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Il Dono di Corrupto era un veleno potentissimo: ne bastava una goccia per uccidere qualsiasi essere vivente. Le prede marcivano rapidamente, ma in maniera diversa, senza decomporsi. La loro carne risultava tossica e quindi, non commestibile per chiunque non fosse un goblin. Il Dono, infatti, era innocuo per loro ed essi lo usavano anche per curare le infezioni e le malattie: il veleno uccideva all'istante anche i vermi o qualsiasi altro essere microscopico procurasse il malanno.
I goblin erano stati rigettati da tutti i territori di Xantis, ma lì, nella Grande Palude, erano forti e numerosi proprio in virtù del Dono. Lo attingevano dalla Fonte di Corrupto e, grazie a esso, erano più pericolosi, oltre che immuni alle malattie.
Djeek raccolse la nutria e la infilò nel sacco resistendo alla tentazione di darle un morso: sapeva bene che Hork, l'addestratore, non tollerava che lo facesse. Si toccò la guancia, passandosi la mano su una cicatrice rugosa e ricordò con dolore l'episodio che per miracolo non gli costò la vita: fare ciò gli serviva per evitare che l'istinto prevalesse. Il suo compito era di catturare topi, rettili o altri animali commestibili... senza mangiarli: poi, se il risultato della caccia soddisfaceva Hork, allora gli erano concessi un paio di morsi, altrimenti digiuno. Come spesso gli capitava, si assentò dal presente, e si ritrovò, con il pensiero, a rivivere ciò che gli era accaduto tre cicli prima: erano due giorni che, come ricompensa per i suoi mediocri risultati, otteneva un pugno nello stomaco. Così, quando allo stremo catturò un appetitosissimo ratto, lo divorò immediatamente sperando di farla franca. Questo gli diede nuove energie e riportò il sacco pieno. A Hork, bastò annusargli l'alito per capire ciò che aveva compiuto. Così, prima lo malmenò rompendogli un paio di costole, poi lo colpì allo stomaco con lo scopo di fargli risputare il ratto, ma visto che quello era bello e digerito, pensò bene di riavere indietro quella piccola razione di carne strappandogliela con un morso direttamente dalla guancia.
Fu buttato nella latrina della vergogna dove sopravvisse per diversi giorni mangiando i vermi che brulicavano tra gli escrementi. Poi, forse apprezzando il suo attaccamento alla vita e il suo istinto di sopravvivenza, Hork lo tirò fuori dal pozzo fetido e gli concesse un'altra possibilità. Un piccolo scroscio lo trasse via dal flusso dei ricordi e lo riportò alla realtà: le prede lo attendevano, non era il caso di starsene imbambolato a rivangare il passato. Scaricò il disagio indotto da quei pensieri gravosi con un peto sonoro e tornò alle sue mansioni.
Nelle ore successive si diede parecchio da fare e la caccia andò piuttosto bene. Ormai, era diventato bravo, anche se questo non gli rendeva onore, poiché cacciare, pescare, conciare, costruire capanne o fare qualsiasi altro lavoro era umiliante per un maschio, lavorare era roba da cuccioli o da femmine. Un goblin rispettabile doveva dedicarsi solo a gesta onorevoli quali tendere imboscate, rubare, depredare, violentare e saccheggiare. Djeek sapeva di avere un'indole poco aggressiva: alcuni altri piccoli già si prodigavano in atti che prefiguravano azioni simili a quelle degli eroici razziatori adulti, ma lui mancava di quel talento. Ogni volta che provava a pianificare qualcosa di meschino, era goffo e prevedibile: l'istinto non lo assisteva. Mentre si rammaricava del suo handicap, fiutò l'odore che meno avrebbe voluto sentire: quell'odore significava guai ed era senza dubbio dell'odiosissimo Kitzo. Questi non era forte, lo era anche meno di lui, ma era talmente astuto e contorto da meritarsi il rispetto di tutti gli altri giovani del vivaio. Aveva persino ottenuto l'attenzione di alcuni adulti: metteva i compagni l'uno contro l'altro e, a ogni scontro, chissà come, il vincitore era sempre dalla parte sua... o viceversa. Djeek sperò che Kitzo non fosse da quelle parti per lui, ma la speranza durò poco, perché, prima che potesse localizzare l'odore, fu colpito in testa da una pietra che lo tramortì giusto il tempo per vedersi sfilare il sacco. Non appena si riebbe, si lanciò all'inseguimento: finalmente, quel bastardo non era circondato da suoi seguaci. Se lo avesse raggiunto, adirato com'era, avrebbe anche potuto infliggergli una lezione.
