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La Fossa Di Oxana
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La Fossa Di Oxana

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“Molto bene. E lei, signor Scarborough? Il solito?”

“No.” Tosh lasciò cadere il menu e fissò signorina Impudenza. “Prendo quello che prende lei, Herman.”

Aspettò che Herman scrivesse ‘filet mignon di vitello’ sul suo taccuino affinché signorina Impudenza battesse le ciglia. Non lo fece.

“Al sangue,” disse Tosh a Herman fissando signorina Impudenza.

Ella sorseggiò il suo vino con nonchalance e chiese: “Ha un business plan?”

“Come, scusi?” Domandò Herman.

Signorina Impudenza lo ignorò. I suoi occhi erano fissati su Tosh.

“Certo,” rispose Tosh.

Herman prese i menù ed andò via.

Parlarono del business plan quinquennale per alcuni minuti; delle entrate previste, delle spese stimate, del costo degli arredi e delle attrezzature per l’ufficio. Signorina Diplomazia chiese quindi informazioni riguardo le buste paga, le tasse e l’assicurazione.

Dopo che Tosh fornì tutti questi dettagli, signorina Impudenza domandò: “Qual è il suo capitale?”

Bella domanda.

Ma erano davvero affari suoi quanti soldi aveva messo da parte per le operazioni aziendali? Erano affari di qualcuno?

Osservò il suo sguardo muoversi su di lui. Stava ovviamente studiando il taglio del suo abito e la qualità del tessuto grigio tortora e sembrava che stesse ispezionando le sue mani cercando anelli. Una fede nuziale forse?

Tosh prese il bicchiere con la mano sinistra, tenendolo in modo da farle inclinare la testa per vedere le sue dita. Quindi posò il drink, decidendo di rispondere alla sua domanda.

“Cinque milioni e mezzo.”

Dopo tutto non ho intenzione di assumerle. Importa cosa sanno di me o della compagnia?

Inoltre, doveva provarle qualcosa. Forse non riguardo sé stesso o i soldi, ma sulla sua competenza commerciale.

Vediamo quanto ne sa davvero.

Le tre donne si scambiarono un’occhiata. “Contanti o capitale proprio in altre attività?” Chiese signorina Impudenza.

Un’altra ottima domanda. Come fa a sapere tutte queste stronzate finanziarie?

Tosh ricordava il corso di economia aziendale come una sfilza di cose di teoria della gestione; niente di alcun valore pratico. La comprensione delle procedure finanziarie doveva venire dalle sanguinose battaglie delle operazioni quotidiane – la dura realtà del flusso di cassa. Eppure, eccola qui, una neolaureata in economia aziendale, senza esperienza per giunta, a porre le domande giuste.

“Contanti,” rispose.

Questo sembrò soddisfare signorina Impudenza, per il momento.

“Qual è il prodotto della sua azienda?” Domandò signorina Prudenza.

Il loro cibo arrivò e tutti e quattro si poggiarono all’indietro per lasciare a Herman spazio per sistemare i pasti. Quando tutto fu pronto, le tre donne si scambiarono i piatti.

La loro risoluzione automatica della confusione di Herman causata dal loro aspetto identico divertì Tosh. Mostrarono la loro silenziosamente collaborata considerazione aspettando che se ne andasse prima di correggerne l’errore. Un gonfiato senso di importanza personale potrebbe facilmente permettere alle tre donne di mettere in imbarazzo o sminuire qualcuno. Le sorelle, tuttavia, non mostrarono il minimo accenno di presunzione... beh, forse a parte signorina Impudenza.

Quando Herman tornò a riempire i bicchieri d’acqua, signorina Impudenza gli porse il bicchiere da vino semivuoto e ordinò del tè freddo. Signorina Prudenza fece lo stesso, con l’unica differenza che il suo bicchiere era vuoto.

“Si tratta di una nuova rivista,” rispose Tosh alla domanda di signorina Prudenza.

Il lungo silenzio fu interrotto solo dal suono dell’argenteria sulla porcellana mentre tagliavano il cibo e mangiavano. Le tre donne apparentemente non erano colpite da un’altra rivista in un mercato già saturo.

“Come si chiama?” Domandò signorina Diplomazia.

“Orphan.”

Tosh masticò un boccone di vitello. Passò un momento prima che si rendesse conto che era successo qualcosa. Quando alzò lo sguardo, notò che tutte e tre le donne si erano fermate; cibo a metà strada. Lo stavano fissando.

Tagliò un pezzo di vitello. “È una rivista chiamata Orphan.” Immerse la carne in una pozza di salsa di bistecca.

Le tre donne tornarono al loro cibo, mangiando lentamente, senza parlare. Sembravano colpite dalle sue ultime parole.

Signorina Impudenza parlò incerta. “Dal titolo si deve dedurre che la nuova rivista non ha una pubblicazione principale?”

