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Oltre Il Limite Della Legalità
Oltre Il Limite Della Legalità
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Oltre Il Limite Della Legalità

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Eravamo tutti intorno al tavolo. La cena era stata preparata minuziosamente da Fatima, una vicina di Khan, la quale sedeva accanto a lui in atteggiamenti tutt’altro che indifferenti. Nove persone animavano il banchetto e si rifocillavano sontuosamente. Guardavo quelle nuove persone con estremo interesse. Mi trattavano come fossi sempre stato loro amico, come se ci conoscessimo da anni e questo mi faceva stare bene. Per la prima volta nella mia vita mi sentivo a casa, le persone che sedevano accanto a me facevano di tutto per farmi sentire partecipe della loro compagnia e dei loro discorsi. A esser sincero, l’unico interesse che stavo maturando però era per un’amica di Fatima. Il nome con il quale i suoi genitori l’avevano benedetta era Sophia, nome a me sconosciuto ma dal suono incantevole. Come lo erano i suoi occhi neri, egual colore dei capelli, e la carnagione caffelatte. Quello che mi colpì di lei fu non tanto l’aspetto fisico, ma il suo sguardo. Era per me come la mela per Newton e il pericolo sarebbe stato quello di toccare terra. Per tutta la cena, ci scambiammo sorrisi e sguardi complici, sebbene non riuscissi a capire che rapporto avesse con Abdlak, il quale l’aveva stuzzicata diverse molte. In queste occasioni lei lo aveva snobbato, volgendo l’attenzione su di me, e puntualmente lui si agitava, diventando scontroso e irascibile con gli altri ospiti. Non era il mio genere di ragazza, ma la sua carnagione dorata mi faceva risvegliare passioni lontane, il suo sguardo scuro e inteso sembrava assorbire ogni mia emozione senza che questo la tormentasse, anzi, la sentivo leggere dentro la mia anima con estrema facilità. I suoi lunghi capelli neri, dal profumato candore, portavano dentro di me una serenità sconosciuta ma ricercata nel tempo, forse segno di poche notti passate a riposare. Avevo voglia di lei e del significato che rappresentava. Avrei voluto prenderla per mano e portarla fuori, lontano da tutto e da tutti e rimanere seduti a parlare per ore, per poi abbracciarsi così, l’uno stretto all’altra, senza aver più nulla a cui chiedere al mondo, perché mi bastava ciò che avevo tra le braccia e tutto il resto sarebbe stato inutile e superficiale.

Quella sera non andò proprio così, però sapevo che l’avrei rivista, e questo mi aveva fatto trascorrere un sonno non troppo sereno.

Assuefatto dai fumi dell’alcool, e un po’ delirante, tiravo le somme della giornata appena passata. Non era stata una giornata normale, era il primo giorno che vivevo con i profitti della vita illegale. Imparavo a capire che i soldi non avevano né nome né padrone. Erano esclusivamente di chi lì possedeva. Ero riuscito a spendere quei soldi con estrema facilità e disinvoltura e cosa ancora più importante senza senso di colpa, e a dirla tutta, erano i soldi meno sudati in vita mia, o forse nei quali avevo utilizzato più testa per guadagnarmeli. Se ripensavo, che per la stessa cifra, quando avevo sedici anni, avevo lavorato un mese intero in fabbrica ad avvitare piccole viti sull’intelaiatura di centinaia di lampadari, mi rodeva il fegato, considerato che in sole due ore, avevo racimolati gli stessi soldi. Certo mi era andata bene, però non potevo non tenere in considerazione questi piccoli particolari. Coccolato nelle coperte, dalla prima volta che mi ero congedato, ero tornato a fare una vita normale, avevo delle persone che non disprezzavano dormire sotto lo stesso mio tetto, e non mi guardavano come un criminale, ma come una normale persona che nella vita poteva commettere degli errori. Non si lamentavano della mia presenza e del mio alito un po’ alcolico, anzi erano loro a sentirsi a disagio con me, solo per il fatto che io ero Italiano e un tempo anche sbirro. Sentivo che la stima che avevano quelle persone nei miei confronti era più alta della mia, e questo mi faceva stare bene. Il resto non m’importava, ero vivo e dovevo vivere. Quello che il destino mi riservava, lo avrei scoperto passo dopo passo da solo, come avevo sempre fatto.

