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Fuggi, Angelo Mio
«Ti lascio il tempo di organizzarti, ma vorrei che facessi i bagagli il prima possibile.»
Già, perché mi caccia anche di casa? Resto lì a bocca aperta e con le braccia a penzoloni, mentre la mia vita è messa sottosopra.
«E' inutile che mi guardi in questo modo. Non hai i soldi per pagare l'affitto e le spese. Tutte le bollette sono già a mio nome e sono io che ho pagato tutti i mobili.»
In un solo giorno, ho perso tutto: il lavoro, i miei sogni di una vita ideale ed il mio fidanzato. Ex- fidanzato. Meglio farci subito l'abitudine. Mi alzo con un movimento brusco.
«Perché aspettare? Vado subito a fare i bagagli.»
«Mallory…»
Sospira prima di continuare.
«Non prenderla in questo modo. Lo faccio per noi.»
Rischio di strozzarmi dalla rabbia.
«Per noi? Buttarmi fuori di casa, è per aiutare la nostra coppia?»
Almeno ha la decenza di abbassare gli occhi.
«Lo fai solo per te stesso. E ora, se permetti, vado a sbrigarmi ad imballare tutte le mie cose, per non disturbarti più con la mia presenza.»
Per fortuna, Brandon non mi segue in camera. Non avrei avuto il coraggio di continuare il nostro scontro verbale. Questa giornata sembra non finire mai ed ho il cuore a pezzi, mentre infilo i miei vestiti in una borsa da viaggio. Prendo solo l'essenziale, non avendo altro posto ed il rumore della chiusura lampo quando chiudo la sacca mi fa realizzare la portata degli ultimi avvenimenti: dovrò ricominciare da zero, ricostruirmi, e dovrò farlo da sola. Tornare dai miei genitori? Inutile anche solo pensarci. Ormai non ho più l'età per abitare con mamma e papà e dover rendere conto di quello che faccio.
Lascio l'appartamento senza dire una parola e senza guardarmi indietro. Brandon mi ha amabilmente proposto di prendere la sua macchina. Mi sono dovuta mordere la lingua per non dirgli che poteva mettersi le chiavi proprio lì dove stato pensando. Lo faceva solo per poi rimproverarmi di essermi servita della SUA macchina! Preferisco avere i piedi in fiamme a forza di camminare, piuttosto che sopportare un'ulteriore umiliazione.
Capitolo 3
MalloryIgnoro da quanto tempo sto camminando lungo la strada, ma la cinghia della mia borsa da viaggio mi sta incidendo la spalla e le mie gambe fanno fatica a sopportare il mio peso, che si aggiunge a quello del mio grosso bagaglio. Mi trascino senza una meta, non sapendo dove andare, quando una macchina rallenta alla mia altezza. Giro la testa dall'altro lato, non avendo alcuna voglia di spiegare ad uno sconosciuto cosa sto facendo sul ciglio della strada con le mie cose sulla schiena. Tuttavia, l'importuno decide diversamente. Sento il finestrino sul lato del passeggero che si apre e la musica che esce dalla macchina mi perfora i timpani. L'hard rock è trasportato dal vento ad un volume assordante. Poi, all'improvviso, il suono diminuisce ed una voce che non mi aspettavo si rivolge a me.
«Mal? Cosa ci fai qui?»
Mi giro di scatto per assicurarmi di non essere vittima di un'allucinazione, ma non c'è dubbio: è proprio il mio amico al volante dell'automobile. Potrei piangere di gioia, se non avessi esaurito le lacrime. Non faccio altro che fissarlo, senza riuscire a muovermi o a rispondergli, quindi lui decide di posteggiare su un lato della strada, gira intorno alla macchina e mi raggiunge.
«Mal? Stai bene?»
Scuoto la testa, incapace di parlare.
«Lascia che ti aiuti.»
Mi prende il borsone dalle mani e lo butta nel portabagagli, prima di aprire la portiera dal lato del passeggero.
