banner banner banner
Tranquilla Cittadina Di Provincia
Tranquilla Cittadina Di Provincia
Оценить:
Рейтинг: 0

Полная версия:

Tranquilla Cittadina Di Provincia

скачать книгу бесплатно


Baciò sia Clara che Mauro con affetto, e notai che non c'era ombra di rancore nei suoi gesti, che erano chiaramente sinceri.

Meno male, mi dissi, La bufera forse è passata. O forse Anna è molto abile a nascondere il suo vero stato d'animo!

«Beh, ragazzi, auguro ogni bene a tutti voi. Purtroppo fra qualche giorno vi lascerò. Ho già pronta la richiesta di congedo per maternità e credo proprio che trascorrerò l'ultima fase della gravidanza nelle Marche, vicino al mio compagno. Ma, anche se non ci vedremo, ci terremo in contatto!»

Sia Mauro, che Clara, che Anna mi assicurarono che non sarebbe passato giorno in cui non ci saremmo sentiti per telefono, magari con un semplice SMS. Quella sera tornai a casa felice, piena di quel calore umano che di rado in vita mia avevo provato. Sarebbe stata dura andarsene da quei luoghi, meravigliosi sotto tanti aspetti. Ero convinta che comunque, dopo alcuni mesi, sarei ritornata lì, non sapendo ancora che cosa la vita e il destino mi stavano riservando.

Quando entrai nella stanza del Dottor Perugini per consegnare la busta contenente la mia richiesta di congedo, vidi che il Questore teneva a sua volta in mano una grossa busta con sopra scritto in stampatello il mio nome a caratteri cubitali.

«Sapevo che i suoi contatti con le streghe di Triora l'avevano dotata di poteri soprannaturali, ma questa è telepatia pura, mia cara Dottoressa. Stavo giusto per convocarla!»

«Bene. Prima Lei o prima io?» dissi, alternando lo sguardo dalla mia busta alla sua.

«Credo che dopo che avrà letto il contenuto di questa, non ci sarà più alcun bisogno che Lei presenti più niente a me, richieste di ferie, congedi o altro...», disse, porgendomi la busta sigillata, ma di cui, a giudicare dal sorriso complice che aveva stampato sul viso, conosceva benissimo il contenuto. Aprii il plico, che giungeva dal Ministero dell'Interno, e iniziai a scorrere con lo sguardo quanto vi era scritto.

Viste le notevoli capacità investigative, nonché lo sprezzo del pericolo, l'abnegazione e l'attenzione nei confronti delle persone coinvolte nelle indagini... La Dottoressa Caterina Ruggeri, attualmente di stanza alla Questura di Imperia con il grado di Commissario, per decisione di questo Ministro, viene promossa Vice Questore Aggiunto e destinata alla Questura di Ancona, dove dovrà prendere servizio entro il 15 Dicembre p.v. Il Questore disporrà la sua sede di servizio, in base alle esigenze, tenendo conto delle ottime qualità della Dottoressa Ruggeri...

Non riuscivo neanche a credere a quanto stessi leggendo. Nel giro di un brevissimo lasso di tempo ero avanzata nella carriera in maniera inaspettata, direi incredibile. Lo stesso Ministro dell'Interno dispensava elogi nei miei confronti e, per di più, dopo solo pochi mesi trascorsi lontana dai miei luoghi di origine, potevo tornare a pieno titolo a lavorare vicino casa, e proprio in concomitanza con la mia maternità. Salutai il Dottor Perugini, ringraziandolo per tutto quanto aveva fatto per me in quel breve periodo e uscii dalla Questura, con la testa che scoppiava per i pensieri che si accavallavano, uno dietro l'altro, dentro di essa. Salii in auto e neanche mi accorsi della strada che avevo fatto per giungere a casa, tanto ero assorta nelle mie elucubrazioni mentali. Non c'erano decisioni da prendere, come era accaduto qualche mese prima. In quel momento le decisioni erano state già prese per me, e di certo non mi sarei potuta opporre. Eppure adoravo quei luoghi, anche se ci avevo vissuto per un brevissimo periodo, e non sopportavo l'idea di staccarmi, forse per sempre, dalle mie nuove amicizie. In vita mia non avevo mai avuto rapporti umani così intensi, di amicizia, di solidarietà, come quelli che avevo vissuto in quell'ultimo periodo. Non avevo neanche il coraggio di dire addio a Mauro, o a Clara, o ad Anna, ma neanche a Laura, a D'Aloia e persino all'Ispettore Gramaglia o all'ultimo Agente che lavorava al Distretto. Ma, d'altra parte, sarei tornata nei miei amati luoghi d'origine, sarei stata vicina al mio amore, al padre della mia bambina. E la piccola sarebbe potuta vivere in un clima familiare normale e avrebbe goduto della presenza di un affettuoso papà. Sapevo che il mio lavoro mi avrebbe tenuto parecchio fuori di casa e che, se mia figlia fosse dovuta crescere sola con me, avrei dovuto affidarla di continuo ad asili nido e baby-sitter. In questo modo, invece, sarebbe stato tutto più semplice.

