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Delitti Esoterici
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Delitti Esoterici

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«Ho grande fiducia in lei, dottoressa Ruggeri, e so che non mi deluderà. Metterò a sua disposizione tutti i mezzi che vorrà per giungere a una conclusione di quest'indagine. Mi raccomando, priorità assoluta. E se ha problemi con il magistrato, non abbia timore di rivolgersi a me. Vada, ora, e mi tenga aggiornato.»

Tornati all'auto, raccomandai a Mauro di guidare ad andatura moderata e di fermarsi non appena avesse visto un negozio di ferramenta. Individuato l'obiettivo, vi entrai per acquistare delle grosse cesoie da giardiniere. Era infatti mia intenzione raggiungere a tutti i costi il camioncino bruciato e vederlo da vicino.

«Oggi vorrei esaminare per bene la scena del delitto, senza gente intorno, e poi raggiungere la carcassa del camioncino del taglialegna. Ci sarà utile darci un'occhiata dentro, anche se, a distanza di così tanto tempo, dubito di trovare qualcosa di interessante. Vorrei visitare anche gli altri luoghi, l'altra fontana e il lago, e tornare anche a casa di Aurora. Quando saremo dalla strega, io cercherò di distrarla il più possibile, in modo che tu possa dare una sbirciata in giro e, se possibile, raccogliere alcuni indizi, che so, qualche impronta digitale, qualche elemento che possa aiutarci a incriminarla, o a scagionarla.»

«Vuoi che piazzi qualche cimice?»

«No, per il momento no. Per le intercettazioni ambientali dovremmo ottenere l'autorizzazione del magistrato!»

Giunti sul posto, parcheggiammo nel solito luogo e proseguimmo a piedi. Volevo osservare per bene ll'inferriata a cui era stata legata la vittima. Le sbarre erano ossidate dalle fiamme, ma era evidente che non c'era da lì possibilità di accesso all'antro, che doveva avere la funzione di legnaia. L'inferriata metallica era infissa nel terreno e nelle pareti di roccia e, all'interno di quella specie di grotta, si vedevano solo detriti inceneriti e inumiditi dall'acqua usata dai pompieri.

«Nessuno dei nostri ha provato a entrare qui!» riflettei a voce alta, rendendo Mauro partecipe dei miei ragionamenti.

«Forse ritenevano non ci fosse nulla di interessante. E poi non c'è possibilità di accesso se non segando queste spesse sbarre» fu la replica del mio vice.

«Se è una grotta adibita a legnaia,a uso della vicina dimora, che senso ha non potervi entrare a prelevare la legna? Un primo ragionamento potrebbe far pensare che la grotta non sia fine a se stessa, ma che in qualche modo comunichi con l'abitazione per mezzo di un tunnel, ad esempio, una specie di passaggio segreto. Oppure potrebbe esserci un altro ingresso, magari nascosto tra la vegetazione. Hai una torcia elettrica, Mauro? Proviamo a fare un po' di luce là dentro!»

«Una torcia elettrica no, però possiamo utilizzare il display del palmare! No, non si riesce a vedere il fondo, ci sono troppi detriti.»

«Accidenti, ma tornerò qui con il mio cane e sono sicura che scoprirò qualcosa di interessante. Raggiungiamo il camioncino, ora!»

Superata la Fonte della Noce, imboccammo il sentiero che portava alla carcassa dell'automezzo e cominciammo ad aprirci strada tra la vegetazione a colpi di cesoie. Alcune piante spinose, quali rovi, rose selvatiche e biancospini, riuscirono comunque a infliggermi graffi superficiali a braccia e mani. Ogni tanto io e Mauro ci scambiavamo il pesante attrezzo e alla fine, dopo una mezz'ora abbondante, giungemmo in prossimità il mezzo. Era uno di quei piccoli camion con cassone in uso negli anni '60. Sul muso si riusciva ancora a leggere la marca OM e il modello, Lupetto, che era individuato da una scritta metallica in corsivo, attaccata in obliquo sulla parte anteriore della scocca. Del camion rimanevano solo le parti metalliche ossidate, per lo più ricoperte da vegetazione rampicante che prendeva origine dal terreno sottostante. Provai ad aprire lo sportello dal lato guida, ma era bloccato. Essendo il finestrino del tutto assente, decisi arrampicarmi per dare una sbirciata all'interno. Sull'anima metallica del volante riuscii a notare dei pezzi di filo di ferro.