La sveglia come ormai mi capitava da diverso tempo, non sapevo neppure da quali lettere fosse composta e che suono avesse. Mi capitava di svegliarmi e di ritornare a dormire per un altro paio d’ore, e nessuno aveva nulla da obbiettare su quello. Dopo la sera appena trascorsa, successivamente che gli ospiti se n’erano andati, mi ero trattenuto con Sophia a svuotare i residui di bottiglia rimasti. Ci facemmo compagnia per un po’ di tempo. Le parole presero colori e direzioni che nessuno dei due il giorno seguente si sarebbe ricordato. L’unica cosa che ricordavo, erano le due pietre di ossidiana che luccicavano quando mi guardava, ne ero assuefatto a tal punto che per sentirla accanto a me quando se n’era andata, avevo cominciato a scrivere una poesia, come se tutto ciò, fosse la cosa più semplice del mondo, e quel gesto avesse la forza e la magia di trattenerla accanto a me un altro istante.

Il tuo sguardo è come quello d’una pantera

Cosa m’hai fatto questa sera?

Sei affascinante e pericolosa

Sconosciuta e misteriosa

Sei comparsa come d’incanto

Ed io ho sentito il tuo pianto

Non mi son accorto quando sei arrivata

E tanto meno quanto te ne sei andata

Lo stomaco gridava di dolore

Non avevo mai sentito questo ardore

Il sangue ballava nelle vene

Ti prego sciogli le tue catene.

Quando mi svegliai la mattina avevo la testa che rimbombava; era come se ospitasse un batterista principiante ed isterico, il cui ultimo pensiero era cessare di far quel fracasso. Ipotizzavo che probabilmente anche per questo motivo non riuscivo a starmene sdraiato a letto. Mi giravo e rigiravo tra le lenzuola, senza trovare una posizione o soluzione, alche non mi era restato altro che donare la mia presenza al mondo civile.

I piedi toccarono terra a fatica, e non appena mi ero sollevato, mi chiesi che diavolo stavo facendo e dove diamine stavo andando. Strascinai praticamente il corpo in cucina, ma prima che potessi effettuare qualsiasi altra cosa, accesi la televisione per avere un po’ di compagnia. La mia intenzione era ascoltare un po’ di musica per riuscire a svegliarmi lentamente. Pigiai il pulsante del telecomando, e quasi immediatamente ecco accendersi d’incanto, un po’ di sana e orecchiabile musica pop. Con gli occhi da cinese mi destreggiai per la cucina, cercando di non sbattere da qualche parte, e non cominciare così la mattinata con un’imprecazione, anche se ormai era mezzogiorno passato, sempre che le lancette scrutate dai miei occhi e recepite dal mio cervello, fossero corrette. A dire il vero non mi accorgevo quando la musica cessava per lasciare spazio ai conduttori del programma, anche se distrattamente captavo una notizia decisamente importante e inaspettata. La morte di Lucio Dalla. Lì per lì non ci avevo fatto molto caso, forse perché i miei neuroni non riuscivano ancora a interagire tra loro, ma poi con il passare dei minuti e con l’avvicendarsi degli speaker, e dei cronisti e di alcuni personaggi famosi con le loro parole di sconforto, mi rendevo conto che un artista della musica italiana era morto. La cosa non mi riguardava gran che, anche perché non lo conoscevo di persona, sebbene mi era capitato di incrociarlo per le vie di Bologna, seduto a bere qualche cosa in piazza dei Celestini, dove ero solito passare a piedi per raggiungere via d’Azeglio. Lo coglievo lì, tranquillo a chiacchierare come qualsiasi altra persona al mondo. E ora non c’era più. Quando un’artista lasciava questo mondo così inaspettatamente, mi capitava di pensare cos’altro avrebbe potuto dare a tutti noi. Quello che una persona era riuscita a dare sino al giorno del suo addio era indubbiamente importante, ma cos’altro sarebbe riuscita a regalarci? Era una cosa che mi aveva sempre solleticato la mente. Cercare di pronosticare il potenziale di una persona che oramai non c’era più, era alquanto difficile e impossibile da effettuare, però era altrettanto affascinante e misterioso. La speranza era che l’anima di quella persona, come quella di qualsiasi altra persona al mondo che lasciava questa vita terrena, fatta eccezione per persone crudeli ed egoiste, rimanesse immortale, passando in una vita che si stava accendendo proprio in quel momento. Comprendevo che questo fosse un pensiero strano e aggrovigliato, ma se fosse vero, ci permetterebbe di sapere che tutte le persone a cui noi teniamo, e che persino noi stessi, noi come essere umani, avremmo un futuro e non saremmo solamente esseri finiti e limitati; in tutta sincerità però, questa cosa mi faceva molta paura. Come potevo sperare di poter tramandare la mia anima in un’altra persona se non ricordavo il percorso delle vite passate? Anche se questo ragionamento era relativo, considerato che in alcuni momenti della vita mi era capitato di rincontrare l’anima di un altro, di ritrovare o rivivere esperienze già vissute, però mai provate. Forse era stato per una situazione psicologica instabile, o per l’eccesso di alcool o forse perché il passato che avevo consumato in un'altra vita non riusciva a rimanere placato. Sta di fatto che avevo vissuto e provato molte situazioni e sensazioni delle quali però non avevo mai avuto la forza e la capacità di spiegarmele. Credo che il senso di tutto questo si concentri a maggior ragione nell’istinto, nella reazione immediata a un determinato evento, al desiderio forte e incontrollabile d’effettuare qualche cosa, qualunque essa sia, ma che per noi era la più normale e straordinaria al mondo.

