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Non Sono Come Tu Mi Vuoi
Non Sono Come Tu Mi Vuoi
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Non Sono Come Tu Mi Vuoi

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«Dipende. È lui che ti ha lasciata?»

«Sì.»

«Allora puoi far leva sul suo senso di colpa e sul fatto che ti ha spezzato il cuore.»

«Ma la colpa è mia. Gli ho fatto perdere il posto di lavoro a causa della mia stupidità.»

«Allora sei fregata!»

«Tu dici?»

«Si vendicherà. Questo è ovvio», s’intromise Patricia. «Io ti consiglio di rimanere lontana da lui il più possibile. Magari mettiti in malattia.»

«Credo che lo farò», mi ritrovai a dire, sentendo la pressione e l’ansia crescere dentro di me.

Erano passati sette lunghi anni. La storia che avevo avuto con lui aveva segnato la mia vita e ancora oggi sentivo che incideva sulle mie scelte e sulla durata delle mie relazioni.

Mi vergognavo a dirlo, ma la storia con Stefan era stata la più lunga della mia vita. Sei mesi erano stati sempre il mio massimo.

«Beh, tu non puoi salvarti da lui, ma puoi almeno aiutarci a salvare noi stesse?»

«In che modo?»

«Parlaci di lui.»

«Sono passati sette anni…»

«Com’è? Che tipo è? Non voglio farmi cogliere impreparata e vorrei fargli una buona impressione», mi bersagliò di domande Patricia.

«Avvisaci almeno se c’è qualcosa che è meglio non fare o dire in sua presenza», si accodò Breanna.

Non spogliarti davanti a lui sul posto di lavoro con il suo capo che vi guarda, per cominciare.

«È passato moltissimo tempo, ma penso che possiate stare tranquille. Stefan è uno di quei tipi un po’ allampanati, alti e magri. È castano chiaro e con gli occhi nocciola. Ha un bel viso, con dei lineamenti dolci. Ricordo che era molto gentile e affettuoso. Un pezzo di pane, insomma.»

«Uno che non farebbe del male neanche a una mosca», cercò di capire Breanna.

«Sì, esatto. Con lui non dovete temere nulla! Ricordo che era incapace di dire di no, a parte a me quando si trattava di lavoro. Inoltre, non era un tipo severo o cattivo.»

«Uno smidollato, insomma.»

Ridacchiai imbarazzata. Sentivo che non stavo descrivendo Stefan nel modo giusto, ma avevo paura di dire qualcosa di brutto che avrebbe potuto mettere in difficoltà sia lui che loro.

«Ottimo! Difetti?», mi chiese ancora Breanna.

«Si agita facilmente e, quando succede, tende a gesticolare molto», ricordai con una vena di nostalgia.

«Smidollato ed impacciato! Perfetto! Uno così ce lo mangiamo a colazione!», rise divertita Patricia, finendo di rimboccare le coperte, mentre io portavo l’ultimo vaso sul comò.

«Stavate parlando di me?» Una voce maschile ci arrivò alle spalle facendoci sussultare tutt’e tre.

«Scusi, lei chi è?», gli domandò Breanna, mentre io riconoscevo l’uomo misterioso di prima.

«Stefan Clarke», le rispose lui con quella voce bassa e ruvida che tanto m’incuriosiva.

L’idea che avesse sentito ciò che avevo appena detto mi fece raggelare, ma sospirai sollevata e mi avvicinai.

«Stavamo parlando di un’altra persona. Un suo omonimo, suppongo.»

«Ne sei sicura, Eliza?», mi provocò togliendosi gli occhiali da sole.

Quando i suoi occhi nocciola, con striature verdi e oro, socchiusi in un’espressione di rabbia repressa, si scontrarono con i miei, rividi Stefan. Il mio Stefan!

Dallo shock, mi scivolò di mano il vaso che si frantumò ai miei piedi.

«Allora ti ricordi di me», mi sussurrò vicino, pugnalandomi con il suo sguardo feroce e minaccioso.

«Sei cambiato», riuscii solo a dire.

«In meglio o in peggio?»

Io volevo indietro il mio dolce ed impacciato Stefan, con i capelli spettinati e corti, lo sguardo gentile e il viso angelico sempre perfettamente sbarbato. Quello non era il mio Stefan.

Quell’uomo davanti a me non aveva nulla di ciò che mi piaceva del mio ex.

Il mio Stefan mi avrebbe fatta sentire a mio agio, mentre questo nuovo Stefan mi faceva solo sentire piccola ed insignificante, come un insetto da calpestare.

