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Inviolata
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Inviolata

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Cercai di affrettarmi a uscire dal lago ma la pressione dell’acqua contro le mie cosce mi rallentò. Quando ci riuscii, Cadence aveva già indossato la sua maglietta e i suoi short e si stava mettendo le scarpe. Il suo cane, Dahlia, era disteso tranquillo ai suoi piedi. Entrambe alzarono lo sguardo quando salii sul molo.

“Non è educato spiare le persone,” borbottò bruscamente Cadence quando camminai verso di lei.

“Non stavo spiando. Come ti ho detto, stavo facendo una passeggiata e sono finito in questo posto,” le dissi. Lei non rispose. Invece si piegò per silenziare la radio che stava ancora suonando. “Aspetta, è una bella canzone. Non spegnere.”

La sua postura rigida sembrò addolcirsi un po’ mentre mi guardava con occhi curiosi.

“Ti piacciono gli U2?” chiese.

“A chi non piacciono?”

Lei sorrise leggermente, sembrando rilassarsi un po’ prima di irrigidirsi di nuovo.

“Vero, ma si sta facendo tardi. Dovrei andare,” disse.

Non volevo che se andasse. Volevo che riaccendesse la musica. Volevo stare sul molo con lei, ascoltare insieme nella notte tranquilla mentre guardavamo le stelle che punteggiavano il cielo. E se una cosa tirava l’altra, non mi sarei lamentato.

Per quanto volessi convincerla a farlo subito, pensai fosse meglio non farlo. Forse un altro giorno. Il mio orgoglio aveva appena subito un colpo piuttosto grosso dopo la folle ricerca del suo corpo potenzialmente affogato. C’era bisogno di più tempo prima di fare un altro passo verso di lei. Inoltre, lei era chiaramente a disagio in mia presenza. Solo che non ero sicuro che fosse per la condotta stupida che avevo avuto in precedenza nei suoi confronti o per il fatto che stavo violando la sua privacy lì al lago.

Lei si piegò per raccogliere il suo Boombox, poi fece un segnale con un fischio a Dahlia. Il cane balzò in piedi. Non ero sicuro di cosa dovessi fare, ma allungai il braccio e afferrai con le mie dita il suo braccio magro. L’elettricità sembrò sfrigolare sotto il mio palmo, scioccandomi così tanto che quasi lo lasciai. Invece strinsi la presa.

“Cadence,” dissi, il suo nome uscì quasi come una domanda.

“Sì?”

“Mi dispiace di averti spiato. Non intendevo farlo.”

Alla luce della luna, fui in grado di vedere la sua faccia arrossarsi per le mie parole e la sua pelle accaldarsi sotto la mia mano.

“Va bene,” disse timidamente, prendendomi di sorpresa. “Grazie per aver cercato di …ecco, salvarmi.”

La mia mano indugiò sul suo braccio per un altro momento prima che lei lentamente indietreggiasse e si allontanasse da me. Rimasto da solo sul molo, guardai Cadence e Dahlia scomparire nella foresta.

4

Cadence

Salii i gradini del cottage che condividevo con i miei genitori con Dahlia alle mie spalle. Appoggiando ai miei piedi il mio zaino e la radio, mi chinai verso il dondolo e mi sedetti per guardare il campeggio.

Ora era tranquillo e tutti i nuovi studenti probabilmente erano già addormentati. Il giorno di apertura del campeggio Riley era sempre eccitante. Ogni anno non vedevo l’ora che arrivasse, ma era estenuante. Se a questo si univano le temperature insolitamente alte della Virginia in quel momento, il tutto diventava molto faticoso anche a livello fisico. Capivo perché i miei genitori mi avevano affidato la responsabilità di organizzare gli studenti il giorno del loro arrivo quest’anno. Alla loro età non sarebbero mai stati in grado di stare lì in piedi con quel caldo ad aspettare di accogliere gli autobus carichi di studenti.

Tirai fuori dallo zaino una bottiglia d’acqua, l’aprii e ne presi un sorso. L’acqua era tiepida perché non era stata nel ghiaccio sin dal mattino, ma almeno era idratante. Nonostante la mia recente nuotata il sollievo delle fresche acque del lago era stato di breve durata. Il mio corpo era già surriscaldato per la camminata per tornare al cottage. D’impulso misi le mani a coppa, vi versai un po’ d’acqua e poi me la gettai in faccia nel tentativo di rinfrescarmi. Dahlia alzò lo sguardo verso di me con curiosità, poi leccò le gocce che cadevano davanti alle sue zampe.

Potevo sentire le voci dei miei genitori che provenivano dalle finestre aperte del cottage. Mia madre stava parlando tutta eccitata dei piani che aveva per gli studenti per il giorno seguente. Mio padre, sempre così incoraggiante, era d’accordo con i suoi progetti e dava qualche suggerimento.