“Come posso dire che mi piace tirare con l’arco se non l’ho mai provato e quando accade il gesto mi risulta facile e corretto? Come posso altrettanto affermare di saper interloquire o esprimermi ad un vasto pubblico quando non l’ho mai fatto, però quando mi ritrovo di fronte a centinaia di persone mi sento a mio agio e pieno di me? Come posso sentirmi unico e speciale e tutte le persone che mi circondano me ne danno conferma? Come posso desiderare di conoscere una cultura e una civiltà completamente diversa dalla mia a partire dalla storia, seguendo con la lingua, alle usanze e ai caratteri somatici, a tutto ciò che caratterizza una popolazione da un’altra, e poi studiandola trovarla straordinariamente affascinante e famigliare. A volte non ci sono spiegazioni a determinate cose, esistono, si provano e si portano avanti con la consapevolezza che non si possa dare a tutto una spiegazione, a volte bisogna vivere e farsi trasportare dal nostro cuore e dalla nostra anima, perché questi ultimi conoscono cose e mondi che noi non riusciremo mai a comprendere.”

Le notizie alla tv susseguivano come le canzoni, ma erano solo da contorno ai miei pensieri. Avevo appena terminato di mangiare e ora mi preparavo a uscire, oggi sarebbe stato il mio primo giorno di palestra e speravo che un po’ di fortuna m’avrebbe aiutato, sebbene non riponevo in essa il mio futuro.

CAPITOLO CINQUE – Incontri inaspettati –

Praticamente la quota d’iscrizione e i primi tre mesi d’abbonamento, il minimo richiesto, mi scipparono tutto il malloppo, lasciandomi in tasca la cifra per una pizza. Con la mia bella tenuta, mi ero preparato con estrema calma, avviandomi agli attrezzi. Sbrigate le pratiche con il personal trainer, cominciavo a mettere in moto muscoli da tempo inutilizzati. Cercavo di perdere più tempo possibile, anche perché, oltre a non esserci molta gente, non avevo nient’altro da fare e l’unico mio obbiettivo per oggi era riuscire ad incontrare e conoscere il mio futuro collega di lavoro. Giusto per scaricare un po’ i nervi e visto che era passata più di un’ora, mi misi a correre un po’ sul tapis roulant ascoltando la musica diffusa dall’impianto centralizzato. Non mi garbava moltissimo, ma certo, non avevo a disposizione un Ipod, quindi mi sarei dovuto accontentare.

Mentre era intento a guardare il video che passava nel monitor posizionato di fronte a me della canzone “Welcome to Saint Tropez”, fantasticando sulla mia vita futura. Con gli occhi pieni ancora di quelle splendide ragazze, ecco che si era sovrapposta nella traiettoria del mio sguardo una creatura mitologica, Medusa. Rimasi impietrito al solo suo sguardo. Non una parola riuscii a pronunciare inizialmente, e la sorpresa mi fece quasi inciampare suoi miei passi. Lei se n’era accorta e aveva accennato un leggero sorriso, nascondendolo immediatamente con l’estremità delle dita. Era così carina e spontanea da provocarmi una tenerezza immensa.