Rimanevano ben pochi giorni da passare in Liguria. L'inverno era ormai alle porte e il freddo, anche per la vicinanza delle montagne ormai già innevate sui cocuzzoli, cominciava a farsi sentire. Furia sempre più di frequente cercava di entrare in casa per accucciarsi di fronte al caminetto acceso. Io, non senza una punta di malinconia, cominciavo a racimolare le mie cose, preparando alcuni scatoloni da caricare in auto assieme alle valige.

Chissà perché! mi chiesi. Anche in poco tempo una persona è in grado di accumulare dentro casa una quantità incredibile di oggetti da cui non si vuol separare per nessun motivo.

Ritrovai, tra le altre cose, il prezioso libro scritto in Ebraico con traduzione a fronte in Latino, che mi era rimasto fra le mani il giorno dell'incendio di casa Della Rosa. Lo avevo sempre tenuto come ricordo dell'indagine e dello scampato pericolo, ma in quel momento decisi che era giusto riconsegnarlo a Clara. Così colsi l'occasione per andarla a trovare e salutare lei e Mauro.

«Grazie, Caterina. Pensavo che questo libro fosse andato perduto per sempre tra le fiamme, e invece... Ma permettimi di regalarti una copia della Chiave di Salomone tradotta in Italiano. La potrai tenere come ricordo e potrai capire la potenza, la saggezza e i misteri che il testo nasconde. Sai solo tu come quella notte sei stata in grado di recitare a memoria l'invocazione che ti ha permesso di salvarmi la vita. E la recitasti in perfetto Ebraico.»

Visto che eravamo sole, in quanto Mauro era uscito a prendere della legna per il camino, le confessai ciò che credo già sapesse.

«È stata Aurora Della Rosa a inculcare le parole nella mia mente, ma di questo non ho fatto mai parola con nessuno. Credo che solo tu mi possa capire. In effetti, dopo aver avuto il rapporto con la maga, io sono cambiata, ho delle percezioni che prima non mi sarei neanche sognata di avere. Se mi concentro, vedo l'aura delle persone, e ho l'impressione di poter anche intuire i pensieri di chi mi sta di fronte.»

«Sono poteri, mia cara Caterina, che ognuno di noi ha in maniera innata. Le frontiere della mente umana sono ancora inesplorate. C'è chi impara a far uso di certe capacità e chi invece le tralascia, non si allena a utilizzarle e pertanto è come se non le possedesse.»

«Comunque sia, ritengo che sia stata Aurora Della Rosa a favorire lo sviluppo in me di queste percezioni, nuove e fantastiche per me, e così ho deciso che mia figlia si chiamerà Aurora, in suo onore e in sua memoria, e anche perché mi sento in parte responsabile della sua morte, o quanto meno di non aver fatto abbastanza per evitarla.»

Vidi che, sentendo quel nome, gli occhi di Clara erano diventati lucidi.

«Tutto questo ti fa onore, Caterina. Di certo la tua bambina, indipendentemente dal nome che le darai, avrà una personalità eccezionale, e ce lo sapremo ridire. Non credere che, per via della lontananza, non venga a conoscere tua figlia! Non saranno certo qualche centinaio di chilometri a impedirmelo!»

