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Acqua Dentro Acqua
Mirko Ravaschino
La storia tragicomica di Nero che incontra Sofia. Il peso di un passato scomodo che influenza il presente.
Nero fin da piccolo è stato particolare. Non è mai riuscito a tracciare una netta linea di separazione tra reale e immaginario. Una storia d'amore sbagliata, il suicidio della sua ragazza, la fuga, il ritorno e l'incontro con Sofia. Una giovane donna che pensa di non aver mai avuto la libertà di scegliere la sua vita. Si è sempre sentita vittima degli eventi. Fino a quel momento.
Acqua dentro acqua
1
1 Aprile
Avevo dormito poco. Quando dormivo poco mi pareva tutto confuso. Sembrava che i mondi si mescolassero. Più del solito. Eppure, proprio in quegli attimi, c'era un'esatta corrispondenza tra realtà, sensazioni e percezioni che provavo. Mi pareva che solo in quei momenti riuscissi a cogliere “fuori” tutte le sfumature che avvertivo dentro. Uscii a far colazione. Le nuvole erano gonfie e bianche. Sembravano vele spiegate. Galleggiavano lentamente. Avvolgendo il sole. Svestendo il sole. Presi un caffè. E rimasi seduto. Avevo con me il mio vecchio compagno ed amico Zarathustra.
Ogni tanto ci parlavo. In silenzio. Lo conoscevo bene. E lui conosceva bene me. Eppure scoprivo tutti i giorni qualcosa di nuovo. Sempre diverso. E mi scoprivo sempre un po' cambiato rispetto al giorno prima. Sarei partito quella stessa sera. Prima però avevo una persona da salutare.
Ci sono cose che annullano le distanze e i tempi, magie. Sono le emozioni, i sentimenti.
***
Sofia aprì lo sportello dell'auto. Il piede rimase penzoloni fuori, mentre indugiava ancora seduta nell'abitacolo. Accanto alla ruota un foglio di giornale, mosso dal vento. 30 marzo. “Oggi” pensò. Scese dall'auto e lo raccolse. Richiuse la portiera. Iniziò a sfogliarlo mentre raggiungeva il cestino.
Oroscopo del giorno.
Sagittario:
“Non sarà una giornata facile, sopratutto per chi ha deciso di troncare una storia. Però ricordatevi sempre di sorridere. Il sorriso è una calamita per la felicità. Non cercatela fuori. Ma dentro.”
Non sapevo perché mi ostinassi a leggere quelle sciocchezze. Era come guardare i fondi del te...e non avevo nulla da fare.
Sorridere. A volte mi sembrava di non ricordare più come si facesse. Gettò il giornale e si guardò in torno. Oltre il parcheggio c'era un campo. Lo misurava con gli occhi. Dietro di lei gli ultimi palazzi. Non lontano c'era la casa di Marco. Ma non voleva pensare a questo. Non voleva pensare a lui. Un po' di tristezza, che torna, assieme al vento.
Che stupida.
Non riusciva proprio a fare a meno di sentirsi così. Si volta di nuovo verso quel mare verde scuro. Spettinato. Agitato. Come il suo animo. Il posto doveva esser quello. Superò il marciapiede ed iniziò a camminare su quelle acque di fili d'erba. La luce lasciava una lunga ombra. Ogni cosa era schiacciata da un mantello senza peso. Una gabbia di mani sui miei occhi. I rumori scomparivano. Ad ogni passo. Sempre di più. Sembravano sempre più lontani. Tutti i pensieri, gli affanni. Svanivano. Un passo dopo l'altro. C'era solo il sussurro del vento ed il frusciare del prato sotto i miei piedi.
Avevo percorso cinquecento metri e lo vidi, come sbucato fuori dalla terra. Un cordone ombelicale neroterra era il piccolo sentiero che conduceva al vecchio caravan abbandonato. Nascosto da due alberi. La neve che alcuni giorni prima aveva gettato un candido quanto evanescente e inutile velo sul mondo, si era dileguata facendo posto alla primavera. Erbe selvatiche tutte intorno, e acerbe pannocchie di grano. E proprio nel mezzo spuntava scricchiolava di vagiti ventosi il vecchio cimelio. Un carrozzone in parte distrutto. Man mano che si avvicinava lo studiava. Non era molto bello.