«Dammi una spinta Mauro, voglio entrare nell'abitacolo.»

Mi sentii sollevare come un fuscello e mi ritrovai dentro il rudere. In effetti, gli spezzoni di filo metallico attaccati al volante potevano stati utilizzati a suo tempo per immobilizzare un'ipotetica vittima all'interno dell'abitacolo. Notai qualcosa sul fondo, vicino alla pedaliera, come una massa di plastica fusa, che cercai di staccare aiutandomi con un coltellino. Fuoriuscii dal rudere con i vestiti luridi, ma con in mano un trofeo.

«Che cos'è?» chiese Mauro.

«Non lo so ancora. Materiale fuso credo, ma di certo non appartiene a un tappetino di gomma. Mettilo in una busta, chiederemo alla scientifica di individuarne la natura. L'idea che qui sia stato consumato un delitto è sempre più palese. La vittima, magari tramortita, viene legata al volante con del filo di ferro, quindi il mezzo viene incendiato. Poi l'assassino, o gli assassini, riescono ad asportare il cadavere e occultarlo da qualche parte, lasciando dietro di sé solo la carcassa di un vecchio camion divorato dalle fiamme.»

«Quindi un'altra esecuzione con il fuoco!»

«Già, probabilmente dentro il camioncino ha trovato una morte orribile Mariella La Rossa, ma chi condusse l'indagine a suo tempo fu superficiale e non collegò, o non volle collegare, l'incendio del camion alla scomparsa della donna. Torniamo alla Fontana della Noce. Voglio capire qualcosa dei disegni ancora visibili sul terreno.»

Giunti alla fonte, ci dissetammo, poi cercai di interpretare a i simboli disegnati in terra. Da quello che ricordavo delle ricerche svolte per la mia tesi, un pentacolo, disegnato in prossimità di una fonte sacra agli adepti delle sette, con un coltello o un attrezzo a punta consacrato, indica sempre un luogo dedicato a un rito. A seconda dei disegni e delle scritte che vengono usati, i riti possono essere di diversa natura. Se vengono incisi nel terreno i quattro nomi potenti con cui veniva chiamato Dio nell'antichità, il sacerdote invoca gli spiriti, li chiama a sé per chiedere loro aiuto. A volte, per ingraziarsi gli spiriti e assicurarsi i loro favori, si può ricorrere a sacrifici, di animali ad esempio, o altre volte, ma più di rado, di essere umani. Con il sangue della vittima si scrive ciò che si chiede agli spiriti invocati, di solito sotto forma di metafore, incomprensibili a chi non fa parte della setta. Nel nostro caso, si riusciva ancora a visualizzare, nel terreno, una delle cinque punte del pentacolo e, accanto a essa, un segno che indicava il simbolo della Terra.

«Il pentacolo è la rappresentazione del microcosmo e del macrocosmo. Esso combina, cioè, in un unico simbolo, tutta la misticità della creazione, tutto l'insieme dei processi su cui si basa il cosmo. Le cinque punte del pentacolo simboleggiano i cinque elementi metafisici, acqua, aria, fuoco, terra e spirito. C'è un'apertura tra due mondi, il mondo degli stregoni e quello dei comuni viventi. C'è un luogo dove i due mondi si incontrano. L'apertura è lì, si apre e si chiude come una porta al vento» declamai, recitando a memoria quanto avevo letto in un testo di esoterismo.

Mauro mi guardò meravigliato.

«E tu credi a queste cose?»

«Certo che no. Questo è ciò che lo sciamano, il guru, il santone della setta, vuole che i suoi adepti credano, per poterli avere in pugno, per poter convincere i suoi sottomessi che anche se chiede un sacrificio, le eventuali vittime sacrificali devono solo essere contente di andare incontro alla morte.»

«Quindi, secondo te, qui è stato eseguito un rito in cui è stato chiesto un sacrificio umano? La vittima è stata catturata, portata poco più in là, legata all'inferriata e sacrificata col fuoco?»

«Già, e magari, sotto l'effetto delle droghe che di certo le avranno somministrato, era pure felice di bruciare viva.»

«Secondo te, Caterina, potrebbe essere Aurora la santona della setta, l'artefice di tutto ciò?»

«Non lo so, non abbiamo ancora elementi a sufficienza. Ma, dal momento che l'ora di pranzo è passata da un bel pezzo e non abbiamo ancora messo niente sotto i denti, proviamo a farci invitare a pranzo dalla strega? O preferisci tornare da Luigi?»