Mauro era rientrato con una bracciata di legna, tagliata a ciocchi, riversandola vicino al caminetto.

«Se le chiacchiere delle comari sono finite, gradirei salutare anch'io la mia collega, prima che parta per una remota regione del Centro Italia. La Polizia di Stato laggiù sarà ancora rimasta all'età della pietra!»

«Oh, di certo una Lamborghini Gallardo in dotazione non ce l'hanno», dissi, imitando il suo tono sarcastico. «Ma nulla mi vieterà di richiedere la tua specifica collaborazione, quando sarò invischiata in un'indagine particolarmente intricata.»

«Ah, per come te le tiri dietro tu, non credo che tarderai molto a chiamarmi!»

Mi fermai a cena da loro e, tra una battuta e l'altra, un bicchiere di vino rosso, una grappa e un punch al mandarino, risalii in auto con un tasso alcolemico superiore al consentito, ma felice di aver passato una serata tra veri amici.

Decisi di ritornare nelle Marche non in aereo, ma affrontando il lungo viaggio con la mia auto, così anche Furia avrebbe viaggiato con me.

Autunno/inverno 2009/2010

VERONICA…

L’autunno è ormai avanzato, anche se la temperatura è anc ora gradevole. Le giornate si sono accorciate e già alle 20,30 è notte fonda. La ragazza, esile anche se piuttosto alta, dai capelli biondi corti, tagliati a maschietto, avanza lentamente, claudicante, aiutandosi con una stampella. Nella mano libera dalla stampella, un sacchettino di carta contenente la sua frugale cena. Raggiunge la tettoia della fermata dell’autobus, all’inizio di Viale Trieste e si siede a fatica sulla panchina. Si guarda intorno per assicurarsi che non ci sia alcun malintenzionato in circolazione. L’unico passante è il veterinario che continua ad abitare in quel quartiere, forse perché ha casa e studio lì e, al contrario della maggior parte delle famiglie italiane non ha ceduto alla tentazione di trasferirsi dall’altra parte della città. Fortunatamente una presenza rassicurante, che a quell’ora fa fare la passeggiata serale al suo simpatico cagnolino bianco. La ragazza consuma il suo panino in pochi morsi, poi cerca il pacchetto delle sigarette, ma si accorge che quello che ha in tasca è ormai vuoto. Leonardo Albini si materializza dall’oscurità come solo lui sa fare, come fuoriuscisse all’improvviso da un mantello d’invisibilità. I suoi movimenti non riescono a sfuggire solamente ad un’altra persona, la Dottoressa Zanardi, la Commissario del Distretto di Polizia, che immancabilmente è sul marciapiede dell’altro lato della strada, appoggiata con le spalle al muro mentre finge di giocherellare con le chiavi della sua auto. Leonardo si siede nella panchina accanto alla ragazza e le depone sulle ginocchia delle cartine e del tabacco. Lei si fa la sua sigaretta e se l’accende.

«Sei sicura di voler sapere? Credimi, la vendetta non paga.»

«Ma lascia in bocca un buon sapore, come questo tabacco.»

Leonardo scrive un nome e un indirizzo su una cartina, lasciandola in mano alla ragazza.

«È una persona in vista. Sei sicura che la targa fosse quella?»

«Ce l’ho stampata nella mente. Mi ha investito lì, su quelle strisce pedonali, ed è scappato via. Ma prima di sprofondare nel buio ho letto bene quella targa.»

«E perché non l’hai riferito alla polizia?»

«L’ho fatto, eccome, dopo che mi sono risvegliata dal coma. Hanno controllato e mi hanno detto che forse avevo visto o ricordavo male, sulla carrozzeria non c’era alcun segno relativo all’incidente. E certo, nel frattempo il tipo avrebbe avuto tutto il tempo di far ripulire l’auto! E poi ormai della polizia non mi fido più da tempo.»

