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Il Cercatore Di Coralli
Chi probabilmente avrebbe faticato ad aprire le sue porte era Kamal. Quando Giordano, la mattina successiva al primo incontro, si presentò in casa dell'artigiano vestito alla maniera dei funzionari reali, trovò la porta spalancata e ogni cosa rivoltata per aria come se lì dentro vi fosse entrata la burrasca. Era comunque lampante, nonostante il disordine e la devastazione, che Kamal fosse un uomo benestante. La casa era ben pavimentata e le mura erano intonacate e perfino affrescate con motivi floreali lì dov'erano più in vista. Il palazzo, tutto imbiancato a calce, era strutturato su due livelli e insieme alla bottega occupava un intero isolato. Le ante delle finestre erano di un azzurro intenso e la porta, avente la forma di un arco a ferro di cavallo, era proprio del colore dei coralli. Dal momento che lì attorno le altre abitazioni avevano simili caratteristiche, si evinceva che la dimora di Kamal fosse ubicata nella parte di città abitata dalla gente più ricca. Una splendida terrazza, per metà coperta, rendeva più attraente ciò che già era piacevole alla vista; da lì si potevano osservare le fronde delle palme e il vicino mare.
La bottega accanto era divisa in due ambienti, uno sul retro funzionale al tipo di mestiere e all’ingresso il negozio in cui esporre la merce. Anche qui i soldati inviati da Giordano non avevano avuto rispetto per niente e nessuno.
L’‘amil, com’è facile immaginare, si presentò scortato da un manipolo di soldati; una decina per l'esattezza. Quando giunse sull'uscio della bottega poté osservare che dentro si affaticavano Kamal e la sua famiglia nel tentativo di recuperare quello che non era andato completamente distrutto.
Salman, il figlio maggiore, non appena vide Giordano, incurante degli uomini armati al suo fianco, gli si scagliò contro, gridando mentre si avvicinava minaccioso:
«Vile maledetto... vile maledetto!»
Ma prontamente Kamal lo placcò con un braccio attorno al collo quando gli passò a lato.
«Sta’ calmo!» lo invitò, e dunque fece cenno a Basma e Talal di portarlo sul retro.
Salman sbuffò, fulminò per l'ultima volta lo straniero e si fece accompagnare dall'altra parte.
Kamal invece, attore capace com'era, fece un grosso sorriso e aprì le braccia in segno di accoglienza.
«Benvenuto nella mia povera dimora, mio Signore!»
«Dove sono finiti i tanto decantati monili di cui mi parlavi ieri?» lo provocò Giordano.
«Spero nelle mani di gente più degna di me...»
Al che l'altro, comprendendo che non sarebbe riuscito a smuovere i sensi dell’artigiano, andò al dunque:
«Quella cosa che dicevi su mio padre... convincimi che in virtù del passato non avrei dovuto far saccheggiare casa tua e io farò in modo di risarcirti il doppio di quanto ti è stato sottratto.»
Yasir, finora nascosto dietro le guardie, sorrise capendo la scaltrezza del suo signore.
«In tre mesi riotterrò con le mie sole forze quello che i tuoi uomini mi hanno preso!» rispose quasi spavaldo Kamal, intendendo chiaramente far cuocere il suo interlocutore nel desiderio di sapere la verità riguardo a quella menzione su suo padre.
Di fronte alle angherie di Giordano un’altra persona avrebbe reagito come aveva fatto Salman, tuttavia Kamal non era un uomo convenzionale; egli intendeva far alzare la posta al nemico che aveva osato fargli così tanto male.
«I miei uomini hanno trovato delle armi nella vostra abitazione. Sai a cosa va incontro un maomettano che in questi giorni viene trovato in possesso di armi?»
«Cinque scimitarre, due spade lunghe e dodici pugnali di varia grandezza e foggia...» elencò uno dei soldati.
Ma Kamal, sorridendo più di quanto non stesse già facendo, contestò:
«La proibizione concerne il portare armi addosso... e non il custodirle in casa. Sono cimeli di famiglia, riguardo ai quali sarebbe un disonore privarmene.»
«Ti ripeto... convincimi che in virtù del passato non avrei dovuto mandare i miei uomini in casa tua e farò in modo di farti riavere anche i tuoi cimeli di famiglia.»