«Non vorrei cadere vittima di qualche boccone avvelenato preparato da Aurora per l'occasione. Meglio le trofie al pesto!»

Al ristorante chiesi a Luigi quale fosse la via più agevole per raggiungere il Lagu Degnu.

«Il Lago Degno è un luogo eccezionale, ma bisogna essere ben attrezzati per raggiungerlo. Ci sono due vie. Un sentiero parte da Molini e risale il torrente Argentina fino al lago. Ci vogliono degli stivali, perché c'è da camminare per alcuni tratti dentro il letto del torrente, laddove esso è incassato in una stretta gola. Il lago è formato dal Rio Grugnardo, che si getta nel Torrente Argentina con un salto di 15 metri, per cui, giunti sul luogo potrete ammirare una splendida cascata che si getta nel laghetto sottostante. Quest'ultimo, nonostante sia un piccolo specchio d'acqua, è piuttosto profondo in certi punti. L'altra via è un sentiero che scende da Triora, ma per percorrerla bisogna essere attrezzati di corde, imbragature e moschettoni. Vi sono alcuni passaggi in cui il sentiero si perde e occorre discendere delle pareti di roccia. Fino alla cascata ci sono un paio di pareti attrezzate con delle ferrate, ma è consigliabile non fidarsi troppo e comunque assicurarsi con la corda. Poi, se dalla cascata volete scendere al lago, dovrete comunque calarvi con l'attrezzatura da roccia, altrimenti il lago lo vedrete solo dall'alto.»

«Lo hai chiamato Lago Degno. Come mai su a Triora lo chiamano Lagu Degnu?» chiesi a Luigi.

«Oh, è l'espressione dialettale. Anche se queste terre, in tempi passati, facevano parte del regno di Sardegna, il fatto che le espressioni dialettali siano ricche di u non deriva dal sardo. Anche le espressioni liguri sono ricche di questa vocale. In zona poi, il ligure si mescola con l'occitano e chi non è del luogo rischia di non capirci niente quando ci sente parlare.»

Gli sorrisi, pensando che anche nel dialetto dell'entroterra marchigiano si riscontrava spesso la stessa vocale. Pagai il conto e uscimmo all'aperto.

«Bene, direi che, a questo punto, dovremmo ritornare dalla nostra cara Aurora. Io cercherò di distrarla, di farla parlare, magari rimanendo sul vago, senza scivolare nell'argomento del delitto. Tu, con discrezione, cerca di raccogliere qualcosa di utile. Dobbiamo portare a casa alcuni indizi, Mauro, per convincere il dottor Leone della necessità di perquisire la casa della strega da cima a fondo!»

Parcheggiata l'auto accanto alla Porsche Carrera, ci avviammo verso l'ingresso di casa Della Rosa. Non c'era campanello elettrico, ma solo una corda legata a una campana. Non feci in tempo a tirare la corda, perché l'uscio si aprì e apparve la bionda Aurora in vesti succinte, una canottiera rosa e una cortissima gonna di jeans.

«Ho percepito il vostro arrivo» disse. «Accomodatevi, oggi è una giornata splendida, limpida, e se mi seguirete sulla terrazza potrete ammirare una stupenda panoramica sulla valle Argentina e sulle montagne che segnano il confine con la Francia.»

«Ottimo» dissi, strizzando l'occhio a Mauro. «Io sono un'appassionata di montagna e adoro i bei paesaggi!»

Ci condusse sulla terrazza, da cui in effetti si godeva una splendida vista.

«Posso offrirvi una delle mie tisane rilassanti? Credo proprio che ne abbiate bisogno!»

«Vada per la tisana, purché non sia troppo rilassante» risposi. «Possiamo rientrare in salone per goderci questa bevanda, signora Della Rosa?»

«Certo, accomodatevi. Ritorno tra pochi istanti.»

Sparì in cucina. Non si poteva presentare occasione migliore, ma dovevamo essere veloci per non farci sorprendere. Mentre io davo uno sguardo ai libri e alle porcellane sugli scaffali, Mauro si dava da fare con maniglie e oggetti,quali posacenere e soprammobili, per rilevare qualche impronta digitale. La mia attenzione si posò su un antico vaso di porcellana bianco e azzurro con scritto in caratteri gotici “Shepenn rosso”. Ne sollevai il coperchio e vidi che conteneva una specie di tabacco. Ne presi un pizzico e lo misi in una bustina di plastica trasparente.

