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Insieme Per Trinity
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Insieme Per Trinity

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“Era pieno di un profumo costoso, non il genere di profumo che usa di solito una donna anziana.” Si zittì di colpo, fissando la zia. “Non che io pensi…”

“Va tutto bene, tesoro.” Zia Sylvia alzò una mano per assicurarle che non si era offesa.

“Si è davvero arrabbiato con me. Mi ha detto che aveva ragione quando diceva che non mi fidavo di lui.”

“E non ti fidavi di lui?”

“Non lo so,” ammise onestamente. “Volevo fidarmi, credo. Ma più ci pensavo, più le cose non tornavano. Era sempre stanco quando eravamo insieme. Non voleva più portarmi fuori. Non ho mai saputo in quali hotel alloggiava poiché diceva che spesso cambiava idea all'ultimo minuto e prenotava da un'altra parte, quindi era meglio contattarlo sul cellulare se era importante. Ho sempre obbedito. All'inizio gli piaceva sentirmi, anche se era in riunione. Poi ha iniziato a insistere di chiamarlo solo se era davvero importante. In caso contrario, mi avrebbe chiamato lui quando fosse stato libero. Aveva la segreteria attiva o il cellulare spento la maggior parte delle volte che gli ho telefonato.”

“Ti ha dato qualche tipo di spiegazione?” Zia Sylvia si accigliò.

Trinity scosse di nuovo la testa. "Non esattamente. Diceva solo di essere impegnato. Comunque, eravamo nel bel mezzo di quell'enorme litigio quando gli è squillato il cellulare. L'aveva lasciato sul tavolino e ci sono arrivata prima di lui. Era qualcuno chiamato Poppy. Gli ho chiesto chi fosse, ma lui mi ha preso il telefono di mano e l'ha spento rapidamente. A quel punto mi ha accusata di ogni genere di cosa, sostenendo che avevo curiosato tra i suoi vestiti, controllato il suo cellulare e fatto domande tutto il tempo. Ha detto che si sentiva sotto esame ogni volta che tornava a casa. Gli ho risposto che bastava che non fosse così dannatamente riservato. Lui a quel punto mi ha chiesto se pensavo che avesse una relazione. Non sapevo cosa dire. Gli ho detto che sembrava proprio di sì, visto quanto fosse irritato per l'intera faccenda.”

Le lacrime iniziarono a scenderle lungo le guance e Trinity le asciugò con rabbia. “Quella sera dovevamo andare a bere qualcosa con alcuni amici, ma lui ha detto che non ne aveva voglia. Mi stava ancora urlando contro quando è arrivato il taxi. Ero così arrabbiata che gli ho detto che avrei preferito andare da sola, cosa che ho fatto.” Tirò su col naso. “Era passata solo un'ora quando abbiamo sentito una enorme esplosione mentre bevevamo a pochi isolati di distanza. Dentro di me sapevo che era successo qualcosa di brutto a Kev. Lo sentivo.”

Zia Sylvia le mise una mano sul braccio. “Non è stata colpa tua, tesoro,” le assicurò.

“Ma avrebbe dovuto venire con me,” disse Trinity. “Se non avessimo avuto quella dannata discussione, saremmo stati entrambi fuori casa quando è successo.”

“Non puoi biasimarti per questo,” le disse zia Sylvia. “Era un uomo adulto e ha deciso da solo di non venire con te. Non è colpa tua.”

“Ma se non avessimo litigato…”

Zia Sylvia si alzò e prese posto accanto a lei, prendendola tra le braccia. Trinity iniziò a singhiozzare forte contro il suo petto, lasciando che tutto il senso di colpa e il dolore uscissero fuori dal suo corpo teso. Non sapeva per quanto tempo avesse pianto, ma era sollevata di averlo finalmente detto a qualcuno. Era la prima volta che rivelava cosa fosse successo davvero quel giorno, e sperava che fosse anche l'ultima.

Capitolo Quattro

“Pensavo di pranzare al ristorante di Almondine, cosa ne dici?” Jarrod entrò nelle stalle con un enorme sorriso stampato in faccia. Il sole rendeva incredibilmente lucidi i suoi capelli e i denti perfetti sembravano brillare sul viso abbronzato.

Cordell appese la sella che aveva tolto a uno dei cavalli e si voltò per fissare incredulo il suo amico. “Vuoi smettere di lavorare e fare tutta quella strada solo per mangiare?” domandò con un ghigno.

Jarrod sorrise. “Oppure possiamo andare alla tavola calda. È una bella giornata. Ho pensato che potessimo cambiare un po' aria. Non ho molto da fare per le prossime due ore e so che anche tu puoi permetterti una pausa. Che ne dici?”

