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Due

Salutato il mio fedele amico, riprendo la strada del ritorno avvolto completamente nei mie pensieri, tanto che arrivo a casa senza neanche accorgermi dei chilometri percorsi a piedi. Non mi sono accorto delle persone incrociate sulla via, delle macchine che mi sfrecciavano di lato, delle fontane che gettavano acqua incessantemente e degli uccelli spensierati nel cielo. Sono tornato al presente solo vedendo il mio portone chiuso davanti a me, come una sentinella silenziosa e possente. In lontananza vedo la signora con il cane del mio vicino e così mi affretto ad entrare, con poca voglia di rimanere sulla porta a chiacchierare con lei di medicine e bisognini del cane sparsi per chissà quale strada del quartiere. Chiusa la porta di casa alle mie spalle tiro un sospiro di sollievo e continuo a muovermi silenziosamente per non farmi sentire all'esterno e, stremato, mi butto sul letto. Quando mi risveglio sono tutto sudato, con ancora le scarpe e il giaccone addosso. Sono le sette di sera e ho dormito per quasi tutto il pomeriggio abbandonato in un sonno profondo. Dopo una doccia veloce e già con il pigiama addosso mi metto al computer e comincio a lavorare sulle mie fotografie di oggi. Le più belle sono quella del fiore e della pozzanghera con me dentro... comincio a riconoscermi, a ritrovare me stesso in quello che faccio e questo mi offre la carica giusta per trovare il coraggio di dare una svolta alla storia con la ragazza del bar.

Il giorno dopo, nonostante sia rimasto sveglio fino a tardi per lavorare al computer, mi sveglio seguendo la routine settimanale, così da arrivare al bar alla solita ora, curioso di vedere cosa farà lei dopo il mio piccolo pensiero di ieri. Quando entro la vedo già seduta al tavolo, come sempre, bellissima più di ogni altro giorno. Mi lancia uno sguardo veloce, arrossendo leggermente mentre volta il viso verso la sua amica che rimane ferma e la fissa. C'è qualcosa di strano nel loro comportamento, non sono immerse nella normale naturalezza delle altre mattine, tra le loro chiacchiere a voce bassa. Al bancone non c'è nessuno e così mi metto nel mio solito angolo in attesa che arrivi il barista. La riguardo di sfuggita e appena si accorge che la sto guardando, distoglie nuovamente lo sguardo che era fisso su di me. Con il braccio faccio cadere una busta di carta che probabilmente era poggiata alla scatola dello zucchero nell'angolo. La raccolgo e vedo che sopra c'è scritto “Per ?” e sul lato c'è disegnato un piccolo fiore. Mi fermo per qualche istante senza sapere cosa fare e poi colto da una grande curiosità la apro, non essendoci nessun altro intorno. All'interno c'è un cioccolatino con disegnata sopra una margherita. L'adrenalina va a mille, ecco il suo passo, la busta è proprio per me. Mi scappa un sorriso quando mi accorgo che dentro c'è anche un biglietto, scritto a penna: “Oltre alla vista abbiamo altri sensi, oggi cercherò di saziare anche il Gusto. A.”. Lo rileggo per tre volte quasi a volere imparare a memoria una frase così breve ma ricca di significato per me. Quando mi giro mi accorgo che è andata via, in completo silenzio tanto da non farmene neanche accorgere. Comincio a scartare il cioccolatino cercando di non rompere la carta che conservo dentro al portafogli. Lo mangio come non avessi mai assaggiato della cioccolata in vita mia, assaporando lentamente l'amaro del cacao e la dolcezza della vaniglia che lo avvolge con la sua morbidezza. Mi accorgo di avere gli occhi chiusi, completamente rapito dal suo sapore e concentrato solo sul senso del gusto, così come ha scritto A. nel suo biglietto che rileggo per la quarta volta quasi a cercare qualcosa tra le righe, per poi conservarlo nella tasca del giaccone pronto per essere riletto ancora altre volte, fino allo sfinimento. Il sapore del cioccolatino si salda nella mia mente e d'ora in avanti non potrò mangiare qualcosa con questo gusto senza fare a meno di ripensare a questa avvolgente mattinata fatta di caffè e cioccolato alla vaniglia. Con un sorriso ebete sul volto, saluto il barista che nel frattempo mi aveva servito il solito caffè e vado via un po' disturbato dal fatto che non vedrò la mia misteriosa A. per i prossimi due giorni, con il fine settimana ormai alle porte.