“Ciao, non sapevo frequentassi questa palestra, ma è da molto che vieni?”

“Ciao, che sorpresa. Non sapevo che fossi iscritta qui, anche perché se lo avessi saputo sarei venuto decisamente prima. Comunque sì, direi che oggi è il mio primo giorno, vuoi farmi da personal trainer?”

“Eh eh, non credo che tu ne abbia bisogno, e poi Paolo laggiù potrebbe essere geloso, non so se capisci, appena l’ho salutato era indaffarato a guardare il tuo lato B, io starei attento…a meno che…”

“A meno che…cosa? Non vorrai mica scherzare, non che abbia qualcosa in contrario contro gli omosessuali, anzi, più ce ne sono e meglio è per me…visto che sono single…tu che dici?”

“Sei sempre il solito. Certo che molte volte sono proprio uno spreco, ce ne sono molti di così carini…va beh…fa nulla…ora però ti devo salutare, vado, ho il corso di step che mi aspetta, quanto rimani ancora?”

“Ad esser sincero non lo so, però un’altra oretta sicuramente.”

“Bene allora, ci vediamo quando esco, anche se sarò irriconoscibile e puzzolente.”

Beh, secondo me sarai ancora più carina, era quello che avevo pensato ma che non ero riuscito a dirle perché oramai si era allontanata.

Era stata una vera e fortunata coincidenza. Non mi sarei mai aspettato di vedere Isabel in quella palestra, anche perché non avevo la minima idea di dove abitasse e cosa facesse nella vita. L’avevo conosciuta una sera in discoteca, accompagnata a casa e poi mai più richiamata. A essere sincero non le avevo nemmeno chiesto nemmeno il numero di telefono, per quello ero rimasto pietrificato quando l’avevo vista. Coincidenze della vita, pensai, anche se a esser sincero, credevo che queste, non esistevano affatto. Erano come i tasselli del Tetris, i quali girandoli e guardandoli sotto prospettive diverse riuscivano a incastrarsi perfettamente con situazioni e luoghi a volte improbabili, divenendo una volta posizionati, semplici e naturali. A volte non provocavano alcuna reazione, lasciando il gioco immutato, altre volte lo scombussolavano, semplificandolo all’invero simile, o complicandolo in modo irreparabile, o almeno facendolo sembrare così.

Una serie di meccanismi e ingranaggi dai quali non possiamo rifiutarci di intrometterci perché così facendo smetteremo di vivere, ma anche allora, quell’ingranaggio continuerebbe nella sua macchinazione, e in modo prestabilito, irromperebbe nella nostra vita in modo semplice o tragico, ma sicuramente inaspettato, magari citofonando alla porta per una promozione pubblicitaria o passando sotto casa portando a spasso il cane.

Quando però queste coincidenze accadevano nella mia vita, ovvero mi si erano presentate d’avanti, ed io, solamente dopo qualche ora, o qualche giorno, rimembrando su ciò che mi era accaduto, e rendendomene conto a mente lucida, cercavo di darne una spiegazione logica e razionale, e se non ci riuscivo, ovvero ogni occasione, basavo la mia fiducia sul fato, sul destino peccaminoso e crudele che si abbatteva su ognuno di noi. La mia persona si smaterializzava dal corpo e come un burattino comandato da fili invisibili in mano ad una forza superiore, si lasciava guidare e comandare senza nulla potere o nulla fare, se non acconsentire a ogni ordine e movimento impressomi, anche perché se decidevo di intraprendere un’altra strada credevo che la stessa era già stata prestabilita in principio. Insomma tutto ciò che avevo fatto, che facevo, e che un domani avrei fatto, lo immaginavo scritto in un foglio invisibile che potevo solamente scoprirlo giorno dopo giorno. E vedendola sotto questo punto di vista, nulla sarebbe stato nuovo o lasciato al caso e tutto ciò che mi avrebbe circondato, le persone, i paesaggi, gli animali, era parte anch’essi di questo percorso, e volente o nolente non lo potevano cambiare, forse scegliere, anche se quella scelta sarebbe stata esclusivamente e psicologicamente relativa.

