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Concludi Ciò Che Hai Iniziato
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Concludi Ciò Che Hai Iniziato

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Concludi Ciò Che Hai Iniziato

Ancora sposati, bene. Mia moglie è qui. Stanca. Dormi ancora un po’.

Dash attese, poi si sistemò di nuovo nel letto con un braccio intorno a lei, convinto che uno dei loro vicini fosse stato risvegliato dal torpore. Aveva richiesto il servizio in camera per la colazione alle otto, e non capiva perché...

Una seconda serie di colpi, più violenti, lo scosse. Imprecò. O la reception aveva sbagliato l’orario di consegna o qualcuno aveva sbagliato stanza. Dannazione. Aveva sperato di poter dormire almeno un’altra ora, per poi svegliarsi tranquillamente e fare l'amore con Gabby per stimolare il desiderio prima di affrontare la giornata.

Invece scivolò fuori dal letto, trovò i boxer e ci saltò dentro mentre si dirigeva verso la porta. “Vai via”, gridò. “Sei in anticipo di due ore.”

“Apri questa dannata porta.”

Cazzo. Avrebbe riconosciuto ovunque la voce calda di Walter Randall. Come diavolo aveva fatto a seguirli fin lì? Lui e Gabby non avevano detto a nessuno della loro fuga, né ai loro colleghi né ai parenti stretti. Men che meno ai genitori impiccioni. Si era fidato solo di Gabby per i loro piani, il che significava che qualcuno lungo la strada aveva ricostruito i pezzi del puzzle e aveva fatto la spia. Non c'era stato tempo, però, per badare all’impiegato dell'autonoleggio e alla donna che preparava il certificato di matrimonio e il compenso per la cerimonia nella cappella.

“Gabby!” gridò una voce femminile acuta. Ottimo. Era venuta anche Marie. Certo che era venuta, probabilmente aveva guidato lei. Tutti sapevano che la donna teneva Walter al guinzaglio. “Sappiamo che sei lì! Apri questa porta!”

“Eh?” Il rumore svegliò Gabby che si mise a sedere, le lenzuola piegate sul grembo. Sembrava così adorabile seduta lì, a seno nudo con i capelli che spuntavano da ogni dove. Peccato che i suoi genitori fossero venuti a rovinare quello che altrimenti si sarebbe potuto trasformare in dell’appassionato sesso mattutino.

“Tieni”, sussurrò lui e le gettò la vestaglia sul letto. “Hai detto ai tuoi genitori che eravamo qui?”

Questa domanda la svegliò. “No!” Lei si vestì in fretta. “Non mi hai mai detto in quale hotel dovevamo stare, quindi come potevo dire qualcosa pur volendo?”

I colpi e le urla si trasformarono in un panico frenetico e il sangue di Dash ribollì. Erano adulti, cavolo. Non importava che adesso fossero i suoi suoceri, Marie e Walter Randall non dovevano intromettersi in quel modo. Avevano intenzione di dare la notizia alla famiglia prima di avvisare la stampa, certo, ma si meritavano almeno un giorno per loro.

Fece un respiro profondo e tolse il ferro della porta, quindi aprì. I due talent manager di mezza età - Walter magro come uno stecchino e calvo con i suoi soliti pantaloni di velluto a coste e la giacca con le toppe ai gomiti, Marie formosa in uno dei suoi caftani con un’esplosione di colori tropicali - si agitavano nella stanza come se fossero pronti ad abbattere un cartello della droga. Nessuno dei due brandiva una pistola, ma l’ombrello che Walter impugnava come un ninja avrebbe potuto cavare un occhio a Dash se non avesse indietreggiato.

“Che diavolo sta succedendo qui?” chiese Marie. Camminava per la stanza con occhio critico, sicuramente alla ricerca di telecamere nascoste. Dash era al corrente di quanto i genitori di Gabby le stessero addosso, proteggendola dai media, dagli uomini e dai grassi saturi. Non c'era da meravigliarsi che si fosse sentita un po’ a disagio la notte precedente quando avevano fatto l'amore. Lei aveva voluto sposarsi, ma Dash non sarebbe rimasto stupito nel vedere sua moglie tirarsi indietro a un certo punto.

Compiere ventuno anni e liberarsi dalla stretta dei suoi genitori avrebbe dovuto cambiare tutto. Sì, era diventata ufficialmente un’adulta a diciotto anni come chiunque altro, ma dannazione, i suoi genitori e quel contratto ferreo...