«Sali. Ti porto a casa mia. Parleremo e mi racconterai cosa sta succedendo.»
Entro nell'abitacolo come un automa, sempre in silenzio, ed il mio amico mi allaccia la cintura, visto che non ho avuto neppure il riflesso di farlo. All'improvviso mi sento meno sola e spero che svuotare il sacco mi permetta di vederci più chiaro e di fare dei progetti per il futuro, perché non posso vagare senza una meta per sempre.
Mi rendo conto di non essere mai andata a casa sua, neppure una volta. La sua casa è piccola, lontana dalla strada e da qualsiasi vicino. La stradina che conduce al suo portico è sassosa ed io sobbalzo sul sedile. Tutto ciò mi fa contorcere pericolosamente lo stomaco, che si rivolta contro questi movimenti caotici.
«Mi dispiace. Non ho ancora avuto il tempo di sistemare l'esterno della casa.»
Gli rivolgo un debole sorriso, tenendo la bocca ermeticamente chiusa per non vomitare sulla leva del cambio. Per fortuna, non dura più di un minuto, poi parcheggiamo davanti ad una casa in mattoni a vista assolutamente incantevole.
«E' molto carina.»
Mi sorride ed una fossetta compare sulla sua guancia sinistra.
«Grazie. L'ho ereditata da mia nonna qualche anno fa e da allora sto cercando di rimetterla in sesto.»
Fa il giro della macchina per aprirmi la portiera, come un vero gentleman.
«Vieni. Ti preparo un buon tè e potremo parlare.»
Mi afferra la mano ed io mi ritraggo istintivamente. Da molto tempo non tengo la mano di un uomo che non sia Brandon e questa mano estranea, più grande e forte, mi lascia una sensazione spiacevole. Il padrone di casa non si accorge del mio imbarazzo e mi fa entrare da una porta rossa tutta di legno, che scatta al mio passaggio. Ho appena il tempo di ammirare il suo ingresso, decorato con uno specchio, poi mi conduce in una cucina all'ultima moda, perfettamente attrezzata, con un piano cottura immenso ed una grande isola circondata da sgabelli alti e comodi.
«Siediti lì. Ti preparo qualcosa da bere.»
Ne approfitto per voltarmi ed osservare la sua casa con uno sguardo curioso. Nel complesso è moderna, ha un aspetto conviviale, eppure sento una specie di malessere. Non ci sono foto, né soprammobili, nessuna traccia di vita. E' tutto stupendo, ma asettico, come una casa da mostrare, ma senza un'anima. E' difficile immaginare che un uomo single abiti in un posto del genere. Dov'è il disordine? La biancheria sporca sparsa dappertutto? Insomma, dei segni di vita!
«Due zollette, vero?»
Riporto l'attenzione sul mio amico.
«Sì, grazie.»
Posa la tazza davanti a me ed io approfitto del calore sulle mie mani per riprendermi. Potermi riposare mi fa molto bene, tuttavia devo pensare al futuro.
«Sei pronta a raccontarmi cosa è successo dopo che abbiamo chiuso la telefonata?»
E' vero che quando ci siamo parlati stavo piangendo, chiusa nella mia macchina. La mia ex-macchina. Tutto è diventato ex dopo quella telefonata.
«Ti avevo detto di chiamarmi, se ne avessi avuto bisogno.»
«Non ti volevo disturbare.»
Infatti è vero, almeno in parte. Avevo già l'impressione di essere un fardello per il mio ex-fidanzato e non volevo diventarlo anche per Léon, l'amico che mi ha sostenuta in questi ultimi mesi, contro tutto e tutti.
«Non mi disturbi mai, Mal, te l'ho già detto.»
Gioca con le mie dita sul tavolo, mentre un brivido risale lungo la mia colonna vertebrale. Tiro indietro la mano e mi stringo le braccia intorno alle spalle per scaldarmi, anche se dubito che il freddo sia il responsabile della mia pelle d'oca.
