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Definita
Sfortunatamente le persone raramente venivano da noi quando le cose stavano andando bene. I nostri clienti di solito venivano a bussare dopo che le cose si erano messe male. Si andava dall’attrice in ascesa beccata in un video mentre tirava coca, all’atleta che poteva aver festeggiato troppo e aveva preso una multa per guida in stato di ebrezza. Nonostante quello che dicevano le persone sul fatto che non esistesse una cosa come la cattiva stampa, in realtà richiedeva tempo e comunque non era vero. La cattiva stampa non era mai nulla di buono. Il nostro lavoro era quello di allontanarli dalle luci della ribalta negative con una campagna di relazioni pubbliche positive. Lo facevamo e lo facevamo bene.
Quando mi avvicinai al mio ufficio la mia segretaria era lì a salutarmi.
“Buon pomeriggio, Angie,” dissi con un piccolo cenno del capo.
“Salve, signor Quinn. Ehm,” cominciò a dire nervosamente. “L’altro signor Quinn, suo padre, è qui per vederla. È nel suo ufficio.”
Certo che è qui. Quel fottuto Cochran probabilmente lo ha chiamato.
Non dissi, però, queste parole a voce alta. Poteva sapere che non ero felice di sentire che mio padre fosse venuto qui senza annunciarsi ma non c’era alcun bisogno che sapesse cosa fosse successo oggi.
Apparenze. Si tratta tutto di apparenze.
Invece di dire altro, le feci un altro cenno col capo e proseguii verso la porta del mio ufficio. Quando entrai vidi mio padre in piedi vicino alla grande libreria di acero dipinto di nero posta sulla parete sinistra più lontana. Sembrava stesse esaminando attentamente i titoli e questo lo trovai decisamente strano. Non l’avevo mai visto leggere un libro in vita sua nonostante la posizione che copriva all’interno del governo degli Stati Uniti.
Mio padre, Michael Fitzgerald Quinn, senatore dello stato del Maryland, puntava sempre alla perfezione. Emergeva sempre durante i dibattiti pubblici dove non mancava mai di coinvolgere la folla con la meticolosità delle sue parole. Quella precisione si estendeva anche al suo aspetto. Non passavano mai più di due settimane prima che I suoi corti capelli grigi venissero tagliati e il suo volto era sempre accuratamente rasato. Anche il suo abito era sempre impeccabile. Il Maryland, uno stato che normalmente votava democratico, sembrava essere caduto completamente nella trappola di questa finta facciata. Per chiunque lo conoscesse davvero non era altro che un travestimento per nascondere il predatore che si celava sotto la superficie.
“Papà,” dissi, passandogli vicino e prendendo posto dietro la mia scrivania. Mi rifiutai di essere più cortese di quanto meritasse.
“Ha chiamato Robert Cochran,” disse, senza perdere altro tempo sul motivo della sua visita.
“Supponevo che questo fosse il motivo per cui hai abbandonato il tuo piedistallo a Capitol Hill per venire a trovarmi.”
“Perché non te ne stai occupando, Fitzgerald?”
“Perché non voglio farlo,” ribattei realisticamente.
“Dove è Devon? Non è molle come te. Metti lui su questo.”
Non falliva mai. Quell’uomo raramente mi diceva più di due frasi senza lanciarmi una frecciatina. Gli lanciai un’occhiata impaziente mentre contavo mentalmente fino a dieci.
“Devon è ai Caraibi per una meritata vacanza, non che io debba spiegarti dove sia il mio socio. Si è fatto il mazzo e non lo chiamerò qui per questa stronzata e non ci metterò nessun altro membro del mio staff. Sistemare I casini di un viscido politico che non è in grado di tenere il suo uccello nei pantaloni non sarà mai nei programmi del mio studio.”
“Il tuo lavoro è quello di sistemare la pubblicità negativa. Se questo diventerà pubblico, l’intero partito ne soffrirà!”
Sospirai, seccato che mi stesse facendo sprecare il mio tempo e accesi il computer.
“Tu forse puoi esserti fatto l’idea che io sia un faccendiere di Washington, ma che tu ci creda o no, la mia società aderisce a un codice etico,” risposti bruscamente mentre osservano l’icona della piccola mela che si illuminava. Non mi sarei fatto coinvolgere da lui—avevo già dato. Lui sapeva perché non avrei mai preso un cliente come Cochran anche se non l’aveva mai capito o appoggiato perché anche le sue mani erano altrettanto sporche.