Marie posò gli occhi su sua figlia e rimase a bocca aperta con orrore esagerato. “Santo cielo… Gabby, hai fatto sesso con lui? In un hotel economico?”

“Questo non è un hotel economico”, protestò Dash. Non per quanto aveva pagato.

Gabby si allacciò la vestaglia e si piazzò di fronte a sua madre. “Non è un problema tuo. Sono adulta e non sono più tua cliente. E anche se fosse, la mia vita privata non è affare tuo. Che ci fate qui?” Incrociò le braccia.

“Sei ancora nostra figlia”, disse Walter, esaminando anche lui la stanza. In cerca di cosa - contrabbando, porno, altre persone - Dash non lo sapeva. “E ci preoccupiamo per te.”

“Ha ventun anni...” iniziò Dash, ma Marie lo zittì con un rimprovero folle. Poi gridò di nuovo, mentre qualcosa si accartocciava nel suo pugno rigido.

“Cos'è questo? Viva Las Vegas Wedding Chapel?” I suoi occhi si spalancarono mentre leggeva. “Walter, si sono sposati!”

Walter si voltò verso Dash, mentre la rabbia gli arrossava la carnagione normalmente pallida.

Dash sorrise. “Ciao, papà.”

“Non dirgli 'Ciao, papà'. L’hai convinta tu a fare questo. L’hai ingannata”, lo accusò Marie. Si precipitò intorno al letto, agitando il dito con rabbia. “Gabby ha tutta una carriera davanti a sé, e col cavolo che manderà tutto all’aria sposandosi troppo giovane.”

Troppo giovane? Erano legalmente adulti, Cristo! “Intendi come hai fatto tu?” Sì, era un colpo basso, ma Dash conosceva la storia di Marie, il fatto che avesse rinunciato a una promettente carriera da attrice dopo essere rimasta incinta di Gabby. Di come invece lei e Walter avevano deciso di dare ai figli le opportunità che a loro erano state negate, tutto a vantaggio della famiglia.

Dash lo sapeva, perché i Randall ricordavano in tutto e per tutto il cast di Wondermancer High. Ogni volta che Gabby aveva mostrato segni di crollo o di interesse verso qualcosa che non fosse la recitazione, loro avevano giocato la carta del sacrificio e l’avevano fatta tornare sul set. Sarebbe stato disposto ad ammettere a se stesso o a chiunque altro che si era innamorato di lei in parte perché voleva proteggerla dai suoi genitori. Tuttavia, al momento Gabby sembrava cavarsela abbastanza bene da sola.

“Sì, è la mia carriera e la mia vita,” disse sua moglie, “e solo io ho voce in Capitolo su come le gestisco entrambe. Bene” - gli lanciò uno sguardo affettuoso - “Dash e io siamo una squadra adesso.”

Gli occhi di Marie si restrinsero fino a diventare delle fessure, lanciando pugnali invisibili a Dash. “Sei fortunato che non abbiamo chiamato la polizia.”

“Per cosa? Siamo fuggiti. Siamo sposati. Non ho dovuto costringere Gabby, perché lei è convinta tanto quanto me.”

“Esatto, mamma”, aggiunse Gabby. “Non puoi dirmi cosa devo fare. Nessuno di voi due può farlo. Non siete più i miei manager. Infatti, sono alla ricerca attiva di nuovi rappresentanti.”

Walter afferrò il certificato di matrimonio, agitando il pugno col foglio in faccia alla figlia. “Questo non è un matrimonio. Ci si sposa in chiesa, con un prete, con l’approvazione di Dio. Questa” - strappò il foglio tra le dita - “è una farsa.”

“Ehi, non farlo.” Dash sfiorò il certificato ma Marie, riuscendo in qualche modo ad afferrare l’ombrello senza che lui se ne accorgesse, gli agitò l'estremità appuntita verso il viso.

“Avrei dovuto tenerti d'occhio meglio sul set. Per tutto questo tempo ho pensato che Reed ci provasse con lei, invece no... succede sempre con chi meno te lo aspetti.”

Il loro co-protagonista Reed era gay e aveva una relazione con uno sceneggiatore, ma lui non lo disse. Voleva ridere per questo confronto: si era trasformato da spaventoso a ridicolo. Forse Marie potrebbe riprendere la sua carriera da attrice, dopotutto, e provare a fare dei provini per il ruolo di suocera pazza.