«Ho litigato con Brandon.»
Il ricordo delle ultime parole che l'ex-amore della mia vita ha pronunciato mi fa salire in gola un groppo grande come una palla da calcio.
«Si sistemerà tutto, Mal. Come al solito.»
La palla diventa sempre più grande nella mia trachea: ho l'impressione di soffocare.
«No, non si sistemerà affatto. Mi ha chiesto di andarmene. Vuole che facciamo una pausa di riflessione.»
Scoppio in una risata isterica ed anche un po' spaventosa, persino alle mie orecchie.
«Tutti sanno cosa significhi fare una pausa. Ha rotto con me, mi ha lasciata. Definitivamente.»
Léon stringe le labbra di fronte a me, tanto che diventano invisibili in mezzo alla sua folta barba nera.
«Brandon è un idiota. Sarà lui a rimpiangerlo.»
La mia risata si trasforma a poco a poco in singhiozzi disperati, mentre un torrente di lacrime mi invade il viso, prima ancora che io me ne renda conto. Sembra proprio che la fonte non si sia prosciugata.
«Ha spazzato via un rapporto di due anni come se niente fosse, come se questo tempo insieme non avesse importanza. L'unica ad avere dei rimpianti, sono io. Avrei dovuto sforzarmi di più, dare ascolto alle sue paure. Voleva solo che io trovassi un lavoro e…»
«Shhh. Basta, Mal. Respira. Stai trattenendo il fiato.»
In effetti, durante tutta questa tirata non ho mai fatto un respiro. I rimorsi mi tolgono il fiato. Léon mi accarezza la schiena dal basso verso l'alto, imponendomi di inspirare ed espirare al suo ritmo. Il calore del suo palmo trapassa la stoffa dei miei vestiti ed ancora una volta, trovo che mi stia troppo vicino.
«Devo andare.»
«Non dire sciocchezze, Mallory! Non puoi andare da nessuna parte, in questo stato. Non hai nemmeno una macchina. Hai almeno un posto dove andare?»
Sprofondo ancora di più sullo sgabello, incurvando le spalle.
«Dovrò ritornare dai miei genitori.»
Nonostante le mie reticenze, non ho altre opzioni. Delle lacrime di vergogna mi colano dagli angoli degli occhi. Tra poco avrò 27 anni e dovrò tornare a vivere dai miei genitori come se fossi una bambina. Sono in collera con me stessa, perché non sono capace di prendermi le mie responsabilità.
«Potresti restare qui per un po'.»
Alzo di scatto la testa e fisso Léon, come se gli fosse spuntata una terza testa o un corno sulla fronte.
«Sei adorabile, Léon, ma non è una buona idea.»
Si raddrizza in tutta la sua altezza, dominandomi, mentre un principio di paura si insinua dentro di me.
«Non era proprio una proposta, Mal.»
Mi alzo ed indietreggio in direzione della porta.
«Inizi a farmi paura, Léon. Sarà meglio che io me ne vada.»
Avanza verso di me come un predatore che insegue la propria preda. Ed è proprio così che mi sento: una preda bloccata contro una porta che rifiuta di aprirsi, nonostante i miei tentativi disperati di fare girare la maniglia.
«Staremo bene insieme, Mal.»
Le sue parole fanno fatica a penetrare attraverso la nebbia del mio panico. Scuoto la testa, ma ho l'impressione di averla immersa nel cotone. Ho delle vere difficoltà a riordinare le idee e quando apro la bocca, all'improvviso ho la sensazione che la mia lingua pesi una tonnellata. Inizio a scivolare fino a metà porta, mentre Léon si avvicina ancora. Non ha l'aria di preoccuparsi per la mia improvvisa debolezza, quindi un sospetto si insinua dentro di me.
«Cosa mi hai fatto?»