In passato il sabato e la domenica sono sempre stati una benedizione, ma da quando c'è lei sono diventate due giornate da vivere il più in fretta possibile, anelando all'ossigeno da riavere il lunedì mattina successivo attraverso il suo sguardo. Questo sarà ancora più lungo e pesante, anche se però così avrò più tempo per pensare alla mia prossima mossa. Il gioco è stato deciso, mi devo focalizzare sui cinque sensi e decidere se seguire quello che lei ha scelto come secondo o proseguire su quello successivo. Sento ancora il sapore forte del cioccolato in bocca e spero rimanga ancora per molto, per fissarlo sempre più forte nella memoria. Mi viene subito in mente la maddalenina di Proust, quello che lui ricordava rimangiandola a distanza di tanti anni e comincio a capire sempre di più i suoi scritti e le sue forti emozioni rievocate da un piccolo e semplice dolcetto dell'infanzia. Vorrei poter avere tanti altri di quei cioccolatini, così da mangiarne uno ogni volta che il suo ricordo comincia a scemare oppure ogni volta che voglio rendere più reale il pensiero che ho di lei anche quando non c'è. Un sapore che per ora è legato a due occhi limpidi e penetranti, alla sua bellezza e i capelli neri e lisci poggiati sulle spalle. A quel sorriso appena accennato incorniciato dalle labbra rosa e da una pelle chiara e luminosa. Oggi aveva un vestito verde bosco con gli stivali neri con il tacco intravisto di sfuggita sotto il tavolino al mio arrivo. Mi è dispiaciuto non vederla andare via per scorgere qualche particolare in più del suo fisico perfetto, troppo spesso nascosto dai cappotti e le sciarpone di questa stagione. Ma oggi il senso è il gusto e così fermo il mio pensiero sul cioccolatino trovato nella busta. Mi chiedo se anche lei lo abbia assaggiato, così da condividere la sensazione vellutata dell'assaggio. Sul loro tavolo, uscendo, mi sono accorto che al posto del solito cappuccino ha preso anche lei il caffè, forse proprio per avere la medesima esperienza di gusto che ho provato io. Mi sembra quasi di averla baciata, assaporando il gusto del cioccolato sulle sue labbra, stretti da un abbraccio fatto di profumi e sapori mescolati sapientemente insieme. Faccio una foto al biglietto scritto con la sua bellissima grafia, ordinata e piena, e la invio a Stefano. La sua risposta è immediata: “Che il gioco abbia inizio :-)”.

CAPITOLO 6

Il cioccolatino del ricordo

Ci siamo, Camilla oggi è passata a prendermi così da ripassare il nostro piano prima di entrare nel bar. Cerchiamo di arrivare con almeno dieci minuti di anticipo rispetto al normale orario di arrivo, così da sistemare tutto per tempo prima che lui arrivi. Prima di uscire ho scritto un bigliettino per spiegare il mio regalo. Il cioccolatino, oltre a essere unito dallo stesso filo conduttore della margherita, deve portare avanti la nostra non relazione nella scoperta dei sensi, dei nostri sensi e così passeremo dalla vista al gusto. Ho deciso di non firmarmi ma di mettere solo l'iniziale del mio nome, così da non svelare troppo e non far finire troppo presto questo gioco che si sta facendo più intrigante, uscendo dai normali schemi del corteggiamento. Sulla busta scrivo “Per ?” non avendo la più pallida idea di come si chiami, metto tutto al suo interno e scendo di corsa dalla mia amica che ha già citofonato da qualche minuto. Stamattina mi sono svegliata un'ora prima del solito e ho impiegato mezz'ora solo per scegliere cosa mettermi. Alla fine ho optato per un vestito di lana morbida del mio colore preferito, il verde scuro, e i miei stivali con il tacco alto. Per strada non vedo l'ora di arrivare e per poco non finisco sotto a una macchina, talmente sono con la testa tra le nuvole, senza accorgermi di un semaforo rosso. Arrivate sane e salve al bar poggiamo le borse al solito tavolo e aspettiamo al bancone, quando mancano ormai pochi minuti al suo solito orario di arrivo, Camilla si posiziona davanti all'entrata e io con una scusa faccio in modo che il barista si allontani nelle cucine sul retro. A questo punto metto la busta davanti al contenitore dello zucchero, sul lato dove si ferma sempre a bere il caffè. So per certo che prenderà lo zucchero e si troverà davanti la busta, sperando che capendo che sia indirizzata a lui, guarderà al suo interno. Camilla mi fa cenno che sta arrivando e così velocemente ci andiamo a sedere, facendo poi finta di niente nonostante un accenno di fittone dato più dall'agitazione che dalla piccola corsa verso il tavolino. Per non tradire le mie emozioni quando entra lo guardo per pochi istanti, sono agitata come non mai e spero di non arrossire troppo tradendo la mia falsa noncuranza del suo arrivo. Quando finalmente arriva davanti al bancone lo fissiamo di nascosto, sperando che si sbrighi a prendere quella busta in bella mostra proprio vicino a lui. Si gira di scatto verso di me e sentendomi scoperta cambio subito direzione al mio sguardo. Oggi non c'è la solita armonia nel nostro incontro, gli ultimi eventi ci lasciano più agitati del solito, anche lui non è lo stesso di sempre. A rompere questo momento di imbarazzo, fa inavvertitamente cadere la busta per terra. Quando la raccoglie si rialza lentamente guardando il misterioso destinatario impresso sulla busta, insieme a un fiorellino che ho disegnato mentre eravamo già per strada, per aiutarlo a decifrare il messaggio e fargli capire che era proprio lui a dover aprire quella busta. Quando ci accorgiamo che la sta aprendo, approfittiamo per uscire di nascosto, senza farci sentire, per poi allontanarci di corsa nella strada.

