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Non Sono Come Tu Mi Vuoi
Non Sono Come Tu Mi Vuoi
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Non Sono Come Tu Mi Vuoi

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«Luigi mi ha detto che, se continua così, dovrà chiudere e se ne ritornerà in Italia. Le vendite sono in calo, i clienti sempre meno e ci sono troppe spese», aggiunse Lexie preoccupata. «Non posso perdere questo lavoro. Ho un figlio da mantenere ed un ex marito che mi paga gli alimenti con il contagocce.»

«Anch’io. Vivo da sola e non posso pensare di tornare a casa dei miei», mormorai angosciata all’idea di rimanere senza stipendio e finire sotto le mire asfissianti di mia madre, che non accettava ancora che fossi vegana o di mio padre che non mi aveva ancora perdonato di aver lasciato gli studi universitari e aver preferito l’indipendenza grazie a quel lavoro come venditrice in un negozio di arredamento.

Avevo ventisei anni e non era quella la vita che avevo sognato. Da ragazza vedevo le venticinquenni come donne realizzate professionalmente, felicemente sposate, magari alle prese con la prima gravidanza.

Avevo immaginato una vita piena e meravigliosa, non di ritrovarmi a un passo dalla disoccupazione, ad abitare da sola in un monolocale con due randagi che mi usavano solo come albergatore gratuito che dava vitto e alloggio in base alle loro esigenze o al clima.

Nemmeno la mia vita sentimentale riusciva a darmi sollievo, dato che non ero in grado di portare avanti una relazione senza commettere errori o fare danni.

E le mie amiche… Hope lavorava tutto il giorno e viveva ancora con sua zia, mentre Arianna si era sposata e aveva sempre meno tempo per me.

Sbuffai amareggiata.

«Non vi preoccupate! Ci penso io a tenere in piedi la baracca!», esclamò alle nostre spalle Laetitia. «Ho appena concluso una trattativa per arredare un intero cottage vittoriano con vista mare a West Hill», ci informò riabbottonandosi con cura la camicetta che lasciava in bella vista svariati centimetri quadrati di pancia piatta, super abbronzata e un décolleté mozzafiato.

«Fammi indovinare: il tuo cliente era un uomo single!», ipotizzò Breanna, che ormai conosceva, come tutte noi, i metodi di abbordaggio della collega che usava sempre il proprio corpo per concludere contratti.

In quel momento ero sicura che Breanna si stesse chiedendo se avesse avuto più successo sull’uomo la pancia piatta di Laetitia o la sua quarta di reggiseno, dato che lei si lamentava spesso del suo fisico a pera con spalle strette, seno microscopico, ma fianchi e cosce in abbondanza.

Ancora si chiedeva cosa ci trovasse di bello in lei il marito, con cui era sposata da undici anni.

«Separato, con due figli. Ha una villa a Rye e un attico a Londra, ma ha da poco comprato casa qui per i weekend. È un direttore di banca e stasera andiamo a prendere un aperitivo. Non vi dispiace, vero, se esco mezz’ora prima? Mi coprite voi con Luigi.»

«Non ce ne sarà bisogno. Lo sai che a te perdona tutto», sibilò Lexie irritata dai favoritismi del capo verso la sua prediletta, che riusciva sempre a concludere le vendite migliori del mese.

La odiavamo tutti e lei non faceva nulla per nascondere la sua superbia.

«Lo so», ridacchiò soddisfatta Laetitia.

«Anch’io esco un po’ prima», si accodò Patricia, l’ultima dipendente assunta, mentre andava a farsi un caffè nel retro. «Stasera Benny mi porta al Delizia’s !»

«Di nuovo?», domandai troppo presa dall’invidia per stare zitta. Quel ristorante era il migliore e il più costoso della città. Le recensioni erano incredibili e avevo sempre desiderato andarci anch’io, ma i prezzi erano improponibili con il mio stipendio. Patricia era molto fortunata ad avere un fidanzato così dolce e ricco da poterla sempre invitare a cena in quel posto di lusso.

«Sì. Benny farebbe qualsiasi cosa per me. Ormai stiamo insieme da cinque anni e conviviamo da due. Siamo una cosa sola e lui vuole solo la mia felicità. Non è adorabile?»

«Sì», sussurrai soffocando un gemito di autocommiserazione.

Patricia aveva due anni più di me, ma alla mia età aveva già raggiunto traguardi che io potevo solo sognare.

«Stasera metto tutte le foto della cena su Instagram. Non perdetevele!»

Come potrei rischiare di perdermi la tua cena perfetta con l’uomo perfetto, sapendo che passerò l’ora successiva a sgranocchiare sedano per drenare i liquidi in eccesso (come fai tu nelle pause pranzo) e a piangere per la mia vita di solitudine?

«Pensate di lavorare oggi o di restare qui a chiacchierare? Magari volete che vi porti anche un caffè con i biscotti?», ci redarguì Ivan, il più vecchio venditore dello showroom con una passione per Autocad e le cucine componibili.

