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Sette Pianeti
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Sette Pianeti

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Sette Pianeti

Oalif era perfetto per questa missione ma purtroppo sarebbe dovuto rimanere a bordo per non attirare sguardi indiscreti. Era infatti ricercato, il suo viso era noto e non sapevano chi e cosa il gruppo avrebbe incontrato.

La navicella atterrò in una verdissima radura assolata attraversata da un grande fiume dalle acque basse e trasparenti che lasciavano intravedere il fondale composto da una grande varietà di sassi dai colori vividi, come in un quadro impressionista.

- Il modo migliore per nascondere qualcosa è alla luce del sole, Oalif appena scendiamo attiva i pannelli di mimetizzazione e grazie, sei stato magnifico - si complimentò Ulica l’Eumenide.

- È incredibile questo posto, la nebbia che lo circonda una volta dentro svanisce e i raggi di KIC 8462852 riscaldano come in piena estate - fece notare appena fuori dalla navicella Zàira di Oria.

- Muoviamoci abbiamo poco tempo per trovare un rifugio prima di sera, Mastigo non ci darà molto tempo per trovare il monastero - ordinò Xam del Sesto Pianeta, quarto componente del gruppo.

- Inoltriamoci lungo il fiume - propose Zàira - la foresta che lo circonda ci coprirà mentre calcoliamo il percorso migliore.

Si addentrarono nella vegetazione, Xam e Zàira facevano strada mentre Ulica calcolava la direzione da seguire per giungere ad un villaggio Bonobiano dove contavano di ristorarsi e trovare informazioni sul monastero di Nativ, il loro obiettivo.

Xam, guerriero del Sesto Pianeta, umano, durante le ultime guerre si era distinto per coraggio e umanità.

Era un giovane adulto, alto e dal fisico scultoreo, aveva la pelle chiara e i capelli ricci, corti e nerissimi come i suoi occhi, le sue lunghe labbra si nascondevano sotto una folta barba densa di riccioli. Sui pantaloncini aderenti indossava una cintura multifunzione altamente tecnologica, ideata dal suo popolo per far fronte a situazioni di difesa o sopravvivenza. Il resto del suo corpo era coperto da un gel usato dai Sistiani per mantenere la temperatura corporea stabile in qualsiasi condizione meteorologica.

Zàira, sua coetanea, era di Oria, il pianeta dall’atmosfera ridotta. Una bruna corazza naturale la ricopriva, partendo a punta dalla fronte, per allargarsi lungo tutta la schiena sino alla coda, era il tratto distintivo della sua razza. Una corta e fitta peluria bianca copriva il resto del suo corpo, tranne il viso dai tratti umani in cui spiccavano i suoi meravigliosi occhi grigio verdi. Sulla fronte, ai lati della corazza, aveva due lunghissimi ciuffi di capelli bianchi che legava dietro la testa e finivano in una treccia che le arrivava fino alle spalle.

Ulica, la più giovane del gruppo, scienziata e matematica di alto livello, era di Eumenide. Fine ed elegante come una farfalla, il suo corpo era ricoperto da un velo naturale, color verde acqua e trasparente come ali di farfalla.

Aprendo le braccia spiegava delle ali vere e proprie che le permettevano di planare. Arricciate e adagiate sui dorsi di entrambi le mani, quasi a sembrare una decorazione, sottili lingue di seta si allungavano a piacimento per essere utilizzate come lazzo o frusta.

La ricerca durò più del previsto a causa di un malfunzionamento del rilevatore di posizione causato dagli strani effetti sulla strumentazione che si verificavano nel Mare del Silenzio. L’imprevisto li fece allontanare dal fiume portandoli fuori strada e causando un ritardo di alcuni giorni alla loro tabella di marcia.

Accortisi finalmente del problema, ritornarono sui loro passi e costeggiarono il fiume finché scorsero una radura. I loro occhi si affacciarono su una serie di piccole capanne disposte in cerchio, con al centro un trespolo usato per cucinare in comune la cacciagione. Le pareti erano costruite con tronchi di bambù gigante, legati insieme e sigillati con fango e stralci d’erba. Le coperture, costituite da intrecci di foglie di palma, in cima avevano un foro, che fungeva da camino, ricoperto da un ulteriore cono intrecciato.