Solo un leggero accento tradisce l’origine slava della ragazza, di nome Anna. Più di sedici anni fa era giunta dalla Serbia insieme ai suoi genitori, era una bimba di poco più di 4 anni. Suo padre, per sbarcare il lunario, aveva subito indotto la moglie alla prostituzione. La donna era giovane e attraente e il quartiere si prestava bene a quel tipo di “business”. Ma una sera il papà di Anna, ubriaco fradicio, cominciò ad accusare sua moglie di non mettere giù tutti gli introiti per la famiglia ma di tenersi qualcosa per le sue civetterie, per i vestiti, per le scarpe, per le calze. La lite finì con una coltellata. Anna vide il padre scappare, per non fare mai più ritorno, mentre la madre giaceva sul pavimento in preda a un’abbondante emorragia. La bambina sapeva digitare i numeri di emergenza sul cellulare. Riuscì a comporre il 118 e far giungere i soccorsi in tempo. Ma la polizia non rintracciò mai il padre, che probabilmente era riuscito a ritornare al suo paese d’origine. La sua mamma tirò avanti a malapena, facendo lavoretti improvvisati, come donna delle pulizie o badante per gli anziani, senza più vendere il suo corpo, ma guadagnando molto meno. Anna aveva 14 anni quando la sua mamma, stanca della vita, fece l’insano gesto. Scese in strada avanti casa, si versò della benzina addosso e si diede fuoco. Una fine orribile, di cui fortunatamente Anna non fu testimone diretta. Tornando da scuola, vide una specie di fantoccio annerito sul marciapiede, come se qualcuno avesse bruciato una grossa bambola, e fece fatica a capire che quello era il corpo della sua povera mamma. Un capannello di curiosi intorno a quel tizzone ancora fumante, ma nessuno che avesse preso il coraggio di cercare di soccorrerla. E il tutto era avvenuto in pieno giorno.

Anna fu affidata a una casa famiglia, ma se ne scappò subito, andandosene a vivere per strada e iniziando a fare lo stesso lavoro che aveva visto fare alla sua mamma quando lei era piccina, con il risultato di guadagnare quel poco per poter mangiare. Spesso, quando i suoi “clienti” vedevano che era poco più che una bambina, o se la davano a gambe levate per paura di essere accusati di pedofilia, o la ricompensavano al massimo con 20 Euro, tanto era una ragazzina, le bastava poco per vivere, giusto quanto bastava per comprarsi da mangiare.

«Vai da un avvocato, portagli quel nome e ci penserà lui a farti risarcire», le consiglia Leonardo.

La ragazza scuote la testa.

«Non ho soldi da dare a un avvocato. Quel bastardo la deve pagare e farò tutto da sola, stanne certo. Questa gamba non ritornerà mai più come prima. Il femore è rimasto stritolato sotto le ruote di quel SUV enorme. Per quanto i medici si siano dati da fare, la gamba è rimasta diversi centimetri più corta dell’altra, e in più mi continua a fare un male boia. Proprio nel momento in cui ero riuscita a dare una svolta alla mia vita. Avevo superato le selezioni e sarei stata presa come modella. Avevo un lavoro e una carriera avanti a me, e ora nessuno più mi chiamerà per una sfilata di moda o per uno spot pubblicitario, dovrò ritornare a battere il marciapiede per sopravvivere.»

Leonardo, senza ribattere ulteriormente, lascia alla ragazza un’altra cartina e un po’ di tabacco sufficiente a farsi un’altra sigaretta e si allontana. Attraversa la strada e passa vicino a Veronica, la poliziotta che lo sta tenendo d’occhio.

«Non è che non si noti che tu mi stia alle costole. Quando la capirai che sono un tipo pulito? Dovrei portarti a letto per fartelo capire. Staresti bene con me e mi cercheresti per altri motivi.»

«Evita di fare il galletto. Piuttosto, ti ho visto chiaramente passare la “dose” a quella ragazza. Ti sei dato allo spaccio, ora?»

«Te l’ho detto, sono pulito», risponde Leonardo sollevando le braccia. «Puoi perquisirmi se vuoi, se fossi uno spacciatore avrei altre dosi addosso, non è così, commissario?»