“Ah, scordatelo. É comunque ora che Cochran rinunci al suo posto,” concesse. “Ultimamente è finito molto spesso sotto accusa da entrambi i partiti per argomenti diversi. Sicuramente non vogliamo uno scandalo ma almeno ci dà una scusa per cacciarlo.”
Alzai lo sguardo, quasi scioccato per la sua resa così veloce. Mio padre non rinunciava mai senza combattere.
“Quindi tutto a posto?” chiesi con incredulità.
“Perché discuterne? So come la pensi. Sei un debole, nonostante tutti i miei sforzi di renderti più duro. L’unico motivo per cui rifiuti di prendere questo caso è per quello che è accaduto tra me e tua madre.”
Il mio sangue cominciò a ribollire al sentir parlare di mia madre. Il maledetto bastardo non perdeva mai occasione di menzionarla. Lo odiavo ancora per quello che le aveva fatto ma lui amava ancora ricordarmelo a ogni maledetta opportunità.
“Oh, intendi quando l’hai piantata in asso quando si è ammalata?”
Lui rise, il suono spietato e crudele mentre si sedeva sulla sedia davanti a me.
“Tu devi dimenticare. É morta da quasi trent’anni. Tu credi che io non sia migliore di Cochran, ma ci sono alcune cose che non capirai mai, figlio.”
Le mie dita si strinsero attorno al mouse sotto il mio palmo.
“Vattene,” sibilai, lottando contro l’istinto di urlare. Solitamente ero calmo, razionale—con l’eccezione di quando si trattava di mio padre. Lui sapeva sempre come premere i pulsanti giusti. Allentai la mia presa sul mouse e finsi di scorrere le e-mail, avendo bisogno di una distrazione per non prendere a cazzotti il vecchio.
Sfortunatamente, lui proseguì.
“Credi che non sappia come ti senti? Ti conosco meglio di quanto tu voglia ammettere, e so quanto sei stato e sei ancora devoto alla memoria di tua madre.” Fece una pausa e si massaggiò pensierosamente il mento. “Ma potremmo usarlo a nostro vantaggio. Hai perso tua madre quando eri solo un bambino… i votanti potrebbero essere solidali. Chiaramente dovremmo fare un sondaggio. Questo insieme a —”
“Di cosa stai parlando?” lo interruppi. I suoi giri di parole mi stavano stancando. Volevo solo che arrivasse al punto e che si togliesse dai piedi e dal mio ufficio. “Gli elettori non si interessano a me. Si interessano solo dei politici che finiscono con il diventare miei clienti.”
“Si interesseranno molto a te a novembre.”
Novembre?
Lo guardai con cautela. Mio padre aveva sempre un ordine del giorno che pensava solo a se stesso e stavo cominciando a pensare che non fosse venuto lì solamente per la questione Cochran.
“Perché sei venuto a trovarmi oggi?” domandai con cautela.
“Non ci vorrà molto tempo prima che Cochran annunci le sue dimissioni. Il suo tentativo di assumerti era semplicemente un tentativo disperato. Sa che è fuori. Una volta che darà ufficialmente le dimissioni, ci sarà un posto libero in Virginia. E sarai tu a occuparlo.”
Scossi la testa, i miei sospetti erano confermati.
No, ancora questo.
Aveva sollevato l’argomento della mia candidatura alcune volte in precedenza, ma non l’avevo mai preso seriamente. Tuttavia, questa volta c’era qualcosa di diverso nella sua espressione che mi fece gelare il sangue.
“Te l’ho già detto in precedenza, non ho nessun interesse per la politica.”
“Non he importanza quali siano i tuoi interessi. Non hai comunque più scelta.”
Ignorai il suo commento e lo salutai con la mano.
“Non c’è già Bateman pronto per correre?” chiesi, ricordando un’intervista che avevo visto pochi mesi prima in uno dei notiziari locali. “Lascia che lo faccia lui.”
“Bateman è un idiota. Si fa influenzare troppo facilmente dagli altri e non è per nulla sicuro che vinca. Ho già parlato con gli membri del partito. Tu sei una sicurezza, non Bateman. Hai gli agganci familiari e del passato per darti supporto. Le persone votano per coloro che li fanno sentire a loro agio. E tu sei a persona giusta, Fitzgerald.”