«Ridammi il sacco!» intimò con tono alterato.
«Se mi acchiappi, giuro di restituirtelo!»
Kitzo era rallentato dal bottino e Djeek lo raggiunse su un isolotto circondato da un canneto. «Ti ho preso rendimi il sac...» Si ritrovò con la faccia nel fango.
Dopodiché, fu una valanga di calci e bastonate. “Mi ha fregato di nuovo!” realizzò con amarezza. “Come ho potuto pensare che fosse solo! Ha tirato l'amo e il pesce ha abboccato.”
«Ragazzi, vi avevo detto che vi avrei portato a un banchetto! Diamoci dentro con questi bocconcini!» gongolò Kitzo.
«Grazie, Kit» risposero all'unisono due voci baritonali e ottuse.
Djeek alzò la faccia dal fango e, dall'occhio meno tumefatto, vide Gork e Girk: erano grossi e praticamente identici. I due erano estremamente possenti e per quanto riguarda l'astuzia... be', a quella ci pensava Kitzo.
Senza troppe speranze, raccolse le forze e con il fiato che gli rimaneva, intimò: «Io ti ho acciuffato, mi hai giurato di restituirmi il sacco!»
«Certo! Subito» rispose l'altro beffardo, lanciandoglielo.
«Ma che me ne faccio del sacco vuoto? Io lo rivoglio pieno!»
Poi, pensando che il maligno Kitzo avrebbe potuto riempirlo anche di melma, precisò: «Lo rivoglio pieno di prede!»
«Avete sentito ragazzi? Vuole il sacco pieno. Come vuoi, voglio essere gentile con te» disse. Quindi, rivolgendosi ai gemelli e indicando il malcapitato goblin, suggerì: «Che aspettate a colmare il sacco! Guardate quella pantegana lì, dovrebbe riempirlo bene. Mi raccomando, chiudetelo con cura non vorrete farla scappare.»
Nonostante i suoi sforzi, Girk e Gork non faticarono molto a rinchiuderlo. I tre malfattori mangiarono il più possibile selezionando solo le parti migliori delle piccole prede e gettando gli avanzi nell'acquitrino. Ogni protesta di Djeek era messa a tacere da violenti calcioni. In realtà, questi ultimi venivano generosamente elargiti, a intervalli regolari, anche se taceva. Quando ebbero finito, Kitzo spronò gli altri ad andarsene dicendo: «Forza ragazzi, dobbiamo correre ad avvertire Hork che questo sorcio da latrina, ha passato tutto il tempo a divertirsi anziché cacciare.»
Djeek sapeva che Hork, riconoscendone il talento, avesse un debole per Kitzo e che, anche quando questi compiva qualcosa di proibito, faceva sempre finta di non accorgersene.
Quando gli altri si allontanarono, dolorante, sfilò dal taschino una delle pietre taglienti a forma di stella raccolte il giorno precedente e si liberò.
La situazione era seria, per non dire disperata: mancava poco a mezzanotte e il sacco era vuoto. Pensò alla collezione di teschi di Hork e rabbrividì all'idea che la sua testa dovesse entrare a farne parte.
«Prima di morire voglio vederlo per l'ultima volta» pensò ad alta voce, mentre si avviava verso il nascondiglio del suo piccolo tesoro. «Forse, se lo riporterò al vivaio come un trofeo, mi risparmieranno... o forse, no.»
Raggiunto il luogo, spostò alcuni rovi dal ceppo di un vecchio albero e da una fessura sotto una grossa radice, sfilò lo strano bastone.
Registri di Dharta Misathon (ottavo giorno del mese quarto nell'anno 11522).
Il bastone magico.
Djeek prese il bastone fra le mani, non sembrava né di legno né di ossa né di metallo, probabilmente era di pietra, di una strana pietra nera, levigata e lucida: infatti, era più pesante di quanto la sua forma esile facesse intuire. Aveva un disegno lineare e privo decorazioni tranne che per una grossa gemma incastonata sulla testa attraverso quattro piccoli fermi dalla forma che il goblin associava ai denti del Verme Primordiale.