La fiancata cariata in legno era tenuta insieme da un vecchio cartellone del circo, tre panda dall'aspetto docile. Ricordo di un tempo che fu. Qualcuno vi aveva vissuto dei sogni forse... o esorcizzato le proprie paure. Qualcun altro forse ci aveva trovato dimora, fatto l'amore, riparo nomade di puttane e senzatetto. Un letto romantico su ruote che cigolava ad ogni folata di vento o ansimo di vita esausta. Adesso era silenzioso. E odorava di umido. Muffa e calore. I rumori della civiltà, del presente, erano già svaniti nei ricordi. Un ultimo passo prima di giungere altrove. Di superare il velo che separa da tutto il resto.
Solo il vento nelle orecchie. Ed il gracchiare dello sportello che ogni tanto si muoveva sbattendo qua e là. Una vela metallica di un vascello in secca.
Sembrava tutto così desolato. Qualsiasi cosa ci fosse stata di bello qui in passato, di sicuro adesso non c'era.
Feci un sospiro. Non sapevo perché mi trovassi in quel luogo. O forse sì. Lo sapevo. Mi strinsi un po' il cappotto e rimisi a posto il cappellino. Nonostante fosse oramai primavera faceva ancora freddo. I primi fiori cominciavano a sbocciare e gli alberi a fiorire. Eppure non sembrava affatto primavera. Non dove mi trovavo io. Non nel mio cuore. Non c'era tempo. Non qui. Non ora.
Che ci faccio in mezzo ad un campo davanti ad un vecchio carrozzone distrutto? Quel luogo non sembrava affatto magico e bello come Nero le aveva detto. Fece un sospiro. Lei e la sua mania di capire le cose. Di capire i perché. Era curiosa. Lo era sempre stata. A volte quella sua curiosità le procurava problemi. Anche con le persone. Eppure, nonostante l'assurdità del posto e della situazione, era tranquilla. Sentiva ugualmente di potersi fidare. Anche qui, anche adesso. In una primavera che sembrava autunno. Guardò in alto. Era il crepuscolo. La luce non c'era più. Era andata via. Solo un'impressione di chiarore. Solo una leggera ombra appiattita. Tutto confuso. Mescolato. Il cielo con la terra. I colori con l'oscurità.
Rimase alcuni momenti a fissare quel rudere. La bocca chiusa in una smorfia. Aspettative. Le aspettative creano problemi. Siamo abituati a crearcele da sempre. Eppure perché dovremmo aspettarci che qualcosa o qualcuno si comporti come noi desideriamo? Che diritto abbiamo di aspettarci qualcosa? Eppure pensava davvero che l'avrebbe fatta star meglio. Mise le mani in tasca. Sarebbe andata via. Tornata alla sua vita. Quale vita? Quella che sembra andare in pezzi ad ogni buca. Ad ogni ostacolo. Ma aveva ancora voglia di sorridere. Era, forse, solo più stanca. Le venne in mente quello che aveva letto pochi minuti prima...
“Sì, ho ancora voglia di sorridere.”
E sorrise.
“Mi ci vorrebbe una pizza” si disse a mezza voce.
A volte parlava da sola. Lo aveva sempre fatto.
Adesso me ne vado. E mangio una pizza. Continuava a guardare il caravan. Giro i tacchi, riprendo il sentiero e lascio questo posto. Lo sguardo sprofondato su quel rottame. Torno alla macchina e fumo una sigaretta. Seduta nell'abitacolo. Comoda. Adesso. Che non arriva mai. Non poteva staccare gli occhi da quel vecchio e mostruoso catorcio in parte arrugginito che si sollevava come un baobab in una prateria africana. Non ci riusciva. Non voleva. Aveva qualcosa di magico. Fece un sospiro. “Vado”disse infine ad alta voce per spronarsi. E poi una bagliore leggero. Veniva da dentro il carrozzone. Stava prendendo vita.
Rimasi immobile. Non ero certa di aver realmente visto qualcosa. Forse era solo un riflesso, o un'impressione. E poi, accadde di nuovo. Una luce ad intermittenza. Come un neon guasto che stenta ad accendersi. Ma allo stesso tempo delicata come una candela. Un'altra luce. Un'altra. Ed ancora.