La mia voce si sente a malapena. Léon mi posa la mano sulla guancia ed io sono incapace di compiere il movimento di repulsione che desidero. Le gambe riescono appena a sostenermi. Mi sento scivolare a poco a poco verso il pavimento. Prima che io finisca del tutto a terra, Léon mi passa un braccio sotto le gambe e sulla schiena, incollandomi contro il suo ampio petto. La mia testa vacilla all'indietro in un angolo doloroso, ma non riesco a tenerla dritta.
«Pensavo di avere un po' più di tempo. La tua camera non è ancora del tutto pronta. Spero che ti piacerà.»
Di cosa sta parlando? Era molto tempo che progettava di rapirmi? Perché? Credevo che fosse mio amico! Le mie domande resteranno senza risposta: sono incapace di formularle e finisco per sprofondare nell'incoscienza, nel momento stesso in cui Léon mi deposita su una superficie morbida.
Sbatto le palpebre a causa della luce cruda, quando il sole mi colpisce la retina con i suoi raggi luminosi. Mi sento disorientata, incapace di ricordare dove mi trovo e ciò che mi ha condotta in questo luogo sconosciuto. Cerco di strofinarmi gli occhi per schiarirmi la vista, ma il mio polso destro si blocca di colpo con un rumore metallico. Insisto, ma riesco a procurarmi solo dolore. Un metallo freddo mi attanaglia dolorosamente la pelle. Mi accontento della mano destra per aprire gli occhi, poi il mio sguardo si posa sul mio impedimento. Perché si tratta proprio di questo: una manetta mi tiene prigioniera, legata ad un letto. Sono colta dal panico. Guardo dappertutto intorno a me; sono sola in una camera sconosciuta e le mie cose sono sistemate su degli scaffali aperti, come se vivessi lì da molto tempo. L'angoscia mi contorce le viscere.
«C'é qualcuno?»
Solo il silenzio risponde al mio richiamo.
«QUALCUNO RIESCE A SENTIRMI?»
La voce mi esce più acuta di quanto volessi, ma non importa. In una stanza adiacente, una sedia stride sulle piastrelle ed il rumore di passi che si avvicinano mi fa accelerare i battiti. Quando la porta socchiusa si spalanca, non riesco a credere ai miei occhi.
«Léon???»
Il suo sorriso ha qualcosa di malsano ed inquietante, anche se in realtà non è molto diverso dal solito. Senza dubbio è un effetto della situazione roccambolesca che sto affrontando.
«Finalmente ti sei svegliata. Non mi ero reso conto di avere un po' esagerato con le dosi. Hai mal di testa? Nausea?»
E' una situazione veramente surreale. Sono incatenata ad un letto ed il mio rapitore si preoccupa della mia salute, dopo avermi drogata? Perché è questo che ha fatto, lo capisco bene.
«Perché mi trovo qui? Perché mi hai legata?»
Léon si siede sul bordo del letto ed io mi allontano da lui di riflesso, provocandogli un sospiro.
«Saresti rimasta con me, se te lo avessi chiesto gentilmente?»
No. Certamente no. Cerco di fare rallentare il mio ritmo cardiaco, mentre lui continua a cercare di giustificarsi.
«Siamo fatti l'uno per l'altra, Mal. L'ho saputo fin dal primo momento che ti ho vista.»
«Tu eri con Lilas. Stavate bene insieme.»
Lui gioca con le ciocche dei miei capelli ed io non ho alcuna via di scampo. Non posso allungare il braccio più di così ed il polso mi fa male, a forza di tirarlo.
«Lei non era fatta per me, pensa solo a divertirsi e a scopare. Io cerco qualcosa di più serio. Ho capito subito che tu eri una persona passionale ed incredibilmente romantica. Sei la mia donna ideale.»
Cerco di farlo ragionare.
«Non sono quella di cui hai bisogno: sono incostante, incapace di prendermi delle responsabilità.»
«Non vuoi lavorare, ma a me va molto bene, perché voglio che resti a casa. Con me. Ti ricordi, io lavoro a domicilio. Staremo tutto il tempo insieme. Guadagno abbastanza per tutti e due: saremo molto felici.»