La gemma era nera, ma Djeek ricordava di averla vista brillare di una luce verde. Questo era avvenuto quando l'umano che aveva ucciso il mostro della palude si era immobilizzato assomigliando a una statua. Si era imbattuto altre volte negli uomini: spesso tra il bottino delle razzie, venivano riportati alcuni di essi. Arrivavano nudi e legati con robuste corde alle cavalcature ferine degli incursori. Erano tutti più alti e poderosi di qualsiasi goblin, però non erano molto resistenti. Venivano messi a lavorare, ma morivano subito o di fame o di malattia o, addirittura, di fatica: non a caso era un insulto diffuso dire "sei fragile come un umano". La loro carne non era un granché, Djeek la trovava pessima: essa veniva data ai groppalupi cavalcati dai razziatori oppure ai piccoli goblin; gli adulti si guardavano dal mangiarla, perché temevano di assimilarne la vulnerabilità. L'uomo a cui apparteneva il bastone, però, era strano. Un goblin qualsiasi non avrebbe notato alcuna differenza con gli altri, ma Djeek, acuto osservatore, aveva scorto delle anomalie: gli strani occhi, come fessure, il colorito più giallognolo e la statura piuttosto minuta.
Ricordava quanto fosse potente il bastone, ma aveva constatato che non lo fosse abbastanza per sopraffare i mostri per antonomasia, i mostri che bastava nominare per raggelare il cuore anche dei più temerari: gli elfi. Ne aveva sentito parlare nei racconti del terrore che si scambiavano al vivaio: erano i più grandi tra loro a raccontarli ai più piccoli per vederli tremare di paura. Ora, lui li aveva visti e, miracolosamente, era ancora vivo: avrebbe voluto raccontarlo agli altri, ma chi gli avrebbe creduto?
Erano terrificanti: alti almeno quanto un umano, dai lineamenti delicati, esili eppure così agili ed energici; avevano la carnagione pallida e grigiastra e i capelli del ripugnante colore dell'argento. Longilinei, affilati e lucenti, gli elfi sembravano delle spade micidiali. La cosa peggiore fu la tempesta che, nel vederli, si era scatenata dentro di lui: aveva sentito un odio ancestrale pervaderlo, un odio che bruciava dentro e che faceva più male dei pugni di Hork. Gli si erano drizzati tutti peli sulla testa e sulla schiena; non riusciva a fare a meno di mostrare le zanne e, a ogni pesante respiro, la bava gli colava copiosamente dalla bocca, mentre il cuore tamburava furiosamente. Aveva dovuto ricorrere a tutto il suo autocontrollo per domare l'orrore e rimanere fermo; il suo corpo avrebbe voluto muoversi d'istinto, non sapeva se per scagliarsi contro di loro o per fuggire.
Stentava a credere che loro, i goblin, potessero in qualche modo discendere dagli elfi. Guardò la sua immagine riflessa sull'acquitrino. Era piuttosto esile, proprio come loro, sì, ma per il resto non c'era nulla di più differente: a partire dalla pelle verdognola e butterata, i lineamenti marcati, i peli radi e ispidi, le zanne, le gambe arcuate, i palmi delle mani e le piante dei piedi forniti di cuscinetti e le unghie come artigli smussati. Gli elfi grigi erano completamente inodori, i goblin, invece, avevano il fiero odore dei lupi.