Quel posto era davvero vivo. Respirava. Sofia fece un passo in avanti. Con cautela. Come se avesse timore di rompere quella magia sul nascere. Lentamente si stava avvicinando all'entrata. Sbucò dal lato posteriore del furgone. Gli occhi che facevano capolino dal sentiero alle pareti del mezzo. Un piccolo balzo per evitare una buca. E all'improvviso lo vide. Davanti a sé. A meno di un metro, come se fosse sbucato dal nulla. Un sussulto. Per poco non le prese un colpo. Era Nero. Lì. Fermo. Immobile. Sull'uscio. Come se fosse in attesa del permesso del padrone di casa per entrare. “Non volevo spaventarti” disse lui voltandosi. Avevo uno sguardo triste e gentile. Sembrava un bambino cresciuto troppo in fretta. “Non ti preoccupare” rispose lei con un sorriso, tenendo la mano ancora sul petto. “Questa sera erano un po' in ritardo...ma alla fine... eccole” ed indicò con la mano l'interno . Luci e piccolo rumori. Sembrava l'interno di un vagone ristorante di un treno, illuminato da candele. Sospese in aria. Una coperta di stelle danzanti. “Sono felice che tu sia qui” “E' incredibile questo posto” disse Sofia che non riusciva a staccare gli occhi da quelle piccole luci; l'interno era completamente differente dalla facciata. Era più accogliente, più caldo...e sembrava, era, davvero magico. Il suo sorriso era dolce. A volte un po' trattenuto, come se pensasse di non meritare tutto ciò; altre, esprimeva uno stupore fanciullesco, tipico di chi è grato anche solo del fatto di esserci. “Vieni” le disse porgendole la mano “facciamo piano.” Entrarono attraverso la porta rotta sulla fiancata.
L'abitacolo si riempiva di un lieve ronzio intermittente. Luci che respiravano. Rimasero alcuni minuti col collo in su...in piedi.
“Sediamoci qui...tieni” disse Nero porgendole un grosso cuscino di velluto che aveva preso da una mensola. Sembrava di casa in quel luogo, era proprio a suo agio. Si misero entrambi per terra. A naso all'aria. Intorno il buio entrava dai finestrini rotti e si attaccava addosso. Assieme al vento fresco del crepuscolo che preannunciava la notte. E con esso giungeva un silenzio fatto di decine di lucciole. Ogni tanto quella vecchia carcassa in parte in legno in parte di metallo scricchiolava, come se respirasse. Anche lei.
2
Non più essere
In certi momenti mi sentivo alla deriva. In balia delle persone. E credevo che non ci fosse altro modo. Essere per qualcuno. Essere per gli altri. Mai per se stessi. Come se non ne fossi mai stata capace.
Non sono forte. In molti mi dicono che sono forte; che ho una gran personalità, che sono caparbia. Eppure io non mi sento forte. E non lo sono.
Se stai sul ponte di una nave in mezzo alla tempesta e il vento ti spazza con violenza, ti aggrappi alla prima cosa che trovi. Per non cadere in mare. Per non essere portata via. Per rimanere a galla. Nella speranza che la barca non affondi. Io non sono forte. Cerco solo di stare su. Sopra la superficie. Le cose le puoi controllare in un modo o nell'altro. Puoi tutto sommato prevedere le conseguenze delle tue azioni. Sai che se lavorerai, a fine mese avrai i soldi per l'affitto, per uscire a bere una birra, per mettere da parte qualcosa. Con le persone è più difficile. Le persone sono imprevedibili. Anche se poi in fondo sono tutte prevedibili. Cerco sempre di prevedere quello che faranno. Che penseranno. A volte mi sembra di agire in un modo piuttosto che in un altro in base alla reazione che prevedo. A volte non so neppure perché faccio qualcosa. La faccio e basta. E non penso.
A volte non mi importa.
E' come se, non comprendendo davvero ciò che desidero, mi ritrovi a fare tutto ed il contrario di tutto. Per capire. Io non so cosa desidero davvero.
“Mi diresti per favore che strada devo prendere per andarmene da qui?”
“Dipende molto da dove vuoi andare”- disse il Gatto
“Non mi importa molto il dove” disse Alice
“Allora non importa quale strada prendi” rispose il Gatto
E Sofia si sentiva proprio come Alice.
