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Il Fiume Di Gennaio
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Il Fiume Di Gennaio

Comunque voleva molto bene alla madre e capiva che quelle sue visite annuali le facevano un gran piacere e quindi soffriva in silenzio. Sempre per amore filiale non aveva neppure fatto storie circa il fatto che la madre vivesse con la nuova famiglia nell'appartamento di sua proprietà. Il padre, anni prima di morire, quando era stato operato all'esofago, aveva infatti scritto di suo pugno un testamento nel quale lasciava alla figlia la proprietà del suo unico bene, l'appartamento di Via Rocha Azevedo, ed alla moglie l'usufrutto. Ma questa era un'altra storia.

Beatriz non aveva trovato un volo diretto da São Paulo e aveva quindi dovuto fare scalo a Rio, città che detestava per la sua superficialità. Le piaceva fare un paragone tra le città italiane e quelle brasiliane: São Paulo come Milano, Rio come Roma e Bahia come Napoli, ma era solo un gioco. Si trattava di due universi totalmente differenti.

Federico si divertiva ad osservare la gente. I ritratti erano una delle sue passioni fotografiche e con gli anni si era convinto di riuscire a capire cosa si celava dietro la maschera che indossiamo dalla nascita. Non era semplice. Alle volte feroci assassini avevano l'aspetto di bravi ragazzi e brutti ceffi si rivelavano poi buoni come il pane. Ma gli occhi erano rivelatori dell'animo, difficile mascherare l'emotività, i sentimenti. Per passare il tempo quindi Federico si divertiva ad osservare la gente. Avevano annunciato un leggero ritardo nel volo ed il viaggio era lungo. Era rilassato o forse rassegnato a lunghe attese, ma tanto aveva davanti un lungo weekend per riposarsi. A Milano nessuno lo stava aspettando. Aveva avuto una compagna per qualche tempo, ma poi era tutto finito.

Dopo Luma non aveva più voluto risposarsi e in fondo stare solo non gli dispiaceva affatto. Non disdegnava peraltro avventure occasionali, talvolta anche con le sue modelle, alla faccia dell'etica professionale. Non era uno psichiatra che andava a letto con la sua paziente! Il più delle volte erano le ragazze a cominciare e lui trovava assurdo fare tanto il difficile. Tra l'altro gli anni passavano velocemente e la pensava come recita il detto popolare: ogni lasciata è persa.

Osservando la gente si divertiva a catalogare i vari passeggeri in attesa dell'imbarco. C'era la famiglia brasiliana composta da padre, madre e due figli maschi tutti sovrappeso, per non dire obesi. I ragazzi passavano il tempo a giocare con il cellulare, piluccando contemporaneamente delle patatine fritte da un sacchetto, la mamma leggeva una rivista scandalistica brasiliana e il papà sonnecchiava. Erano vestiti con abiti lussuosi, ovviamente firmati, ma l'aspetto celava una cafonaggine di fondo che il denaro non riusciva a cancellare. C'era poi il manager italiano che leggeva il Financial Times, passeggero della Business Class molto probabilmente. Guardava tutti con aria un po' schifata chiedendosi cosa ci stava a fare un signore come lui in mezzo a tanti plebei. E c'era poi un gruppetto di giovani che rideva e scherzava. Una coppia di anziani che si teneva per mano. "Che tenerezza - pensò Federico - a me non succederà mai di sicuro".

Ripensava alle donne della sua vita. A parte le prime cotte giovanili che non contano perché sono più che altro conseguenza di tempeste ormonali, nessuna donna gli aveva fatto venire voglia di mettere su famiglia. Finché non aveva conosciuto Luma. Lei era il calore di Rio, la ragazza di Ipanema, Jemanjà la regina del mare, madre di tutti gli Orixà, la gioia di vivere mista ad una sensualità naturale, non ostentata, anzi quasi celata per paura che gli uomini se ne accorgessero e pensassero chissà cosa di lei. Luma era un prodotto di Rio, la cidade maravilhosa che ricorda un teatro immenso, il cui palcoscenico sono le spiagge spaziose e le passeggiate a mare, dove gli attori recitano improvvisando liberamente e il fondale è l'oceano con le sue onde quasi sempre infuriate e travolgenti.