«Potrebbe essere droga» sussurrai a Mauro. «Con questo nome in Oriente, nell'antichità, veniva indicato il papavero da oppio.»

Quando Aurora rientrò con tre tazze di tisana fumante dal forte odore di menta, sia io che Mauro stavamo di osservare incuriositi il contenuto degli scaffali. La tisana era assai delicata e aveva davvero un effetto rilassante. Finito di bere dalla sua tazza, la strega decise di accendersi una delle sue sigarette. Strano a dirsi, ma l'aroma del fumo della sigaretta non mi infastidiva, anzi ne ero attratta.

«Vedrà, dottoressa Ruggeri, che uno di questi giorni ne fumerà una insieme a me.»

«Non credo proprio, non ho mai fumato in vita mia e non penso che inizierò a quasi quarant'anni. Piuttosto, vorrei chiederle il significato del pentacolo disegnato su questo spettacolare pavimento. Ho studiato la simbologia e i simboli esoterici, ma qui ne vedo alcuni che non conosco. Riconosco il simbolo dello spirito, al centro, le otto linee che prendono origine da un punto e si irradiano verso i punti cardinali, gli stessi indicati dalla rosa dei venti.»

«Brava, Dottoressa. So che lei è ferrata in materia. Vede, lì dovrebbe aleggiare ancora lo spirito della mia ava Artemisia, bruciata al rogo in un giorno particolare del 1589. Il palo a cui era legata sembra fosse infisso nel terreno proprio in quel punto preciso. Gli altri simboli indicano ciò che accadde dal punto di vista astrale nello stesso giorno. Era l'equinozio di primavera, il 21 Marzo, era una notte di luna piena e in quella notte ci fu un eclissi totale di luna.»

«Sì, comincio a dare un'interpretazione ai simboli. Però, da quello che ho appreso, le streghe di Triora non furono bruciate. Furono imprigionate, torturate, processate, condannate, ma l'esecuzione non ebbe mai luogo, in quanto il Doge di Genova si oppose.»

«E questa è la versione ufficiale, secondo la quale la mia ava e le sue quattro affezionatissime seguaci morirono in prigione a Genova. Ma forse non andò proprio così. Lei è abile e scoprirà la verità. Non sarò io a raccontargliela.»

Avvicinò molto il suo viso e i suoi occhi al mio volto e mi sbuffò del fumo in faccia. Abbassai lo sguardo, per non guardarla dritta negli occhi, e mi ritrovai ad ammirare le sue gambe perfette, snelle, allungate, senza ombra di cellulite. In quel momento, con mia meraviglia, provai un forte desiderio sessuale nei suoi confronti. Osservavo le sue labbra vicinissime alle mie e avevo voglia di unirmi a lei in un bacio appassionato. Cercai di scacciare i pensieri che mi turbavano e feci un passo indietro per allontanarmi da lei.

Strega ammaliatrice , pensai dentro di me. Ma come fa ad avere certi poteri?

Ci congedammo da lei e ritornammo all'auto. La giornata stava volgendo al tardo pomeriggio ed era ora di rientrare in sede.

«Ho come l'impressione di essermi persa qualcosa. Guardando l'orologio, mi rendo conto che è passato più tempo di quello di cui ho avuto la percezione materiale!» dissi a Mauro appena usciti all'aperto.

«Solo un po'? Quella strega ti ha incantato di nuovo. Ti ha parlato in una lingua incomprensibile, mentre tu la ammiravi dalla testa ai piedi. A un certo punto ho pensato che vi sareste baciate. Però io ho approfittato della situazione per raccogliere qualche altro elemento, che poi ti mostrerò. La strega era talmente concentrata su di te e sulle parole che stava declamando che non ha fatto caso a me. Avrei potuto slacciarle quell'insulsa gonnella di jeans, lasciandola in mutande, e neanche se ne sarebbe accorta. Adesso guida tu, io voglio avviare subito qualche piccola ricerca sul computer di bordo.»