Kamal si lisciò la barba pensieroso e propose:
«Domani mattina all'alba ti aspetto alle porte di Mahdiyya. Quello che devo raccontarti necessita che tu veda un luogo in particolare.»
«Se me ne parli subito, entro stasera sarai risarcito di ogni cosa.»
«Mio Signore, non mi si guasterà la vita per un giorno in più!»
Giordano se ne andò con la stessa disinvoltura con cui era arrivato; col suo silenzio accettava l'invito di Kamal.
Contravvenendo alle sue stesse parole, lo stesso pomeriggio inviò Yasir e un gruppo di uomini per restituire all'artigiano tutto ciò che gli era stato sottratto e per quantificare i danni da risarcire. Kamal dichiarava e Yasir annotava, e non poche volte al giovane contabile venne il dubbio che l'altro ingigantisse il maltolto per guadagnarci.
Seduto in casa dell'intagliatore, ad uno sgabello, Yasir appuntava su un foglio di carta per mezzo di un carboncino. Essendo molto scrupoloso, ripeteva ad alta voce quello che diceva Kamal, aspettando la conferma prima di annotare la cosa successiva. Poi, verso metà lavoro, mentre scriveva di una lampada ad olio resa inutilizzabile dal saccheggio dei soldati, la punta del carboncino si ruppe.
«Hajji34 Kamal, ti prego... ho bisogno di un coltello per affilare la punta.» chiese Yasir.
Il più anziano quindi si recò nell'altra stanza e riportò la cosa a qualcuno.
«Faiza ti darà quanto richiedi.» spiegò il padrone di casa, ritornato alla presenza del giovane forestiero.
All'udire il nome di Faiza, Yasir avvertì uno strano peso allo stomaco. L'aveva vista già in mattinata mentre si affaccendava per ripulire la bottega, ma ora avrebbe dovuto interagire con lei. Yasir provò imbarazzo, dal momento che quel giorno più e più volte l'aveva fissata con lo sguardo e lei se n'era pure accorta in un paio di occasioni. Adesso quella stessa donna consapevole di aver attirato il suo interesse avrebbe dovuto avvicinarlo.
Quando Faiza entrò nella stanza non sembrò avere minimamente lo stesso disagio di Yasir; con fare sicuro avanzò fino allo sgabello sul quale lui se ne stava. Tuttavia, invece di vigilare sulle sue azioni, guardò Kamal, come se nel suo sguardo cercasse un suggerimento a qualcosa. Porse perciò il coltello dalla parte della lama e Yasir, perso nell’odore di petali di rosa che le vesti di Faiza emanavano, l'afferrò senza rifletterci.
«Guarda cosa fai, stupida!» la rimproverò Kamal, mentre Yasir premeva sul taglio con l'altra mano.
«Perdonami, Signore... non avrei dovuto distrarmi!»
E Yasir, al settimo cielo per quella ferita inferta dalla ragazza che lo mandava in visibilio, la rassicurò:
«No, non è niente...»
E rivolgendosi a Kamal:
«Non è niente!»
Faiza allora si tolse l'hijab35 scuro e lo arrotolò sulla mano di Yasir. Una montagna di capelli neri e ricci esplose riempiendo lo spazio che la separava dal timido contabile. Yasir si voltò vergognato, trovandosi a tu per tu con quel dettaglio proibito, e rimase per tutto il tempo a guardare la parete. Solo quando Faiza ebbe finito di annodare il suo velo alla mano del giovane, quest'ultimo ebbe il coraggio di tornarsi a girare, certo che lei se ne fosse andata.
«È chiaro che dobbiamo rimandare. Quantificami il danno e ti risarcirò, poiché è evidente che così non potrai lavorare.» commentò Kamal, fissando la mano malconcia dell'altro.
«Hajji Kamal, ti prego di non punire tua figlia. Lei ha fatto più di quanto mi aspettassi.» spiegò il giovane straniero, riferendosi alla medicazione.
La sera Yasir si ritrovò ad annusare il velo che fasciava la sua mano, certo che quello fosse il profumo più gradevole che avesse mai sentito. Inoltre, per la prima volta in vita sua, sentì di dover agire con furbizia e per il proprio tornaconto. Avrebbe utilizzato quella banale stoffa come garanzia per rivederla ancora.