Ma Rio è anche violenza e insicurezza, e Federico ne sapeva qualcosa, visto che una volta era stato rapinato in pieno giorno, davanti a São Conrado. Ragazzi provenienti dalla favela della Rocinha, la più grande del mondo, coi suoi 150.000 abitanti. Era divisa in bande di narcotrafficanti, Comando Vermelho, Amigos dos amigos, ed era anche il regno dei bicheiros, gli organizzatori del gioco del bicho, che era una specie di lotteria clandestina, legata ai nomi di animali, che utilizzava le estrazioni settimanali della lotteria nazionale. Era diffuso soprattutto tra la gente umile, che sperava, con un investimento minimo, di poter essere baciata dalla fortuna. I bicheiros non erano solo temuti, ma anche rispettati perché usavano parte dei loro illeciti guadagni per finanziare le scuole di samba che sfilavano nel sambodromo durante il carnevale.

Quando aveva incontrato per la prima volta Luma abitava anche lui a Ipanema, erano bei tempi. Ricordava ancora come si erano conosciuti, presentati da un comune amico. Allora Luma aveva una specie di fidanzato, un compagno di università, ma non era tanto convinta di aver fatto la scelta giusta. Federico la martellò per mesi, riempiendola di regali e facendole il lavaggio del cervello. Era troppo innamorato per rinunciare a lei e alla fine la spuntò. Era così cotto che la prima volta che andarono a letto insieme non prese precauzioni e Luma rimase incinta al'inizio della loro relazione.

Estela era un po' stanca. Aveva appena compiuto 37 anni e si rendeva conto che anche il suo fisico cominciava ad accusare gli strapazzi. Aveva scelto la compagnia di bandiera portoghese per motivi economici, ma sapeva che avrebbe dovuto fare uno scalo a Lisbona alle 5 del mattino e non sarebbe arrivata a Milano prima della tarda mattinata del giorno dopo, venerdì. Poteva anche permettersi la business class, ma i soldi li metteva tutti da parte ed evitava di sprecarli. Non avevano ancora annunciato il volo, quindi si trovò una sedia dove rilassarsi finalmente dopo una giornata di fuoco. Non era stata in vacanza. Un suo amico fotografo le aveva chiesto di fare un servizio sul carnevale che si sarebbe svolto tra poco. Si trattava di presentare dei costumi e pagavano bene, non poteva quindi rifiutare, anche perché il vero motivo del viaggio era quello di gettare le basi per una eventuale futura attività commerciale nel campo dell'abbigliamento, nella quale era coinvolta anche la sua vecchia amica Elza. Era anche riuscita a salutare rapidamente suo fratello, che viveva a Niteroy, ma si era fermata solo tre giorni a Rio. Non aveva detto niente neppure al suo ragazzo per evitare che le facesse troppe domande. Tanto sapeva che era all'estero per lavoro e non avrebbe potuto controllarla dal momento che nel residence dove abitava non aveva l'uso del telefono fisso. Appena sistemata, i pensieri svanirono dalla sua mente e si appisolò come un neonato dopo la poppata.

Beatriz continuava a guardare l'orologio con una leggera apprensione, avevano annunciato un piccolo ritardo, ma sapeva bene come andavano certe cose. Non ti dicono mai la verità e il ritardo spesso aumenta senza che i poveri passeggeri ne conoscano i veri motivi. Problemi tecnici, ritardato arrivo dell'aeromobile, traffico sulla pista, insomma c'è sempre qualche scusa pronta. Aveva detto in banca che sarebbe andata a lavorare il venerdì pomeriggio, c'era una riunione importante dopo l'orario di chiusura, e non voleva assolutamente mancare. Era in predicato per una promozione e la sua assenza alla riunione avrebbe fatto sicuramente imbestialire il suo capo, che aveva un carattere piuttosto spigoloso, per usare un eufemismo, quindi stava sulle spine. Se perdeva la coincidenza a Lisbona non avrebbe più trovato un volo che le permettesse di arrivare in tempo, quindi, pur essendo agnostica, sperava che qualche Orixà le desse una mano. Non che credesse nella Macumba, non era mica baiana, ma talvolta le piaceva pensare che ci fosse lassù qualcuno o qualcosa che avesse la capacità di proteggerla. Forse era suo padre a tenerla sotto la sua ala protettrice. Quando era morto lei aveva sofferto moltissimo e per anni aveva mantenuto l'abitudine di andare al cimitero dove era sepolto e gli raccontava della sua vita, delle sue speranze, delle sue delusioni. Confidenze che raramente faceva alla madre. Come le mancava! Ancora adesso, dopo tanti anni, soprattutto nei momenti in cui si sentiva un po' sola, pensando a suo padre si metteva a piangere. Non era giusto. Le avevano portato via la persona più gentile del mondo, alla quale voleva un sacco di bene e nessuno avrebbe mai potuto rimpiazzarlo.

