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Natale Nell'Abbraccio Del Duca
Quello rise, afferrandole le mani e alzandole sopra la sua testa. “Una donnina pepata, sì.”
Una lacrima scivolò lungo la guancia di Marina mentre l’uomo premeva la coscia tra le sue gambe. Mentre lui tentava di aprirle le gambe un’idea si formò nella sua mente. Si sforzò di rilassarsi, di concedergli un po’ di terreno, poi sollevò il ginocchio e l scagliò contro l’ inguine di lui..
“Puttana.” L’uomo si stese sul pavimento della carrozza e rotolò in posizione fetale.
Con una disperazione che le scoppiava da dentro Marina incespicò verso la porta e si lanciò. Quando i suoi piedi scivolosi colpirono il terreno ghiacciato, cominciò a correre. I suoi piedi incespicavano nella neve mentre fuggiva verso i boschi.
“Non la passerai liscia. Ti congelerai là fuori.”
Il suono dei passi che la seguivano continuò, ma non osò guardarsi indietro per paura di perdere l’equilibrio ed essere riacciuffata.
“Da brava fatti prendere. Ti scalderò io.”
Si infilò in una fitta vegetazione e in cespugli spinosi. Con la mano cercò di farsi strada per impedire agli arbusti di schiaffeggiarla e graffiarla, e ciò fece bruciare e pungere la sua pelle. Eppure , correva con tutta la forza che aveva. Scorgendo una caverna semi nascosta in una piccola collina, si diresse verso di essa. “Prega, che non ci sia un animale famelico nascosto all’interno.” Con quel pensiero, cadde in ginocchio e strisciò dentro.
Marina cercò di calmare i suoi respiri affannosi mentre si rannicchiava nello spazio buio. Se l’avessero trovata adesso, sarebbe stata definitivamente in trappola. La caverna offriva lo spazio sufficiente per serrare la schiena contro la parete di terra tutta ghiacciata e piegare le ginocchia contro il suo ventre gonfio. Se quei furfanti l’avessero trovata, sarebbe stata completamente in loro balìa, una eventualità che non voleva assolutamente considerare.
Serrò la mano sul cuore che batteva all’ impazzata e tese l’ orecchio verso i suoi inseguitori. Il battito del cuore fu coperto da un altro suono, e poi il rumore degli stivali le giunse alle orecchie. Accidenti! Non aveva considerato le orme lasciate dai suoi passi. L’avrebbero sicuramente scoperta.
“L’ ho trovata.” La voce dell’uomo le fece salire un brivido lungo la spina dorsale.
Marina fuggì dal suo nascondiglio, mentre il suo sguardo andava alla ricerca di un’arma. Avrebbe dovuto atterrare l’ uomo perché non c’era davvero nessun posto in cui nascondersi : non per molto, almeno. Un robusto bastone si trovava sul terreno alla sua destra. Marina lo sollevò con le sue mani e poi lo fece ruotare in aria, testandone il peso.
Premette la schiena contro un albero vicino mentre il suono dei passi dell’uomo si fece più forte. Inspirò affannosamente, poi uscì allo scoperto gridando: “Sono qui.”
Il cuore le pulsava selvaggiamente mentre lo ascoltava avvicinarsi. Ogni scricchiolio dei suoi stivali ne aumentò la minaccia, finché non la raggiunse. Marina girò il bastone formando un arco perfetto portandolo a filo contro la mascella del bandito.
Cadde come un sacco sul terreno ghiacciato, gli occhi fuori dalle orbite. Misericordia, l’aveva ucciso? Si chinò per controllare, ma recuperò la ragione prima di farlo. Non aveva tempo da perdere con un uomo che voleva farle del male.
Con il bastone in una mano e i lembi dei suoi vestiti nell’altra, si avviò frettolosamente verso il ciglio della strada . Se l’altro uomo era rimasto accanto alla la carrozza, avrebbe potuto dover usare nuovamente il bastone. Gli stivali scivolarono in una zona ghiacciata e lei ce la mise tutta per rimanere in piedi. Le sfuggì un piccolo urlo di sorpresa.
Marina si guardò alle spalle, temendo che l’uomo potesse essersi ripreso e udito il suo grido. Una foresta innevata la salutò. Chiuse gli occhi ed emise un lento respiro.
“Prendi quella puttana.” Urlò la voce arrabbiata di un uomo.
