenzione di Alginon. L’uomo magrolino guardò Rajindar mentre quello spostò gli occhi verso il muro, via da Oxana. Alginon corrugò la fronte mentre guardava Rajindar, poi lasciò il fianco di Oxana per unirsi all’uomo vicino al muro.

Chase lanciò un’occhiata tra loro e Oxana.

Lei sorrise e fece scorrere il pennarello sulla seconda banconota.

Chase cercò qualcosa sul pavimento e mentre si sporse, Oxana fece scivolare la mano destra sotto il tavolo.

L’uomo si alzò con il cappello in mano e cominciò a farsi vento.

Oxana usò la mano sinistra per posare le prime due banconote sul tavolo. “Ha notato,” disse, con un tono quasi disinvolto, “che tutte queste banconote da cento dollari hanno lo stesso numero di serie?” Alzò gli occhi su Chase.

“D-davvero?” Il fazzoletto gocciolava di sudore, ma lo usò comunque per asciugarsi il collo. “Presumo il governo le stampi in quel modo. N-N-Non ne so molto di questo genere di cose.”

“D-davvero?” Oxana si prese gioco del modo nervoso di parlare.

Il boato della sua pistola scosse il tavolo mentre il proiettile .357 lo frantumò da sotto e si schiantò contro il petto di Chase. L’impatto lo fece cadere all’indietro dalla sedia. Rotolò verso il bordo della veranda, lasciando una traccia di sangue. Era morto ancora prima che colpisse il pavimento.

Oxana appoggiò il revolver sul tavolo e allungò la mano per prendere il resto dei soldi di Chase vicino al suo drink rovesciato. Scrollò via il whisky e il sangue, poi sfogliò alcune delle banconote.

“Hmm... che strano, Rajindar. I numeri di serie su queste banconote da cento dollari sono tutti diversi. Che cosa ne pensi?”

* * * * *

Tosh fissò le domande di lavoro della terzia spiegazzate nel cestino. La brutta macchia marrone del tè si stava allargando sui bordi della carta mentre la rabbia gli divorava i nervi. Se solo si potesse recedere così facilmente dal contratto ferreo della signora Applegate.

La signora Applegate scosse Tosh dai suoi pensieri. “Ho detto loro di andare all’Agenzia Temp di Paddington Ramaport. E ho dato alle ragazze un ottimo consiglio.” Guardò la signorina Wishington con un sorrisetto, sicura di sé.

La signorina Wishington sorrise.

“Ossia?” Tosh agitò delicatamente le dita per separare la sua mano da quella della signorina Wishington.

“Ho suggerito loro di trovare posizioni da stagiste in qualche ufficio e apprendere le operazioni partendo dal basso, come ho fatto io. Dopo qualche anno, potrebbero essere considerate per la posizione di manager. Un’istruzione universitaria non è tutto, lo sa. Non ho mai finito l’università, eppure guardi dove sono arrivata.”

“Ottimo consiglio, signora Applegate.”

Si diresse verso il suo ufficio e, una volta dentro, chiuse la porta e accese il computer. Usò Google cercando freneticamente tra i numeri di telefono dei residenti di New York. Gli ci sono voluti cinque minuti per trovare quello che cercava. Proprio quando prese il telefono, la porta si aprì e la signora Applegate fece entrare la signorina Wishington per il suo colloquio.

Tosh lasciò ricadere il ricevitore del telefono al suo posto e guardò l’anziana signora sorridente camminare verso di lui a passi misurati, come quelli di un becchino in pensione. L’ammirava per il voler lavorare alla sua età e per avere un così buon umore, ma questo colloquio non era proprio quello che voleva fare.

Si alzò, fece il giro della scrivania e sistemò una sedia per lei.

* * * * *

Trenta minuti più tardi, dopo che la signorina Wishington lasciò il suo ufficio, Tosh prese il telefono.

Brontolò e si sedette. Aveva composto il numero di casa delle sorelle Bravant però sentì solo un messaggio registrato che diceva che la linea era temporaneamente fuori servizio. O ConEd aveva messo fuori uso un’altra linea telefonica con il loro scavatore di fossati o le tre erano state cacciate dal loro appartamento.