Si china sul mio viso, sporgendo le labbra in avanti, ed io gli sputo in faccia per farlo indietreggiare. Ringhia, mentre si asciuga con il risvolto della manica.
«Finirai per darmi retta. Sarai mia. Per sempre.»
«Mai, Léon. MAI!»
A questo punto mi blocca sul ventre, sedendosi sopra di me ed io mi sento soffocare sotto il suo peso. Ho paura che mi voglia violentare e mi metto ad urlare senza fermarmi, allora mi preme la testa contro il materasso, per attutire i suoni, ed io soffoco sotto le lenzuola che mi riempiono la bocca spalancata.
«Smettila di urlare! Non ho intenzione di violentarti, voglio solo lasciarti un segno. Sei mia. E quando finalmente capirai che siamo due anime gemelle, sarai fiera di mostrarlo a tutti.»
Smetto di gridare per potere respirare più liberamente e lo sento prendere qualcosa dalla tasca. Poi abbassa il colletto della mia maglietta ed io ricomincio ad agitarmi, fino a quando sento un metallo freddo in cima alla mia schiena.
«Un marchio che prova il tuo amore per me.»
La lama affonda quindi nella mia pelle come nel burro, sotto le mie grida di dolore. Léon mi colpisce la schiena con un taglio verticale ed il sangue inizia a colarmi lungo il collo.
«Sarai perfetta.»
Detto questo, mi lascia lì, inebetita e con il corpo martoriato.
Capitolo 4
MalloryPotrei dire che non so da quanto tempo Léon mi tiene prigioniera, ma ogni ferita nella mia schiena è un vero conteggio quotidiano e mi ricorda il tempo che passa. 177. Sono 177 giorni che Léon mi ha catturata e mi marchia come bestiame, con un taglio al giorno. Ho la schiena in fiamme. Tutto intorno a me non è altro che dolore ed un richiamo alla mia sofferenza, sia fisica che mentale. La mia resistenza si sta indebolendo sempre di più. La speranza di scappare si affievolisce in proporzione al tempo che passa. All'inizio ho ben fatto qualche tentativo, ma ciò non ha fatto altro che peggiorare le mie condizioni di cattività, annullando la mia resistenza.
Il mio primo tentativo di evasione ha colto Léon di sorpresa. Mi ricordo ancora del suo sguardo sbalordito quando mi ha slegata per andare in bagno ed io gli sono saltata sulla schiena in un tentativo disperato di colpirlo con le mie manette. Non ha dovuto fare alcuno sforzo per staccarmi da sé, facendomi cadere a terra come un volgare sacco di patate. Quindi mi ha sollevata senza alcun riguardo, stringendomi la gola, schiacciando brutalmente sulla mia trachea, mentre la mia soddisfazione per aver visto il sangue che gli colava dalla testa ha lasciato presto il posto al terrore di una morte imminente per strangolamento. A quell'epoca, non desideravo ancora morire.
Il suo pollice sul mio collo non mi aveva permesso di rispondere con un tono sferzante. Non avevo potuto fare altro che soffocare miseramente, mentre sentivo che la vita scivolava via da ogni poro. Allora aveva deciso di risparmiarmi.
–Vuoi un amore perverso? Nessun problema, basta chiedere.
Mi aveva quindi morso il labbro inferiore fino a farlo sanguinare.
–Non rifarlo mai più, o lo rimpiangerai. Mi hai capito?