«Non lo so», mi limitai a rispondere, ma dall’espressione di Breanna compresi di aver detto la cosa sbagliata.

«Bene. Vedo che invece tu non sei cambiata per niente. Ora, ti consiglio di pulire in fretta questo casino e di servire quei clienti laggiù, invece di perderti in chiacchiere inutili. Ora che sarò temporaneamente il tuo capo, non ti permetterò più di far perdere tempo e denaro a quest’azienda. Non sei qui per perderti in ciance, ma per essere una valida risorsa per questo negozio, quindi comportati come tale. Mi sono spiegato?»

Annuii silenziosamente.

Non sapevo se essere più sconvolta per le sue parole o per il tono duro, inflessibile e sprezzante con cui si stava rivolgendo alla sottoscritta.

Lo Stefan di sette anni prima non avrebbe mai osato parlarmi in quel modo.

Che cosa ti è successo, Stefan?

«Ah, Eliza?», mi richiamò, dopo avere girato i tacchi per andarsene.

«Sì?»

«Farò detrarre il costo del vaso dal tuo stipendio.»

«Che cosa?! Ma non è giusto. È stato un incidente.»

«Quindi non te ne assumi la responsabilità?», mi sfidò con gli occhi ridotti a due fessure minacciose.

«Non ho detto questo, ma se tu non…»

«Basta così! Stai solo rendendo ancora più facile il mio lavoro qui dentro. Ora saprò da chi partire, quando presenterò la mia lista riguardante il taglio del personale.»

«Tu ti stai solo vendicando!», esplosi arrabbiata.

«Distruzione di proprietà dell’azienda e scenate fuori luogo davanti alla clientela. C’è altro?», mi disse iniziando a scrivere sul suo cellulare e indicandomi una coppia di clienti a poca distanza da noi. «Ora vediamo se riesci almeno a concludere una vendita.»

«Ma mi hai appena detto di pulire!», balbettai, incapace di reagire al suo attacco. Ero troppo sconvolta per oppormi e non ebbi la prontezza di rispondergli a tono come facevo di solito quando qualcuno mi stuzzicava.

«Muoviti.»

«Andiamo noi a servire quei clienti», si offrirono Patricia e Breanna al culmine dell’imbarazzo, pronte a dileguarsi.

M’inginocchiai a raccogliere i pezzi del vaso, facendo attenzione a non tagliarmi. Ci mancava solo che macchiassi di sangue il pavimento o i tappeti sparsi per tutto lo showroom.

Non ebbi nemmeno il coraggio di alzare lo sguardo, quando vidi Stefan allontanarsi.

Sentivo solo i suoi passi intorno a me.

All’improvviso, vidi un’ombra vicino al mio viso.

Stefan era posizionato dietro di me. Si era abbassato e il suo viso sfiorava il mio.

Non riuscivo a muovermi a causa della tensione, mentre la sua barba sfiorava la mia testa.

«Sono ancora uno smidollato impacciato?», mi soffiò all’orecchio.

«Io non l’ho detto.»

«Ho sentito ciò che hai detto su di me.»

«Allora mi sono espressa male.»

«Non importa. Avrai tempo per aggiustare il tiro e capire davvero chi hai di fronte.»

«Sicuramente non lo Stefan di sette anni fa.»

«Quello che hai fatto licenziare.»

«Ce l’hai ancora con me per quella storia, vero? Ti avrò chiesto scusa mille volte e poi sei sparito.»

«Mi sono trasferito a Londra e ora ho un’agenzia di temporary management . Quel fatidico licenziamento è acqua passata.»

«Allora perché ho la sensazione che tu ti stia vendicando?»

«Non mi sto vendicando. Voglio solo farti provare ciò che mi hai fatto vivere tu anni fa.»

«Questa è vendetta!»

«Tu sei una preda troppo facile per poter parlare di vendetta. Ancora un passo falso e ti faccio licenziare prima della fine della giornata. Con te non devo neanche sforzarmi di pianificare un modo per sbatterti fuori, perché ci penserai tu da sola. Al contrario di me, tu non sei cambiata per niente. Sei sempre la solita irresponsabile, frivola e disattenta ragazza di allora.»

«Non è così. Anch’io sono cambiata.»

«Ne dubito», mi rispose gelido, alzandosi e andandosene lontano da me.

Avrei voluto scoppiare a piangere.

Non era così che volevo cominciare la giornata.

Non era così che avevo sempre sognato di mostrarmi a lui, se un giorno l’avessi rivisto.

Dopo la nostra rottura, mi ero fatta una promessa e l’avevo mantenuta.

Non ero più quella testa calda di tanti anni prima.


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