“Menomale che abbiamo assunto quell'investigatore privato, anche se siamo arrivati troppo tardi per impedire il matrimonio”, mormorò Walter.

“Cosa!” Gabby si precipitò a fianco a Dash, furiosa quanto lui. “Ci avete fatto seguire? Cosa avete che non va voi due?”

Sua madre continuò, senza ascoltare. “Non è un grosso problema, Walter. Troveremo un modo. Chiameremo Wayne e lui le farà ottenere un annullamento...”

“Non lo farete. È mia moglie. Io sono suo marito. Quale di queste affermazioni non riuscite a capire?” Adesso parlava lentamente e il tono della sua voce aumentava. Gabby lo aveva avvertito che i suoi genitori non avrebbero preso bene la notizia, ma non si aspettava di assistere a un rifiuto totale e a dei complotti per annullare tutto mentre lui era lì di fronte a loro.

“Gabby, dov’è la tua valigia?” Marie camminava su e giù per la stanza. “Sai cosa, dimentica i bagagli. Vestiti. Ce ne andiamo.”

Basta con questa merda. Dash toccò la spalla di Walter e lo guidò verso l'uscita. “No, sapete cosa? Andatevene voi. Gabby e io siamo in luna di miele e non vogliamo essere disturbati. Vi chiameremo quando sarete pronti a parlare da persone civili.”

“Dash, aspetta.”

Il tono di supplica nella voce di lei gli gelò il sangue. Riconobbe il tono di accettazione. L’aveva sentito spesso sul set, ogni volta che Gabby si era opposta a una scena del copione o a un impegno promozionale. I suoi genitori le parlavano in privato e, pochi secondi dopo, Gabby tornava in riga come una ragazzina obbediente - e umiliata.

Walter si liberò dalla presa e gli lanciò un’occhiataccia. Era qualche centimetro più alto di Dash, ma non aveva forza nella parte superiore del corpo. Se Dash fosse stato obbligato ad arrivare alle mani per difendersi, lo avrebbe fatto.

Gabby allungò le mani, per fare da paciere. “Fammi parlare con loro, per favore.” Lei si avvicinò per parlare a bassa voce. “Dammi qualche minuto con i miei genitori e farò in modo che capiscano che non possono maltrattarci.”

Dash lanciò un'occhiata a Walter e Marie e la guidò verso la finestra, lontano dalle loro orecchie. Las Vegas non dormiva mai: le luci andavano avanti con la loro sequenza continua di onde e schemi accecanti. Dovrebbero essere qui da soli, a guardare lo spettacolo, baciarsi e decidere quale casinò invadere.

“Non voglio che tu rimanga sola con loro”, sussurrò di rimando. “Non parlano razionalmente. Credono ancora di controllarti.”

Gabby sembrò offesa da questa affermazione. “Non credi che riesca a gestire i miei genitori?”

“Gabby, io ti amo. So di cosa sono capaci...”

Il viso di lei si inasprì, e lui cambiò tattica, “ma tu sei forte. Voglio solo stare con te.”

Restò dubbioso. Credeva in sua moglie, ma conosceva Walter e Marie. Fin dal primo giorno della sua carriera, erano stati addosso a Gabby e contato ogni centesimo. Avevano altri clienti, ma nessuno così di successo come la figlia. La sua indipendenza minacciava il loro sostentamento.

Lei gli prese la mano e lui vide i suoi occhi scuri diventare vitrei. “Resteremo insieme, Dash. Parlerò con loro, chiariremo le cose e dopo che se ne saranno andati potremo continuare le nostre vite. Per favore.”

Dash sospirò. Voleva iniziare la vita coniugale con il piede giusto e rendere Gabby felice rimaneva la priorità assoluta. La baciò sulla guancia e superò Marie e Walter fino a raggiungere i suoi vestiti che giacevano sul pavimento. Afferrò i jeans e la camicia e si vestì velocemente, assicurandosi di avere il portafoglio, il cellulare apribile e la chiave magnetica della stanza. “Aspetterò fuori”, disse poi.

“Aspetterai al piano di sotto”, ribatté Walter.

“Non esiste.” Prima che Dash potesse protestare ulteriormente, l'uomo più anziano lo prese per il braccio.

“Come?” Spinse mentre Dash resisteva. “Non vuoi affidare tua moglie a noi?”

Una domanda a trabocchetto. Qualunque fosse stata la sua risposta, Gabby avrebbe potuto dedurne qualcosa che lui non intendeva necessariamente dire. “Bene. Sarò nella hall”, disse, guardando Gabby. “Ti amo. Chiamami al cellulare quando hai finito.”