Capitolo 6
Inizio luglio 1148, dintorni di Mahdia
Giordano era sempre più convinto che Kamal fosse il discendente di Benavert ed era certo che quel giorno avrebbe scoperto ogni cosa. Se quel tale non aveva ancora rivendicato l’amicizia delle loro famiglie era forse da attribuirsi ad un'eccessiva prudenza, o al fatto che volesse guadagnarci il più possibile rivelando i particolari un po’ alla volta.
Già un'ora prima dell'alba l'‘amil di Mahdia se ne stava alle porte della città, il groppa al suo cavallo e scortato da un considerevole numero di soldati.
Quando giunsero Kamal e i suoi due figli maschi, il sole si era già staccato dall'orizzonte.
«Avevi detto all'alba!» rimproverò Giordano.
«Non hai sentito l’adhān36 del muezzin37? Facevamo la prima ṣalāt38.»
Dunque il nobile di Sicilia, infastidito ma consapevole di dover cedere, lasciò perdere e invitò i tre a montare a cavallo.
Presero la strada per Susa, quella percorsa qualche giorno prima dall'esercito, ma dopo una decina di miglia, lì dove la costa si protende verso il mare, si fermarono. Una spiaggia sabbiosa separava la strada dalla linea di costa e un isolotto dalla forma allungata si univa alla suddetta spiaggia per mezzo di un guado percorribile a cavallo e, facendo attenzione, pure a piedi. Giordano aveva già capito dove Kamal l'avesse portato, aveva sentito parlare di quel posto centinaia di volte. Non poteva sbagliarsi... il capo sabbioso, l'isolotto, il guado... erano tutte cose che ritornavano familiari nella sua testa.
«Rās Dimas!» esclamò Kamal, presentando il panorama con un movimento della mano.
Giordano, rapito da un luogo per lui così importante, si avvicinò all'acqua in prossimità del guado. Il forte vento che costante perdurava da giorni tirando da mezzogiorno, chiamato chili39 dalla popolazione locale, quel giorno soffiava con particolare intensità. Anche la corrente marina era molto forte.
«Mio Signore, oggi quel passaggio è impraticabile. Ascoltate chi ha maturato abbastanza esperienza da conoscere tutti i segreti del mare.»
A Giordano in quell'istante venne un lampo di genio, per cui rispose:
«Non porto né armatura né cotta di maglia, ma solo gli abiti d'ordinanza dei funzionari del Regno. Dalle mie parti si narra di un uomo, un qā'id che finì in mare durante l'assedio dei cristiani e morì affogato a causa del peso della sua armatura.»
«Un uomo sfortunato!» esclamò Kamal.
«Costui era amico di mio nonno. Si erano perfino tirati le orecchie in segno di amicizia indissolubile.»
«Perché, da che parte stava tuo nonno?»
«Lui sperava in un mondo giusto in cui ognuno avrebbe potuto ottenere la sua fortuna sulla base delle opere e non su quella del Dio predicato.»
«Una società aperta ad ogni tipo di gente quindi...»
«Proprio quello che è il Regno di Ruggero!» esclamò Giordano con orgoglio.
Kamal sorrise e rispose:
«Vuoi farmi credere che perfino uno come me, un artigiano straniero, potrebbe fare fortuna?»
«Giorgio d’Antiochia proviene dal Levante, eppure la sua parola è seconda solo a quella del Re.»
«Ho sentito dire però che a Qusṭanṭīnīa40 lo giudichino un traditore, per via delle sue origini greche.»
«Temeresti lo stesso giudizio a Mahdiyya?»
«I “saraceni di Sicilia” non sono visti con occhio più benevolo... ma poco mi importerebbe di essere giudicato negativamente a causa del mio servizio ad un sovrano cristiano.»
«Padre, dimentichi quanta gente ha dovuto patire sofferenze a causa di quel monarca e del suo predecessore. Quanti fratelli migrarono in queste terre a causa di quell’infame guerra dei cristiani...» intervenne Salman, chiaramente più sanguigno di carattere.