“Sono felice di fare quello che sto facendo. Io e Devon abbiamo un’azienda di successo e che fa profitti e che non lascerò perdere. E anche se volessi sarebbe impossibile. Le primarie sono fra due mesi. Non posso mettere insieme una campagna in così poco tempo,” insistetti.
“Abbiamo già i numeri dal comitato esplorativo che ho organizzato,” proseguì lui come se non avesse sentito una parola di quello che avevo detto. “Il comitato nazionale dei senatori repubblicani è d’accordo nel sostenerti. Non vogliono Bateman, ma non vogliono anche apparire prevenuti. Se decide di gettarsi nella mischia non lo fermeranno ma non gli daranno neppure il loro completo appoggio. Una volta che Cochran si dimetterà sarà come se l’elezione fosse incontrastata.”
“Anche senza il mio consenso sei andato avanti e sei partito comunque.” Sentendomi incredulo mi sedetti sulla sedia e scossi la testa. “Qualche volta sei veramente incredibile. Pensi di aver già risolto tutto, vero?”
“La tua più grande preoccupazione sarà a novembre. I sondaggi dicono che una donna da Richmond vincerà le primarie democratiche. Lei è l’unica che potrà mettersi sulla tua strada per la conquista del posto di Cochran.”
Mi chinai in avanti, allargai le mani sulla scrivania e lo guardai direttamente negli occhi.
“Non correrò per quel posto,” dissi per la seconda volta in meno di cinque minuti. “E se avessi anche un minimo desiderio di farlo, non sarebbe certamente per il tuo partito.”
Mio padre si alzò in piedi e colpì con il pugno il bordo della scrivania.
“Maledizione! Non cercare di giocare con me! È ora di crescere, cazzo, Fitzgerald!” urlò. “La tua aziendina ha successo solo perché ci ho pensato io. Ti ho lasciato divertirti, ma il tempo dei giochi è finito! Lascia che sia Devon a gestirla per un po’. Lo farai per il tuo paese e per il partito—il partito per cui sei registrato!”
“O altrimenti?” chiesi alzando un sopracciglio. Poteva infuriarsi quanto voleva. Mi rifiutavo di mostrarmi anche minimamente intimidito.
Lui incrociò le braccia sul petto e sollevò il mento. La sua rabbia si dissolse lentamente in qualcosa di freddo—quasi sinistro—mentre mi guardava con sufficienza.
“Allora farò trapelare la tua piccolo disavventura con quella ragazza durante i tuoi anni a Georgetown.”
Strinsi gli occhi guardandolo.
“Questo è successo anni fa ed è stato un tragico incidente. Lo sai tu come lo so io. Non sono più un ragazzino. Non puoi minacciarmi e continuare a tenere questa tegola sulla mia testa.”
“Non posso?” Disse con un sorriso ampio e a tutti denti. “Credo che la stampa divorerà una storia di una povera ragazza che è affogata a causa tua, incidente o meno. Riesci a immaginarlo? Il mediatore di Washington non è stato in grado di sistemare i suoi casini. Papà ha dovuto salvarlo. La tua vita sarà rovinata. La tua azienda affonderà. E tuo figlio ne soffrirà le conseguenze.”
Impallidii mentre una sensazione di paura cominciava a penetrarmi nelle ossa. Non me ne fregava un cazzo di quello che faceva a me, ma mio figlio era tutta un’altra faccenda. Era la mia vita. La mia responsabilità. La mia completa ragione di vita.
“Non faresti questo a Austin. Non puoi.”
“Posso e lo farò. E parlando di tuo figlio,” disse con disprezzo, enfatizzando la parla come se gli lasciasse un sapore amaro in bocca. “É tempo che tu ti trovi un’altra moglie. Bethany se ne è andata ormai da quasi undici anni. Gli elettori vorranno vederti mostrare forti valori famigliari. Maggiore stabilità.”
Il mio stomaco si contrasse. Era come se stessi vedendo una ripetizione della mia vita, il passato che costantemente tornava. Non gli avrei permesso di farmi questo di nuovo. Roteai gli occhi in un debole tentativo di mostrare che non ero intimorito dalle sue minacce.
“Tu mi stai prendendo in giro. La vecchiaia ti sta dando di volta al cervello. Con tutto quello che ho da fare, ho a malapena il tempo di avere un appuntamento, lasciamo perdere la sola idea di sposarmi.”