Tosh studiò per un momento la pagina principale del sito di Echo Forests. Sospirò e spostò il mouse, facendo clic su un’icona per visualizzare una serie di immagini sullo schermo. Si appoggiò allo schienale e studiò una foto satellitare del bacino del Rio delle Amazzoni. Mosse il mouse e ingrandì il centro dell’immagine. La città di Manaus, alla confluenza dei fiumi Rio delle Amazzoni e Rio Negro, si presentava come una serie di linee incise leggermente nel mezzo di un immenso paesaggio verde. Cliccò su un’altra icona e comparvero una serie di quadrati rossi, uno alla volta, sovrapposti in ventidue posizioni diverse intorno a Manaus. Quando ruotò la foto per cambiare visuale, contò quarantasette pennacchi di fumo salire dalla foresta pluviale e spostarsi verso est. Nessuna delle scie torreggianti proveniva dai quadrati rossi.

“Tutto bene per adesso,” sussurrò. “Nessun incendio sul nostro territorio, ma è solo una cosa temporanea.” All’improvviso si raddrizzò, spalancando gli occhi per la realizzazione. “Ma certo! Temporaneo.” Prese il telefono e compose un numero per le informazioni. “Signora Succo-di-Mela,” sussurrò a sé stesso mentre aspettava che l’operatore gli rispondesse, “è un genio”.

Capitolo Sei

La mattina dopo Tosh andò presto nel suo ufficio, lasciando la porta socchiusa in modo da poter vedere l’arrivo della signora Applegate.

Lei entrò decisa alle otto e spalancò la bocca nel vedere persone sedute alle scrivanie che non erano state occupate il giorno precedente. Volse lo sguardo dalle tre identiche facce sorridenti e marciò verso il suo ufficio.

Tosh aprì il giornale sulla scrivania e fece finta di leggere.

La porta del suo ufficio si chiuse di colpo ed egli alzò gli occhi, vedendo la signora Applegate venire verso di lui.

“E tutto questo cosa significa?” domandò.

Un incontro con la signora Applegate potrebbe essere paragonato all’essere presentato ad un meccanico mentre questo strappa pezzi strani di cablaggio e peculiari attrezzature da sotto il cofano dell’auto di qualcuno; l’esperienza non è per nulla piacevole.

Tosh si guardò attorno, come se stesse cercando di capire che cosa intendesse. Allargò le mani in un gesto indifeso, sfruttando un misto di innocenza e stupore per mascherare la sua apprensione.

“Quella faccia da ragazzino innocuo non funziona con me come lo fa con alcune persone.” Lasciò cadere la borsa su una sedia e si spinse all’insù gli occhiali. “Voglio sapere che cosa quelle tre–tre,” balbettò, “truffatrici stanno facendo là fuori.” Girò il braccio destro per indicare l’ufficio esterno, continuando a fissare Tosh.

Egli spalancò gli occhi. “Oh, intende le sorelle Bravant?”

“Sa benissimo che intendo proprio loro.”

“Signora Applegate, la sua competenza aziendale e il suo buon senso non smettono mai di stupirmi.”

“Cosa?”

“Hanno seguito il suo consiglio, come ho fatto anche io.” Sorrise e ripiegò il giornale.

La sua faccia si svuotò di ogni emozione e il suo braccio alzato vacillò.

“Ha detto loro di andare all’Agenzia di Paddington e farsi assumere a tempo determinato. E lo hanno fatto.” Tosh unì le mani, mettendo gli indici sotto il mento. “Ho chiamato l’agenzia, ho chiesto loro tre persone a tempo determinato e indovini chi ci hanno inviato?”