Sul pannello delle partenze intanto il ritardo del volo TP 0074 era passato da 15 a 25 minuti. Di hostess e steward in giro neppure l'ombra. Beatriz cominciava a preoccuparsi e le dava molto fastidio essere trattata come un pacco postale. La sua timidezza di fondo le impediva di alzarsi e andare a cercare qualche addetto che potesse darle delle spiegazioni. Ormai aveva passato il controllo della polizia e fatto il check-in da un pezzo e nell'area imbarchi non aveva visto sportelli informazioni. Pensò che sicuramente avrebbe provveduto qualche passeggero più intraprendente di lei a chiedere ragguagli e cercò di prendere le cose con filosofia, come le diceva la mamma che quand'era bambina aveva fatto di tutto per farle vincere le sue insicurezze.

Estela si era seduta proprio di fronte a Federico che la guardava di sottecchi. Quando si accorse che aveva chiuso gli occhi si mise a osservarla meglio, sperando di non dare l'impressione di essere un vecchio mandrillo. La ragazza era veramente splendida, anche se qualche rughetta intorno agli occhi, forse dovuta alla stanchezza, rivelava un inizio di perdita della freschezza giovanile. Portava in braccio un giubbotto di piumino d'oca di marca, dal momento che a Milano era pieno inverno, ed i pantaloni lunghi impedivano di vedere le gambe, ma Federico non faticava ad immaginare che fossero splendide, come il resto. Sotto la camicetta si intravedeva un seno ben proporzionato, che non aveva bisogno del sostegno di un reggiseno. Insomma una vera opera d'arte.

A proposito di Milano, prima aveva sentito dire da un passeggero che nel nord Italia stava nevicando, cosa d'altra parte piuttosto prevedibile in gennaio. Malpensa, dove sarebbe atterrato dopo lo scalo di Lisbona, era abbastanza attrezzata per la neve, ma "abbastanza" alle volte non era sufficiente. Gli era già capitato di essere dirottato a causa della neve, comunque non aveva fretta di arrivare a destinazione. Restava il fastidio dell'attesa, ma era già preparato a un viaggio di molte ore e in un certo senso rassegnato. Guardando Estela con più attenzione di quello che aveva fatto prima, gli venne in mente che forse quel volto e quel corpo li aveva già fotografati, ma non era sicuro. Un tempo era molto fisionomista, ora, passato da un pezzo il mezzo secolo, cominciava a ricordare meno. Il fatto è che con il suo mestiere aveva incontrato e fotografato tanta di quella gente, che difficilmente riusciva a ricordarne i volti e le fisionomie.

Decise di andare in bagno prima che iniziasse l'imbarco. Si portò dietro il trolley perché dentro aveva la sua attrezzatura fotografica. Guardandosi nello specchio vide un signore dai capelli ancora folti e ricci, ma con un colore che da grigio stava passando inesorabilmente al bianco. Il viso, a parte un po' di rughe, segno di una vita vissuta intensamente, era ancora abbastanza giovanile. Nessuno riusciva ad indovinare la sua età, pensavano tutti che avesse parecchi anni di meno, anche perché lui ci teneva a tenersi in forma e stava attento a non ingrassare. Aveva sempre avuto un fisico asciutto e da ragazzo aveva il complesso di essere troppo magro. Si era quindi messo in testa, contro il volere dei suoi genitori, di andare in una palestra a tirare di boxe, anche per imparare a difendersi meglio da certi compagni di scuola che avevano la tendenza a fare i bulli. Ovviamente dopo pochi scontri qualcuno gli aveva rotto il naso, che era rimasto leggermente schiacciato. Da quel giorno era passato al Judo, uno sport meno violento e forse più utile come difesa personale.

I passeggeri stavano cominciando a dare segni di nervosismo quando annunciarono che il ritardo era confermato ma che l'aeromobile proveniente da Lisbona era finalmente atterrato. Era un Airbus A330 che Federico conosceva bene perché una volta aveva fatto un servizio per conto della Municipalità di Tolosa che includeva immagini del posto dove nascono queste macchine volanti che avevano sempre suscitato la sua curiosità e ammirazione. In Francia si sentiva a suo agio. Sua madre era di Nizza e prima di morire gli aveva lasciato in eredità un appartamento sulla Promenade des Anglais, ma era da ristrutturare e aveva preferito venderlo così com'era. Aveva acquistato in seguito un piccolo appartamento a Mentone, ben prima dell'invasione dei piemontesi, quando i prezzi erano ancora abbordabili e amava andarci spesso durante il week end e soprattutto d'estate.

