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Solo Per Uno Schiavo
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Solo Per Uno Schiavo

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Solo Per Uno Schiavo

“Dov'è il tuo protettore?”

“Proprio qui.”

Alon annuì, credendo che al Magnaccia piacesse guardare il suo ragazzo venire scopato da estranei. L’innocenza.

Quindi, lo sollevò e -una volta che quelle lunghe gambe furono saldamente allacciate alla sua vita- sussurrò, “Devo strapparteli di dosso o te li togli da solo?”

Ad rise di gusto. Alon si ritrovò a sorridere. Perché si sentiva sempre così bene, quando stava assieme a lui?

“Me li tolgo io,” disse, ma rimase immobile. “Poi, che devo fare? Devo implorarti di smettere e cercare di scappare?”

“Sì,” sospirò Alon, direttamente nell’orecchio di quella graziosa creatura.

E lo show ebbe inizio.

Di nuovo a terra, Ad iniziò a tremare. Sotto lo sguardo della Bestia, lentamente, si tolse i sottili pantaloni bianchi.

Niente biancheria intima.

‘Fanculo l’autocontrollo. Alon lo afferrò, come aveva visto fare a tanti -troppi- padroni e lo risollevò. Il giovane gli si aggrappò alle spalle, sospirando. In un attimo, lo Schiavo lo penetrò.

Senza alcuna fatica.

Quel birichino si era preparato, anche quella volta, in anticipo. Alon, di conseguenza, non si fece problemi a scoparlo -forte- davanti a tutta la sala. In pochi minuti, gli venne dentro.

L’Efebo si riversò tutto sui suoi addominali.

Ma non era finita.

La Bestia lo buttò a terra, ma non si sdraiò sopra di lui. Rimase in ginocchio, imponente e dominante, ad osservarlo dall’alto. Poi, allungò le mani sui suoi capezzoli turgidi. Ad si ricordò all’ultimo di dover fingere di stare subendo una violenza e lo spinse via. Alon non si fece intimorire e continuò. Il giovane si lamentava e la sua voce era così dolce che quasi ci credette. Quasi. Ma la folla, invece, si lasciò fregare. Alcuni ridevano, alcuni incitavano, alcuni applaudivano, tutti approvavano.

“Ti prego! Lasciami, ti prego!” implorava il ragazzo.

Alon non obbedì. Le spinte si fecero veloci e violente. Ad cercò in tutti i modi di allontanarsi, costringendolo a bloccargli i polsi. Così sottili che gli servì una sola mano. L’altra la usò per chiamare uno dei camerieri. A quei balli, servivano sempre un cocktail speciale. Lo Sborratore, si chiamava. Un nome, una garanzia. Ne trangugiò due di seguito. Al terzo, però, non ingoiò. Si chinò a baciare Ad e passò il liquido nella sua bocca.

Gli effetti ebbero subito presa sul ragazzo. Divenne più lascivo, più trattabile.

Lo Schiavo, subendo gli effetti sia del drink che dell’amante, ne approfittò subito.

I due divennero un groviglio di carne, sudore e singhiozzi. Tutto era delizioso. Talmente delizioso che Al quasi si scordò dell’unica richiesta, più o meno, sensata di Gene. Coronò quella scopata epica pisciando addosso al bellissimo giovane. Quello non si lasciò scappare nemmeno una goccia. O, almeno, così aveva pianificato. Pioggia dorata cadde sulla sua pelle ambrata. Quando un fiotto gli finì negli occhi, si ricordò il patto. Iniziò quindi a urlare e tentare di allontanarsi. Poi, colpì l’inguine della Bestia con un pugno. Faceva tutto parte della performance. Esattamente come la reazione che ne seguì. Un frustino apparì letteralmente dal nulla -e con nulla si intende uno dei Padroni lì accanto- e venne abbattuto sulle membra di quell’impertinente. Il tutto continuando a svuotarsi la vescica. Una volta finito, gli diede un buffetto sulla guancia. Si girò e se ne andò. Il ragazzo rimase in mezzo alla sala, nudo, le mani a coprire il volto. Un uomo sulla cinquantina fece cenno a un cameriere che si avvicinò subito al ragazzo in lacrime. Alon pensò si trattasse del suo Protettore. Sembrava un tipo tosto. E si allontanò tranquillo.

“Bravo! Ottimo lavoro!” si complimentò Aletta.

Amir non aggiunse nulla.