“Su ragazza. Andiamo dentro e ascoltiamo tutti i piani della mamma,” dissi e allungai il braccio per arruffare una delle orecchie di Dahlia. Lei scodinzolò, alzandosi. Seguendola superai la soglia ed entrammo.

Trovai mio padre, seduto presso il vecchio tavolo in quercia della cucina con un bicchierino di bourbon, che ascoltava mia madre con rapita attenzione. Era il modello di tutto quello che c’era di buono–un marito fedele, gran lavoratore e un padre sempre presente. Mia madre, sempre decisa ed energica, stava camminando avanti e indietro agitando le braccia per l’eccitazione. I suoi capelli che stavano ingrigendo erano tirati nel consueto nodo stretto in cima alla testa, e la sua piccola figura sembrava persa sotto la lunga camicia da notte che indossava. Mio padre annuiva con la testa per qualcosa che aveva appena detto, ed entrambi si girarono nella mia direzione quando entrai.

“Oh, Cadence! Sei tornata finalmente! Come è andata oggi?” chiese mia madre con entusiasmo.

“Piuttosto bene, specialmente se consideriamo che era la prima volta che facevo tutto da sola. Un paio di intoppi ma li ho gestiti.”

“Oh? Tipo?” Sollevò un sopracciglio per la curiosità.

“Non sapevo cosa fare coniI ragazzi nuovi che erano stati aggiunti all’ultimo minuto al personale del campeggio. Ho deciso di metterli alla manutenzione insieme con papà.”

“Li ho messi subito al lavoro questa sera,” intervenne mio padre. “Sembrano buoni ragazzi lavoratori. Hanno fatto quello che ho chiesto loro senza fare tante domande. Credo che se la caveranno bene quest’estate.”

“Già, bene. Penso, invece, che creeranno dei problemi,” borbottai. “Dubito che ragazzi della USC siano capaci di essere dei gran lavoratori.”

“USC?” dissero i miei genitori all’unisono.

“Università delle Straviziate Creature,” chiarii.

Mia madre rise, un suono lungo e melodioso e non potei fare a meno di sorridere.

“Oh, Cadence, dà loro tempo. Quante volte ti ho detto di non giudicare un libro dalla copertina?”

“Fidati, mamma, sono una coppia di burloni. Quei ragazzi non son nulla di buono.”

“Beh, cerca di mantenere una mente aperta. Se hai problemi, faccelo sapere subito.”

“Lo farò,” promisi. “Allora, dimmi come è andato l’incontro con i responsabili del campeggio. Sei riuscita a pianificare I progetti per quest’estate? Hai deciso che produzione fare?”

Mia madre applaudì, con un’eccitazione evidente.

“L’incontro è stato meraviglioso! Probabilmente è stato il più produttivo che abbia mai fatto! Abbiamo alcuni geni creativi con noi quest’anno e non vedo l’ora di cominciare! Ne stavo giusto parlando con tuo padre. Siediti che ti aggiorno.”

Portando una sedia al tavolo della cucina, mi preparai ad ascoltare mia madre che spiegava la produzione musicale per quell’anno. Aveva dato ai responsabili una scelta tra West Side Story e Singin’ in the Rain, e avevano deciso per quest’ultima per le sue caratteristiche di commedia. Mentre uno dei responsabili era deliziato all’idea sul chi avrebbero scelto per interpretare i ruoli di Don Lockwood, Kathy Sheldon e Cosmo Brown, un altro dei responsabili non vedeva l’ora di iniziare a insegnare la partiture del musical nominato per gli Oscar.

Catturata dalla sua eccitazione non potei fare a meno di stupirmi per tutti i suoi risultati. E non solo nei musical. Mia madre aveva successo in tutto quello che aveva fatto. I miei genitori erano originari di New York. Mia madre era stata un’attrice di Broadway e anche piuttosto famosa. Mio padre non era fatto per recitare ma era bravo con le mani. Aveva scalato posizioni all’Imperial Theatre fino a diventare il responsabile degli addetti al palcoscenico nella produzione de ”I ragazzi di Minnie”. Mia madre aveva recitato come Minnie e il resto, come dicono, è storia.

Il loro fidanzamento era stato corto secondo gli standard moderni–si erano sposati tre mesi dopo il loro primo incontro. Con idee giovani e romantiche avevano fatto un viaggio in Virginia, desiderando che la loro luna di miele fosse ben lontana dalla vita frenetica di New York. Sorrisi bonariamente mentre ricordavo tutte le volte che mi avevano parlato delle lunghe passeggiate che avevano fatto tra gli alberi verdi osservando i meravigliosi tramonti. Era stato in una delle loro passeggiate che si erano imbattuti in una città mineraria abbandonata. Mia madre si era innamorata del suo essere così pittoresco e fu rattristata nel vedere che fosse stato lasciata andare in rovina.