Ci aveva anche portato un bel po' di donne di ogni risma, signore sposate, modelle, ragazze e una volta anche un'attrice che sarebbe poi diventata abbastanza famosa. Aveva ancora in qualche cassetto delle sue foto senza veli, avrebbe potuto venderle a qualche giornale scandalistico, ma non era il tipo che faceva cose del genere. Aveva successo con le donne anche perché si era creato la fama di uno che non parla mai delle sue avventure, non si vantava come facevano certi suoi colleghi che lavoravano soprattutto nel campo delle riviste di moda. E le donne apprezzavano molto la sua discrezione e dicevano anche che lui sapeva toccare il profondo del loro animo. Da molte era stato amato talvolta in maniera esagerata, alcune gli avevano chiesto sfacciatamente di sposarle, una aveva addirittura tentato il suicidio per lui, o almeno così sembrava. Ma lui aveva sempre resistito forse perché toppo vivo era il ricordo di Luma, per ironia della sorte l'unica donna di cui era stato veramente innamorato e anche la donna, la moglie che l'aveva lasciato. Pensare a questi eventi dolorosi del passato gli faceva male, pensò ben quindi di farsi una partitina a burraco sul suo smart phone per far passare il tempo.

Appena le hostess della TAP si avvicinarono al gate di imbarco una moltitudine di passeggeri si alzò come se avessero suonato la tromba della carica e si mise ordinatamente in fila davanti agli sportelli.

Federico, la prima volta che era arrivato in Brasile si era stupito delle code ordinate che si formavano davanti alle fermate degli autobus. Si aspettava un comportamento così magari a Londra, ma non certo in un Paese latino americano. In Italia a volte doveva discutere agli sportelli perché trovava spesso quello che si credeva più furbo degli altri e cercava di non rispettare la coda. In Brasile questo succedeva raramente, e da qui erano iniziati parecchi ripensamenti ed autocritiche che l'avevano costretto a rivedere tutti i pregiudizi che aveva prima di partire.

Gli addetti della Compagnia di bandiera portoghese, forse consci del fatto che la gente si era innervosita per il ritardo, furono bravissimi ed estremamente veloci. Federico si ritrovò, come aveva chiesto, nella poltrona davanti all'uscita d'emergenza. Chiedeva sempre quel posto che gli permetteva di distendere le gambe, visto che le aveva piuttosto lunghe. L'airbus si riempì velocemente. Federico sperava in cuor suo che non si sedesse accanto a lui un grassone come gli era successo una volta, rendendogli il volo un inferno. Si avvicinò una biondina graziosa, che con il tagliando della carta d'imbarco in mano cercava il suo posto, proprio quello vicino a lui e Federico ringraziò la buona sorte. Sicuramente la ragazza non avrebbe russato durante la notte e non aveva con sé un neonato piagnucolante. Con lo sguardo cercava la bruna che aveva attirato tanto la sua attenzione, ma forse non si era svegliata e avrebbe perso l'aereo.

Federico invece arrivava sempre in anticipo. Luma, che era una persona calmissima, diceva che era un po' nevrotico e forse non aveva tutti i torti, ma sul lavoro la sua puntualità era molto apprezzata ed era servita ad accrescerne la fama di professionista serio ed affidabile. Non si poteva dire lo stesso delle modelle, che spesso si presentavano in ritardo, assonnate e con delle facce che poi ci voleva mezz'ora di trucco e parecchi caffè prima di farle tornare normali. Ma in genere erano talmente belle e giovani che sarebbero state fotogeniche comunque. E poi non erano più i tempi delle pellicole quando andava a ritirarle al laboratorio di Via Savona con l'ansia che non fossero venute bene. Adesso con il digitale era possibile vedere subito se le foto erano buone e poi c'era sempre Photoshop che dava una mano. Com'era diventato tutto più facile! Ormai fotografavano tutti (meno sua figlia Olga) e si sentivano tutti dei Cartier-Bresson. A Milano ogni tanto organizzava dei corsi, cosa che lo divertiva molto. Forse da vecchio si sarebbe dedicato solo a quello o magari avrebbe scritto un libro di fotografia.