Era fatta, poteva rilassarsi. Per modo di dire.

La serata proseguì come al solito, tra cocktail afrodisiaci e sessioni coatte di BDSM. Dopo, la donna affidò Alon a Stine. Sarebbe stato lui a condurlo in cabina. Lei aveva da fare, ma li avrebbe raggiunti. Ciò significava che Alon non avrebbe nemmeno potuto pensare di rilassarsi, quella sera.

Stine si accese una sigaretta, mentre si guardava attorno.

“Vieni qui, mettiti a quattro zampe e alza il culo,” gli ordinò.

Alon obbedì. La noia che lo assaliva di già.

***

Ad, coincidenza, stava leggendo proprio lo stesso libro che aveva appassionato Alon quella mattina. Solo che a lui nessuno lo avrebbe portato via. Nessuno lo avrebbe interrotto. Tranne Aletta. La donna piombò nella sua cabina, senza bussare né annunciarsi. Il giovane era talmente scioccato da tanta superbia che nemmeno reagì.

“Ma ciao, sgualdrina,” salutò.

Ad sollevò un sopracciglio. Ma chi cazzo si credeva di essere?!

“Primo, come sei entrata. Secondo, cosa ci fai qui. Terzo, levati dai coglioni e vattene,” elencò il legittimo cliente della stanza. Poi, aggiunse, “No, sai che? Primo, levati dai coglioni e vattene. Sticazzi del resto.”

Era stato anche piuttosto educato, secondo i suoi standard.

Aletta, di scatto, si slacciò la cintura dell’abito. Quel tessuto leggero le cadde di dosso, lasciandola nuda. Il suo corpo, una cornucopia di chirurgia estetica.

“Smettila di resistere, ragazzino, non hai scelta.”

Ad, se possibile, fu ancora più scioccato. Con disprezzo, le lanciò il libro addosso.

“Vattene via, zoccola! Ma guardati, fai schifo!”

Aletta sgranò gli occhi. Ma sarebbe morta prima di ammettere che quelle parole l’avevano offesa. Quindi, rise. Dopotutto, lei sapeva di essere bella. Fasulla, ma pur sempre attraente. A settantasette anni mangiava la pastasciutta in testa a qualsiasi ragazzina di venti.

O così credeva, poraccia.

Si rivestì e raccolse il libro da terra.

“Preferisci i maschioni, nevvero?” gorgheggiò.

Era proprio il tono di voce che più infastidiva Ad. Rabbrividì di rabbia e disgusto.

“Mi sembra chiaro!” rispose. “Te ne vuoi andare o no?”

E spalancò la porta della cabina, indicandole l’uscita.

Aletta, per tutta risposta, si sedette sul letto.

“Cos’è che leggi, di bello?” chiese, raccogliendo il libro appena lanciatole. “Vediamo. ‘Più Forte Della Morte’. E dimmi, ti piace?”

“Sì, molto,” rispose. “Adesso vattene o chiamo il Capitano. Ringrazia di essere una vecchia pazza, altrimenti ti avrei preso a calci in culo. Vattene, ho detto!”

Aletta, alla menzione del Capitano, decise di non sfidare la sorte. Almeno per quel giorno. Quello Schiavo si stava comportando come tutti gli Schiavi non ancora domati. Gli sarebbe passata. Una volta che la sede di Dora fosse stata notificata, anche lui si sarebbe piegato.

“Non hai idea di cosa ti aspetta,” disse la donna, mentre usciva.

Prima di allontanarsi definitivamente, però, non resistette ed allungò una mano sui genitali del giovane.

Lui la colpì immediatamente.

Quella vecchia troia stava mettendo alla prova la sua pazienza.

“Lo so. Mi attendono grandi gioie e infinite prosperità. Per non parlare dell’incontro con un bellissimo straniero alto e moro! Ora, vai pure a unirti al mio fanclub. Vanta già un membro. Sicuro che lo conosci. È uno stramboide secco, tipo tossicomane, sempre vestito di nero.”

Era la perfetta descrizione di Stine.

“Abbi rispetto,” sibilò la donna.

Ad rise di scherno. Dopo di che, sbatté la porta e mise su il chiavistello. Aveva poca voglia di ricevere altre visite.

Ridicoli, tutti quanti.

Erano gelosi perché l’avevano visto con Alon.

Alon.

Non faceva altro che pensare a lui.