L'unica cosa che mi dispiace è che dovrò aspettare ben due giorni per vedere come proseguirà il nostro gioco e so già che sarà un fine settimana lunghissimo. Per fortuna ha coinciso con un piccolo viaggio che avevo programmato già da tempo e così già nel tardo pomeriggio ho il treno che mi porterà a Venezia, a conoscere la bambina di una delle mie cugine, nata solo da pochi mesi. Il marito sarà fuori in questi giorni e così approfitto per darle una mano e stare insieme dopo tanto tempo che non ci vediamo. Oggi finisco di lavorare presto, approfittando di qualche ora di permesso chiesto anticipatamente per non avere scherzi dell'ultimo minuto. A casa mi aspetta la mia bella e piccola valigia già pronta con tutto l'occorrente per queste due notti fuori città. Indosso i miei comodi jeans stretti da infilare dentro gli stivali sportivi, con sopra il maglione azzurro e marrone, caldo e poco ingombrante, immancabile durante i miei viaggi invernali. Dopo poco ho di nuovo indosso il cappotto, con tanto di sciarpa e cappello, pronta ad affrontare Venezia in questo periodo dell'anno. Sono settimane che aspetto questo viaggio e per fortuna sembra che anche il tempo ci assisterà donandoci due giornate assolate e neanche eccessivamente fredde per la stagione. Per non rischiare di fare tardi, sotto al portone mi sta già aspettando un taxi che mi porterà fino alla stazione dei treni. Appena mi siedo e chiudo la porta mi sento già in vacanza. Durante il tragitto controllo le ultime cose, sistemo i biglietti e preparo i soldi per pagare la corsa. In dieci minuti siamo già all'entrata della stazione, in perfetto orario per la partenza. Arrivata davanti al tabellone delle partenze, cerco il mio treno avendo poi la brutta notizia che sarà in ritardo di mezz'ora. Da una parte ringrazio il cielo che ci sia solo questo poco ritardo e ne approfitto per farmi un giro per i negozi rimessi a nuovo negli ultimi anni, così da formare un vero e proprio centro commerciale al di sotto dei binari in una specie di mondo sommerso. Ci sono tutte le marche più in voga soprattutto tra le ragazze più giovani e i fast food si susseguono tra odori e invitanti pubblicità colorate che offrono un lauto pasto per pochi euro.

A quest'ora c'è un bel movimento in questa parte della Stazione, tra chi arriva o deve partire e chi semplicemente è venuto qui per fare shopping indisturbato e con facili collegamenti. Mi fermo a comprare una bottiglia d'acqua in un negozio interamente dotato di distributori automatici di acqua di tutti i tipi. Prima di scegliere le guardo tutte, affascinata da tanta varietà per un prodotto così semplice: naturale, liscia, frizzante, leggermente frizzante, gassata, senza poi contare quella che contiene più o meno sodio e via dicendo. Insomma diventa difficile anche scegliere che acqua bere al giorno d'oggi. Per non sbagliare vado sicura su una marca che conosco e riprendo a girare guardando di tanto in tanto l'orologio, per non rischiare di rimanere a Roma. Quando finalmente arriva il mio treno, salgo subito sul vagone indicato sul biglietto e prendo posto. Collego il tablet al Wi-Fi pubblico della Stazione e controllo gli ultimi messaggi, sperando sempre di trovare un suo contatto. Delusa dall'avere ricevuto solo e-mail pubblicitarie e qualche risposta a messaggi di lavoro, spengo tutto e aspetto di sentire il fischio che preannuncia la partenza.