Avevo annuito senza convinzione, pensando già ad un altro modo per fuggire. Ovviamente Léon non mi aveva creduta e l'indomani mi ero ritrovata legata ad una solida catena. In questo modo, potevo spostarmi fino al bagno adiacente, senza che ci fosse bisogno di staccarmi dal letto. Tuttavia ciò mi privava di qualsiasi intimità, visto che non potevo chiudere la porta quando mi lavavo. In effetti, ho sorpreso molte volte Léon a spiarmi attraverso l'apertura mentre facevo la doccia e mi sono sentita sporca sotto quello sguardo. Purtroppo questo è stato solo l'inizio del mio calvario. Il mio tormentatore immagina veramente che noi siamo una coppia, in tutti i sensi del termine. Una settimana dopo, ha voluto baciarmi per svegliarmi con dolcezza, come dice lui. Gli ho dato un morso alla lingua per riflesso. Ciò mi è valso uno schiaffo monumentale ed un occhio nero per molti giorni, seguiti ovviamente da una delle sue affermazioni roccambolesche.
–Tu sei mia. Ne ho tutti i diritti! Se non vuoi finire con una catena al collo come la cagna che sei, hai tutto l'interesse a mostrarti più gentile con il tuo fidanzato.
La parola fidanzato mi aveva ferita oltre ogni limite. Avevo perso il mio adorabile fidanzato, che amavo nonostante i nostri litigi, per cadere nelle grinfie di uno psicopatico. Il primo bacio che mi ha costretta a dargli mi ha procurato la nausea. Ho dovuto trattenermi dal vomitargli addosso. Poi, alla lunga, è diventato più facile, meccanico: un semplice scambio di saliva senza emozioni. Un istante nel quale spengo il cervello per conservare intatta la mia coscienza. Il peggio è stato quando ha iniziato a volermi toccare. Mi ero preparata mentalmente ad essere violentata un giorno o l'altro, ma niente potrebbe renderlo accettabile. Niente rende facile quel momento in cui le sue mani estranee percorrono la mia pelle con avidità, senza il mio consenso. Le sue mani su di me mi provocano ribrezzo. Non sopporto di sentire che mi sfiora i fianchi, le natiche ed i seni. La mia fortuna in questa sventura? Léon si è rivelato impotente: non è mai riuscito a penetrarmi. Il primo fallimento lo ha fatto arrabbiare terribilmente.
–E' COLPA TUA! NON FAI NESSUNO SFORZO! MI FAI BLOCCARE!
La sua povera coda grottesca pendeva miseramente lungo la sua gamba, per la mia grande gioia. Non è mai riuscito ad andare fino in fondo e ciò mi ha aiutata a rilassarmi notevolmente, anche se quando mi tocca provo sempre ribrezzo. Tuttavia, è diventato semplicemente un male necessario. Almeno finché non mi obbliga a fare lo stesso, riesco a distaccarmi dal mio corpo, aspettando che abbia finito.
177 giorni ed ho l'impressione di essere un'altra persona. Ho imparato la mia lezione: adesso gioco alla brava casalimga ed ogni buona azione mi vale un punto. All'inizio pensavo che cedere su delle piccole cose mi avrebbe permesso di conquistare la sua fiducia e che avrebbe allentato la vigilanza. Non l'ha mai fatto, eppure io ci ho guadagnato in quanto a libertà. La mia catena si è allungata. Ho sempre l'impressione di essere un cane tenuto al guinzaglio, ma la corda è diventata più lunga. Sono diventata un piccolo cagnolino docile che ha perso il coraggio e la voglia di lottare contro il proprio padrone. Sono arrivata al punto di fare le pulizie e cucinare come una brava donnina di casa, mentre il signore lavora nel suo studio per guadagnare dei soldi e mantenere la sua bella. Non ho mai avuto questa sensazione con Brandon, quando mi sono ritrovata disoccupata e certamente non è la mia aspirazione nella vita. Non ho mai avuto così tanta voglia di lavorare, ma ciò non corrisponde ai gusti di Léon, che rifiuta di ascoltare le mie richieste. Si rende certamente conto che cercherei di scappare alla minima occasione. Una volta, quando è andato a comprare, ne ho approfittato per infilarmi nel suo antro. Volevo mandare un SOS ai miei amici, alla mia famiglia, a chiunque, tramite Internet. Non ci sono riuscita. Léon è un genio dell'informatica ed il suo computer era protetto da vari codici; inoltre, ogni attività viene automaticamente registrata. Si è quindi accorto del mio tentativo e ciò lo ha fatto ridere, di una risata crudele e maligna.