“Sai, non credevo mi aspettassi.”

“A dire il vero, nemmeno io. Caspita è passata più di un’ora e non me ne sono accorto, tra un esercizio e un altro il tempo è volato. Ma fatti guardare. Ma tu non dovevi uscire sconvolta, sudatissima e irriconoscibile?”

“Perché non lo sono?”

“Beh si, però era per dire che hai rispettato le tue premesse, però sei carina ugualmente.”

“Grazie, che carino che sei, ma non ci starai mica provando?”

La domanda mi aveva lasciato, come dire spiazzato, e solamente perché ero già accaldato dalla corsa sul tapine roulant che non arrossì maggiormente.

“Certo che no, se volevo provarci con te, t’invitavo a cena, non credi.”

“Ah ecco…vorrei ben vedere.” Esternando un bellissimo sorriso.

“Hai qualche impegno per questa sera?”

La domanda mi era uscita schietta e sincera, senza tener conto che non avevo nemmeno i soldi per offrirle una pizza, il massimo che sarei riuscito a permettermi, forse, era un panino al Mc Donalds, sempre che non avesse preso il menù completo. Insomma mi ero inguaiato con le mie stesse mani, per la prima volta, da che la memoria me lo concedeva, speravo che una ragazza non accettasse il mio invito.

“Che scemo che sei. Comunque sì.”

Ecco ero rovinato, e ora cosa le avrei detto?

“Eh…”

“Ma perché quella faccia? Mi hai chiesto se avevo qualche impegno e ti ho detto semplicemente di sì. Mi spiace. Ora devo scappare, continueremo la conversazione la prossima volta, magari domani se vieni.”

“Ok. A domani allora.”

“Buona serata.”

“Anche a te. Ciao.”

“Ciao.”

Mi piaceva. Questo suo atteggiamento cordiale e socievole nei miei confronti, senza sbilanciarsi troppo, e l’aver declinato il primo invito, mantenendo comunque l’argomento aperto per il giorno seguente, garantendomi la sua presenza, era il degno ingegno del sesso femminile. Forse ero io troppo ottimista nei suoi confronti e non capivo come al solito nulla sulle donne, oppure i segnali che mi stava mandando lì stavo percependo perfettamente e dovevo solamente cogliere il momento adatto per farmi avanti.

“Che diavolo stavo facendo.”

Pronunciai a bassa voce tra me e me, forse facendomi sentire dalle persone che passavano lì vicino, le quali effettivamente mi guardarono di sott’occhio quasi fossi uno psicopatico.

Il mio obbiettivo era incontrare e conoscere “Senna”, cercare di avvicinarlo e in qualche modo agganciare dei minimi contatti con lui, sperando di prenderne confidenza entro poco tempo e invece dopo che Isabel se n’era andata, senza pensarci su due volte, m’andai a fare la doccia prendendo l’uscita sempre con la sua immagine in testa, pensando solamente al giorno seguente, tempo in cui probabilmente l’avrei rivista. Questo sarebbe potuto essere anche naturale e accettabile per una persona qualunque, ma non per me, non dovevo perdermi su queste sciocchezze e debolezze, l’avevo fatto sino a qualche mese prima, e mi ero ripromesso che sarei dovuto cambiare. Questa era una nuova vita, maturata sugli errori del passato, perché era di sbagli che si stava parlando.

Uscivo dallo spogliatoio con la mente offuscata, e indispettito dal mio stesso comportamento. Aprendo la porta andai a sbattere contro la prima persona che avevo incrociato.

“Scusami.”

“Ehi, ma che cazzo fai? Non ci vedi. Che sei su un altro mondo?! Dai levati, hai intenzione di startene lì impalato come un mulo?”

“Oh, vedi di rilassarti. E dire che mi sono pure scusato, sai che ti dico, ma chi cazzo ti credi di essere? Se sei nano e non ti vedo non è mica colpa mia! Metti i tacchi la prossima volta, levati va che non riesco a uscire.”

Mi feci avanti dandogli una spallata. Il gesto improvviso gli fece perdere l’equilibrio e arretrare di qualche passo, ma questo mi aveva permesso di passare e raggiungere l’uscita della palestra.