«Non hanno fatto meno strage gli emiri ziridi... con la gravità di aver schiacciato i loro stessi fratelli.» rispose Kamal.
«Tuo figlio ha ragione... dovresti odiarci! Per quale motivo ti mostri invece amichevole?»
«Perché tu, mio Signore, sai riconoscere un affare... così come so farlo io.»
«Di quale affare stai parlando?»
«Avete fatto scappare Hasan e la sua famiglia, e i nobili più in vista hanno preferito seguirlo in esilio... Quando il grosso degli ufficiali e della nobiltà di Sicilia se ne sarà tornato a casa, chi comprerà i miei monili? Stringiamoci la mano e mettiamoci in società. Tu, mio Signore, mi farai da intermediario con la corte del Re e con le ricche famiglie del regno vostro.»
«Non sono le fabbriche di Taràbanis41, per citarne alcune, più floride della tua bottega?»
«Ti invito a misurare la fattura delle mie opere e di confrontarla con i prodotti di questi luoghi.»
«Mi hai portato qui per fare affari?» chiese spazientito Giordano.
Aveva creduto che il ricordo della morte di Benavert facesse uscire allo scoperto Kamal, ed invece non era successo nulla. Giordano in quel momento immaginò di aver preso solo un abbaglio!
«Hai ragione, mio Signore, è doveroso che ti parli di come conobbi tuo padre.»
«La battaglia di capo Dimas...»
Kamal scese da cavallo e invitò Giordano a fare lo stesso. Dunque gli propose di camminare sulla battigia con lo scopo di allontanarsi dagli uomini della scorta e perfino dai suoi figli. Poi, fissando il mare, prendendo la stessa direzione del chili, cominciò a raccontare:
«Era l’estate del 517, il 1123 secondo il vostro computo. Allora ero un ragazzo dell'età di Salman, pieno di forze e ambizione. Prendevo il mare quasi ogni giorno e comandavo già una ciurma di esperti cercatori di corallo. A Mahdiyya sapevamo già da giorni che Rujār aveva mandato molte navi, e avevamo gioito quando avevamo sentito che la flotta aveva fatto naufragio presso Quawsarah, pur se i cristiani avevano conquistato quell’isola e fatto preda dei fratelli che vi abitavano. In risposta al pericolo l'emiro aveva bandito la guerra santa e chiamato molta gente a difendere la città; restammo sorpresi vedendo i predoni del deserto unirsi agli uomini in armi per difendere Mahdiyya e la cittadinanza. Io, ad ogni modo, che credevo presuntuosamente che la minaccia non si concretizzasse, approfittai delle tenebre per prendere il largo. Allora, come ho continuato a fare fino ad oggi, ero alla ricerca di una rarissima foresta di corallo nero, la quale, a detta dei più anziani del mestiere, dovrebbe trovarsi da qualche parte a poche miglia dalla costa.
Quel giorno non lo dimenticherò mai! Era il 25 di Jumādā al-awwal42, quando mi imbattei, non nella foresta di corallo nero, ma nelle vele latine dei legni della marina siciliana, capitanata, ora come allora, da Jirjis al-Anṭakī. Credei che le veloci galee ci raggiungessero e ci facessero prigionieri, perciò puntammo la prua verso Mahdiyya e remammo più forte che potemmo. Verso sera, al calar del sole, notammo che le galee si erano fermate e avevano gettato l'ancora proprio presso quest'isolotto spoglio e deserto. Tuttavia, a nostro discapito, le staffette di Hasan rientrarono a Mahdiyya prima di noi, cosicché quando con il buio fummo all'imbocco del porto vi trovammo già la catena a sbarrare l'ingresso. Proposi allora di sbarcare dove potevamo e di tentare il rientro a piedi, ma vedemmo lungo la costa un gran via vai di fuochi di torce; dalla velocità con cui si spostavano dovevano essere uomini a cavallo. Come potevamo determinare nella notte il colore delle loro bandiere? Sopraggiunse il panico e tra di noi scoppiò la lite; in cinque mi si scagliarono contro e uno mi colpì alla testa con una delle zavorre che usavamo per mandare le reti a fondo. Persi conoscenza e solo tempo dopo seppi quale pazzia li avesse colti. Erano tutti uomini di mare che nella loro vita avevano passato più tempo su una barca che sulla