Anni dopo e dopo aver lottato per restare incinta, mia madre decise di aver finito con la sua carriera sul palco. Diede la colpa dei suoi numerosi aborti spontanei alla fatica e al rigore del teatro. Abbandonando tutto, tornarono in Virginia e acquistarono la vecchia città di cui si erano innamorati tanti anni prima. In ogni caso il teatro era ancora nel loro sangue e quindi convertirono la città in un campeggio estivo per giovani creativi. Grazie alla notorietà di mia madre, gli studenti arrivavano ogni estate ansiosi di imparare dalla grande Claudine Benton-Riley. Il segno che lasciava sulla maggior parte di loro era notevole. Anche se non condividevo i suoi talenti musicali o teatrali, speravo un giorno di essere in grado di avere un impatto su tante persone come lei.

Dopo aver ascoltato mia madre per più di un’ora, diedi un’occhiata all’orologio della cucina. Erano quasi le undici. Mio padre era già andato a letto trenta minuti prima. Per quanto l’entusiasmo di mia madre fosse contagioso, le sei e trenta sarebbero arrivate molto presto. Sembrò rendersi conto che stavo crollando quando cedetti a uno sbadiglio.

“Credo che sia ora che tu vada a dormire, Cadence. Sembri stanca e ho parlato a sufficienza per questa sera.” Mi disse sorridendomi.

“Mi spiace, mamma. Sai che mi piace ascoltarti quando parli di quello che succede al campeggio ma mi sono svegliata veramente molto presto questa mattina.”

“Non preoccuparti,” mi disse facendomi un cenno con la sua piccola mano. “So che hai avuto una lunga giornata.”

Mi alzai e mi diressi dove era seduta mia madre. Avvolgendola con le mie braccia le diedi un breve abbraccio e la baciai in fronte.

“Notte, mamma.”

“Buone notte, tesoro.”

Entrando nella mia stanza, la fredda aria proveniente dal condizionatore vicino alla finestra mi travolse. Quando cominciai a togliermi i vestiti mi resi conto di quanto fosse unta la mia pelle. Tra il sudore e l’acqua del lago, avevo decisamente bisogno di una doccia prima di andare sotto le lenzuola del mio letto. Guardai con brama il mio confortevole materasso matrimoniale, sapendo che domani non avrei avuto tempo di lavare le lenzuola. Con un sospiro afferrai un asciugamano e il mio pigiama e andai verso la stanza da bagno del nostro cottage. In quel momento pensai di non essere mai stata così grata del fatto che mio padre avesse aggiunto una doccia alla nostra residenza privata. Solo il pensiero di camminare fino al bagno in comune mi faceva sentire più sudata.

La stanchezza mi faceva sentire male alle ossa, ma mi sentii più un essere umano dopo la doccia. Mi asciugai I capelli con l’asciugamano e poi li raccolsi in una treccia. Indossando un paio di pantaloncini di cotone e una canottiera, tornai in cucina per spegnere le luci. Proprio mentre stavo per tornare nella mia camera, notai Dahlia davanti alla porta principale. Di solito a quell’ora della sera era accoccolata sulle coperte nell’angolo della mia camera.

“Devi andare fuori ragazza? Bevuta troppa acqua del lago?” Lei scodinzolò dando un colpetto alla porta con il naso. “Va bene, andiamo. Ma sii veloce.”

Sciolsi il catenaccio della porta principale, la aprii e Dahlia saltellò verso la parte posteriore del cottage. Sapendo che ci avrebbe impiegato alcuni minuti per trovare il posto giusto per fare le sue cose, mi sedetti sul gradino più alto della veranda e aspettai.

Dopo qualche istante sentii un fruscio sul lato della veranda e guardai per capire cosa fosse. Anche Dahlia doveva averlo sentito perché arrivò di corsa dal retro del cottage e partì come un fulmine.

“Dahlia!” la chiamai bisbigliando. Poi vidi quello che aveva causato il fruscio. Un coniglio.

Maledizione!

La inseguii, timorosa di chiamarla troppo ad alta voce perché non volevo svegliare i miei genitori o chiunque altro.

Fu inutile.

Cominciò ad andare dentro e fuori la boscaglia annusando rapidamente determinata a catturare la sua preda. L’amavo ma quando il sudore cominciò a colarmi lungo la schiena, ebbi il desiderio di strozzarla.

“Tanti saluti alla doccia,” borbottai tra me.

Quando finalmente la raggiunsi, I ‘afferrai per il collare e la sgridai. Lei abbassò la testa con la coda tra le gambe. Subito mi sentii colpevole per averla sgridata anche se non avrei dovuto sentirmi così. Dopo tutto lei era quella che era scappata da me.

Scossi la testa.