Sentii la voce del personal trainer avvicinarsi nella nostra direzione.

“Senna, tutto bene, cos’è successo, qualche problema?”

“Tutto bene, tranquillo.”

Mi sentii il suo sguardo sulla schiena e ciò mi faceva molto piacere. Non avrei potuto far incontro migliore. Non sapevo se il gesto era stato dettato dalla coincidenza o dalla mia sbadataggine, sta di fatto che sebbene in un primo momento, non l’avessi riconosciuto, successivamente, approfittai della situazione per farmi vedere uno che non si faceva mettere i piedi in testa dal primo che passava, e la cosa non poteva essere che positiva.

Ero sceso dall’autobus e avevo cominciato a passeggiare per tornare a casa, sebbene non fosse proprio casa mia, bensì l’unico posto dove potevo andare. A esser sincero non riuscivo a capire perché l’avevo definito casa. E la risposta non potevo trovarla solamente nel fatto che avevo un tetto sotto al quale dormire, certo anche per questo, anche se dentro di me ero consapevole che era dovuto alle persone che animavano quell’ambiente, e nel loro modo di interagire con me. Erano incredibili, e giorno dopo giorno lì riuscivo ad apprezzare sempre di più, sebbene l’idea che avessi per la loro popolazione in linea generale, rimaneva comunque pessima.

L’imbrunire era sceso, sfumando i contorni dei palazzi con i suoi scuri colori.

Un solo pensiero avevo nella mente, ma più mi ronzava dentro e maggior era la volontà con cui cercavo di cacciarlo via, come si trattasse di una zanzara.

I suoi occhi stavano diventando lentamente il buco nero dei miei pensieri, le sue dimensioni erano piccolissime, ma gradualmente crescevano sino a riempirli completamente; la cosa m’affascinava ma mi faceva una paura immane. Anche perché ora come ora non avevo tempo da perdere con una donna. Avevo fissato un obbiettivo nella mia vita e l’avrei dovuto raggiungere in un modo o nell’altro, ma era altrettanto vero che un uomo non era un vero uomo se non aveva una donna al suo fianco che lo rispettava e lo sorreggeva nei momenti di sconforto qualora fossero entrati senza bussare. Non avrei dovuto fasciarmi la testa prima ancor di rompermela, ma vivere la cosa per come sarebbe andata, fatto sta che lei era veramente incantevole, e non potevo non desiderarla con tutto il mio corpo e la mia mente.

“Ehy Archimede, come va? Andata bene la giornata oggi?”

“Si si, tutto bene.”

Quel personaggio così fuori luogo e incredibilmente inaffidabile, era incarnato in una persona alta circa un metro e settanta, dalla corporatura esile e disidratata, e dal sorriso tutt’atro che perfetto. Quando sorrideva dei piccoli fori scuri,marchiavano il suo sorriso. I capelli neri crescevano a ciuffi qui e là, facendosi notare grazie alla loro lunghezza relativamente corta. Dimostrava molto più dei suoi 24 anni, ma non sembrava interessarsi della cosa, anzi, disprezzare la cura della sua persona, ora che lo conoscevo da poche ore, pareva un risultato cercato, e a dire il vero, pienamente trovato. I vestiti che indossava erano sempre stropicciati e solo saltuariamente profumati, anche se non potevo dire che emanasse un odore sgradevole, ma solo un po’ nauseante. In poche parole era l’opposto del fratello, il quale, anche a causa, o per fortuna del lavoro come interprete, doveva mantenere un certo tipo di dignità e pulizia. Ahmed invece vestita con delle semplici magliette da pochi euro, e dei pantaloni definibili quasi jeans, calzando ovviamente dei sandali, cosa che in casa ometteva puntualmente. Le unghie dei piedi, per com’erano tagliate, sembravano strappate via a morsi.

“Ho capito non hai fatto nulla come al tuo solito, e chi lo sente tuo fratello ora che torna a casa?!”

“Quello che spetta a me, spetta pure a te…non è che tu abbia fatto molto più di me, anzi, te ne sei andato in palestra, giusto?”