Gabby annuì, mordendosi il labbro e asciugandosi le lacrime. Con un’ultima occhiata a un’agitata Marie e a Walter, lui si chiuse la porta della stanza alle spalle ma indugiò a pochi passi di distanza prima di dirigersi lentamente verso l'ascensore. Abbastanza lentamente.

Dopo pochi secondi, il viso di Walter comparì mentre la porta si apriva di scatto. “Non puoi ingannarci. Ti vediamo attraverso lo spioncino, Einstein.”

“Che differenza fa dove aspetto? Non riesco a sentire niente qui fuori, e poi voi due non vi tratterrete a lungo.” Incrociò le braccia.

“Ehi, non abbiamo fretta di tornare a casa. Vuoi passare il tempo qui, okay. Abbiamo tutto il giorno da trascorrere in questa stanza con nostra figlia.” Walter sogghignò, i canini sporgenti e pronti a mordere. Come vuoi, amico. Se i Randall volevano un pareggio, lui avrebbe giocato, non importa quanto la vescica gli facesse male.

Durante un momento di pausa dagli sguardi, Dash giurò di aver sentito Gabby singhiozzare in sottofondo e fece per precipitarsi in avanti, ma la sua precedente supplica gli risuonò in testa. No. Per quanto desiderasse interpretare il ruolo del principe azzurro, si fidava di sua moglie. Gabby voleva chiudere questa fase della sua vita e lui voleva starle accanto, il che significava darle spazio.

Il viso di Walter rimase incastrato tra la porta e lo stipite e Dash notò che avevano attivato il blocco della serratura così che lui non poteva usare la sua chiave magnetica e tornare dentro se voleva. Tipico. Per Dash, suo suocero somigliava al pazzo Jack Torrence nella scena di “Ecco Johnny!” di Shining. Non se lo sarebbe mai dimenticato.

“Va bene. Vado, ma tornerò.” Dash si precipitò in fondo al corridoio, girandosi a controllare dopo pochi secondi. Walter lo controllò per tutto il percorso, senza dire nulla e senza muovere un muscolo finché Dash non entrò nell'ascensore.

Quando le porte si chiusero, emise un sospiro sfinito e allungò la mano verso la pulsantiera per scendere, ma l’ascensore aveva già iniziato a muoversi.

“È un errore.” Odiava il fatto di aver ceduto. Gabby poteva vederla diversamente, ma i suoi suoceri non avevano il diritto di interrompere la loro luna di miele. Sentire Gabby piangere lo metteva a disagio. Non sapeva se i Randall abusassero fisicamente dei loro figli o dei clienti, ma chissà cosa avrebbero potuto fare in caso di disperazione, se ne avessero avuto la possibilità.

Dopo una lenta discesa verso il piano terra, l’ascensore smise di muoversi e le porte si aprirono nella hall, non di fronte alla cacofonia di slot machine e turisti che vagavano avanti e indietro, ma di fronte al flash collettivo di una dozzina o più di telecamere. Una testa si voltò e un dito lo indicò. “Eccolo!” Poi la scena si trasformò in corpi, molti che correvano verso di lui. “Dash, Dash, Dash...” Voci che gridavano da tutte le direzioni, mani che gli premevano i microfoni in faccia. “Dov’è Gabby, e perché l'hai portata da Los Angeles?”

“Ti sei sposato, qualcuno dei tuoi colleghi lo sapeva?”

“Come hai fatto a tenerlo nascosto?”

L’assalto lo disorientò per alcuni secondi, e con i paparazzi così vicini, alcuni cameramen si accalcarono dietro di lui per impedirgli di scappare di nuovo nell’ascensore. Funzionò: le porte si chiusero prima che riuscisse a fare un passo indietro.

Normalmente, tollerava la stampa, anche i paparazzi aggressivi che lo riconoscevano senza il suo aspetto da Grody e lo seguivano durante le sue corse mattutine, perché quali segreti si può pensare di scoprire mentre un attore televisivo corre nel suo quartiere?

Questa volta, però, collegò la loro presenza all'arrivo dei genitori di Gabby. È vero, alcuni fotografi dormivano sugli alberi per scattare la foto giusta, ma non aveva dubbi che i Randall avessero orchestrato quella follia.

Doveva tornare nella stanza, immediatamente.