Veronica lo tasta ben bene e riesce a tirargli fuori dalle tasche, oltre il portafoglio, il tabacco, le cartine, l’accendino e un pacchetto di Marlboro.

«Come diavolo fate a farvi le sigarette con questa robaccia? Mah!» La donna sfila una Marlboro dal pacchetto e se la accende, poi restituisce il tutto all’uomo. «Tanto prima o poi ti becco con le mani nel sacco, e ti faccio fare una bella vacanza in un’amena frazione di Ancona che si chiama Montacuto. Al fresco, in una residenza con le sbarre alle finestre e circondata da un’altissima recinzione.»

«Credo che farò prima io a portarti in una camera da letto e far l’amore con te. Sei già cotta a puntino», replica Leonardo, confezionandosi abilmente una sigaretta con il tabacco e accendendola sotto lo sguardo esterrefatto di Veronica. Ognuno dei due se ne va per la sua strada, mentre Anna rimane ancora seduta a lungo sotto la tettoia della fermata del bus. A un certo punto si alza e, passo dopo passo, con la calma che richiede la sua incerta andatura, raggiunge l’indirizzo fornitole da Leonardo. Studia la villetta, studia i suoi occupanti e già, nella sua mente, si delineano le azioni e i tempi della sua vendetta.

Il giorno dopo, Anna è già pronta all’azione. Ha confezionato la Molotov seguendo alla lettera le istruzioni: funzionerà. L’adrenalina che circola nel sangue è a livelli talmente alti da farle dimenticare qualsiasi dolore. Sono le tre di notte e non c’è anima viva in circolazione. Abbandona la stampella vicino alla recinzione della villetta, che riesce abbastanza faticosamente a scavalcare. La scala che ha adocchiato in giardino dovrebbe essere servita per potare gli alberi, ma quello che interessa è che ha l’altezza giusta per arrivare alle finestre del primo piano. Anna l’appoggia sotto quella che ha capito essere la finestra della camera da letto. Il tipo dorme con la moglie e i due hanno un bambino di pochi mesi che riposa nella camera attigua. La sera prima, alle tre e un quarto esatte, si era accesa la luce dell’abat-jour e la donna era andata nella camera del piccolo, che si era svegliato e reclamava il biberon. Anna ha calcolato che quella cosa si potrebbe ripetere ogni notte più o meno alla stessa ora. Sale i pioli della scala, uno ad uno, con un po’ di fatica, ma neanche troppa. La tapparella è abbassata solo a metà. Al momento giusto, una gomitata a sfondare il vetro e lancio della Molotov. Sarà l’inferno.

Quel bastardo morirà allo stesso modo della mia povera mamma. Se lo merita! Se la moglie sarà lesta, porterà in salvo le sue chiappe insieme a quelle del piccolo. Quanto a me, aspetterò buona buona che mi vengano ad arrestare, tanto ormai…

In cima a quella scala, Anna mette in bocca una sigaretta, in una mano l’accendino, nell’altra la bomba incendiaria. Puntualmente la luce si accende e la donna si alza. La fiamma dell’accendino brilla, raggiunge la sigaretta, ma non riesce a raggiungere la miccia dell’ordigno rudimentale.

No, non posso essere io la causa del fatto che quel bambino crescerà come me, senza un padre, e con una madre distrutta dal dolore.

La gamba sta ricominciando a farle male ed è difficile ridiscendere la scala, rimetterla al suo posto, scavalcare la recinzione e recuperare la stampella, ma ci riesce.

La vita per Anna continua a scorrere come sempre, le sue risorse economiche sono sempre più risicate, e ogni sera si ritrova a consumare il suo panino seduta nella solita panchina. Richiama il cagnolino bianco, che devia dalla sua traiettoria per venire a prendersi la sua dose di coccole, trascinandosi dietro anche il suo padrone. Il cane si mette a zampe all’aria, per farsi fare i grattini sulla pancia, cosa che gli piace tanto. Il veterinario sorride ad Anna, lei lo guarda negli occhi, due occhi verdi che infondono fiducia.

«In questo biglietto c’è nome e indirizzo di chi mi ha ridotto in questo stato. Fanne quello che vuoi, io non ho né soldi, né credibilità per andare a chiedere risarcimenti.»