Stava ancora vagando con la mente quando la bruna, un po' trafelata, fece finalmente la sua apparizione. La accompagnava una hostess con un leggero sguardo di rimprovero, visto che avevano dovuto chiamarla con l'altoparlante e poi accompagnarla all'aereo, ma lei non sembrava affatto sconvolta dalla cosa. Prese posto vicino alla biondina e Federico in cuor suo pensò che sarebbe stato sicuramente un viaggio piacevole, in compagnia di due belle ragazze. La bruna si allacciò la cintura e si rimise a dormire. Federico aveva sempre invidiato le persone con la capacità di addormentarsi in fretta. Lui era un nottambulo e dormiva pochissimo, ma la mattina riusciva comunque a svegliarsi presto, fresco come una rosa. Tirò fuori dalla borsa un vecchio libro che l'aveva molto colpito da ragazzo, "Il terzo occhio" di Lobsang Rampa, e si preparò ad attraversare l'oceano a oltre 30.000 piedi di altezza.

Anche Beatriz si riteneva fortunata. Il signore alla sua destra aveva l'aria per bene, doveva essere italiano, visto che leggeva un libro dal titolo in italiano, ed era un bel tipo, anche se non più tanto giovane. Meglio così. Non che pensasse che avrebbe potuto importunarla, ma aveva avuto in passato sgradevoli esperienze con ragazzi italiani piuttosto cafoni e insistenti. Di quelli che portano il foulard anche a letto, per intenderci, e che sfoggiano tatuaggi nei posti più impensabili. Il suo ragazzo per fortuna non era così. Aveva un tatuaggio minuscolo dietro una spalla che aveva fatto anni prima e d'altronde l'ambiente dove lavorava non permetteva stranezze tipo piercing o tatuaggi vistosi.

Alla sua sinistra si era poi seduta la bruna che aveva notato nella sala d'aspetto. Il suo profumo aleggiava nell'aria, ma non era fastidioso, anzi le ricordava il mamão, la papaya dell'Amazzonia, il frutto che suo padre le faceva mangiare tutte le mattine per vincere la stitichezza che l'affliggeva.

Era uno splendore. Le labbra carnose, il colorito abbronzato, il naso regolare, insomma una ragazza da copertina di Vogue. Se un giorno le fosse mai venuto in mente di andare con una donna le sarebbe piaciuto un tipo simile. Ma erano solo fantasie. Si sentiva profondamente eterosessuale. Le piaceva molto fare l'amore con il suo ragazzo, Davide. Lui aveva capito da subito che lei aveva qualche problema di timidezza ed era stato molto dolce sin dall'inizio. Questo era uno dei motivi per cui se ne era innamorata, anche se per certi altri aspetti non lo riteneva il suo uomo ideale. Un po' troppo egocentrico e concentrato sul lavoro. Ma aveva molto sofferto la solitudine i primi tempi in cui si era trasferita a Milano e non intendeva restare di nuovo sola.

Stava per compiere quarant'anni, un'idea che la sconvolgeva. Anche se ne dimostrava molti di meno, si rendeva conto che il futuro era già dietro alle sue spalle. Anche per questo motivo lasciava a Davide lo spazio che esigeva, cercava di non soffocarlo con il suo amore, però non sempre era ricambiata, anzi quasi mai. Davide era geloso e le aveva fatto delle scenate senza motivo. Forse prima o poi avrebbero dovuto parlare, cosa che facevano poco, visto che Davide sembrava pensasse solo al sesso.

Il decollo fu perfetto e ben presto l'Airbus si stabilizzò alla quota di crociera. I tre passeggeri della fila 18 ai posti A B e C non avevano ancora scambiato una sola parola. Estela dormiva, Beatriz giocava con il tablet e Federico leggeva. Solo la distribuzione del menu per la cena e la colazione dell'indomani mattina riuscì a risvegliare la loro attenzione.

«Stavo forse russando?» chiese Estela a Beatriz in portoghese. Quest'ultima riconobbe l'accento carioca che le piaceva molto perché era, come dire, molto fluido e musicale. Le "r" raschianti, le "s" sibilanti e le "d" dentali erano infatti tipiche del modo di parlare degli abitanti di Rio. La domanda colse alla sprovvista la biondina che se la cavò con un sorriso e un «não» detto a mezza bocca.