Era già la seconda volta che faceva la parte della donzella corteggiata. Non che gli dispiacesse, ma non era proprio il suo stile.

Era il momento di agire. Avrebbe dato la caccia a quel cazzo di Dio.

Fu ciò che pensò, mentre si coricava e scivolava in sogni fatti di carne e sudore e singhiozzi.

CAPITOLO NOVE

Aletta rientrò alla base.

Stine si voltò a guardarla, mentre la donna si versava un drink e svuotava il bicchiere in un sorso solo. L'uomo spense un’altra sigaretta nello sfintere di Alon, per gettarla -poi- assieme alle altre.

“Credo che, per oggi, abbia finito di ballare. Missà che dovrai prenderlo in braccio,” rise.

Aletta annuì.

“Ovvio.”

I due, quindi, si baciarono. Ma Stine uscì dalla stanza, mentre lei iniziò a spogliarsi.

L’incontro con quel ragazzino sfacciato aveva fatto accrescere la sua voglia di scopare a livelli inimmaginabili.

Voleva un maschio e lo voleva subito.

“Vieni qui e lavora, invece di bighellonare,” disse ad Alon.

“Vado prima a lavarmi, Padrona?” chiese lui, trattenendo uno sbadiglio.

“Non ne hai bisogno,” rispose la donna, con una scrollata di spalle.

La Bestia si alzò, lentamente. Ogni movimento era pura agonia. Ma nulla poteva superare la sua ennui. Inoltre, non è che potesse disubbidire.

Aletta si sedette sul bordo del letto. Sorridente, accarezzò le lenzuola.

“Vieni qui,” disse.

Alon si avvicinò e si sdraiò accanto a lei. La donna lo avvicinò a sé e lui quasi soffocò nel suo petto.

“Coraggio,” sospirò. “Datti da fare.”

Alon l’abbracciò, per poi accarezzarla. Conosceva quell’atteggiamento. Era raro, ma la sua Signora non aveva quasi segreti per lui. Sapeva che voleva essere baciata e sapeva che pretendeva ricevere complimenti. Anche esagerati, non importava. Ma prima, la penetrò. Dopotutto, una cosa per volta.

“Dimmi che sono bella, dimmi che sono una bomba a letto,” sussurrò.

“Siete deliziosa, mia Padrona.”

“Di più.”

“Siete bellissima, mia adorata,” mormorò Alon, muovendosi sempre più veloce.

La donna chiuse gli occhi, in estasi. Venne tra quelle forti braccia, ignorando -come sempre- che lo Schiavo era costretto a tutto ciò.

Ma subito dopo, tutto tornò uguale a prima.

Ogni giorno, Aletta faceva un clistere alla Bestia. Mezz’ora dopo ogni pasto. Così, perché poteva. E come ogni giorno, la Compagnia si riuniva in piscina. Quel pomeriggio, la discussione verteva su come rapire Ad.

“Presto avremo carne fresca, tra i ranghi,” disse Amos, uno degli Schiavi di Gene.

Era un giorno speciale. Infatti, non solo gli Schiavi potevano nuotare nella stessa piscina dei loro Signori ma -evento più unico che raro- avevano avuto perfino il permesso di comunicare fra di loro.

Alon fissava l’acqua, fingendo non gli importasse di nessuna conversazione e nessun novellino da rapire.

Dopo la piscina, tutta l’allegra combriccola decise di ritirarsi -di nuovo- nella suite di Aletta. La donna guidava il suo Schiavo, tenendogli il cazzo in mano. A mo’ di guinzaglio.

Ad vagò come un disperato alla ricerca della Bestia per tutto il santo giorno. All’improvviso, gli parve di vedere una schiena -e un fondoschiena- piuttosto familiare. Corse subito incontro alla sua cotta, felice di averlo trovato. Non si accorse né di Aletta né di Stine. In realtà, non li ricordava. O, meglio, non ricordava i loro volti. Non poteva farci nulla. Quando qualcuno non lo interessava, lui lo cancellava dalla memoria. Ma successe qualcosa che lo bloccò. Innanzitutto, quel David era circondato da mezza dozzina di persone. Poi, indossava delle catene. Inoltre, una donna lo stava trascinando per l’uccello. Il ragazzo non capiva. Successivamente, uno di quei tizi insignificanti lo fece inginocchiare e lo costrinse a succhiarglielo. Ad era sempre più confuso.

Non era mica uno Schiavo?