Non appena staccai la frizione e pigiai il pedale dell'acceleratore, la Lamborghini scattò in avanti come un cavallo imbizzarrito tenuto alle redini da un cavaliere inesperto. Mauro, concentrato sul display del computer, sembrò non far caso al mio stile di guida, che dopo qualche istante adattai alle caratteristiche dell'auto. Capii che dovevo assumere un'andatura moderata, tenendo il piede destro appena appoggiato sul pedale dell'acceleratore, così da non provocare brusche impennate alla velocità. Dopo qualche minuto di silenzio, in cui Mauro era concentrato sul computer e io sulle curve della strada maledetta, il mio collega proruppe in un esclamazione.

«Bingo! Qualcosa lo abbiamo trovato. La maggior parte delle impronte digitali che ho rilevato appartengono alla padrona di casa. Per il confronto ho acquisito una sua impronta dalla tazza in cui ho bevuto la tisana. Nei database non risulta alcuna corrispondenza delle impronte di Aurora con quelle di criminali schedati. E fin qui, direi, niente di nuovo. Però ho un'impronta sul vaso di porcellana contenente il tabacco e un'altra sulla maniglia della porta d'ingresso che hanno rispondenza con individui schedati. E indovina un po'! La prima è di Larìs Dracu, la rumena di cui si sono perse le tracce venti anni fa. La polizia rumena aveva a suo tempo arrestato la giovane come presunta sediziosa e l'aveva schedata. Dopo la caduta del regime comunista, anche i database della polizia segreta furono resi accessibili e quindi ho avuto accesso al dato. In ogni caso la scheda è stata aggiornata in seguito, in quanto era stata segnalata la fuga dal paese di questa donna, descritta come pericolosa criminale, addirittura potenziale assassina, e le foto segnaletiche erano state inviate a tutti i posti di controllo frontalieri d'Europa. Le ultime notizie su di lei risalgono all'estate del 1989, quando riuscì a passare sotto il naso di un doganiere italiano, all'aeroporto internazionale di Fiumicino, sotto il falso nome di Clarissa Draghi. Con falso passaporto italiano, si imbarcò su un volo diretto a Kathmandu. Dopo pochi giorni il doganiere, guardando la foto segnaletica che aveva attaccata davanti a sé, notò la forte somiglianza con la ventenne che era transitata di lì e avvertì la polizia nepalese, la quale avviò delle ricerche. In Nepal furono rintracciati gli sherpa che avevano accompagnato lei e la sua compagna di viaggio fino al confine cinese, ai limiti della regione del Tibet. Gli sherpa dissero che avevano aspettato invano per tre giorni il loro ritorno. Pertanto, se le due donne non erano state arrestate dalla polizia di frontiera cinese, si erano perse tra le montagne, trovando morte quasi certa.»

Distraendomi un po' dalla guida, ma senza permettere alla Lamborghini di prendermi la mano, proruppi in un'esclamazione.

«E invece morta non è, se abbiamo le sue impronte qui dopo venti anni!»

«Già. Ma veniamo all'altra impronta, che corrisponde a tale Stefano Carrega, il giornalista genovese scomparso nel 2000 qui a Triora insieme a due suoi colleghi. Classe 1949, negli anni '70 risultava iscritto alla facoltà di Lettere e Filosofia a Bologna. Fu arrestato durante una manifestazione studentesca. Accusato di rissa, violenza nei confronti di una sua compagna di università, resistenza a pubblici ufficiali e detenzione illegale di armi, in quell'occasione fu schedato. Non ha altri precedenti.»

«Beh, quelli erano i cosiddetti anni di piombo. E quindi anche lui è in zona ed è a stretto contatto con la signora Della Rosa! Ma siamo sicuri che siano impronte recenti? E credi che questi elementi siano sufficienti a convincere il dottor Leone ad autorizzare una perquisizione della casa di Aurora?»

«Di sicuro le impronte non risalgono a venti anni fa, in quanto non sarebbero più evidenziabili. Che questi indizi siano sufficienti ad autorizzare una perquisizione, ne dubito, però ci stiamo immettendo in una strada che da qualche parte ci dovrebbe condurre. Inoltre, ho fotografato con il palmare una delle scaffalature, dove c'è qualcosa che non mi convince. Ora scarico via bluetooth la foto sul computer e la ingrandisco per osservarne i dettagli. C'è una fessura che fa pensare a una specie di porta nascosta, forse un passaggio segreto. Ho provato a tirare o spingere lo scaffale, ma non accade nulla.»

«Sarà presente un meccanismo di cui solo Aurora è a conoscenza! Figuriamoci se poteva essere così semplice!»