Il cuore sembrò saltarle nel petto mentre gli occhi si spalancarono. Troppo tardi, perché l’uomo che aveva colpito dalla carrozza stava di fronte a lei brandendo la sua pistola.
Lui afferrò la donna per un braccio e strattonò. “Vieni. Hai causato abbastanza guai.”
Affondò i talloni nella terra, e la sua mente si stava agitando. “Lasciami! Non mi toccare! Vattene!” Lei emise quelle parole a denti stretti.
L’uomo la ignorò mentre continuava a trascinarla via. Quasi subito il suo compagno li raggiunse e la prese per l’altro braccio. La sollevarono da terra e la portarono verso la strada.
Marina scalciò e urlò mentre quelli continuarono il loro assalto. Più forte lei combatteva più forte loro le stringevano le braccia. Disperata, girò la testa e sputò sulla faccia di uno dei due uomini. Questi imprecando fece cenno di fermarsi accanto alla carrozza. Asciugandosi lo sputo dai propri occhi, rivolse uno sguardo freddo e minaccioso verso di lei. “Ne ho abbastanza di te.”
Una volta riappoggiati i piedi a terra, Marina ne sollevò uno e schiacciò forte il tallone sullo stivale dell’ uomo. Avrebbero potuto forzarla mentre la trasportavano. Avrebbero potuto aggredirla. Avrebbero maledettamente potuto fare qualsiasi cosa, ma non le avrebbero fatto del male senza combattere.
“Ahi!” Lui sussultò e la mascella scricchiolò. “Che ne dici se la lasciamo qui a congelare? Non c’è niente di lei che valga la pena.”
Un barlume di speranza si fece strada nel cuore di Marina. Se l’avessero abbandonata avrebbe potuto trovare un riparo. Di sicuro un viaggiatore di passaggio si sarebbe fermato per aiutarla. Lei guardò in su e in giù lungo la strada. Male che vada avrebbe potuto camminare fino a raggiungere una casa dove chiedere aiuto. In ogni caso, tutto sarebbe andato bene se avesse potuto liberarsi dai banditi.
“Sì.” L’uomo le rivolse una specie di ghigno, poi la strattonò contro di sé. Il suo alito le bruciò le narici mentre le sbuffava in faccia, i suoi occhi bruciarono in quelli di lei. “Non sopravvivrai neanche un’ora, ragazzina.” La spinse via, allentando la presa sul suo braccio.
Quando lei incespicò all’indietro il suo pugno le si schiantò contro i denti e il mondo divenne improvvisamente tutto nero.
CAPITOLO 2
Evan Lockheart, il Duca di Rowley, cavalcava tenendosi ben saldo, lungo tutta la sua proprietà. La pungente aria invernale si stagliava contro la sua faccia scoperta lasciandogli nuda la pelle, ma lui non prestava attenzione a una cosa del genere – infatti, sopportò il freddo. Era una tortura autoimposta allo scopo di scacciare i fantasmi che lo perseguitavano.
Erano passati tre anni dalla morte di sua sorella, due da quella di sua moglie, eppure non riusciva ad allontanare i ricordi. Quel periodo dell’anno, quando l’autunno lasciava il posto all’inverno per avvicinarsi alle feste natalizie, era particolarmente difficile per lui. Inizialmente aveva provato a cancellare i ricordi , ma fu uno sforzo che non dette alcun frutto.. Ora si era isolato nella sua tenuta di campagna, dove poteva almeno evitare gli sguardi e la commiserazione dei suoi pari.
Evan era ben consapevole dei pettegolezzi che lo circondavano. La gente lo chiamava recluso e parlava delle sue disgrazie. Nelle rare occasioni in cui si era avventurato a Londra, la gente lo fissava lanciandogli strane occhiate. Si era sentito chiamare Duca della morte in più di un’occasione. Anche se il soprannome era pesante, tuttavia lui pensava che gli si confaceva.
Tutti quelli che Evan aveva amato erano arrivati ormai al capolinea.. I suoi genitori erano morti in un incidente con la carrozza sei anni fa; poi c’era stato il suicidio della sorella, e infine sua moglie e suo figlio erano morti durante il parto. I lutti si accumularono, consumando la sua anima fino a che non rimase che cenere. Quando la polvere si diradò, si ritrovò nascosto nella campagna dove non poteva essere ferito di nuovo.
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