Come tutti i cuccioli, Djeek, non aveva mai assistito ufficialmente al Rito della Nascita, tuttavia la curiosità e l'interesse lo avevano portato, nell'occasione, a nascondersi in un angolo del vivaio lontano dallo schiamazzo dei suoi compagni. Da lì, aveva potuto udire in maniera fievole, ma piuttosto comprensibile il rullare tamburi, le urla tribali e soprattutto le parole. Durante il Rito, gli sciamani rievocavano l'origine della loro razza, esso prevedeva il sacrificio di un elfo. Purtroppo, negli ultimi anni il confinamento nella Grande Palude li poneva in territori distanti da quelli in cui questi vivevano. Pertanto, veniva usato un fantoccio con addosso qualche accessorio elfico rimediato nei saccheggi. Djeek aveva persino memorizzato le parole del Rituale: esse formulavano una cantilena antitetica a qualsiasi forma di poesia. Cominciò a recitarlo, mentre ripuliva il bastone dalla melma e dalle alghe:
La Guerra dei Quattro volgeva al termine
Tutti avevano perso
I Primi Nati dormivano da tempo
E il Mondo moriva
Idron il Placido, Idron dell'Acqua
Idron l'Inarrestabile piangeva per la sorte degli elfi degli abissi
e grandi tsunami affogavano i viventi in gorghi profondi
Petra l'Affidabile, Petra della Terra
Petra l'Inamovibile tremava per la sorte degli elfi delle profondità
e terribili terremoti inghiottivano i viventi in crepacci bui
Tempèra l'Algida, Tempèra del Gelo e del Fuoco
Tempèra il Furente ruggiva per la sorte degli elfi di brina e di fiamma
e spaventose eruzioni incenerivano i viventi e conseguenti glaciazioni assideravano i superstiti
Spiral il Libero, Spiral dell'Aria
Spiral l'Inafferrabile si straziava per la sorte degli elfi delle nuvole
e inarrestabili uragani risucchiavano i viventi in cieli tempestosi
La Guerra dei Quattro volgeva al termine
Tutti avevano perso
I Primi Nati dormivano da tempo
E Xantis moriva
Energon l'Arbitro, Energon del Magicka, dall'alto della Luna Clessidra taceva e osservava
I Quattro si servivano dell'energia del suo Mondo per plasmare gli elementi
tuttavia Egli la centellinava e scandiva lo scorrere del tempo di cui era padrone
si dichiarava neutrale ma la sua Arena li aveva incanalati verso la condanna
I Quattro erano prossimi ad abbandonare la Tenzone
Energon del Tempo avrebbe regnato anche sulle loro opere
I Dharta suoi figli erano al sicuro nella Clessidra Celeste
non combattevano ma scrivevano e ogni cosa annotavano
La Guerra dei Quattro volgeva al termine
Tutti avevano perso
I Primi Nati dormivano da tempo
E l'Arena degli Dei moriva
Tron il Supremo non era appagato
Egli voleva dichiarare un vincitore
Nessuno dei Quattro aveva prevalso
Tutti avevano perso
Un cambiamento e una perturbazione dell'equilibrio necessitavano
E Tron inviò Corrupto dell'Evoluzione
"Va e fa che la Guerra continui e che ci sia un vincitore
tuttavia dei Quattro nessuno devi avvantaggiare"
La Guerra dei Quattro volgeva al termine
Tutti avevano perso
I Primi Nati dormivano da tempo
E il tutto stava per appartenere a Energon
La Nebulosa Marcia brillò fiera sulla Volta Celeste
Corrupto aprì un varco e da esso emerse il suo Emissario
Il Verme Primordiale era potente quanto un Primo Nato ma presto si sarebbe assopito
Corrupto voleva disporre di servitori indigeni e l'Emissario lo ascoltò
Cercò il magicka nell'impenetrabile Torre di Cenere ne trovò la fonte
Segui le tracce e alcuni Elfi Grigi fuori da essa stanò
in una caverna di lupi si rifugiarono ma con tutta la grotta li divorò
La Guerra degli Quattro volgeva al termine
Tutti avevano perso
I Primi Nati dormivano da tempo
E Corrupto preparava il suo intervento
Nel ventre del Verme per decenni gli elfi furono deturpati
Soffrivano, si dimenavano, cercavano la morte ma non la trovavano
Sprizzavano lampi bluastri di magicka ma il Verme lo assorbiva e lo plasmava
Decomponevano tra spasmi, urla disperate e loro energia in odio mutava
Per decenni furono digeriti e con essi i lupi della grotta, la terra, il fango
Alla fine l'Emissario terminò il suo compito e dal suo ventre noi goblin fummo generati
Destinati a degenerare nella vecchiaia come i lupi mortali vivevamo
Feroci, astuti, letali e prolifici come i lupi ci diffondevamo
La Guerra dei Quattro volgeva al termine
Tutti avevano perso
I Primi Nati dormivano da tempo
E Corrupto si apprestava a regnare su Xantis
Noi goblin ci moltiplicammo a milioni
Tutti i popoli stremati sottomettemmo