“Cucciola, non imparerai mai. I conigli sono molto più veloci di te!”

Cominciò a scodinzolare. Chiaramente tutto era stato perdonato. Ridacchiai e le feci cenno di seguirmi verso casa–verso il mio letto. Il sonno mi stava chiamando.

Vidi un raggio di luce con l’angolo dell’occhio, e mi girai per vedere da dove provenisse. Qualcuno aveva acceso la luce del fienile. Sarebbe stato strano che fosse Fitz ad essere rientrato. Doveva essere tornato dalla sua piccolo avventura spionistica già da un bel pezzo.

Dove avrebbe potuto essere andato dopo aver lasciato il lago?

Avevo visto Devon chiacchierare con una delle istruttrici di musica del campeggio, e quindi forse non era Fitz. Forse era il suo compare che tornava tardi.

Oppure, se ci fosse qualcosa che non andava? Magari che andava molto storto.

Una fitta di colpa mi colpì per averli fatti dormire nel fienile. L’aria della notte era come una sauna e, contrariamente agli altri cottage, non c’era alcun condizionatore da nel fienile per rinfrescare l’aria.

E se uno di loro avesse avuto un colpo di calore? O peggio. Se uno di loro fosse svenuto per il caldo e fosse caduto dalla scala del solaio?

Il fienile non era così lontano dal mio cottage.

Andrò solo ad assicurarmi che sia tutto a posto e poi andrò a letto.

Almeno questo è quello che dissi a me stessa.

Attirata come una falena dalle fiamme, mi allontanai lentamente dal letto che mi aveva tanto attirato pochi secondi prima e mi diressi verso la luce. La curiosità che sentivo era quasi compulsiva. In pochi minuti mi ritrovai proprio all’esterno del fienile, a sbirciare verso la finestra dove avevo visto accendersi la luce. Non ero sicura se sentirmi in colpa per spiare o se controllare un ospite fosse in qualche modo un mio dovere. Sapevo solamente che non ero in grado di guardare da un’altra parte.

Vidi Fitz muoversi, la schiena rivolta verso di me, la sua mole che riempiva quasi tutta la finestra. I suoi capelli corti erano un completo disastro, la parte superiore completamente mossi come se vi avesse passato le mani con molta violenza. Improvvisamente si girò verso la finestra. Colta dal panico, mi nascosi dietro a un albero lì vicino.

Non riuscii a cogliere la sua espressione, ma pensai che non mi avesse visto. Fissò fuori dalla finestra per un po, ’ prima di avvicinarsi e premere i suoi palmi contro il bordo della finestra. Fece cadere la testa tra le spalle. Sembrava quasi triste, e non potei fare a meno di chiedermi il motivo per cui quel ragazzo privilegiato dovesse sentirsi triste.

Dopo un po’, Fitz si allontanò dalla finestra e la luce si spense. Non ero sicura di cosa mi avesse spinto a dirigermi verso il fienile. Le mie preoccupazioni erano sciocche. Era tutto a posto. Sentendomi in colpa, mi allontanai dalle ombre e mi diressi verso casa. Dahlia mi seguiva, saltellando felice quando trovò un bastoncino sul sentiero.

“No, ragazza. Non puoi giocare. É ora di andare a dormire.” Si lamentò per un momento ma conosceva le regole. Quando le presi il bastoncino dalla bocca, cominciò a ringhiare. “Dahlia! Non osare ringhiarmi!”

Poi sentii un rametto spezzarsi alla mia sinistra, e mi resi conto che non stava ringhiando contro di me. Un senso di allarme mi travolse come se fosse trasportato da ali. Mi si rizzarono I capelli sulla nuca e mi venne la pelle d’oca sulle braccia.

Probabilmente è solo un altro coniglio.

Sentii rompersi un altro ramoscello e seppi di non essere da sola. C’era qualcuno tra I fitti alberi vicino al sentiero. Cercai di sbirciare nell’oscurità, ma la vegetazione bloccava la luce della luna e rendeva difficile vedere.

“C’è qualcuno?” dissi ad alta voce. Nessuno rispose. Dahlia continuò a ringhiare con un tono basso mentre mi venivano in mente tutte le immagini dei film dell’orrore che avevo visto nella mia vita. Attualmente stavo interpretando il ruolo della persona stupida del film–quella che andava tutta sola nelle tenebre solo per essere catturata e mangiata da un gruppo di zombie.

“Non è educato spiare le persone, dolcezza,” disse una voce dietro di me. Sobbalzai e quelle parole mi aumentarono violentemente le pulsazioni nelle mie orecchie. Sapevo che la voce stava ripetendo le mie parole di poche ore prima. Non era uno zombie pronto a nutrirsi della mia carne. Gli zombie non chiamano le persone ‘dolcezza’.

Era Fitz.


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