“A malapena? Quando è stata l’ultima volta che sei uscito con una donna?”
Strinsi gli occhi.
“Questi sono affari miei.”
“Beh, ora li sto facendo diventare miei. Non provare a prendermi per un idiota. So che non hai avuto nessun appuntamento. Ti stai ancora consumando per quella ragazza da—quanto tempo è passato ora? Sedici anni? La ragazza da—”
“Smettila. Adesso. Non hai idea di quello che stai dicendo,” brontolai. “Non esco a causa di Austin. Non ha bisogno di essere confuso da donne che entrino ed escano dalla mia vita. Tu mi hai insegnato anche troppo bene come è. Non seguirò il tuo esempio.”
Lui sbuffò e fece uscire un’altra risata crudele.
“Ho un incontro programmato con i leader dell’RNC domani sera. Ti farò mandare i dettagli dalla mia segretaria. Assicurati di esserci. Dobbiamo discutere della strategia della campagna. L’orologio sta già correndo,” mi ammonì come se non avessi detto una parola. Si mosse verso la porta per andarsene. Lo stronzo in realtà non sembrava per nulla turbato. Anzi più che sicuro di sé.
Poi…se ne andò. Ai suoi occhi la questione era definita. Mi sedetti alla mia scrivania, sentendomi relativamente stupefatto mentre pensavo a cosa mi fosse successo.
Mi massaggiai il volto con le mani, la barba che mi era cresciuta durante il giorno si fece sentire sui miei palmi. Mi alzai dalla scrivania, andai verso l’angolo bar e mi versai un drink forte. Buttandone giù un sorso il Johnnie Walker etichetta nera scese bruciando e mi scaldò le interiora. Ora, rimasto solo con i miei pensieri, camminai verso la finestra che costituiva la mia parete posteriore e osservai distrattamente il traffico.
Non avevo alcuna intenzione di correre per quel posto, ma le minacce di mio padre incombevano. Dovevo pensare a Austin. Mentre ero riuscito a difendere mio figlio dalla crudeltà di mio padre, sapevo che non era stupido. A quindici anni potevo vedere molto di lui in me—nel bene e nel male. C’era un lato ribelle in lui che mi faceva preoccupare. Anche se sentivo che avevo un buon rapporto con lui, avevamo litigato parecchio ultimamente.
Maledetti adolescenti.
In ogni caso, potevo essere in grado di superare l’imbarazzo di uno scandalo di quasi vent’anni prima ma non ero sicuro che Austin, un adolescente impressionabile, potesse gestirlo. Pensavo anche che una dura campagna politica e un esame pubblico che ne sarebbe derivato non fosse un’alternativa migliore.
“Fanculo,” sussurrai e gettai via quel che rimaneva del mio drink. Fissai il bicchiere vuoto, lottando contro il desiderio di versarmene un altro. L’alcool non era la risposta, un fatto che sapevo anche troppo bene.
Cosa sto facendo?
In quel momento avevo bisogno di un modo per scacciare tutta quella follia ma annegarla nell’alcool non era la risposta. Una rapida corsa attorno al National Mall era l’unica cosa che realmente mi schiariva la mente. Solitamente correvo di mattina quando la temperatura era più fresca, ma una bella sudata sarebbe stata la terapia perfetta dopo aver sentito gli ultimatum di mio padre.
Sciogliendomi la cravatta, mi diressi verso il mio bagno privato collegato all’ufficio per vestirmi da corsa. Mentre mi toglievo la mia camicia button down Calvin Klein, vidi allo specchio il mio tatuaggio sull’avambraccio. Lo fissai mentre le parole precedenti di mio padre mi riempirono la mente.
“Ti stai ancora consumando per quella ragazza…”
Quando l’aveva detto avevo quasi riso. Lui non sapeva delle molte notti che avevo gettato dopo la morte di Bethany, affogando in una bottiglia di scotch e scopando con qualsiasi corpo senza nome che avessi voluto scopare. Non ero a lutto per la morte di mia moglie come avrei dovuto essere. Usavo invece le donne e l’alcool come se avessero il potere di cancellare quello che avevo veramente perso. Non mi ci volle molto per rendermi conto che non mi sarei mai liberato del senso di vuoto che avevo provato da quando avevo lasciato dietro di me il mio primo e unico amore.