Si appoggiò al muro, mordendosi le nocche.

Che fare? Che pensare?

Ma osservare quella grande e terribile bellezza così sottomessa fece scattare qualcosa nel giovane.

E se ci fosse stato lui, al posto di quel vecchio? Avrebbe potuto possederlo. Gli sarebbe appartenuto. Sarebbe stato tutto suo, solo suo.

Tali pensieri vennero bruscamente interrotti quando quel bavoso venne in bocca ad Alon. Subito dopo, tutta la cricca sparì dietro a una porta.

Ad si avvicinò. Non sapeva se bussarla o sfondarla a calci.

Nel dubbio, un po’ di entrambe. Almeno, così aveva intenzione di fare.

“Oh, ma chi è che abbiamo qui?” disse una voce alle sue spalle.

“So-”

“Troppe chiacchere,” lo interruppe l’altro. Aprì la porta della suite e lo spinse dentro.

Senza saperlo, lo sconosciuto gli aveva fatto un immenso favore. Si trovava proprio dove voleva essere.

Tutti i Padroni si girarono a guardare i nuovi arrivati.

“Gene?!” esclamò Aletta. “Sono sbalordita!”

“Sì, beh, immagino,” rispose il Padrone.

“Dove l'hai trovato?” chiese Melinda. Poi, rise. “È proprio da te! Vecchio marpione!”

“Era dietro la porta. Quindi, adess-”

Il giovane si guardò a malapena attorno. Una volta individuato Alon, si mosse verso di lui.

Stine lo afferrò subito per la spalla, affrontandolo faccia a faccia.

“Ben fatto. Fate partire il conto alla rovescia! Ci è entrato di sua sponte, nella tana del lupo.”

Ad si scrollò di dosso quella mano sudaticcia e continuò a camminare verso la Bestia.

Stine -da bravo maschio che non ci arriva - lo afferrò per i capelli, tirandolo indietro.

“Non ho finito di parlare.”

Esticazzi?! Non sono certo qui per te!” esclamò l’Efebo, guardando Alon.

“No, vabbè! Ma che, c’ha veramente creduto?!” rise Aletta. “Cos’è, il bel bambino non aveva capito che Al è uno Schiavo?”

Ad ebbe conferma ai suoi sospetti e paure.

Che cazzo di triste mondo malato permetteva che uno così fosse sottomesso a gentaglia simile?!

Ma non si fece buttare giù di morale.

“Come no! Sono qui per comprarlo, infatti! Quanto vuoi?” propose, col più smagliante dei sorrisi.

Ad Alon quasi cadde la mascella. Cosa pensava di fare, quell’incosciente? Era stato catturato, benché non se ne rendesse conto. L’avrebbero distrutto, corpo e spirito. Dove cazzo era il suo Protettore? Si ritrovò, suo malgrado, a fissare il bel viso di Ad. Pensava di non rivederlo mai più. E avrebbe preferito così che saperlo in pericolo. Invece, eccolo che sfidava i Padroni. Il suo sogno di una vita insieme stava crollando davanti ai suoi occhi.

“Vuoi averlo?” chiese Stine, col suo tipico sorrisetto da schiaffi.

Ad annuì.

“Cosa ci dai, in cambio?”

“Cosa volete?”

“Questo Schiavo non è in vendita,” continuò a sogghignare Stine. “Ma puoi sempre restare qui. Quando te lo meriterai, se te lo meriterai, potrai giocarci.”

“Oh,” disse Gene a Melinda. “Quando Stine avrà finito di mettersi in mostra, voglio che il novellino spompini Al come si deve. Dopo, in camera mia, gli taglierò le palle.”

Detto ciò, girò i tacchi e uscì.

“Cosa intendi con 'meritare'?” chiese Ad.

“Se farai il bravo bimbo obbediente,” ridacchiò Stine.

“Per quanto tempo?”

“Per quanto tempo cosa?” domandò, per davvero, il Padrone.

“Per quanto tempo dovrò obbedire, prima di meritarmelo?”

“Finché non deciderò così.”

“E, poi, lo farai?”

“Ma certo che sì,” promise Stine. “Però, potrebbero volerci anni.”

“Andata,” annunciò il ragazzo, raggiungendo Alon.

“Posso parlare, Padrone?” chiese la Bestia.

Stine annuì.

“Non pensate che il suo Protettore non approverà questa decisione, Signore?”