“Oppure,” intervenne signorina Prudenza, “è una rivista sugli orfani?”

“Immagino che possa essere entrambe le cose,” rispose Tosh. “Non esiste una pubblicazione principale, ed in realtà è una rivista per e riguardo gli orfani.”

Dopo un secondo di silenzio, tutte e tre parlarono all’unisono.

“Ha fatto ricerche di mercato?”

“È online?”

“Che tipo di pubblicità utilizzerà?”

“Chi scriverà gli editoriali?”

“E per quanto riguarda le foto e l’arte?”

“Stamperà lettere all’editore?”

“Quale sarà il prezzo di copertina?”

“Ha già contattato distributori e librerie?”

“Darà copie gratuite agli orfanotrofi?”

“Che cosa ne sa degli orfani?”

Tosh posò il coltello e la forchetta sul tavolo, prese il tovagliolo e si appoggiò allo schienale, sopraffatto dalle domande e dall’entusiasmo delle sue ospiti. Successe anche qualcos’altro: un peculiare miglioramento dell’atmosfera attorno al tavolo. L’aria divenne più leggera, più facile da respirare. Una pressione invisibile aveva alternativamente compresso e allentato la sua presa sul suo corpo durante tutta la serata. Come un grasso boa costrittore che gioca con la sua preda, non molto affamato ma neanche disposto a lasciar andare una deliziosa e occasionalmente divertente vittima. Ora però, era tutto pace e luce.

Rispose per prima all’ultima domanda. “L’unica cosa che posso dirvi sugli orfani è che io lo sono.”

Il sorriso di signorina Impudenza era quasi dolce. “Anche noi lo siamo.”

Capitolo Quattro

Alle 9 di mattino del giorno dopo Tosh entrò in ufficio e trovò la signora Applegate che intervistava un candidato. Era un uomo sulla quarantina robusto e calvo come un uovo, a parte una ciocca di capelli castano scuro sopra le orecchie. Si agitò sulla sedia, sistemandosi il suo vestito grigio lucido.

“Perdonatemi.” Tosh era in piedi alla scrivania della signora Applegate.

I suoi occhi socchiusi lo fissarono da sopra gli spessi occhiali poggiati sulla punta del naso.

Tosh represse l’impulso di allungarsi e spingerli in su. Fece invece un cenno di saluto all’uomo, il quale deglutì, si asciugò la fronte con una manica e gracchiò un saluto a sua volta.

Tosh parlò alla signora Applegate. “Tre donne verranno questa mattina per–”

La signora lo fermò sollevando una mano e puntando la sua penna stilografica verso la sala conferenze. Le sorelle Bravant erano lì, piegate sulle loro domande di lavoro.

“Bene, ottimo. Mi faccia sapere quando finiranno.”

Se ne andò nel suo ufficio, si sedette e si girò verso il suo computer, però non ebbe la possibilità di accenderlo.

La porta si chiuse con un colpo e la signora Applegate si avvicinò alla sua scrivania, tirandosi su gli occhiali. Le lenti alla vecchia maniera ingigantivano enormemente i suoi occhi grigio-nuvolosi, facendola sembrare un gufo cornuto pronto a piombare su un minuscolo topo.

“Signor Scarborough.” Incrociò le braccia sotto il seno immenso. “Sono io a dover fare i colloqui per l’avvio di questa compagnia, oppure forse mi sto sbagliando?” Si sistemò le braccia, come se stesse cullando un paio di bambini grassi.

Tosh vide gli occhiali scivolarle giù. “No.”

Inclinò la testa di lato e fissò gli occhi su di lui, poi si spinse all’insù gli occhiali. “Allora perché queste tre... bambine hanno marciato qui alle otto del mattino dicendomi che erano pronte per essere intervistate per le posizioni dirigenziali?”

“Beh, io–”

“Inoltre,” lo interruppe con un movimento tagliente della mano destra, “insinuando che una domanda di lavoro non era altro che una semplice formalità?”

“L’hanno detto davvero?”

“Non con così tante parole.” Appoggiò le nocche sul margine della sua scrivania. “Ma certamente lo hanno insinuato molto bene.”

La signora Applegate era una donna robusta di cinquantasei anni che, a immagine di Tosh, sarebbe stata una perfetta direttrice in un riformatorio per le ragazze ribelli.

Giocò con il B-17 sulla sua scrivania, ruotando il modellino in plastica dell’aereo, studiandone il profilo. Si rammentò l’acre odore della colla di Tester e tutte quelle piccole parti difficili. Ricordava anche quel fine settimana, di quindici anni fa, quando costruì il bombardiere. Che piacevole ricordo. Il suo ultimo modello era un Cessna 421 bimotore. Era un’esatta copia in miniatura dell’aereo nel suo hangar all’aeroporto, però il bombardiere era come un vecchio amico di quell’estate di quando aveva tredici anni – lo stesso anno in cui conobbe Jade Wendy McAlister.