Ricordi che avevo cercato di sopprimere per anni ritornarono alla carica—ricordi di Cadence. L’immagine del suo volto mi annebbiava la visione. Per quanto ci provassi non c’era modo di dimenticare un volto come il suo.
Il nostro inizio poteva essere stato comune e dimenticabile se si fosse trattato di chiunque tranne lei. Con i suoi lunghi capelli biondi e il bagliore dei suoi stupendi occhi smeraldo, nessuno poteva dire che Cadence fosse bella. Era troppo stupenda per usare una parola così banale. Cadence non era solo bella. Era meravigliosa. E contrariamente alla maggior parte delle donne in cui mi ero imbattuto nei miei trentanove anni su questa terra, la sua bellezza non era solo superficiale. Non era insolente e aveva un entusiasmo per la vita che nessun altro aveva. Era fragile ma anche decisa e determinata.
Anche se a soli ventidue anni sapevo che lei era la donna che stavo cercando per passare il reso della mia vita, ma non avevo mai avuto modo di farlo. Era deliziosa ed era ancora il mio rimpianto più grande. Eravamo così giovani e il nostro tempo insieme era stato così breve. Era stata una sola estate. Quello era stato tutto il tempo che avevo avuto con lei. Ma era stata l’estate che mi aveva cambiato la vita.
3
Cadence
“Oh, Kallie! Ma guardati!” dissi quasi rimanendo senza parole e scacciando le lacrime che mi stavano riempiendo gli occhi. “Sei così bella!”
La mia meravigliosa figlia sorrise mentre scendeva le scale della nostra modesta casa in stile Cape Cod. I suoi capelli erano raccolti in uno chignon a conchiglia che lasciava solo poche ciocche dei suoi capelli biondi scendere attorno al suo viso. Il suo trucco, anche se aveva passato un’ora a perfezionarlo, era sottile e accentuava i suoi lineamenti già stupendi.
Dopo aver sceso l’ultimo gradino, Kallie lentamente roteò su se stessa. La sua gonna azzurra mulinò attorno a lei, rendendola ancora più splendida e brillante per la luce che arrivava dal bovindo del soggiorno. Se avesse avuto le ali, chiunque avrebbe giurato che fosse un angelo venuto dal cielo.
“Non muoverti,” dissi e mi mossi velocemente verso la fine del tavolo. Volevo catturarla proprio così come era, avendo il bisogno di fermare in tempo quest’attimo. Aprii il cassetto e cercai all’interno. Telecomandi, vecchie batterie, cavi di corrente—nulla di quello che stavo cercando. “Maledizione. Avrei giurato che fosse qui.”
“Cosa stai cercando?” chiese Kallie.
“La mia macchina fotografica bella. Credo che potrebbe essere di sopra nel mio comodino.”
“Mamma,” si lamentò Kallie. “Hai già scattato un centinaio di foto con il tuo telefono. I miei amici saranno qui a minuti.”
“Sì, ma la qualità del telefono non è così buona. Lascia solo che vada di sopra a prendere la mia macchina. Abbiamo tempo. La limousine non arriverà qui per altri dieci minuti.”
“Uff,” brontolò.
“Oh, smettila. Mi ci vorrà solo un secondo per prenderla,” le dissi e corsi su per le scale verso la mia camera da letto.
Come previsto, non appena aprii il cassetto trovai la mia costosa Nikon in cima a un mucchio di altre attrezzature. Era stata una delle mie rare follie, un acquisto d’impulso che avevo fatto quando Kallie aveva iniziato la scuola superiore. Mi ero improvvisamente resa conto che stavo esaurendo il mio tempo. Era strano. Quando era piccola, speravo sempre che crescesse. Volevo che parlasse, camminasse, si nutrisse da sola. Le giornate sembravano sempre così lunghe e poi la sua giovinezza era passata in modo incredibilmente rapido. Ora avrei dato qualsiasi cosa per avere indietro quel tempo. Presto sarebbe diventata maggiorenne, pronta per iniziare la fase successiva della sua vita. Le fotografie non avrebbero mai rimpiazzato i ricordi che condividevamo, ma almeno avrei avuto le foto da guardare.