“No comment”, disse alla folla più e più volte, e si fece largo tra loro, voltandosi per chiamare un altro ascensore. I giornalisti, tuttavia, non accettarono il suo rifiuto e lo tempestarono di altre domande.

Li ignorò, respingendo a gomitate microfoni e obiettivi, mentre premeva il pulsante per salire finché non si spezzò un’unghia. Ancora e ancora. Gabby, la supplicò silenziosamente, ti prego, rimani lì. Non abbandonarmi.

“Dash, è vero quello che dicono che hai firmato uno spin-off di Wondermancer High?” chiese una donna snella in un tailleur grigio.

Di cosa stava parlando? Aveva chiuso con lo spettacolo e con tutto ciò che lo riguardava, tranne che con Gabby. Ignorò il miniregistratore che lei gli stava puntando vicino al viso. “No comment.”

Le porte del secondo ascensore si aprirono e la folla fece uno scatto. Diverse persone occupavano già l'ascensore, ma Dash si spinse in avanti e gridò il suo piano. L’uomo più vicino alla pulsantiera, guardando con occhi spalancati la folla, passò in rassegna diversi numeri finché le porte non si chiusero.

“Grazie”, sospirò lui e si afflosciò in un angolo. Condivideva il viaggio con un gruppo di anziani, i quali lo fissavano con vari livelli di curiosità e paura.

Dannazione, era entrata anche la giornalista.

“Che diavolo stava succedendo là fuori? Fai parte di una specie di boy band?” chiese un uomo che indossava un berretto da camionista con sopra un marchio di tabacco da masticare.

“E Gabby, Dash?” chiese la giornalista. “Hai intenzione di lavorare con lei in futuro? Avete una relazione? Da quanto tempo stai con lei?”

“Zitta.” Dash voltò le spalle al gruppo, desiderando di possedere veramente alcuni dei poteri esercitati dagli studenti immaginari di Wondermancer High. Se avesse avuto la possibilità, sarebbe diventato invisibile, oppure avrebbe trasformato quella fastidiosa giovane donna in un attaccapanni.

“Lo sai che i suoi genitori hanno cercato di rinnovare il contratto con lei? Come si sentono a sapere che hai una relazione con la figlia?”

Beh, non mi dire. Dovresti conoscere la risposta. Sicuramente ti hanno avvertito del fatto che siamo qui.

“Mi scusi”, disse una delle donne più anziane. “Non ha mai detto di essere il fidanzato della ragazza. Non è giusto che lei pensi il contrario.”

Lo sguardo di Dash esaminò il gruppo di turisti. Tutti lo guardavano, in attesa di conferma. “No comment”, mormorò lui.

“Hai sposato Gabby Randall? Hai intenzione di sposarla oggi? Hai...”

“Signora,” intervenne il tipo col berretto, “credo che lui voglia che si calmi con le domande.”

“Sì”, concordò una seconda donna. Una visiera verde copriva il suo casco di capelli color argento. “Lasci stare il ragazzo. È evidentemente esausto da questo terzo grado.”

“Ehi”, sbottò la giornalista. “Sto facendo il mio lavoro, nonna.”

La signora non prese bene il commento. “Quello che sta facendo è assillare il pover’uomo e dovrebbe smetterla. Lei è proprio come quegli avvoltoi che hanno portato alla morte la principessa Diana. Inseguendola lungo quel tunnel per scattare delle foto. Voi cosiddetti giornalisti non avete più valori.”

“Oh, e di chi è la colpa, in realtà?” Le voci aumentavano insieme all’atmosfera dell’ascensore. “Se persone come lei non comprassero i tabloid per le notizie che scrivo...”

“Internet vi lascerà tutti in mezzo alla strada, vedrete.”

Poi la diga esplose. Dash si strofinava le tempie mentre tra la giornalista e i suoi nuovi detrattori volavano urla del tipo “Come si permette!” e “Ho tutti i diritti...”. Quando arrivarono al suo piano, gli anziani l’avevano messa con le spalle al muro, permettendogli di scappare.

Da lontano vide che la loro porta era socchiusa e gli mancò il fiato. Dopo un secondo chiamò Gabby e si lanciò a capofitto nella stanza.

Vuota.

Controllò il bagno, nessuna traccia di lei.

Nella stanza non era rimasto nulla di Gabby, tranne uno scarabocchio sul taccuino dell’hotel abbandonato sul letto.

Mi dispiace. Ti prego, perdonami.