Che marmocchia, quella piccola e dolce-aspra provocatrice. Le piaceva però giocare con il mio bombardiere.

Una mezza dozzina di tintinnanti braccialetti emise un suono impaziente sul bordo della sua scrivania.

Era probabilmente sposata adesso, con un minivan e piccoli marmocchi.

Ruotò il B-17 finché il mitragliere di coda puntò le sue mitragliatrici di calibro 50 direttamente sul seno sinistro della signora Applegate.

“Guardi, signora Apple–”

“Se ha intenzione di assumere il personale durante le sue attività fuori orario–”

Tosh si alzò di scatto. Si sporse, avvicinandosi al suo viso tanto da sapere che poteva sentire la sua rabbia.

“Signora Applegate–” Si fermò, trasse un respiro e si raddrizzò. Non è mai stato bravo nei conflitti con le donne e di solito si sentiva intimidito o minacciato. “Può, per favore, accettare le loro domande e fare il colloquio preliminare? Se trova qualcosa sulle loro domande di lavoro, i curricula o nelle risposte alle sue domande che squalifichi qualcuna di loro,” si sedette e premette il pulsante di accensione sul computer, “le mandi via.” Vide apparire il logo di Windows sullo schermo del suo computer. “È tutto chiaro, signora Applegate?” Il suo computer emise due segnali acustici.

“Perfettamente.” La parola fu conquistata e detta come una mano vincente di poker.

Quando la porta sbatté alle sue spalle, Tosh emise sospiro e si girò per appoggiarsi sui gomiti. “Bene, signorine,” sussurrò nell’ufficio vuoto mentre pensava alla terzina, “questo dovrebbe essere interessante. La signora Torsolo-di-Mela ha perfettamente ragione nella sua valutazione. Non avete esperienza lavorativa e probabilmente mi pentirò della mia decisione di assumervi.”

Posò il bombardiere al suo posto, si girò verso il suo computer e cliccò sull’icona dell’Internet. Il sito web della Echo Forests apparve sul monitor, ma i suoi occhi tornarono al B-17. Tirando verso di sé il vecchio bombardiere, fece roteare uno dei sostegni e tornò indietro negli anni fino a quel giorno in cui era solo un ragazzino di tredici anni.

Il telefono squillò. Tosh cercò di tenersi stretto il dolce ricordo. Il telefono squillò di nuovo, riportandolo di colpo alla realtà.

“Scarborough,” rispose. “Oh, ‘giorno, Quinn.” Rimase in ascolto per alcuni secondi. “Quando? Sei al molo? Sarò lì tra quindici minuti.”

* * * * *

Più tardi quel pomeriggio, quando Tosh ritornò in ufficio, la signora Applegate era seduta alla sua scrivania, intervistando un altro candidato.

“Come sta andando?” chiese.

“Molto bene,” rispose lei, raggiante.

“Ha dei candidati promettenti?”

“Sì.” Tre ottimi candidati.

“Tre?” Tosh sorrise e lanciando un’occhiata alla sala conferenze che era vuota. “Quando verranno a parlare con me?”

“Beh, può iniziare con il primo in questo stesso istante.” La signora Applegate si alzò in piedi e tese la mano verso la donna seduta di fronte alla sua scrivania. “Signorina Wishington, le presento signor Kennitosh Scarborough.”

L’anziana signora fissò in modo assente lo spazio in cui si trovava la faccia della signora Applegate prima che questa si alzasse.

“Signorina Wishington?” La signora Applegate ripeté, più forte questa volta.

“Ah, sì.” Alzò lo sguardo. “Sono Abigail Wishington. Sono venuta per candidarmi per il lavoro da grafico.”

“Sì, lo so,” rispose la signora Applegate. “Questo è il signor Scarborough.”

“Come sta, signor Scarface.” L’anziana signora lo guardò attraverso gli occhiali quadrati con montatura a giorno.

La donna sembrava avere circa settant’anni, con la faccia più dolce e angelica che Tosh avesse mai visto.

Sorrise mentre le tendeva la mano. “Salve, signorina Wishington. Lieto di conoscerla.” Si girò verso la signora Applegate. “Che cosa è successo con le sorelle Bravant?” La signorina Wishington continuava a tenergli la mano, mettendone un’altra sopra la sua.

“Oh, le ho mandate via, proprio come mi aveva detto lei.” Il sorriso della signora Applegate si fece ancora più grande e i suoi denti falsi brillavano della lucentezza di plastica. “Non avevano alcuna esperienza lavorativa. Immagino si siano dimenticate di menzionarle questa piccola informazione la scorsa sera.”