«Quando sono molto stanca mi capita di russare. Non ci posso fare niente. ma mi scoccia» insistette la bruna «e siccome passeremo la notte in viaggio e penso che dormirò tutto il tempo, svegliami pure se do fastidio.»

Beatriz era combattuta: da una parte avrebbe chiacchierato volentieri con quella ragazza carina che sembrava tutt'altro che stupida, solo un po' esuberante, dall'altra aveva paura che se le avesse dato corda sarebbe diventata invadente. Il viaggio era lungo e non se la sentiva di passare il tempo a parlare, magari di moda o di banalità.

Estela sembrava aver letto nel pensiero di Beatriz, perché prese una rivista e si mise a leggere. Per un po' le due donne si ignorarono, ognuna presa dai propri pensieri. Il ghiaccio fu rotto definitivamente al momento degli aperitivi. Estela si fece servire un vino verde portoghese, imitata da Beatriz. Federico si sarebbe fatta volentieri una bella caipirinha, ma si dovette accontentare di una birra. A questo punto fu proprio lui, che fino a quel momento era stato ignorato dalle due brasilane ad attaccare discorso.

«Vi disturbo se apro l'aria?» chiese in portoghese, perché pensava che le due ragazze fossero dirette a Lisbona e non parlassero italiano «Fa piuttosto caldo non trovate?»

Beatriz si limitò a dire che non le importava, invece Estela, sentendo l'accento italiano si esibì nella lingua che a Milano era riuscita ad imparare in meno di un anno e chiese a sua volta: «anche tu vai a Milano?»

Federico si sentì spiazzato. Non che pensasse di passare per un brasiliano, anche se il suo accento non era poi così orribile, ma lo stupì piacevolmente la disinvoltura della ragazza, che evidentemente aveva capito subito che era italiano e non temeva di passare per sfacciata. Esuberanza brasiliana - pensò - ricordando che in Brasile si dava il tu o meglio il você con molta più facilità che in italiano e la ragazza aveva tradotto dal brasiliano. Non si sentì affatto offeso per l'uso del "tu", si era accorto di stare invecchiando quando i giovani, che spesso frequentava per lavoro, cominciavano a dargli del lei. Un tempo la cosa lo infastidiva, ora non più, ci aveva fatto l'abitudine.

Beatriz ascoltava restando in silenzio, ritenendosi fortunata per aver trovato due compagni di viaggio apparentemente "normali". Pensava quasi di ceder il suo posto alla bruna, visto che si trovava nel sedile di mezzo e si sentiva accerchiata, ma le scocciava chiedere e preferì starsene tranquilla in attesa della cena.

Forse grazie all'alcol o all'atmosfera che comunque era gioviale e rilassata, dopo un po' anche Beatriz si tranquillizzò finalmente e pensò di unirsi alla conversazione. Federico aveva scoperto che la bruna faceva la modella a Milano e quando disse di fare il fotografo sia nel campo della moda che della pubblicità si sentì fare un elenco di persone che avrebbe dovuto senz'altro conoscere. Tra queste c'era anche il suo amico Teo, art director in un'agenzia di pubblicità, ma si guardò bene dal dire che lo conosceva. Estela aggiunse che le sembrava di aver già fatto delle foto con Federico e questi rispose che era possibile, ci avrebbe riflettuto sopra, cercando di ricordare.

Beatriz si sentiva un po' tagliata fuori, quindi cercò di cambiare discorso chiedendo se avevano saputo della neve a Malpensa.

A Federico piaceva chiacchierare con la gente, quando fotografava qualcuno o qualcuna passava prima molto tempo a parlare. Gli piaceva capire le persone, entrare nel loro intimo, studiarle prima di iniziare a scattare. Non erano molte quelle che riuscivano a interessarlo o ancor più a stupirlo, ma adesso non stava lavorando. Si trattava di passare qualche ora senza annoiarsi e la compagnia gli sembrava gradevole. A parte i risvolti sessuali, con le donne si era sempre trovato bene, molto meglio che con i maschi. Nel caso specifico le due donne sedute vicino a lui sembravano tutt'altro che stupide. Anche Beatriz era passata all'italiano, ma usando correttamente il lei. "Forse una forma di cortesia nei riguardi di una persona più anziana" pensò Federico, che odiava quella parola, anche se ormai aveva 56 anni: dentro di sé si sentiva un quarantenne, con ancora tante curiosità e tanta gioia di vivere.

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