Con loro grande sorpresa, si accorsero che il villaggio si trovava più vicino del previsto al luogo in cui erano atterrati.

Tutti gli abitanti, alla vista degli stranieri, fuggirono per ogni dove, infilandosi nelle proprie abitazioni, sembravano palle di biliardo colpite dal boccino a inizio partita.

Si trovavano davanti una delle poche tribù bonobiane che non si era voluta piegare al volere degli Anic, rifugiandosi in quel luogo impervio.

Non sfuggirono alla vista delle sentinelle, passò solo qualche istante e davanti a loro si presentarono dei guerrieri armati di lance.

- Siamo venuti in pace - si affrettò a dire Xam.

- Anche noi vogliamo pace - affermò il più panciuto dei guerrieri, che probabilmente era il loro capo.

- Per questo vogliamo che andiate via!

- Non cerchiamo guai, abbiamo bisogno del vostro aiuto, Oalif ci ha parlato del vostro coraggio.

- Oalif ci ha lasciati tanti anni fa. Cosa siete venuti a fare?

- A cercare il monastero di Nativ.

- Perché?

- Siamo qui per una missione di pace che coinvolge tutti i popoli.

- Molti inneggiano alla pace ma poi portano la guerra.

- Ma noi, come puoi vedere, non siamo Anic. Sono Xam dei Tetramir, avrete sentito parlare di noi…

- Xam del Sesto Pianeta?

Xam annuì.

- Andate a chiamare il saggio - ordinò il guerriero panciuto.

Xam non si aspettava di vedere uscire dalla capanna un compagno di tante battaglie e lo chiamò per nome:

- Xeri! Ecco dov’eri finito, pensavo ti avessero fatto sparire.

- Xam? Cosa ci fai qui, amico mio? È morta solo la mia anima di combattente: ho visto troppi giovani amici morire.

- Sono felice di vederti - esclamò Xam abbracciando il vecchio amico.

- Anch’io, ma cosa vi porta qui? Dov’è Oalif?

- Se avesse saputo che ti trovavi qui non saremmo riusciti a trattenerlo sulla navicella. Cerchiamo il monastero di Nativ.

- Allora non vi serve andare lontano, vi basta alzare gli occhi. Si trova sull’isola fluttuante.

I Tetramir alzarono lo sguardo al cielo e videro che, proprio sopra le loro teste, pendeva una spada di roccia enorme con in cima degli alberi che nascondevano la vista dell’interno dell’isola.

- Come facciamo ad arrivarci?

- Non è vicina come può sembrare, non fatevi ingannare, nessuno è mai riuscito a raggiungerla. Molti hanno provato inutilmente ad arrivarci - continuò Xeri - La distanza che vi separa dall’isola rimarrà sempre la stessa in qualsiasi modo cerchiate di raggiungerla, è come se si trovasse in un’altra dimensione. Guardatevi intorno, non proietta alcuna ombra sul terreno.

Non ebbero il tempo di riportare gli occhi sul loro amico, che un sibilo colpì la loro attenzione. Videro cadere a terra Xeri, Xam accorse per soccorrerlo ma comprese che era troppo tardi.

- Tutti al riparo - urlò.

- Alle armi - gridò il capo guerriero.

Di nuovo le palle di biliardo si sparpagliarono, ma questa volta le buche si trovavano nel sottobosco della giungla.

La battaglia infuriava, i soldati di Mastigo erano arrivati più velocemente del previsto. Alcuni piccoli erano rimasti pietrificati per la paura al centro del villaggio.

- Dobbiamo fare qualcosa - disse Xam, ma non ebbe il tempo di finire la frase che l’Oriana si era già precipitata su di loro per proteggerli con la sua corazza avvolgendoli.

Xam coprì il suo spostamento facendo fuoco, mentre Ulica, salita rapidamente su un albero grazie alle sue estensioni di seta, planò silenziosa sui soldati di Mastigo nascosti fra le sterpaglie, come un falco sulla sua preda, e li colpì a morte.

Smessi i colpi le femmine accorsero a recuperare i piccoli fra le braccia di Zàira che giaceva a terra colpita, Xam e Ulica si precipitarono da lei.