Quando il treno comincia a muoversi chiudo gli occhi, cullata dall'andamento crescente sulle rotaie che slittano sotto ai miei piedi. Quel rumore mi porta indietro negli anni, a quando da ragazza andavo in montagna con il mio gruppo di amici del quartiere. Partivamo sempre di notte e quasi mai si dormiva durante tutto il tragitto. C'era sempre chi si portava dietro una chitarra e suonava nei vagoni con tutti gli altri ammassati dentro a cantare. Qualcuno di noi si fermava lungo i corridoi, a guardare fuori dai grandi finestrini nel buio illuminato solo dai tanti lampioni lungo la strada che schizzavano via lasciandosi dietro una piccola scia luminosa. Il rumore del treno sulle rotaie, sempre uguale come una cantilena che faceva da sottofondo alle voci corali e al suono della chitarra. Viaggi lunghi che volavano nell'euforia della vacanza lontano da casa, dalle famiglie, dalla scuola... pronti all'avventura che solo la montagna vissuta in tenda può dare. Lo stesso treno ci avrebbe poi rivisto dopo dieci giorni passati immersi completamente nella natura, tra il verde degli alberi e il freddo dei ruscelli che diventavano sorgente di acqua anche per fare il bagno e lavare le stoviglie del pranzo. Lo stesso treno che ci avrebbe riportato a casa, stanchi ma felici come non mai, con lo zaino carico di panni sporchi e tante avventure da raccontare. Al tempo non c'erano cellulari o Internet per distogliere la nostra attenzione da quanto ci circondava e l'unico contatto con casa era una unica telefonata fatta a metà settimana da una baita lontanissima dal nostro accampamento. E si viveva così bene..

Quando riapro gli occhi, sono sola e fuori dal finestrino è ancora giorno. Vengo ammaliata dal territorio che mi circonda e sembra che venga mangiato dal correre sfrenato di questo lungo mezzo di trasporto. Il suo suono è sempre lo stesso di tanti anni fa, la sua cadenza regolare è sempre immutata, solo io sono cambiata ma con il solito sorriso di sempre che finalmente è tornato a splendere sul mio viso stanco e segnato dalle ultime vicende di una vita. Mi diverto a scattare qualche foto attraverso il vetro del finestrino. Fortunatamente il mio posto è proprio quello interno e così posso ammirare indisturbata lo scenario che cambia repentinamente davanti ai miei occhi. Mi diverto a modificare le foto scattate con le applicazioni che ormai sono su tutti i telefoni e ne posto qualcuna sul mio profilo. Controllo la posta, anche se vedo che non c'è nessun messaggio nuovo. Niente, nessuna traccia del mio misterioso amico del bar che probabilmente non sa neanche dove e come cercarmi.

