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«Non capisco perché continui a chiedermelo» voltò la testa da un lato cercandomi con gli occhi. Scostò la mia mano con la spalla.

«Perché è arrivato il momento di riscuotere il tuo premio» gli dissi e iniziai a spingerlo lentamente dalla schiena.

«Dove mi stai portando?».

«Lì, in quella torre dove tutto finisce».

«Ehi, aspetta un attimo, che cosa vuol dire?».

«Che la tua assicurazione non ti garantisce la vita eterna. Hai perso di vista la prima legge: tutto si muove verso la morte. Anche tu».

«Fermo!» l’ordine delle voci delle due ragazze echeggiò nel campo e fece quasi vibrare l'erba tutto intorno. Mi voltai verso le grandi mani.

«Non puoi costringerlo alla torre finché la sua ora non sarà terminata».

«Nessuno può attraversare la porta della torre prima del tempo. Dovrai tornare indietro per mutare la sua sorte» disse la ragazza vestita di bianco.

«O per lasciarla inalterata» concluse la voce dell’altra, filtrando attraverso i denti serrati.

«Stanno dicendo che puoi salvarmi?».

«Rinuncio alla sua salvezza» dissi, ma non accadde niente.

Le dita delle grandi mani si mossero. Valentino si girò a guardarle finché non si chiusero completamente.

«Questo assurdo posto in cui mi trovo è davvero la morte?».

«Soltanto l'anticamera. O qualcosa del genere».

«Adesso capisco perché ho attraversato tutto quel buio» abbassò lo sguardo verso il terreno «Non è possibile. Sono esattamente uguale a un’ora fa. Ho ancora i miei vestiti» tastò le iniziali sulla tasca della camicia «Sembra tutto così reale. E pensare che mi aspettavo qualcosa di grande da questa notte».

«Più grande di questo non credo ci sia molto».

«È vero quello che hanno detto le due ragazze? Che puoi salvarmi?» gli occhi si muovevano velocemente dietro le lenti azzurre.

Continuai a guardarlo senza rispondere.

«Chi sei, se puoi salvare la gente dalla morte?» mi chiese.

«Uno che è morto questa notte, come te».

«Come è possibile? Se sei soltanto uno che è morto, chi ti ha dato questo potere?».

«Non lo so, non ne so niente» cercai di divincolarmi dalle sue mani che continuavano ad aggrapparsi alla felpa.

«Devi farlo. Tu devi salvarmi,» storse le labbra intorno alle due file di piccoli denti inclinati verso l'interno della bocca «non puoi lasciarmi morire senza fare niente. Hai sentito cosa hanno detto. Hanno detto che ero a un passo dalla libertà, che adesso inizia il bello della vita».

«Non preoccuparti, è soltanto un'illusione. Il bello non inizia mai».

«Smettila di fare il coglione. Lo dici solo perché non è a te che manca così poco per realizzare i tuoi desideri» mi mostrò uno spazio minuscolo tra due dita «È per questo che non vuoi salvarmi?».

Sentii i suoi occhi indagare sul mio volto. Alzai lo sguardo. Mi venne da ridere «Perché la libertà cosa credi che sia?».

Vidi gli occhi impazzire dalla rabbia muovendosi freneticamente. Due pugni mi raggiunsero nello stesso momento, uno sul collo e uno nello stomaco. Mi piegai a terra.

Valentino trovò lo spazio per passare e iniziò a correre pesantemente verso il buio. Il suo culo stretto nei pantaloni bianchi si agitava inutilmente per riportarlo alla vita. Mi alzai in piedi e mi misi a correre dietro di lui. Riuscii a bloccarlo lanciandomi a volo e agganciando le sue gambe poco prima che raggiungesse il corridoio oscuro che si era appena riformato. Cademmo in avanti. Strisciai sul terreno per mettermi seduto sopra di lui che si dimenava e si contorceva con i gomiti stretti sui fianchi. Mi piantò una mano sotto il mento e mi spinse la testa verso l'alto.

Cercai di tenerlo fermo per la camicia con una mano, mentre facevo oscillare l'altra sopra la sua faccia senza riuscire a mirare. Intravidi il suo naso, calai un colpo di palmo. Valentino diede uno strattone più forte per scansarsi e la tasca si strappò. Un buco si aprì nella camicia, la tasca mi restò in mano.

«La mia camicia» si risucchiò la saliva dalle labbra. Mi tirò via la tasca di mano e la riportò al petto, cercando il punto da cui si era staccata.

Lo afferrai per i capelli e lo trascinai per un pezzo a quattro zampe, le ginocchia continuavano a scivolargli e a strisciare sulla terra. Poi riuscì a sollevarsi in piedi. I mocassini bianchi sbattevano sul sentiero in lunghi passi veloci per rincorrere la testa ancora tenuta per i capelli dalla mia mano.

Aprii la porta della torre. Le mani di Valentino si strinsero intorno al mio polso sopra la sua testa. Riuscì a staccare la mia mano dai suoi capelli, strappandosi una fitta ciocca sulla tempia. Si passò due dita sulla fronte per sistemarli, con la chiazza vuota che lasciava intravedere la pelle arrossata. Quando decise che potevano andare bene, Valentino si sistemò anche la camicia e gli occhiali. Le ginocchia e le chiappe dei pantaloni bianchi erano striati di marrone e verde, ma Valentino non se n'era accorto.

«Cammino da me» disse.

Uno slancio di orgoglio.

Interessante. Un vero slancio di orgoglio.

Salimmo insieme la scala che portava al secondo piano. Spalancai la porta della stanza.

«Entra» spiegai, con calma.

«Non voglio».

Allungai le mani per afferrarlo. Valentino alzò le spalle e ci incassò dentro la testa, serrando gli occhi come un bambino. Fermai a metà strada un rovescio che stava per arrivargli dritto nei denti. Lo presi per i gomiti, lo sbilanciai in avanti e lo lanciai a terra, gli occhiali gli saltarono via mentre rotolava sul pavimento verso il centro della stanza.

Non entrare.

C’era qualcosa di strano in quel posto. Una specie di deformazione della realtà, un impercettibile errore fisico, una contrazione spaziale. Pressione, densità, qualcosa di invisibile e opprimente si concentrava tra le quattro pareti spoglie di pietra grezza giallastra.

Non entrare.

Entrai nella stanza.

Capitolo 5

Un'enorme sfera ruotava a velocità supersonica e cambiava direzione ogni volta che cercavo di dare forma a un pensiero. Il cervello si comprimeva contro la calotta cranica tra forza centripeta e centrifuga, le scariche elettriche bruciavano come ferite aperte tra le sinapsi. Ero sdraiato di schiena sulla sfera, schiacciato contro la sua superficie. La mente ondeggiava come un liquido dentro la testa. Anche questa impressione si era trasformata in pensiero, dando un ultimo slancio direzionale alla sfera. Tutto rallentò. Non mi sembrava più di avere un volto e neppure un corpo. Il mondo era diventato vago come se fosse fatto soltanto di idee, come se fosse sempre stata la mia mente a immaginarlo e come se si fosse ormai stancata di farlo perché le idee facevano troppo male.


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