In silenzio, l’uomo prende il biglietto, se lo mette in tasca e si allontana. Dopo alcuni giorni, con la posta, la ragazza riceve un assegno di 300.000 Euro a firma del tipo che a suo tempo l’ha investita ed è scappato come un vigliacco. Nella busta un biglietto: Spero siano sufficienti. La prego di non denunciarmi. Uno scandalo mi rovinerebbe per sempre.

Leonardo, come suo solito, compare all’improvviso e si siede nella panchina accanto alla ragazza.

«Sigaretta?» le chiede.

«No, grazie. Ho smesso di fumare. Il sapore del tabacco in bocca non mi piace più.»

«Com’è andata? Hai fatto buon uso della mia informazione?»

«Grazie a te e a un altro angelo, ora ho i soldi per andare in America e sottopormi a un intervento che riporterà la mia gamba alla sua lunghezza giusta. Ho calcolato che tra viaggio, soggiorno e spese per la clinica occorreranno 300.000 Euro tondi tondi. Tutto quello che ho, ma quando tornerò in Italia sarò pronta ad affrontare una nuova vita.»

«Bene, in bocca al lupo, allora!»

Leonardo attraversa la strada e giunge accanto alla poliziotta appostata. A sorpresa, avvicina il suo volto a quello di lei a sfiorarle le labbra. Colta alla sprovvista, Veronica accetta il bacio e comincia a far roteare la lingua per qualche istante intorno a quella di lui. Poi, con uno scatto si irrigidisce e si distacca di quel tanto che le basta a far partire un sonoro schiaffo diretto alla guancia di Leonardo.

«Sei pazzo!» esclama lei. Poi, seguendo il filo dei suoi ragionamenti da poliziotta: «Oggi la puttanella ha rifiutato la dose che le hai offerto? Ma tanto, ricorda, ficcatelo bene in testa: prima o poi ti becco con le mani nel sacco.»

«Faresti bene piuttosto a darti un’occhiata intorno e soffermare lo sguardo sui criminali veri, che non mancano di certo in questa zona. Ma che te lo dico a fare? Tanto è seguendo me che acciuffi criminali. Prima o poi ti chiederò il conto, mia cara!»

Riavvicina la sua bocca a quella di Veronica e, questa volta, e non per sbaglio, lei si abbandona a un lungo bacio. Quando riapre gli occhi, Leonardo si è dileguato nel buio, come solo lui è in grado di fare.

VERONICA…

Buio. Mentre i cittadini onesti si godono il meritato riposo nella tranquillità dei loro appartamenti, in alcune zone della città si vive una vita alternativa, animata da barboni, drogati, ubriaconi, prostitute, viados, extracomunitari più o meno clandestini e personaggi senza fissa occupazione e senza fissa dimora. A Jesi il cuore pulsante di questo tipo di società è la zona compresa tra la stazione ferroviaria e quella delle autocorriere, e gli inghiottitoi di questa feccia umana, capaci di accoglierla senza vomitarla, sono rappresentati dal dehors all’aperto del bar del Piazzale di Porta Valle e dalle panchine che rimangono quasi del tutto al buio sotto gli alberi, dove la luce dei lampioni arriva a fatica o non arriva affatto. Lì non è infrequente vedere una prostituta ubriaca rimanere riversa sulla panchina, con il sedere nudo all’aria, nella stessa posizione in cui è rimasta dopo il rapporto consumato con l’ultimo cliente, che magari l’ha lasciata così senza neanche pagarla.

La mezzanotte è passata da un pezzo e la serranda del bar pizzeria è abbassata per metà da più di mezzora. Veronica, quarantenne Commissario di Polizia, un glorioso passato da campionessa olimpionica di scherma, è appoggiata alla fiancata della sua berlina nera. Il fumo della sigaretta si va a unire al suo fiato condensato e alla nebbia della notte di autunno inoltrato che rende ovattate le sagome di persone e cose. Una prostituta di colore le si avvicina.

«Per 20 Euro ti posso far godere, meglio che un uomo.»