Evitai di rispondergli che avevo già preso due caffè e fatto fuori tutta la confezione di Oreo che mi ero portata dietro.

«Ivan, non ci sono clienti! Guarda, il salone è vuoto», gli fece notare Lexie.

«Questo non vi dà il diritto di stare qui a far niente! Avevo detto a Luigi di tagliare il personale, ma lui è troppo debole per arrivare a tanto e voi ve ne approfittate.»

Come sempre, in un attimo si scatenò una guerra tra Ivan e Lexie. Solo l’intervento di Didier, l’architetto che si occupava di progettare le camerette per bambini, riuscì a sedare la lite.

Ormai era talmente abituato al casino e alle urla del suo settore sempre pieno di bambini vivaci e agitati, che non si scomponeva più di fronte a una rissa.

Avevo sempre creduto che quel lavoro non lo toccasse minimamente, finché non mi aveva confessato di aver giurato di non volere figli dopo aver lavorato lì per un mese. Era persino pronto a farsi fare la vasectomia.

Come se la stanza relax riservata al personale non fosse già troppo piena, ecco che arrivò Dylan con la sua camminata da modello e un fisico così muscoloso che i vestiti attillati lasciavano sempre ben poco all’immaginazione.

Con nonchalance mi mise un braccio intorno alle spalle.

«Ehi, piccola, non è che avresti ancora qualche Oreo? Ho una fame…»

«Li ho finiti.»

«Anche il pacco di riserva?»

«Quello me l’hai preso tu giorni fa.»

«E non hai pensato di comprarne un altro?», mi rimproverò con quell’aria da seduttore incallito che mi faceva perdere la testa ed irritare allo stesso tempo.

Stavo per rispondergli che ero stanca delle sue pretese, quando lui si allontanò per andare a mettere il braccio intorno al collo di Lexie.

«Tesoro, andiamo a fumare?»

«Solo se offri tu», gli rispose seccata Lexie togliendosi quella ventosa dal corpo.

«Ho dimenticato le sigarette a casa.»

«Come sempre.»

«Dai, tesoro.»

« Tesoro lo dirai a qualcun’altra, chiaro?»

«Dio, quanto sei noiosa!»

Bello, scroccone e pieno di sé!

Anche se io ero la sua piccola e Lexie il suo tesoro , lui rimaneva eternamente single e solo noi due sembravamo capirne il motivo.

«Vai a rompere a Laetitia. Sono sicura che, se te la porti di nuovo a letto, ti perdonerà per averla scaricata la volta scorsa», lo liquidò Lexie irritata.

«È successo solo una volta e abbiamo pure rischiato di essere beccati, dato che il letto dove abbiamo scopato s’intravede dalla vetrina principale.»

«Non è che avete rischiato! Voi siete proprio stati beccati dalla sottoscritta che vi ha avvisati, dando dei colpi sul vetro, mentre chiudevo il negozio», gli ricordai mettendomi tra lui e Lexie.

«Pensavo volessi unirti a noi.»

«Non sono quel genere di persona! Invece di andare in palestra, perché non inizi a fare anche qualche esercizio per tenere attivi quei due neuroni che ti sono rimasti?», sbottai nervosa, cercando di non far tornare a galla i miei ricordi da adolescente in cui ne combinavo di cotte e di crude, a tal punto da portare a conseguenze anche catastrofiche per chi mi stava accanto.

Avevo distrutto la carriera di un mio ex con il mio comportamento e da quella volta non mi ero più permessa di fare qualcosa di avventato o fuori dagli schemi. Da ribelle ed eccentrica ero passata ad essere una brava ragazza affidabile e a tratti noiosa.

«Che cosa sono i neuroni?»

«Oh Dio, ti prego, sparisci dalla mia vista!», lo supplicai spingendolo via.

Dato che eravamo al completo, come di consueto, preparammo un altro giro di caffè per tutti.

Il salone era vuoto. Mancavano solo Luigi, il capo, e sua figlia Stella che si occupava della contabilità e dei finanziamenti, ma che in realtà non era mai presente e usava la sua posizione per dettar legge e comandare chiunque, anche se aveva appena ventidue anni ed era la più giovane del gruppo.

«Approfitto di questo momento in cui siamo tutti qui per dirvi che ho scoperto cosa intende fare Luigi con questo negozio, dato che il suo commercialista gli ha consigliato di chiuderlo», eruppe all’improvviso Ivan, il più vecchio dei dipendenti e amico del capo da vent’anni.

In un attimo, io, Lexie, Breanna, Laetitia, Patricia, Didier e Dylan ci paralizzammo dalla paura.

Eravamo tutti terrorizzati all'idea di perdere il posto.

«Come sapete, Luigi è troppo buono per spedirci a casa senza prima tentare di tutto, così ha chiamato un temporary manager , una persona che verrà qui per un po’ a seguire il nostro lavoro e a valutare con il suo team quali provvedimenti adottare per tenere in piedi la baracca.»