Trattenni a stento una lacrima. La ricacciai su a forza. Piangevo per nulla. Anche se guardavo un film, anche se ascoltavo una canzone. Solo che adesso era diverso. Mi sentivo sola. Persa. E non sapevo cosa fare. Che direzione prendere. Non mi sentivo affatto. Era come se non esistessi e me ne rendessi finalmente conto. E dovevo essere forte. Di una forza che non avevo in realtà. Avevo solo voglia di rimanere su. E niente altro. Stare a galla. Perché affondare è peggio.
Forse.
Può darsi che ero già affondata. E lo stavo comprendendo solo ora. Mi stavo mettendo a fuoco. Come quando esci da un sogno e realizzi piano piano che la realtà è un'altra. Tutt'altra da ciò che pensavi fosse.
Un po' di amaro in bocca.
Nausea. E non voler più sentire.
Guardavo Marco.
Dormiva.
Si appisolava sempre dopo che facevamo sesso.
Diceva che si rilassava così tanto che aveva bisogno di qualche momento di oblio. Ed ero sola. A volte mi sentivo sola anche quando mi scopava. E mi chiedevo cosa fosse sbagliato in me. Perché mi attaccavo così tanto alle persone?
Un sospiro.
Forse lo facevo per avere qualcosa in cambio. Un po' di loro. Un po' di me. E non sentirmi più “io”: sola sulla faccia della terra.
Volevo solo un pezzettino di amore. Niente di così speciale. Non una reggia o un sacco di soldi. Un pochino di amore. E niente più. Mi davo per ricevere.
Ma sapevo che infondo questo era sbagliato...non comprendevo realmente il perché. Però lo sapevo. C'era qualcosa di sbagliato in tutto ciò.
Non ero sola; lo sapevo bene. Eppure mi sentivo sempre un ingranaggio che girava in disparte. Un pezzo di qualcosa. Di cui non sentivo di far parte appieno.
Accesi la canna.
Da lì a poco Marco si sarebbe svegliato. Avrebbe fatto qualche tiro e avrebbe voluto scoparmi di nuovo. Io lo lasciavo fare. Mi piaceva come mi toccava. Come mi prendeva. Mi piaceva sentirmi sua.
Forse. Non lo so più adesso.
Dentro mi sentivo d'acqua. Un mare di tristezza che a volte tracimava. Quando Marco mi teneva forte mi sentivo sua. Sentivo di essere qualcosa con lui. Non sempre però. Anche se mi piaceva.
Volevo smettere di pensare. Non volevo più pensare. Non mi portava a nulla. Solo a sentirmi più sola. Mi sentivo sempre più sola.
Al terzo tiro Marco si era girato. Aveva preso in mano la canna. Con la mano mi sfiorava. Io lo guardavo. Il mozzicone finisce nel posacenere. Mi tira a sé. Mi bacia. Mi morde. Mi stringe.
Mi prende.
Da dietro.
E mi scopa.
Non penso.
Non sono.
Non esisto.
Godo.
Godo.
La mente si ferma.
I pensieri ghiacciano. Affondano nell'acqua, dentro lo stomaco.
Dopo piangerò.
In doccia.
Ora godo.
E non esisto più.
Mentre le sue natiche premono a balzi sempre più irregolari contro di me.
Mentre sento il calore del suo corpo.
Il sudore.
Dio quanto mi piace.
Forse tutto ciò è sbagliato, ma non so da che parte andare.
Mi lascerà vuota. Dopo.
Adesso. Mai più.
E non m'interessa più di nulla.
Anche se vado a pezzi.
Io non sono forte.
Ma godo.
E non più sono.
***
L'accappatoio è al solito posto. Il mio corpo trema, sorpreso, disarmato dall'improvviso freddo. Mi lascio alle spalle il bagno. Quella casa. Quella vita. Entro nel box doccia. Direziono lo spruzzino verso la parete finché il fumo del vapore mi circonda. Un mondo ovattato. Duro e morbido. Che mi scava. Ed io lascio fare. Gli permetto ogni cosa. E' come se piovesse dentro me. E non fossi più. L'acqua s'infrange sulla pelle.
Mi bagna l'anima.
Mentre cade a terra.
Scivola.
Via, come se avesse fretta.
E mi entra dentro. La respiro.
Vorrei tenerla.