“Certo che sono andato in palestra, ma a te quello che faccio io non ti deve interessare, e poi ora come ora l’ultima cosa che mi serve è trovare un lavoro, ma questi non sono affari che ti riguardano, e poi sei tu quello che vive sulle spalle del fratello da anni e prima che tu possa aggiungere qualcosa, la mia sistemazione qui è momentanea, ancora pochi giorni e ringrazierò il sangue del tuo sangue dell’ospitalità che mi ha concesso.”

“Sai, pure io detto così, invece eccomi qua, sono mesi che vado avanti come te e credo che tu sarai uguale a me, poi che te ne frega se trovo lavoro o no, tu non mio parente.”

“C’hai ragione, ma sai che potresti fare, mi potresti aiutare.”

“Fare che cosa?”

“A imparare il marocchino, che ne dici, me la dai una mano?”

“Se paghi, ok.”

“Sei proprio un genio, vedi che faccio bene a chiamarti Archimede, ma con cosa diavolo ti pago se non ho i soldi nemmeno per l’alcool, me lo dici? E poi non ti ho mica chiesto un polmone cavolo, qualche parola al giorno.”

“Ok, è scusa per rimanere più tempo qua, ma ok, basta che non mi rompi, e se dico, oggi no, è oggi no, ok?”

“Si padrone.”

Proprio mentre terminavamo la conversazione ecco sentire il tintinnare delle chiavi fuori dalla porta e comparire dietro all’uscio Khan.

“Buona sera a tutti e due, com’è andata oggi?”

“Prima che tu possa dica qualcosa, io fatto nulla.”

“Ahmed di questo non avevo il minimo dubbio, tu invece Enrico com’è andata la giornata, fatto qualcosa di interessante?”

“Sono andato qualche ora in palestra a scaricare un po’ di tensione accumulata in questo periodo con la speranza di ri-integrarmi nella società, anche se credo che dovrò cambiare città per riuscire a costruirmi una nuova vita, dove nessuno abbia pregiudizi su di me.”

“I pregiudizi ce li hai tu nella tua testa, non ti devi far influenzare dal pensiero degli altri, ognuno di noi è quello che decide di essere, cosa dovrei dire io che, non appena arrivato in Italia e ancora oggi, tutte le persone per strada mi guardavano di sottecchi, e quando sanno che sono marocchino esternano i risentimenti che hanno sulla mia popolazione; tu sotto questo punto di vista sei avvantaggiato, ti basterà frequentare posti che non frequentavi e la conoscenza di persone nuove verrà automaticamente, e poi questa città è così grande che non avrai certo alcun problema a ricostruirti una vita. Una cosa ti consiglio, trovati un lavoro e con esso anche le amicizie verranno. Ma oltre allo sbirro non sai fare null’altro? Possibile che non conosci altri mestieri, o che ti piacciono altri lavori che magari vorresti imparare, sai non si è mai troppo vecchi per imparare cose nuove, anzi, tener la mente attiva aumenta il quoziente intellettivo, almeno così dicono.”

“Non è che non conosco altri lavori, o meglio, è così, però non ho voglia di cementarmi con altre cose e poi in questo periodo non riesco a sgomberare la mente come vorrei. Però a essere sincero un lavoro che mi è sempre piaciuto è quello del barista, stare al contatto con la gente, in mezzo alla musica, alle belle donne, insomma …”

“Si ho capito, all’alcool.”

“Beh, anche, perché no, comunque vedi, il barista, magari domani faccio una passeggiata e vado a chiedere nei locali che non frequentavo, giusto per non trovarmi a rispondere a domande imbarazzanti.”

“Oh bene, vedrai che piano piano riuscirai a sistemare la tua vita. Questa sera che facciamo di bello? Che ne dite se andiamo da Abdlak nel dopocena?”

“Per me va bene, non ho impegni, te Archimede vieni con noi oppure continui ad accecarti in bagno?”

“Ah ah, spiritoso, ma chi ci sarà?”

“Non so chi viene, ma dovremmo essere una decina di persone, dai sempre i soliti e poi cosa diavolo me lo chiedi ogni dannato giorno, solo per farmi dire le solite cose, comunque lì conosci tutti i miei amici, ci vieni o no?”

“Rimango qui ad accecarmi, come ha detto Fra, ma cosa significa?”

“Va beh, come preferisci. Ehy Enrico ti va di prendere un kebab al volo e poi andare da Abdlak?”

“Se offri te, per me va bene.”

“Dai scroccone andiamo.”