Lo tenne in mano per molto tempo, fissando il letto dove ore prima avevano consumato il loro matrimonio, chiedendosi adesso se avessero un’altra possibilità.

Dietro di lui, la giornalista entrò nella stanza, riprendendo fiato. “Dash, dov'è Gabby? Dash?”

Capitolo Due

Dieci anni dopo

Neanche per sogno avrebbe alloggiato al Fitzgerald. Piuttosto avrebbe dormito su Fremont Street, sotto la tettoia illuminata, prima di rimettere piede in quell’albergo. Lasciando che la gente lo calpestasse come quando vai ai buffet di gamberetti e agli spettacoli di burlesque.

Lo disse alla giovane donna terrorizzata con la maglietta nera con su scritto Volontaria FanCon. Erano seduti in un angolo di una sala riunioni utilizzata come punto di raccolta per gli ospiti VIP. Da quando era arrivato in hotel, aveva riconosciuto più di una dozzina di volti: autori di fantascienza, disegnatori di fumetti e attori di spettacoli attualmente in onda in prima visione. Dei pochi ospiti di “ritorno al passato” che aveva visto di sfuggita, ognuno era riuscito a trovare un impiego remunerativo da quando i programmi che li avevano resi delle star avevano cessato la produzione.

Tutti tranne lui. Nessuno voleva scritturare Grody di Wondermancer High nelle loro commedie romantiche o thriller politici. O meglio, nessuna delle produzioni di successo.

La volontaria con la vivace coda di cavallo bionda alla Sailor Moon non incrociò il suo sguardo, ma scorreva soltanto e cliccava sul suo tablet, scuotendo la testa.

“Mi dispiace, ma qui non ci sono più stanze alle tariffe della convention”, disse lei. Se lo aspettava, visto che i biglietti per la convention erano tutti esauriti da mesi. Era logico che tutti i partecipanti desiderassero alloggiare al Plaza, vicino all'evento. Il suo errore era stato supporre che avrebbe trovato facilmente una stanza a Las Vegas dopo aver accettato all’ultimo minuto di presenziare a una reunion di Wondermancer High.

Immaginava che se avesse cercato fuori dalla Strip e da altre zone turistiche avrebbe trovato qualcosa, ma a che scopo? Sarebbe anche potuto tornare a casa a quel punto.

“Il Fitzgerald è carino, davvero”, insistette lei. “Ci sono già stata prima e...”

“Non c'è niente al Golden Nugget? Al Four Queens?” la interruppe lui. Andiamo, la gente prendeva questa città come un tornello, andava e veniva in continuazione. Doveva esserci una camera per lui da qualche parte.

No. Kait, così si leggeva sul suo tesserino della convention, gli rivolse un mite sorriso a mo’ di scusa. “C'è molto da fare questo fine settimana. Ma che dico, c’è qualcosa a Las Vegas ogni fine settimana.” La risata stupida che gli rivolse non riuscì ad alleggerire l’atmosfera. “Comunque,” proseguì lei, continuando a controllare il tablet, “se vuole posso chiamare gli hotel sulla Strip e vedere...”

“Sa cosa posso fare? Parteciperò alla reunion, poi tornerò all'aeroporto.” Si prese mentalmente a calci per non aver contattato prima nessuno degli ospiti che conosceva per scroccare un posto sul divano o sul tappeto, ma erano passati troppi anni da quando si era messo in contatto con i suoi ex colleghi. Si sentiva a disagio a chiederlo.

Avrebbe cercato di prendere un volo precedente per tornare a casa e mettersi a suo agio su una panchina imbottita al gate, se necessario. Meno tempo da trascorrere in quella città, meglio era, comunque. Troppi brutti ricordi e scendere dall'aereo quella mattina li aveva innescati tutti.

“Va bene.” Kait sembrava delusa e lui sperava che i partecipanti alla FanCon non avessero pensato di convincerlo a partecipare a un itinerario completo di comparsate, supponendo che restasse nei paraggi. Lui aveva accettato di presentarsi a questo evento solo dopo che un ex co-protagonista aveva passato settimane ad assillarlo per partecipare.

Quello che non si era sposato.

Ehi, forse Danna ha dello spazio libero sul pavimento.

No. Voglio tornare a casa una volta finito.

Dash si pizzicò il ponte nasale, per combattere il mal di testa. Era determinato a non pensare a lei quel giorno, soprattutto poiché si avvicinava quello che sarebbe stato il loro decimo anniversario di matrimonio.

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