La piazza era vuota, un vento si alzò fortissimo, come un piccolo turbine si diresse verso il centro del villaggio senza distruggere nulla lungo il proprio tragitto. Zàira, Xam e Ulica sentirono i loro movimenti irrigidirsi e, come trattenuti per magia, non riuscirono a sfuggirgli. Volteggiarono per diversi secondi prima di essere depositati sul limite di un costone di quell’isola galleggiante.

Per un momento Ulica si sentì sospesa nel vuoto. La testa ancora le girava come quando da bambina per gioco, tenendo per mano le amiche, ruotava a più non posso, ma si riprese e cercò i suoi compagni di viaggio.

Xam aveva già trovato Zàira, che aveva perso i sensi, e le stava accanto in ginocchio: i suoi occhi scuri erano pieni di tristezza, un debole per quell’Oriana l’aveva sempre accompagnato.

Ulica si avvicinò a loro e, concreta come sempre, cominciò a controllare Zàira per capire cosa fare, le tastò il polso e disse:

- Battito lento ma normale, il suo corpo sta cercando di minimizzare lo sforzo per recuperare.

La girò lentamente per vedere dove l’avessero colpita, le scostò il vestito che portava legato dietro il collo e le lasciava scoperta la schiena per permetterle di arrotolarsi se necessario e la cingeva sui fianchi fino a metà coscia.

- È ferita sul fianco destro, dietro la schiena, fortunatamente di striscio, la sua corazza l’ha protetta.

Non aveva perso molto sangue, il laser aveva cauterizzato in parte la ferita che non era profonda.

- Non sembra abbia colpito organi vitali o sarebbe già morta - continuò Ulica.

Xam la guardava attonito, quell’uomo indomito che durante la battaglia non stillava una goccia di paura e pietà per i suoi nemici, abituato ai campi di battaglia dove l’orrore della guerra e del sangue erano cosa comune, non riusciva a parlare.

Fece cenno con la testa che era d’accordo.

- Dobbiamo trovare un posto per curare la ferita - suggerì Ulica.

Xam aveva già preso in braccio Zàira e si avviava verso quello che sembrava un tempio, sulla cima di una collina verdissima.

La sua vicinanza e il suo profumo gli riportarono alla mente quando da ragazzi Zàira lo tirò fuori dal Canyon dei Cristalli su Oria, era accaduto in uno dei i pochi periodi in cui lasciava l’accademia, per lui unica famiglia conosciuta.

Durante le vacanze, quasi tutti gli amici di corso rientravano nelle proprie famiglie. Non tutti i ragazzi avevano questa fortuna: alcuni erano orfani, come Xam; altri rimanevano perché le proprie famiglie erano troppo occupate dalle loro ambizioni lavorative; altri ancora, invece, appartenevano a famiglie dove realmente il troppo carico di lavoro non permetteva il loro rientro. Per tutti loro venivano organizzati dei campi estivi e spesso la meta era Oria.

Su questo pianeta, l’atmosfera era rarefatta a causa delle sue piccole dimensioni che comportavano una bassa forza gravitazionale. Tutti coloro che non erano Oriani dovevano indossare un piccolo compensatore d’aria per ottenere un’ossigenazione ottimale, senza si sarebbero sentiti come sopra la vetta di una montagna che supera gli ottomila metri.

Il soggiorno al campo estivo di Oria era scandito da una moltitudine di impegni ma alla fine delle attività giornaliere, Xam si ritrovava a bighellonare nei dintorni del campus, nelle cui vicinanze si trovava la fattoria del padre di Zàira e fu lì che la conobbe.

Quell’estate la loro amicizia si fece più solida. Come tutti gli adolescenti amavano mettersi nei guai più o meno grandi. Zàira, infatti, quell’estate raccontò a Xam di un luogo che a lei sembrava incantato, non svelò tutto in verità, tenne segreta una parte per non rovinare la sorpresa e soprattutto nascose che gli adulti lo vietavano per la sua pericolosità.

Fu così che trascinò l’amico in quell’avventura nel deserto. Chiese a Xam di indossare gli scarponi più pesanti che possedesse e non volle che portasse degli amici con sé, sarebbe dovuto rimanere un luogo segreto.

Camminarono a lungo, Xam non riusciva a capire perché, in quella giornata di caldo torrido, Zàira gli avesse fatto indossare quei maledetti scarponi.

Zàira non era mai stata una grande chiacchierona, percorsero un bel po’ di strada in silenzio finché Xam stanco le chiese:

- Quanto manca ancora?