terraferma, eppure quella notte sbagliarono rotta. Essendo la minaccia dei siciliani provenire da nord, credettero bene di allontanarsi quanto più possibile e di tentare fortuna a Safāqis. Ma Safāqis era lontana molte ore di navigazione e i venti erano capricciosi. Quando dovettero doppiare il capo più proteso verso il mare, rimasero incagliati nei banchi di sabbia. Vedendo quindi la costa vicina fuggirono a nuoto e si dileguarono alla ricerca di un riparo per la notte. Non so dire se l’indomani credevano di ritrovarmi dove mi avevano lasciato o se decisero volontariamente di abbandonarmi al mio destino... su questo vi sono sempre stati racconti contrastanti. Io so solo che al mio risveglio la linea di costa era così lontana da essere impossibile determinare dove mi trovassi. Durante la notte la marea aveva disincagliato la chiglia e uno strano vento proveniente da sud mi aveva sospinto verso nord e portato alla deriva. Mi sentivo rintronato e provavo una gran voglia di vendetta nei confronti degli ammutinati che mi avevano lasciato in balia delle correnti. All'epoca la mia indole non ero molto diversa da quella di mio figlio Salman e avevo molta forza nel fisico, oltre che una gran caparbietà. Tentai di dirigere le vele e di governare il timone in modo da riavvicinarmi a riva, ma farlo da solo con una barca così grande non era cosa facile. Alla fine, quando vidi venire verso di me una delle galee dei siciliani, capii di dovermi arrendere, più alla vita che al nemico.
«Sono solo e disarmato!» gridai.
Credo che il mio fisico dovette fare gola a quegli uomini, poiché mi presero prigioniero senza volermi malmenare. A quel punto sapevo però che sarei finito nelle mani dei mercanti di schiavi.
Il comandante della galea si chiamava - così come suona nella parlata vostra - Rabel di Rossavilla... un uomo anziano, sessantenne, con un’esperienza invidiabile, dai capelli grigi e molto alto. Un vecchio lupo di mare che conosceva ogni mistero della navigazione e conservava nella sua mente decine di carte nautiche. Pensai che se avessi conosciuto quel tale in tempi di pace avrei potuto imparare molto.
«Di dove sei?» mi chiese in perfetto arabo.
«Di Mahdiyya.» risposi senza alcuna alternativa.
«Mahdiyya è chiusa nelle sue fortificazioni; perché non sei con i tuoi fratelli a difendere la città?»
«Ho fatto naufragio sulle secche ed ora la mia barca è ingovernabile.»
«Sei un cercatore di coralli... lo vedo dal genere di reti e attrezzi.»
«Mio Signore... la mia barca e tutto ciò che è in essa in cambio della mia vita!» lo scongiurai.
«Qual è il tuo nome?»
«Kamal.»
«Quando avremo preso Mahdiyya qualcuno pagherà un riscatto... Kamal!»
Troncò così ogni speranza che io potessi rivedere mia moglie e mio figlio.
Quel giorno io fui l'unico bottino che ottenne Rabel e parte dell’esigua preda che raccolse l'intera flotta.
Jirjis al-Anṭakī aveva montato le tende sull'isolotto e, intenzionato a colpire fulmineo, aveva mandato già nelle prime ore del giorno parte dell'esercito e parte del naviglio a circondare Mahdiyya per mare e per terra. Le galee erano tuttavia ritornate senza aver ricevuto segno della presenza dei cavalieri cristiani davanti alle porte della città. Sconfortati per le fortificazioni solide e ignorando la sorte dell'esercito, avevano fatto rotta nuovamente verso il Rās Dimas. Era stato proprio durante queste operazioni che Rabel si era imbattuto in me.
Venni condotto sull'isolotto e qui Rabel rivendicò il mio possesso, in quanto era stato lui a farmi prigioniero. Nessuno ebbe qualcosa da dire in contrario; compresi quindi che tuo padre godeva di grande stima.
Nel campo regnava lo sconforto e solo i capi della spedizione sembravano credere ancora nella buona riuscita della campagna. Era successo, infatti, che durante l'assenza della flotta, gli uomini dell'emiro avevano assalito il campo e fatto morti e prigioni.
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