«Vattene!» risponde, mostrando il distintivo. «Sei fortunata che ho altro per le mani questa sera, altrimenti ti farei passare la notte in cella.»

«Dammi una sigaretta, allora.»

Veronica getta la cicca, cerca nelle tasche, accende l’ultima del pacchetto, che accartoccia e getta in terra.

«Come vedi non ne ho più. Vattene!», e sottolinea quest’ultima frase sbuffandole direttamente il fumo in faccia e fissandola con lo sguardo più truce che è in grado di realizzare.

Uno dei pochi lampioni funzionanti si accende e si spegne in maniera intermittente, quasi comandato da uno strano meccanismo a orologeria, probabilmente la sua lampada è arrivata al capolinea ma ne passerà di tempo prima che qualche operaio del comune passi a sostituirla. Approfittando del buio e della nebbia, lo zingaro dai lunghi capelli grigi e il cappello a larghe falde scarica la vescica dietro la sagoma di una corriera parcheggiata, poi ritorna sotto il versò del bar, scola il suo bicchiere e si avvia barcollante verso la sua bicicletta. Tre pedalate e cade rovinosamente a terra, si rialza e si perde nella nebbia. Ogni sera nessuno sa se riuscirà a raggiungere indenne la sua roulotte, giù in fondo alla zona industriale, ma il giorno dopo si ripresenta puntualmente a elemosinare soldi, alcol e sigarette.

Veronica si stringe nel giubbotto di pelle per proteggersi dal freddo e dall’umidità. Ecco, ora la sua attenzione è incentrata sulle due figure che fuoriescono da sotto la serranda del bar. Leonardo, l’ingegner Leonardo Albini, è in compagnia di una stangona dalla pelle ambrata, minigonna, gambe vertiginose e seno talmente gonfio di ormoni e silicone che potrebbe esplodere da un momento all’altro.

La stangona, più che una lei, è ancora un lui. Qualcosa che penzola in mezzo alle gambe ce l’ha di sicuro! pensa Veronica, ma non è interessata più di tanto alla cosa. Chi le interessa è Leonardo, quell’ingegnere edile dalla pretesa di diventare un investigatore privato. E certo, sempre a contatto con la malavita locale, chi meglio di lui potrebbe acciuffare criminali?

Leonardo saluta il viado, che se ne va in direzione di Via Setificio, mentre lui si dirige verso Porta Valle ed entra nel centro storico. Veronica lo segue cercando di mantenere la distanza, ma l’uomo si dilegua nei meandri dei vicoli.

Un uomo dallo spiccato accento dell’est Europa le si avvicina da dietro e fa scattare un coltello a serramanico.

«Poco raccomandabile girare da queste parti per una donna sola!»

Affatto intimorita, la poliziotta esegue una piroetta e, grazie a un colpo di piede ben assestato, disarma il suo potenziale aggressore.

«Anche per un uomo, specialmente se infastidisce le persone sbagliate!»

E per quella notte è fatta, ha perso di vista il suo bersaglio, non ha potuto verificare la sua connivenza e complicità con i criminali della zona sud di Jesi, quella che un tempo era considerata una tranquilla cittadina di provincia. Tanto vale rientrare alla base. Con la certezza che prima o poi Leonardo farà un passo falso. Pura fantasia? O magari è segretamente e inconsapevolmente innamorata di lui, chissà!

I quotidiani locali del giorno successivo, una giornata caratterizzata da un pallido sole che fa capolino dalla coltre di nebbia, riportano l’ennesima notizia di cronaca nera.

Jesi. In zona Porta Valle un Viado è stato aggredito e accoltellato. Prontamente soccorso dall’ingegner Albini, che si trovava a passare di lì per caso, è stato dichiarato guaribile in 10 giorni. Ma la Polizia dov’è?

CATERINA…

In una rigida giornata di metà dicembre mi presentai al Questore di Ancona. Il Dottor Spanò era il mio vecchio capo. Ero tornata alla base, ma ero lì giusto per consegnare la busta contenente la mia richiesta di congedo per maternità.