- Non fare la schiappa, siamo quasi arrivati - rispose Zàira.

- Spero ne valga la pena!

- Vedrai che sarà così. Ci basterà arrivare in cima a quella salita.

- Allora vediamo chi arriva per primo - gridò Xam iniziando a correre.

Zàira si precipitò all’inseguimento, cercando in tutti i modi di fermarlo, ma Xam preso dalla corsa non la sentì.

Riuscì a placcarlo solo sulla cima del costone.

Xam, disteso a terra a faccia in giù, stupito, si voltò verso di lei:

- Perché mi sei saltata addosso?

- Non hai notato niente? - disse Zàira indicando con il dito - Ti ci volevi tuffare dentro?

- Wow, avevi ragione, è incredibile!

Davanti agli occhi di Xam si presentò un panorama fantastico, un grande canyon si apriva innanzi a loro.

Non era molto largo, ma non si riusciva a vederne il fondo. I fianchi apparivano con delle sfumature orizzontali brillanti, il colore vicino alla sommità era chiaro e dorato come la sabbia, più si guardava verso il basso più il colore sfumava avvicinandosi al rosso granata. Era diviso in due zone: una, più lontana da loro, piena di gruppi di cristallo di ametista che riflettevano il colore della roccia, l’altra piena di grandissimi fiori a calice dentro i quali ci si sarebbe potuti sdraiare comodamente in due. I calici si muovevano instancabilmente come un mantice per permettere alla pianta di incamerare una maggiore disponibilità di ossigeno, dando vita ad un danzante effetto scenografico.

Xam, stranamente, sentiva il suo corpo più leggero del solito, guardava meravigliato, tutta quella strada gli aveva fatto venire fame.

- Bene, veramente un bel posto per fare uno spuntino, spero che nel tuo zaino ci sia qualcosa di buono.

- Pensi sempre a mangiare - sorrise Zàira che

tirò fuori dallo zaino una fune, si sedette a terra, si tolse gli scarponi e li legò ad alcuni arbusti, dopodiché si avvicinò al canyon.

Xam non si rendeva conto di cosa la sua amica stesse combinando.

Non ebbe il tempo di domandarglielo che vide Zàira lanciarsi nel vuoto. Il terrore lo assalì e corse sull’orlo del precipizio per vedere che fine avesse fatto.

Si sporse dal costone e vide Zàira ridere e svolazzare.

In quell’istante avrebbe voluto ucciderla per la paura che gli aveva procurato, ma allo stesso tempo si sentì sollevato e felice di vederla.

Zàira si avvicinò velocemente al bordo e atterrò vicino Xam.

- Ma cosa ti è saltato in mente? Pensavo ti fossi spiaccicata sulle rocce. Potevi avvertirmi! - disse un po’ stizzito.

- Se te lo avessi detto mi sarei persa la tua espressione, avresti dovuto vederti! - rise divertita.

- Brava! - rispose ironicamente Xam sentendosi preso in giro.

- Scusami, non volevo spaventarti - aggiunse Zàira rendendosi conto che forse aveva esagerato.

- Lascia stare, piuttosto cosa ci fai con quelle bombolette d’aria in mano?

Domandò Xam sorridendo, pensando a come non riuscisse a restare arrabbiato con lei.

Erano delle comuni bombolette d’aria utilizzate di frequente su Oria e servivano per ripulire i radiatori dei trattori che si riempivano di sabbia.

- Mi danno la spinta finale che mi serve per rientrare. L’aria compressa mi aiuta ad accelerare e superare di slancio il piccolo aumento di attrazione gravitazionale vicino al costone.

- Come riesci a volare?

- Magia…

- Dai non scherzare!

- In verità, in questo punto del canyon, la somma tra l’attrazione gravitazionale così bassa e le correnti ascensionali create dai fiori giganti, ci permette di volare. Dai, togliti gli scarponi e seguimi.

- Tu sei matta! - esclamò sapendo che non avrebbe resistito a seguirla in quel volo.

- L’importante è stare lontani dalla zona con i cristalli. Non avrai mica paura, vero? - stuzzicò l’orgoglio dell’amico Zàira.