Davanti a me è seduta una coppia, avranno più o meno la mia età. Lui da quando è salito non ha fatto altro che telefonare con i suoi auricolari all'ultima moda e giocherellare con il suo smartphone. Lei ha un viso svogliato e senza aver detto neanche una parola da quando si è seduta, ha lo sguardo perso nel corridoio centrale guardando chissà quale punto inesistente davanti a lei. Poi prende un pacchetto di patatine dalla borsa, lo porge a lui che fa cenno di no con la testa mentre continua a digitare velocemente sulla tastiera virtuale. Con lo stesso stato d'animo avuto finora comincia a mangiare le patatine, con fare lento e quasi forzato. Non c'è emozione nei suoi occhi, sempre abbandonati nel vuoto. Di punto in bianco si ferma, avvisata dalla vibrazione del suo cellulare dell'arrivo di un messaggio, che legge velocemente ma con una luce negli occhi che non aveva avuto ancora fino a questo momento. Mentre rimette via il telefono, con la stessa velocità con cui lo aveva preso dalla tasca del suo cappotto, scorgo un leggero sorriso sulle sule labbra e una piccola lacrima che le solca il viso, spazzata subito via dalla mano mentre si volta dalla parte opposta di dove è seduto il marito. Poi riprende a mangiare le sue patatine, tornando nel suo mondo assente e noncurante di quanto le accade intorno. Comincio a immaginare chi possa averle scritto, tanto da farla resuscitare da uno stato di trance e di noia, quando anche a me arriva un messaggio che mi riporta alla realtà della mia vita. Comincio a cercare il telefono nella mia borsa, con una foga tale che faccio cadere alcune delle cose contenute al suo interno. La mia compagna di viaggio si attiva subito e mi aiuta a ripescare quanto perso nel pavimento del vagone che fa andare avanti e indietro i miei oggetti personali come fosse un balletto senza fine. La ringrazio e ci scambiamo un sorriso di intesa, e così capisco che la sua è solo una forte solitudine che vorrebbe spezzare anche con la prima persona che le capita a tiro. Trovo finalmente il telefono: è la mia cugina di Venezia che mi dice che la troverò fuori dalla stazione ad aspettarmi in macchina. Rispondo comunicandole del leggero ritardo e rimetto via il mio telefono, questa volta nella tasca della borsa, così da ritrovarlo più facilmente la prossima volta. Appena la mia “nuova amica” si accorge che ho finito di litigare con la tecnologia, comincia a parlarmi: “Anche a me capita sempre di far cadere le cose dalla borsa”. Alle sue prime parole il marito sobbalza, quasi stupito di aver sentito la voce della moglie uscire ancora dalle sue corde vocali. Poi allo stesso modo torna a giocare con il suo telefono, con un'aria un po' infastidita dal nostro chiacchierare. Continuiamo a parlare del più e del meno fino al nostro arrivo a Venezia, senza accorgerci che il sole ormai ha ceduto il passo al buio, e ci siamo anche scambiate i recapiti così da rivederci magari davanti a una pizza una volta tornate a Roma. Loro abitano poco lontano da me e non avendo figli potrebbe essere divertente organizzare un'uscita solo donne, cose che non ha mai fatto da quando cinque anni fa si è sposata con l'amore di tutta la sua vita. Non so se la rivedrò mai più, ma vedere l'entusiasmo alla sola idea della nostra pizzata da sole mi ha dato la speranza che possa riprendere in mano la sua vita, e uscire da una routine fin troppo noiosa. Chissà poi chi le ha mandato quel messaggio così intrigante da fare uscire anche una lacrima. Magari un giorno potrò chiederglielo e saziare la mia infinita curiosità. Ci salutiamo come fossimo grandi amiche, con lui invece solo un freddo ciao e via ognuna per la propria strada.

Conosco molto bene la stazione, sono già venuta altre volte a trovare mia cugina Giò e così in pochi passi sono già all'uscita, davanti alla sua macchina, pronta al nostro solito e grande abbraccio. Busso sul finestrino mentre lei, al volante a macchina spenta, sta trafficando sul suo telefono con lo sguardo assorto nei suoi pensieri. Appena mi vede, strozza un urlo per non svegliare la bambina che sonnecchia nell'ovetto posto sui sedili posteriori, ed esce quasi guizzando fuori dalla macchina per poi ritrovarmela al collo a riempirmi di baci. L'ultima volta che ci siamo viste aveva appena saputo di essere incinta e così ci eravamo regalate un fine settimana tutto per noi a metà strada tra Roma e Venezia, non sapendo quando ci saremmo potute rivedere. Ed eccoci qui, oggi in tre, cambiate ormai nel profondo ma sempre legatissime e in contatto costante grazie ai tanti mezzi che ormai si hanno per rimanere aggiornate sulla vita degli altri. Senza aprire la portiera posteriore mi fermo a guardare quello splendido confettino rosa, paffuto e addormentato come in un nido. Ci ritroviamo così tutte e due in silenzio, passata la foga del primo incontro, smorzata da quella bellissima visione che è la nuova vita che si affaccia davanti ai nostri sguardi ammutoliti.

La prossima tappa è la pizzeria poco distante dalla loro villetta a schiera, un po' fuori Venezia. Non sapendo bene a che ora sarei arrivata, ci eravamo già messe d'accordo per una cena veloce da consumare a casa dopo averla presa al Take-Away li vicino. Così arrivate a casa, non abbiamo dovuto fare altro che apparecchiare al volo la tavola di vetro in soggiorno, sederci e cominciare a mangiare la pizza ormai tiepida e la birra in lattina, senza cannuccia nè bicchiere. La piccolina, che nel frattempo si era svegliata e aveva preso il latte della mamma, stava nuovamente sonnecchiando nella sua culla al piano di sopra, sorvegliata da quegli speciali Walky-talky fatti appositamente per i neonati. Così, al posto della musica ad alto volume di quando eravamo più giovani, ora siamo sedute a un tavolo a smangiucchiare senza tanta voglia, mentre ci fa da sottofondo il respiro minuscolo della bambina che dorme. Una scena che ci riempie il cuore di tante emozioni, fino a quando lei mi chiede di raccontarle le mie ultime novità amorose.

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