Presi la macchina fotografica e stavo per chiudere il cassetto ma quello che c’era sotto la macchina fotografica attirò la mia attenzione. Mi fermai un attimo e allungai il braccio per prenderlo. Era un biglietto per la Festa della Mamma che Kallie aveva fatto per me quando era alle elementari. Se la memoria non mi ingannava doveva avere otto anni quando lo aveva fatto.
Piegandomi lentamente per sedermi sul bordo del letto fissai la costruzione di carta rosa ormai sbiadita. Improvvisamente mi sentii molto vecchia anche se avevo appena trentacinque anni. Sembrava solo ieri quando era tornata da scuola con quel cartoncino. Era così eccitata. Era un venerdì ma non era riuscita a resistere fino alla domenica per darmelo. Tuttavia, era rimasta molto delusa il giorno della Festa della Mamma quando si era resa conto che non aveva una sorpresa da darmi. Determinata a farmela comunque era quasi riuscita a far scoppiare un incendio cercando di farmi la colazione a letto con il tostapane.
Sorrisi al ricordo. Era così tipico di Kallie. Anche da bambina aveva sempre messo gli altri per primi e io ero orgogliosa di poterla chiamare mia figlia. Era difficile da credere che fosse diretta al suo primo ballo di fine anno. Anche se mi aveva assicurato che il suo accompagnatore era solo un amico, ero comunque preoccupata. Stava crescendo troppo in fretta.
“Mamma! La limousine ha appena parcheggiato!” urlò Kallie, distogliendomi dai miei pensieri.
“Sto arrivando, sto arrivando,” risposi e mi alzai per scendere lungo le scale. “Aspetta. Non uscire di corsa dalla porta. Il tuo accompagnatore dovrebbe entrare e presentarsi.”
Quando raggiunsi il fondo delle scale, colsi Kallie che alzava gli occhi al cielo.
“Sai che ti voglio bene, mamma, ma accidenti. Ti consideri una femminista, ma qualche volta hai delle idee proprio all’antica.”
“Non c’è nulla di sbagliato nell’essere corteggiata nel modo giusto. È un segno di rispetto,” ribattei.
“Non hai appena detto ‘corteggiata,’ vero?” I suoi occhi si spalancarono per l’incredulità.
“Okay, okay! Hai ragione,” dissi ridendo. “Forse qualche volta sono un po’all’antica. Che posso dire? Sono tua mamma e tu stai per andare al ballo. È il mio lavoro preoccuparmi che un ragazzo ti tratti con rispetto.”
“Te l’ho detto migliaia di volte. È solo un amico della classe di francese. Mi sta facendo un favore perché non avevo nessuno con cui uscire. Inoltre, è un anno più giovane di me. Non posso uscire con uno del secondo anno! Sarebbe come rompere delle regole. Si presume che le ragazze non escano con i ragazzi più giovani!”
Feci un sorrisetto ironico.
“É proprio così?”
“Sì, lo ha detto la mia amica Gabby—”
Il campanello suonò, interrompendo quello che stava per dire. Ebbi a malapena il tempo di reagire. Kallie fu alla porta in un attimo.
“Ciao,” la sentii dire dopo che l’ebbe aperta.
“Ehi, Kallie. Wow, stai benissimo!” disse una voce maschile. Non ero in grado di vedere il suo volto perché Kallie lo stava coprendo. Mi mossi verso la porta, avendo il bisogno di valutare il ragazzo che era lì per portar fuori la mia bambina. Quando Kallie mi sentì arrivare al suo fianco, fece le presentazioni.
“Mamma, lui è Austin. Austin, mia mamma.”
“É un piacere conoscerla, ah…signora Riley,” disse con un timido sorriso.
Cominciai a restituirgli il sorriso ma mi bloccai. C’era qualcosa di familiare in lui. Era strano. Mi ricordava…
Battei due volte le palpebre, cercando di scacciare un preoccupante senso di dejà vu. Allungai lentamente la mano per stringergliela.
“Austin, è un piacere anche per me conoscerti.”
Le mie parole furono esitanti, caute. Conoscevo il suo volto. Quegli occhi. Grigi penetranti con macchioline scure. Quel sorriso sghembo. I capelli erano un po’ più chiari, ma…
No. Non può essere. Mi sto solo sentendo nostalgica per aver trovato quel cartoncino per la Festa della Mamma.
“Mia mamma voleva fare altre foto,” gli disse Kallie. “Chiediamo a tutti di uscire dalla limousine così possiamo fare una foto di gruppo.”