«Sicuramente proporrà dei tagli del personale!», esclamò agitata Breanna.

«È probabile. Per questo sarà indispensabile lavorare con impegno e concludere più vendite possibili.»

«E se non dovessimo riuscirci?»

«Allora Moduli Arredi chiuderà entro la fine dell’anno. Ho sentito che Luigi lo diceva a sua figlia.»

2

«Non ho chiuso occhio stanotte, per via di quello che ci raccontato ieri Ivan», confessai a Patricia, mentre cambiavamo i listini esposti a causa della nuova idea promozionale di Luigi.

«Nemmeno io», sbuffò lei.

Stavo per fare il giro dei salotti per controllare di aver cambiato il prezzo a tutti i divani esposti, quando notai un uomo entrare nello showroom e aggirarsi per lo stand.

«Buongiorno, posso aiutarla?», gli domandai, cercando di mantenere un sorriso gioviale e il contatto visivo, come ci aveva insegnato Luigi.

Purtroppo quella volta non fu un’impresa facile, perché quell’uomo portava gli occhiali da sole e aveva un aspetto tanto austero da mettermi in soggezione.

Indossava una camicia bianca alla coreana, senza colletto, sotto un completo nero piuttosto elegante e di alta sartoria. Sembrava un abito fatto su misura perché era perfetto in ogni sua misura.

Ciò che, però, mi mise maggiormente in crisi fu il suo look, così alternativo e hipster con quella barba curata e quei capelli castani chiari, lunghi, perfettamente tirati indietro ed acconciati in uno chignon alto, elegante ma sexy.

Era difficile dargli una collocazione con quell’aria orientale che si scostava dal resto, ma nello stesso tempo formava un connubio di stili affascinante e misterioso.

Era impossibile da definire o descrivere.

L’unica cosa di cui ero certa era che quell’uomo non era di Hastings, perché la città era troppo piccola per non conoscersi tutti e un tipo così sarebbe stato subito notato.

«Do un’occhiata in giro, se non le dispiace», mi rispose con voce bassa e leggermente graffiante, quasi irritata.

«Certo, faccia pure. Se ha bisogno, mi trova qui.» Gli sorrisi con gentilezza, ma lui non ricambiò e se ne andò verso il reparto delle cucine, dove venne subito passato al radar da Laetitia.

Rimasi ancora a disposizione di vari clienti, prima di essere chiamata da Patricia.

«Eliza, sono arrivate le lenzuola della nuova collezione. Luigi mi ha chiesto di rifare i letti per mostrare ai clienti la merce. Ti va di darmi una mano?»

«Volentieri», esultai contenta. Adoravo il momento in cui ci mettevamo insieme a riarredare gli ambienti.

Nel reparto delle camere da letto, trovammo anche Breanna.

«Le adoro!», sospirò, innamorata delle nuove coperte di cashmere appena arrivate dall’Italia.

«Io e Bea rifacciamo i letti; a te andrebbe di cambiare l’oggettistica presente su comodini e comò?», mi propose Patricia.

«Ai tuoi ordini!», esclamai emozionata, correndo a prendere le lampade Kartell che erano rimaste in magazzino e qualche vaso da riempire con peonie finte.

Inutile dire che, durante i miei andirivieni, incontrai il cliente misterioso già in compagnia di Laetitia che si era slacciata di nuovo la camicetta per mettere in mostra il suo reggiseno di pizzo rosso.

Un’altra vendita regalata a quella strega! Non dovevo andarmene! Avrei dovuto tampinarlo finché non mi avesse comprato qualcosa! Uffa!

Per fortuna la nuova esposizione che stavo preparando mi tirò su di morale, tra le chiacchiere di Patricia e Breanna.

«E non vi ho detto l’ultima! Ivan aveva ragione a dire che Luigi chiamerà un temporary manager . So che arriverà a breve. Me l’ha detto Stella, la figlia», ci informò Patricia.

«Chissà chi è.»

«Si chiama Stefan Clarke.»

Al suono di quel nome stropicciai un fiore che stavo infilando nel vaso sul comodino.

«Ne sei sicura?», sussultai agitata e con la mente affollata dalle immagini del mio ex ragazzo di sette anni prima.

«Sì. Me l’ha detto pochi minuti fa e sai che ho un’ottima memoria con i nomi», mi rispose Patricia.

«Oh Dio!»

«Lo conosci?», comprese Breanna.

«È un mio ex.»

«Stai scherzando?», gridarono in coro le mie due colleghe.

«Sono stata con Stefan sette anni fa. Ero solo una ragazzina all’ultimo anno di liceo e lui era più grande di me di tre anni. Siamo stati insieme solo sei mesi, ma…»

«Questa può essere un’arma a doppio taglio, lo sai?», mi disse Breanna.

«Mi licenzierà?», sussurrai a bassa voce con la tremarella addosso.