“Dico che non stai prendendo in giro nessuno,” mormorò Cordell, dando una pacca affettuosa sul fianco del cavallo e uscendo dalla porta laterale. “Speri di vedere Trinity Ellis laggiù, ecco cosa.”

Jarrod ridacchiò. “Io? Come puoi pensare una cosa del genere?” Gli lanciò uno sguardo fintamente shoccato e scoppiò a ridere. “Okay, forse c'è una piccola possibilità che Sylvia decida di fare un salto nel suo bar preferito con la sua bellissima nipote. Credi che saremo così fortunati da incontrarle?”

Cordell alzò gli occhi al cielo, poi chiamò uno dei manovali.

“Sam, puoi dare una bella spazzolata a Caspar? E controlla che abbia abbastanza acqua. Ha fatto una bella corsa e fa caldo in montagna.” Indicò le colline dalle quali era appena tornato. Sam annuì e si mise subito al lavoro.

“Ora possiamo andare, Capitan Ovvio. Andiamo a vedere chi c'è ad Almondine, va bene?” Si diresse verso uno dei pick-up ed entrambi saltarono sui sedili.

“Non ti sei dimenticato che quella ragazza è off limits, vero?” Cordell gli lanciò un'occhiata mentre guidava.

“No, certo che no,” rispose Jarrod con fermezza. “Ma questo non significa che dobbiamo ignorarla del tutto.”

Cordell sospirò. “Ne ha passate così tante. Non è trascorso molto tempo da quando ha perso sua madre. E ora ha perso sia il suo ragazzo che la sua casa… non riesco a immaginare come si debba sentire.”

“Ho un'idea di come si sente,” rispose Jarrod con calma.

Cordell colpì il volante, arrabbiato con se stesso. “Amico, mi dispiace così tanto. Non volevo dire…”

“Ehi, va tutto bene,” lo rassicurò Jarrod, alzando una mano per fermare le sue scuse. “Sto solo dicendo che so cosa vuol dire perdere qualcuno. Tutti che si muovono in punta di piedi intorno a te, che hanno paura di dire la cosa sbagliata. Il problema è che finiscono per non dire nulla. Ti evitano. Allora senti che è tutta colpa tua per averli fatti sentire a disagio. Non c'è una via d'uscita.”

“Mi dispiace,” ripeté Cordell, scuotendo lentamente la testa. “Non ho pensato prima di parlare.”

“Ecco. È proprio questo il punto. Non voglio che tu debba fermarti a pensare ogni volta che apri bocca. Cristo, se passassi tutto il tempo a chiederti se quello che stai per dire potrebbe offendermi, smetteresti del tutto di parlare. Mamma e papà sono morti. È brutto e lo odio, ma è successo. Devo affrontarlo e andare avanti con la mia vita. Non posso continuare a guardare avanti se tutti intorno a me guardano indietro, no?” Jarrod sorrise.

“Sei davvero una brava persona, sai?” Cordell non poteva fare a meno di ammirarlo.

Jarrod era stato così male, quando i suoi genitori erano morti in un incidente d'auto, che Cordell aveva seriamente pensato che non lo avrebbe mai più visto sorridere. Sapeva che Jarrod si incolpava di non essere stato lì. In qualche modo, era arrivato a credere che fosse colpa sua perché non era andato a trovarli abbastanza spesso. Il senso di colpa gli era pesato talmente tanto sulle spalle che era come sprofondato in una spirale di disperazione.

“Ecco perché siamo ottimi amici,” rispose Jarrod, facendogli l'occhiolino.

Cordell ridacchiò. Era così bello che Jarrod fosse tornato al suo vecchio io sfacciato e frivolo. Si erano conosciuti al liceo, quando avevano legato per una reciproca antipatia per il loro insegnante di matematica, e da allora erano diventati migliori amici. Jarrod aveva sempre avuto un atteggiamento rilassato, ed era stato terribile vederlo sprofondare nella tristezza, ma era sicuramente migliorato una volta che si erano trasferiti a Cavern County. Non c'erano ricordi lì, né persone che continuassero a ripetere a Jarrod quanto fossero dispiaciuti. Niente che gli ricordasse quello che era successo. Era passato un anno da quando si erano trasferiti in quella cittadina ed entrambi sapevano che era la cosa migliore che avessero mai fatto.

“Ti piace davvero, dico bene?” chiese Cordell, fermando l'auto fuori dalla tavola calda.