–Chi volevi contattare? Brandon? Se ne frega di quello che ti è potuto succedere. Ha voltato pagina e adesso vive con una bella bambolina che lo venera come un dio. Quanto a Beth, le hai fatto capire molto bene che non volevi vederla più, quindi perché dovrebbe aiutarti?
Poi mi ha stretta tra le braccia per sussurrarmi nell'orecchio.
–Hai solo me nella vita. E va proprio bene, perché non hai bisogno di nessun'altro. E, nel caso te ne fossi dimenticata, ho occhi ed orecchie dappertutto. Ti ritroverei ovunque. Non potrai mai nasconderti da me.
Poi c'era stata una sessione di palpeggiamento unilaterale alla quale preferisco non pensare, per non rigettare il pranzo.
Oggi, Léon è più agitato del solito. E' nervoso. Mi lancia delle occhiate furtive e gira in tondo. E' rimasto chiuso nel suo ufficio e ne é riemerso sfinito e preoccupato. Le sue sopracciglia cespugliose si uniscono nella concentrazione. Apre varie volte la bocca prima di richiuderla senza emettere il minimo suono, poi riprende la sua giostra, mentre io mi sforzo di ignorare la sua presenza. Ho un libro in mano, lusso supremo: ho diritto alla lettura, tengo il naso immerso nelle pagine per evadere da questo luogo sinistro e dalla mia vita tetra. Mi tengo rigida sulla sedia, incapace di appoggiarmi allo schienale a causa delle innumerevoli ferite sulla schiena, che ormai fanno parte di me come tutte le mie membra. Sobbalzo quando Léon si pianta davanti a me e mi prende il libro dalle mani, perché io gli presti attenzione.
«Ti devo parlare, bellezza.»
Detesto questo nomignolo. I nomignoli dovrebbero esistere sono tra persone che tengono l'una all'altra. Io sono arrivata al punto di odiarlo oltre ogni limite, più di quanto avrei pensato di poter odiare qualcuno un giorno. Non mi credevo capace di provare un'emozione così forte. Quest'uomo mi ha rubato la vita ed il mio odio è senza limiti.
«Dovrò assentarmi per qualche giorno.»
Il cuore mi salta un battito. La speranza che pensavo scomparsa ormai da lunghi mesi si fa strada fino alla mia coscienza, la mia anima reclama la propria libertà, della quale è stata privata per troppo tempo. Ciò nonostante, non ho ancora vinto e se voglio avere qualche possibilità, devo giocarmela bene e mettere a tacere la mia paura, perciò mantengo un volto impassibile.
«Perché?»
La mia domanda lo sorprende. Bisogna dire che gli sto rivolgendo ben poco interesse fin dall'inizio e la paura che esprimo nella mia domanda è a doppio senso. Non ho paura di rimanere sola, ma piuttosto di nutrire delle false speranze.
«Il lavoro. Hanno bisogno di rinforzi e non posso rifiutare.»
Il lavoro. Collabora con la polizia, triste memento del fatto che non posso aspettarmi alcun aiuto da quel lato. A chi crederebbero, tra una ragazza che si è fatta lasciare e non conta più per nessuno ed un informatico rispettato, che aiuta gli investigatori da molti anni? Non sono nemmeno sicura che qualcuno abbia segnalato la mia scomparsa. Chi potrebbe tenere abbastanza a me da preoccuparsi? Forse i miei genitori? Non dubito neppure per un istante che Léon non abbia trovato un modo per ovviare a questo problema. Non mi ha mai restituito il cellulare e, d'altra parte, non ho mai visto un telefono in giro per la casa. Eppure, sono sicura di averlo portato con me, quando ho lasciato Brandon.