Xam si sedette a terra, si tolse gli scarponi e li legò insieme a quelli di Zàira e solamente in quel momento si accorse che stavano fluttuando, senza si sentì ancora più leggero, riusciva a malapena a tenere i piedi per terra.

- Metti in tasca queste - disse l’Oriana porgendogli due bombolette estratte dallo zaino - La prima volta ci tufferemo insieme.

Si avvicinarono sul ciglio tenendosi per mano e senza esitazioni, come solo i ragazzi possono fare, si tuffarono.

Volarono per un po’ insieme, finché Xam prese dimestichezza con il volo, poi Zàira svelò un’altra sorpresa.

Trascinò Xam vicino ad uno dei fiori che li aspirò dentro. Caddero in un soffice tappeto di stami profumati. I fiori, che all’esterno erano di un blu intenso, all’interno erano gialli o rosa chiaro con degli enormi stami color arancio. Xam non ebbe il tempo di sorprendersi, che entrambi furono delicatamente sputati fuori dal fiore. I due amici iniziarono a ridere a crepapelle.

Zàira cercò di spiegare, tra una risata e l’altra, che l’interno del fiore emanava un fluido esilarante.

A quel punto Xam era pronto per volare da solo e abbandonò la mano di Zàira che un momento prima stringeva fortissimo.

Il divertimento era al culmine e Xam continuava ad entrare ed uscire dai fiori.

Zàira cercò di avvicinarlo, aveva dimenticato di dirgli di non esagerare, il fluido esilarante poteva fargli perdere il contatto con la realtà.

Non passò molto tempo che questo accadde, Xam aveva perso il controllo e si avvicinava pericolosamente alla zona vietata.

Zàira pensò di dover intervenire prima che fosse troppo tardi, le punte dei cristalli sulla parete lo avrebbero ucciso. Xam però si muoveva alla sua stessa velocità per cui sarebbe stato impossibile raggiungerlo. Così tirò fuori dalle tasche le sue due bombolette e le utilizzò per accelerare. Raggiunse l’amico, che rideva non rendendosi conto del pericolo, un attimo prima che si schiantasse sulla parete e lo trascinò via.

Lo riportò nella zona dei fiori e non lo mollò più fino alla fine del volo, appena si trovarono sulla giusta corrente ascensionale, si fece consegnare le sue bombolette e, tenendolo fra le sue braccia, lo riportò al riparo sul ciglio del canyon.

Si rendevano conto di aver rischiato la vita ma non riuscivano a smettere di ridere. Rimasero sdraiati a terra stretti, vicini uno di fianco all’altro e attesero felici la fine dell’effetto del fluido esilarante prima di rientrare a casa.

Terzo Capitolo

Le pieghe che ne risultavano erano occhi e bocca dell’essere

Adesso era Zàira ad essere in pericolo e la distanza che li separava dalla cima della collina a Xam sembrava eterna. Lì si stagliava una cupola bianca, sembrava un alveare, aveva degli specchi esagonali che contornavano tutto l’edificio, riflettendo la luce del sole quasi accecante.

Più si avvicinavano al monastero, più un senso di serenità si infondeva nei loro cuori.

Xam, sfinito per il peso della compagna, continuò a camminare finché, arrivati al tempio, si trovarono d’innanzi un arco aperto che portava al suo interno.

Appena furono dentro, il corpo di Zàira si sollevò fluttuando dalle braccia di Xam, che non si oppose, sentiva che non c’era minaccia in quello che stava accadendo.

Fu trasportata verso un lungo corridoio e svanì lentamente dalla loro vista.

Centinaia di sottili colonne laterali sorreggevano un’immensa volta trasparente che si affacciava sull’Universo, come se il monastero si trovasse nello spazio, Ulica e Xam videro uno strano essere dalle forme alquanto insolite sul fondo della navata e si avvicinarono.

Il corpo, grigio-viola e approssimativamente cilindrico, era costituito dalla testa e da quattro sezioni che portavano due zampe ciascuna, quello che sembrava un naso a forma di trombetta era preponderante sul viso ma sembrava che qualcosa o qualcuno l’avesse spinto con forza verso l’interno, le pieghe che ne risultavano erano occhi e bocca dell’essere. Il suo corpo non era più grande di un sacco pieno di farina.

- Sento in voi un’energia positiva, scusate se vi ho trascinati qui, ma il gesto della vostra compagna mi ha colpito.