“Vuoi dirmi che a te non piace?” Jarrod sembrava incredulo, probabilmente a causa della conversazione che avevano avuto la notte precedente, subito dopo averla salutata. Jarrod aveva sempre desiderato fare una cosa a tre con una ragazza, ma Cordell era stato un po' titubante. Si sentivano più fratelli che migliori amici. Ma poi avevano incontrato Trinity Ellis, che aveva avuto un effetto sconvolgente su entrambi, e Cordell aveva ammesso di aver cambiato idea.

“Non fare il saputello.”

“Ti sento.” Jarrod rise mentre scendevano dal pick-up e si dirigevano all'interno.

Riuscirono a trovare un tavolo vicino alla finestra.

“Non c'è,” mormorò Cordell, guardandosi intorno furtivamente. “Anche se non riesco a vedere nulla attraverso quella specie di muraglia umana.” Fece un cenno verso la cassiera, che si stava occupando della folla di persone in attesa di pagare. “E sono sicuro che non sono neppure alla tavola calda, visto che ho controllato bene quando siamo passati lì davanti.”

“Probabilmente stanno ancora facendo shopping,” disse Jarrod con un sorriso. “Sai come sono le donne, quando iniziano chi le ferma più?”

“Non farti sentire da loro,” Cordell ridacchiò.

“Sentire cosa?” Rhona, la cameriera, apparve improvvisamente in piedi accanto al loro tavolo, con un taccuino in mano e un grande sorriso sul viso.

“Oh, niente,” rispose Cordell. “Io prendo un hamburger con una porzione di patatine fritte, per favore, e una birra alla spina.”

“Lo stesso per me.” Jarrod sorrise.

“Arrivano subito.”

Cordell si sporse in avanti quando furono di nuovo soli. “Frank è molto preoccupato per sua nipote,” mormorò. “Ha detto che non gli sembra più la stessa.”

“Cosa si aspettava?” Jarrod si accigliò. “Ha appena perso tutto quello che aveva, a giudicare da ciò che ha detto. Sarebbe difficile che fosse tutta sorrisi e arcobaleni, non credi?”

“Abbassa la tua dannata voce,” sibilò Cordell, notando che alcune persone si voltavano verso di loro. “Non è come sembra.”

Jarrod sbuffò. “E com'è, allora?”

“Frank ha detto che Trinity è…” Il suo sguardo vagò verso il bancone mentre parlava. “Trinity è qui,” disse rapidamente.

“Che diavolo dovrebbe significare… Oh.” Jarrod seguì la direzione del suo sguardo.

Cordell notò le due donne che sorseggiavano il caffè comodamente sedute a un tavolino dall'altra parte della stanza. Ora che la folla si era un po' diradata era facile vederle.

“Vado a chiamarle,” disse Jarrod, alzandosi.

“No.” Cordell lo fermò.

Jarrod si accigliò. “C'è qualcosa che non va, amico?”

“Non ne sono sicuro.” Cordell si leccò pensieroso il labbro inferiore, mentre Jarrod si sedeva di nuovo. “Non credo che Trinity voglia vederci, in questo momento,” sussurrò.

La ragazza tremava mentre si asciugava il viso con il fazzoletto.

“È sconvolta,” commentò Jarrod.

Dopo un paio di minuti Rhona portò le loro ordinazioni e i due si tuffarono sul cibo, anche se l'umore allegro di poco prima era ormai sparito.

“Sembra proprio che abbiano fatto un po' di shopping,” osservò Jarrod.

Anche Cordell aveva notato le borse di fianco al loro tavolino. “Se tutto ciò che le è rimasto era davvero in quella borsa la scorsa notte, direi che ne aveva bisogno.”

“È difficile immaginare di perdere tutto ciò che possiedi in quel modo,” disse Jarrod. “Voglio dire, tutte le tue cose personali: fotografie, ricordi della tua infanzia…”

“Anche i ricordi dei suoi genitori, immagino,” aggiunse Cordell, pensieroso.

“E il lavoro? Frank non ha detto che lavora da casa?”

Cordell non ci aveva pensato. “È una specie di artista… una illustratrice o qualcosa del genere. Cazzo, potrebbe aver perso qualcosa di importante.”

“Credo che la maggior parte l'abbia fatta in digitale,” commentò Jarrod, infilandosi in bocca l'ultima patatina. “Spero che abbia copiato tutto su qualche memoria esterna.”