Allargò le mani, con i palmi verso l’alto, come se ciò spiegasse in che modo tutto fosse successo. In realtà, quando aveva chiamato l’Agenzia Paddington, le sorelle Bravant avevano già in programma di presentarsi per lavorare in un’altra compagnia. Ha quindi dovuto scavare nella spazzatura della signora Applegate del giorno prima per salvare le loro domande di lavoro e curricula. Lì, scoprì che una delle sorelle aveva inserito il suo numero di cellulare al posto del numero di casa. Ha chiamato e le ha convinte a venire a lavorare per lui.

“Ha firmato un contratto con me,” la signora Applegate si fermò per abbassare la voce ed il braccio, “per assumere del personale al posto suo. Non è forse così?”

“Sì, certo.”

“Allora perché cerca di aggirare il mio lavoro?”

“Oh, ma non lo sto–”

“Le ho mandate via, poi Lei ha agito alle mie alle mie spalle e ha assunto quelle tre piccolo sgualdrine, e–” A quanto pare, lo vide teso, anche se la sua unica reazione fu di sollevare il mento e guardarlo dall’alto in basso. “Bene, se sono così brave, possono fare loro i colloqui e assumere il personale. Ma Lei, signore,” spinse il dito sul suo desktop, accanto al suo bombardiere B-17, “ha un contratto valido e vincolante con me. È bloccato con me fino alla fine del mese.” Prese un respiro. “Che lo voglia o meno.”

“Come sempre, ha ragione,” le disse Tosh, poi allungò la mano per salvare il modellino dell’aereo dalla sua mano. “Lei ed io abbiamo un contratto che mi chiede di pagarle una certa somma di denaro per i suoi servizi alla fine del mese.” Tosh poteva sentire la sua pressione aumentare. “È corretto?”

Lei annuì.

“Bene, allora,” aprì il cassetto centrale della scrivania e afferrò un libretto degli assegni, “a quanto ammonterebbe l’importo?” Posò la penna su un assegno in bianco.

“Cinquemila dollari,” Il sibilo delle sue parole sembrava il respiro di un serpente.

Nel frattempo che Tosh scriveva, poteva quasi sentire i suoi occhi seguire ogni tratto della penna. Alla fine, scrisse l’ultimo giorno del mese nel campo della data, strappò l’assegno dal blocco e glielo porse.

“Arrivederci, signora Applegate.”

Prese l’assegno e lo studiò per un momento. Dopo averlo degnato di uno sguardo gelido, afferrò la borsa e si precipitò fuori dall’ufficio.

Cinque secondi dopo che la porta di Tosh sbatté, sentì la porta esterna sbattere ancora più forte, scuotendo la foto di Annibale e uno dei suoi elefanti che aveva appeso al muro. Si girò verso il computer, sollevato per aver finito la sua traversia con la signora Applegate. Quando il computer si accese, andò sul sito web della Echo Forests per vedere se Quinn avesse pubblicato le foto satellitari di quella mattina dell’Amazzonia.

Sentì bussare leggermente alla sua porta.

“Oh Dio,” sussurrò, “è tornata.” Gli ci vollero alcuni istanti per riordinare tutto sulla sua scrivania, aspettando che lei entrasse nel frattanto. Quando sentì di nuovo il delicato colpetto, urlò: “Entri!”

La porta si aprì cigolando e le tre sorelle Bravant entrarono nel suo ufficio. Si allinearono vicino alla porta aperta.

Indossavano abbinate gonne gialle, con camicette bianche con arricciature sul davanti. Gli orli dei loro vestiti arrivavano appena sopra le ginocchia.

Tosh ammorbidì la sua espressione. “Scusatemi, pensavo fosse qualcun altro.”

Si alzò e indicò il lato vicino la finestra del suo grande ufficio, dove un nuovo divano e tre sedie imbottite erano posizionate attorno a un tavolino da caffè in palissandro lucido. Non si sedettero sul divano, come si era aspettato, scelsero invece le sedie. Si sedette ad un’estremità del divano, si appoggiò allo schienale ed incrociò le gambe.

“Signor Scarborough, cosa è successo?” chiese una di loro.

“La signora Applegate non lavorerà più con noi.”

“Oh, no. Non volevamo che venisse licenziata.”