“Non è qui, mi pare. In più, si è offerto volontario. Sto solo rispettando la sua richiesta.”

“Ma non credete che si accorgerà della sua mancanza?”

“Embè?”

“Potremo avere dei problemi, Padrone.”

“E allora glielo restituiremo,” commentò, con una scrollata di spalle, Stine.

Ad, nel frattempo, ragionava. Suo padre, il suo vero Protettore, avrebbe approvato la sua scelta?

“Non posso certo andarmene senza di lui,” si precipitò a dire, stringendosi ad Alon.

Stine lo afferrò, di nuovo, per i capelli.

“Devi chiedere il permesso per qualsiasi cosa tu voglia fare, hai capito?”

“Allora, potrei avvicinarmi ad Alon?” chiese, scontroso.

Stine scosse la testa, fissandolo. Ad lo fissò a sua volta.

“Cosa?” chiese, poi.

“Dopo ogni richiesta, devi aggiungere ‘Padrone’ o ‘Signore’,” disse. Poi, indicando le donne, “Oppure ‘Padrona’ e ‘Signora’, chiaro?”

Ad abbassò la testa, cercando di non ridere in faccia a quel vecchio ridicolo.

“Bene. Posso avvicinarmi ad Alon, Signora?”

Tutti gli Schiavi scoppiarono a ridere. Alon era terrorizzato di vedere quella bella testolina rotolare, mozzata, sul parquet. Ma non poté che esserne impressionato e orgoglioso.

Quel ragazzo era pieno di sorprese, lo adorava sempre di più.

Stine, però, non apprezzava né critiche né prese in giro. Tre Schiavi ricevettero tre sonore scudisciate, il tutto mentre tirava i capelli del novellino. Dopo di che, lo trascinò nella sua stanza.

“Te lo puoi scordare, oggi. Se non ti piace, vattene. È la tua ultima occasione.”

Alon, con lo sguardo, implorò Ad di andarsene.

Ad lo guardò, senza sbattere ciglio.

“Vattene,” mimò lo Schiavo, con il labiale.

“Perché?”

Perché non appartieni a questo posto! voleva urlargli.

“Scappa.”

Con una sola parola, Alon cercò di trasmettere tutto l'orrore della situazione.

Ad scosse la testa. E Stine lo spinse verso una delle stanze. Quella di Gene.

“Divertiti,” disse Stine al collega, mentre sbatteva la porta sui cardini.

Alon fissò l’uscio. Lo fissò per molto tempo.

Il terrore lo stava soffocando.

Aguzzò l’udito, cercando di sentire qualcosa.

La sua immaginazione era a briglia sciolta. Uno spaventoso quadro di un Ad inevitabilmente e dolorosamente distrutto. Molto presto, non ebbe bisogno di sforzarsi, per sentire. Un grido isterico. Poi, un altro. La voce di Ad. E quella di Gene?! Cosa stava succedendo, là dentro? Anche i Padroni erano scioccati. Perché Gene gridava? Stine, a prova della sua grande intelligenza, era l’unico che rideva.

“Gene non sta più nella pelle,” disse ad Amir.

“Non ci credo finché non lo vedo,” rispose l’altro.

“Padrone, posso mica dare una sbirciatina?” gli chiese, timido, Amos.

Amir scrollò, vago, le spalle.

Alon stava per avere un attacco di panico. Iniziò a contare i listelli del pavimento. Poi, passò ad analizzare i colori. Dopo, elencò cinque cose che poteva odorare e cinque che poteva toccare.

Quando Stine parlò, aveva appena cominciato a calmarsi.

“Vieni qui,” gli ordinò il Padrone, sbottonandosi i pantaloni.

Cristo, perché era sempre così soporifero?!

Lo Schiavo obbedì e si mise in ginocchio. L’uomo si posizionò dietro di lui e lo penetrò, brusco.

Nel frattempo, Aletta si stava vantando con Melinda dei suoi nuovi stivali di Chanel. Aveva fatto un affare, in uno dei porti di passaggio. Poi, all’improvviso allungò una gamba verso il volto di Alon.

“Ti piacciono?” gli chiese.

“Sì, Signora,” rispose, atono, lo Schiavo.

“Allora baciali, che aspetti? E vedi di non dimenticarti le suole, non le ho pulite da quando sono rientrata.”

Alon si mise a leccare, obbediente.

Ma aveva la testa da tutt’altra parte.

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