Cordell annuì. Non riusciva a finire l'hamburger. Il suo stomaco era sottosopra. Trinity appariva fin troppo carina con i capelli rosa da Barbie e la borsa giallo canarino. La sua immagine era sicuramente in contrasto con l'atteggiamento malinconico, e, pur non conoscendola, sapeva che di solito era molto più vivace di quanto apparisse. Frank gli aveva detto che era la gioia fatta persona, la vita e l'anima della festa. Beh, prima che accadesse tutto quanto. Non era giusto che un simile disastro fosse accaduto a una ragazza come lei. Sperava che quelle buste contenessero dei vestiti dai colori vivaci e allegri. La semplice t-shirt e i jeans che indossava quel giorno non sembravano affatto rispecchiare il suo stile.

“Tutto bene, amico?” Jarrod si accigliò davanti all'hamburger mezzo mangiato di Cordell.

“Sì, ma non ho molta fame.”

“Sei sicuro che non abbia qualcosa a che fare con una certa ragazza dai capelli rosa seduta laggiù?”

Cordell sospirò. “Forse. Comunque, non so te, ma io ho un sacco di lavoro da sbrigare questo pomeriggio, quindi immagino sia ora di darsi una mossa.”

“Va bene, oggi offro io.” Jarrod prese lo scontrino dal tavolo e si avvicinò al bancone per pagare.

Cordell si mosse per seguirlo e fu sorpreso di sentirsi chiamare.

“Cordell, qui!” Sylvia lo stava salutando dal suo tavolo.

Cordell aveva volutamente evitato di guardare in quella direzione, ma ora si voltò verso le due donne. “Sylvia, Trinity, ciao.” Sorrise, camminando lentamente verso di loro. “Com'è andato lo shopping?” Guardò le loro borse.

“È stato divertente, vero?” rispose Sylvia, annuendo in direzione di Trinity. “Penso che ci siamo stancate, però.”

“Volete tornare a casa? Abbiamo il pick-up e…”

“Oh, no, va bene, grazie. Ho pensato di mostrare Almondine a Trinity e poi di prendere un taxi per tornare a Pelican's Heath, dove incontreremo Frank. È appena andato a trovare Matt Shearer al loro ranch. Non c'è fretta.”

“Siete sicure?”

“Sì, caro. Grazie comunque.”

Notò che anche Trinity annuiva, ma non parlava. Era bellissima, nonostante avesse il viso arrossato e gli occhi gonfi. Cordell dovette combattere l'impulso di abbracciarla.

“Incontreremo Frank a Pelican's Heath,” continuò Sylvia. “Voleva sapere se voi ragazzi potete passare più tardi. Non è urgente se siete occupati, ovviamente.”

“No, per niente,” la rassicurò Cordell.

“Grazie. Ha inscatolato alcuni vecchi libri che vorrebbe conservare. Sta facendo spazio nello studio per Trinity, quindi ha bisogno di togliere un po' di cose. Sono troppo pesanti da sollevare per noi vecchietti.”

Cordell inarcò le sopracciglia. “Vi daremo una mano noi.”

“Sembra che mi abbiano offerto volontario per qualcosa, qui,” disse la voce di Jarrod alle sue spalle.

“Ciao, Jarrod. Stavo giusto chiedendo se a voi ragazzi dispiacerebbe spostare dei vecchi libri più tardi. Frank sta mettendo un po' in ordine.” Sylvia sorrise.

“Sul serio?” Jarrod rimase a bocca aperta. “Si sente bene?”

Sylvia fece una smorfia scherzosa. “Lui sta bene. Vuole solo liberare la scrivania dello studio in modo che Trinity possa lavorare lì.”

Jarrod sorrise a Trinity. “Lavorare, eh? Significa che hai intenzione di restare qui per un po', bellezza?”

La voce di Trinity era un po' gracchiante. “Non ho ancora deciso cosa fare,” rispose lentamente, cercando chiaramente di non incrociare il suo sguardo.

“Vuole aspettare ancora un po' prima di decidere. Non possiamo lasciare che si annoi mentre è con noi, non è vero?” disse Sylvia.

“E io che mi stavo già montando la testa sperando che volessi restare qui per noi,” disse Jarrod con una risata, portandosi una mano al petto.

“Verremo dopo cena,” disse Cordell in fretta, notando l'espressione tesa che era apparsa sul viso di Trinity. “Dai, amico, sarà meglio andare.”

Lo trascinò fuori dal locale e poi fino al pick-up.

“Che ti prende?” chiese Jarrod, ovviamente seccato per essere stato spinto via.

“L'hai vista. Quella povera ragazza sembrava sconvolta,” rispose Cordell mentre salivano sul pick-up.

“Non per colpa nostra. In realtà stavo cercando di tirarla un po' su di morale,” protestò Jarrod.

“So benissimo cosa stavi cercando di fare,” disse Cordell, scuotendo la testa. “Tendi a dimenticare quanto bene ti conosco.”