«Sì, forse, o magari non c'è nulla ed è solo una mia impressione. L'ultima cosa che ho notato, mentre tu eri imbambolata davanti a lei, è stato un notebook acceso. Mi sono trattenuto a stento dall'inserirci una chiavetta USB, per scaricare i dati. non ho messo in atto il mio proposito solo per paura che, da un momento all'altro, Aurora si sarebbe girata e mi avrebbe sorpreso. Però sono riuscito a capire che il computer è connesso alla rete tramite una linea ADSL della Telecom e sono riuscito a memorizzare sia l'indirizzo IP, sia l'ID del computer, per cui non dovrebbe essere difficile accedere ai dati da un computer remoto.»

«Prima di stoccare un affondo ad Aurora, che potrebbe essere prematuro, voglio portare a termine l'esame di tutti gli elementi che abbiamo a disposizione, ma soprattutto ci tengo a visitare gli altri tre luoghi che non abbiamo avuto ancora modo di osservare: il Lago Degno, la fontana di Campomavùe e la Via Dietro la Chiesa. Sono convinta che potremmo trovarci qualche sorpresa.»

Continuai a guidare con prudenza il bolide, che sotto le mani di Mauro invece sfrecciava come una saetta, fino a raggiungere il distretto. Quando vidi parcheggiato lì avanti il furgoncino della Polizia Cinofila di Ancona, il mio cuore fece un balzo. Parcheggiai e scesi di corsa dall'auto, cercai con lo sguardo l'autista del mezzo e incontrai alfine il suo sguardo sorridente.

«Agente Bernardini! Mi hai portato Furia? Finalmente! Dov'è? Ancora dentro il furgone?»

«Buonasera dottoressa, e ben trovata, anche se la vedo messa ancor peggio di quando lavorava con i nostri cani. Ma da dove viene, da un percorso di guerra, da una prova di sopravvivenza? No, il suo Furia non è nel furgone, l’ho sistemato nel box in cortile, l’ho già rifocillato e ho lasciato acqua a disposizione. Lo troverà in perfetta forma! Ora, se non le dispiace, vado a riposare un po' prima di riprendere la strada del ritorno.»

«Ti ringrazio, agente, e salutami tutti giù in Ancona.»

«Certo! Sentiamo molto la sua mancanza dottoressa. A presto!»

Ricordavo bene il giorno in cui l'ispettore Santinelli, che era anche un cacciatore, aveva portato con sé un cucciolo di Springer Spaniel, figlio di una sua cagna.

«Ho provato questo cane, ha un fiuto eccezionale ma ha un grosso difetto, ha paura degli spari, per cui non è adatto alla caccia. Tu, Caterina, non hai un cane tutto tuo. Ha sei mesi, è un maschio, è in perfetta salute e regolarmente vaccinato. L’ho chiamato Furia, perché è sempre in attività, non si acquieta mai, insomma è un vero terremoto. Tienilo tu, sono sicuro che con le tue capacità farai di questo cane un vero fenomeno!»

Avevo accettato la sfida e sistemato Furia nell'unico box vuoto. Sapevo che lavorare con un cane così non sarebbe stato semplice ma, dopo qualche mese,ero riuscita a dominare la sua esuberanza. Gli avevo insegnato a obbedire a semplici comandi, che aveva appreso senza difficoltà, dopo di che mi ero dedicata a lavorare sul suo fiuto.

Avevo anche fatto visitare Furia da Stefano, che aveva confermato essere un cane in perfetta salute, resistente alla fatica fisica e dal fiuto eccezionale.

«Vedrai, ti darà enormi soddisfazioni! Questo deve essere il tuo cane, non lo affidare a nessun’altro e vedrai che campione ne verrà fuori!»

E in effetti, Furia mi avrebbe riservato grandi soddisfazioni e non me ne sarei mai separata per alcun motivo. Era per questo che, prima della partenza, non avendo intenzione di farlo viaggiare all'interno della stiva di un aereo, avevo organizzato per lui un viaggio a parte, con la complicità di uno dei miei fidati collaboratori delle unità cinofile.

A quel punto, non potei evitare di correre subito in cortile e subire le feste e le leccate affettuose di Furia. Mi gettai in terra e gli permisi di venire sopra di me, abbracciandolo e rotolandomi per gioco insieme a lui, col risultato di rendermi ancor più lercia di quanto non fossi già.