«Sono felice di riaverla con noi, Dottoressa Ruggeri. Un elemento prezioso come Lei meglio averlo qui in zona in congedo per maternità, che non saperla assegnata a un Distretto di Polizia così lontano. Grazie alla sua nuova qualifica, ho in serbo per Lei un incarico particolare. Qui nelle Marche non abbiamo una Sezione Omicidi. Visto come se l'è cavata nell'indagine su a Triora, e visto il notevole aumento della criminalità anche nelle nostre zone, ho deciso di aprire la Sezione qui in Ancona, con valenza su tutto il territorio regionale, e sarà proprio Lei a dirigerla, coadiuvata dall'Ispettore Santinelli.»

No, non è possibile! dissi tra me e me. Di nuovo tra i piedi. Ma non doveva dirigere il Distaccamento Cinofili al mio posto dopo che me ne ero andata? In così poco tempo è stato capace di mandare all'aria tutto il mio lavoro decennale? I Cinofili sono allo sbando e il Distaccamento èprossimo alla chiusura?

Non avevo neanche il coraggio di chiedere lumi al mio superiore, che comunque, interpretando i miei pensieri reconditi, mi diede delle assicurazioni.

«Non si preoccupi, il suo adorato Distaccamento Cinofilo va alla grande anche senza di Lei, ma l'Ispettore Santinelli non era in grado di dirigerlo. Durante l'estate ben tre cani si sono ammalati di Leishmaniosi e due conduttori hanno chiesto il trasferimento per incompatibilità con l'Ispettore. Così, prima di giungere all'irreparabile, ho sostituito Santinelli con un validissimo collega, l'Ispettore Capo Della Debbia, che si è trasferito qui da Nettuno.»

Tirai un sospiro di sollievo e continuai ad ascoltare quanto aveva ancora da dirmi.

«Ma, tornando a noi, Le dicevo che questa nuova sezione, a valenza regionale, sarà dedicata alle indagini su omicidi e persone scomparse, e credo proprio che Lei sia la persona più adatta a dirigerla. Potrà venire in tutta libertà, senza tralasciare gli impegni di futura neo mamma, a organizzare l'ufficio, e quando mi dirà di essere pronta, partiremo.»

Ero entusiasta, e già le idee sull'organizzazione della nuova squadra frullavano nella mia testa.

«Tutto bene, ma devo proprio prendermi in carico anche l'Ispettore Santinelli?»

«Sembra che Lei sia l'unica che è sempre stata in grado di gestirlo! Direi proprio di sì!»

Annuii, non molto soddisfatta della prospettiva, e cominciai a tendere la mano al mio superiore per congedarmi.

«Un'ultima cosa, Dottoressa. Nei prossimi giorni avremo qui in sede degli specialisti che terranno un corso su Linguaggio del Corpo e Prossemica, e sarà una cosa molto interessante. Se volesse partecipare, pur essendo in congedo, vedrà che si potranno apprendere delle nozioni davvero importanti nella gestione degli interrogatori.»

Accettai l'invito, anche sapendo che Stefano non ne sarebbe stato affatto contento, in quanto il corso trattava di argomenti che mi avevano sempre affascinato: poter capire ciò che uno pensa, se mente o se sta dicendo la verità, dagli atteggiamenti che assume. Erano nozioni che, una volta apprese e unite alle mie nuove capacità percettive, avrebbero fatto di me un infallibile detective.

Così, nonostante il pancione e nonostante le proteste del mio compagno, cominciai a passare la maggior parte del mio tempo in Questura, un po' a seguire il corso di Linguaggio del corpo, un po' a organizzare il mio nuovo ufficio e la mia nuova squadra. L'Ispettore Santinelli mi seguiva in maniera servizievole e arrendevole, e tutto sommato non potevo lamentarmi di lui. Non potevo chiedere di avere a disposizione una Lamborghini come quella che avevamo su a Imperia, ma ottenni di far montare su un'Alfa 159 un computer simile a quello che tanto ci aveva aiutato nell'indagine di Triora. Istruii un po’ Santinelli sul suo utilizzo e lo feci anche iscrivere a un corso avanzato di tecnologia informatica, anche se ero convinta che non si potesse pretendere più di tanto da lui.