- Il gesto della nostra compagna non ci ha meravigliati conosciamo la sua generosità. Non dovevamo trascinare quelle creature inermi in uno scontro, abbiamo perso troppo tempo vagando per la giungla, consentendo a Mastigo di intuire dove fossimo diretti e portando le sue guardie in quel posto mite e sereno, errore imperdonabile - spiegò Ulica.

- Sarebbe stato impossibile per i Tetramir arrivare fin qui senza trascinare quelle povere creature in uno scontro.

- Come sai chi siamo?

Provò a chiedere Ulica, ma Xam la interruppe bruscamente mentre istintivamente le afferrava l’avanbraccio:

- Dove hai portato Zàira? - chiese al monaco, anche se sentiva che nulla di male potesse succedere alla sua amica in quel posto.

- Non preoccuparti, è al sicuro. Si sta riprendendo, fra breve sarà qui con noi.

La risposta gli sembrò vaga, ma continuava ad avvertire quella sensazione di benessere e serenità.

- Come sai chi siamo? - ripeté Ulica che voleva capire chi gli stesse davanti.

- Sono Rimei - proferì l’essere senza badare alla domanda - sono qui in meditazione. Le vostre anime e le vostre azioni, anche la bellezza dell’Eumenide di cui mi sfugge il nome - sembrava ridacchiasse soddisfatto della marachella - hanno, dopo trecento anni, attirato la mia attenzione.

- Ulica - il suo viso dai tratti dolci non si scompose per il complimento.

Esile e minuta, sapeva di essere molto bella e non lo nascondeva, la popolazione di cui faceva parte non era propensa ai corteggiamenti, né a nascondere le proprie opinioni ed emozioni. Si riproducevano, come le farfalle, da un bozzolo dal colore che avrebbe rispecchiato quello della creatura che stava per nascere. Le Eumenidi erano di tanti colori, tutti in tonalità pastello.

Ulica faceva parte delle nuove generazioni, create geneticamente. Sul pianeta, uno strano accadimento avvenuto durante l’ultima grande guerra, ancora allo studio dei geologi più esperti, ne aveva fatto spostare leggermente l’asse, creando degli squilibri ambientali e magnetici che avevano eliminato la popolazione maschile.

Per evitare l’estinzione della loro specie, le Eumenidi erano ricorse alla moltiplicazione dei geni maschili in vitro da utilizzare per la fecondazione artificiale.

Venivano geneticamente creati solo embrioni di sesso femminile, per evitare che nascessero altri maschi che sarebbero andati incontro a morte sicura. Mai disposte a piegarsi ad una sconfitta, ricercavano nel loro DNA quel gene che aveva loro permesso di sopravvivere per impiantarlo nel DNA maschile, in modo da renderlo invulnerabile alle nuove caratteristiche ambientali di Eumenide.

- Non mi hai ancora detto come fai a sapere chi siamo - insistette Ulica con il monaco.

- Perché io vedo molte cose. Aspettavo da tanto tempo che veniste a pormi le vostre domande.

- Quali domande? - chiese confuso Xam accarezzando la folta barba nera e riccia.

- Quelle sulla Kirvir - lo anticipò Ulica - Di cosa parlavi prima? - domandò poi rivolta al monaco - Cosa puoi vedere?

- Posso vedere tutto quello che succede sui pianeti, ma le informazioni a volte rimangono in me per breve tempo.

- Quanto breve?

- Dipende dalle informazioni, a volte per sempre, altre non più di un giorno o qualche ora.

- Cosa ci puoi dire della Kirvir? - chiese Xam.

- Kirvir è tutto: ci circonda, ci unisce e ci divide, se stimolata si trasforma, sembra che si possa governare ma in realtà è sfuggevole, può essere saggia o terribilmente pericolosa.

- Non ci stai dicendo nulla di nuovo - commentò Ulica.

- Non c’è nulla di nuovo, tutto è già intorno a noi - rispose il monaco - basta farsi trasportare da lei nella giusta direzione.

- Se tutto vedi, sai già qual è il nostro scopo, aiutaci a controllarla, questo ristabilirebbe l’equilibrio - dichiarò Xam.

- Logico che ci vuole aiutare - puntualizzò Ulica - o non ci avrebbe portati qui, il problema è come.

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