Quando salii di sopra, lungo i corridoi incontrai diversi sguardi, stupefatti dal modo in cui ero conciata. Mi venne incontro Laura, con un pacco di fogli in mano, che rappresentava il risultato delle sue ricerche. Mauro, d'altra parte, mi informava che erano pronti i primi risultati dell'autopsia, che il medico legale aveva bisogno di parlarmene, e che avevamo inoltre a disposizione i risultati degli esami della scientifica.

«Datemi un attimo di tempo per sistemarmi. Ci vediamo tra dieci minuti nel mio ufficio.»

Mi diedi una rinfrescata veloce, mi cambiai gli abiti luridi ed entrai nella mia stanza ancora intenta a rifinire il mio trucco, osservando il mio viso nello specchietto dell'astuccio del fard. A un certo punto notai, riflesse dallo specchietto, le scritte che avevo tracciato sul grosso foglio bianco quella mattina.

«Ma certo, come non averci pensato prima?» fu la mia riflessione. «ENOMOLAS ID IVRES, letto da destra a sinistra diventa SERVI DI SALOMONE. Quindi la setta fa rifermento al Re Salomone, uno dei pilastri della religione ebraica.»

Qualcosa era sfuggito alla strega, durante la prima delle nostre conversazioni, su Salomone, ma io non avevo approfondito il discorso, perché pensavo che mi stesse fuorviando. Forse l'avrei dovuta lasciar parlare. Ricordavo bene che uno dei testi più importanti a cui fanno riferimento le sette esoteriche è la “Chiave di Salomone”. In quel momento squillò il telefono. Era la dottoressa Banzi, il medico legale, a cercarmi.

«Mi scusi, Commissario, ma vista l'ora tarda e visto che, nonostante i miei messaggi, lei non mi ha richiamato, ho pensato di riprovare prima di andare a casa. Le ho mandato un primo rapporto sull'autopsia, ma ci tenevo a parlarle di persona.»

«Mi dica pure. Cosa ha scoperto di interessante?»

«La vittima era una donna fra i trentacinque e i quarant'anni ed è morta a causa del fuoco. La fuliggine nei polmoni prova che era viva quando il suo corpo è stato dato alle fiamme.»

«È stata bruciata viva, insomma. Che fine orribile!»

«Non sono state rinvenute altre lesioni sul cadavere, quindi ho pensato che sia stata stordita con dei sedativi o della droga, e questo lo sapremo nei prossimi giorni, se riusciremo a rilevarne qualche residuo dall'esame dei reni e del fegato. Il fatto che il cadavere sia carbonizzato rende tutto più difficile. Abbiamo un elemento, forse l'unico, che può farci risalire all'identità della vittima. Anche se la pelle è stata molto alterata dal fuoco, sulla gamba destra, nella parte interna del polpaccio, subito al di sopra del malleolo, si riesce a notare la presenza di un tatuaggio. Ho chiamato i suoi colleghi della scientifica per vedere se si riusciva, con i loro metodi, a visualizzare il disegno originale. Hanno fatto delle foto e mi hanno riferito che ci avrebbero lavorato. Poi le faranno sapere. È una cosa che non troverà nella mia relazione, ma ci tenevo a dirgliela. A presto dottoressa, e buonanotte!»

«Grazie di tutto, e buon riposo a lei.»

Uno dietro l'altra, entrarono nel mio ufficio Mauro e Laura.

«Mauro, già conosco i risultati dell'autopsia e ho parlato con il medico legale. Qualcosa di interessante sui rilievi della scientifica?»

«Qualcosa sì, direi. Il liquido infiammabile con cui è stato appiccato il fuoco è olio per lampade, una sostanza insolita, di uso non proprio comune. Per queste lampade, nell'antichità, come combustibile si utilizzava l'olio d'oliva, oggi si utilizza un derivato del petrolio a bassa densità, che produce meno fumo. Ci sono poche ditte che lo producono e sarà facile verificare se una di queste ne ha venduto un certo quantitativo qui in zona. L'altro elemento interessante è il tatuaggio. Con la spettrografia al computer, quelli della scientifica sono riusciti a visualizzare un tatuaggio, impresso nella gamba destra della vittima. Rappresenta tre libri affiancati avvolti da fiamme. Una particolarità? Sappiamo che Mariella La Rossa, la ragazza scomparsa nel 1997, aveva un tatuaggio identico nella stessa zona della gamba destra!»

«Quindi, come immaginavo, tra le due c'è un legame. E tu, Laura, che cos’hai da riferire?»


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