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La Sua Omega Proibita
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La Sua Omega Proibita

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ZELENE

La donna anziana dietro il tavolo non sembrava per nulla quella che era prima della Divisione. Quando ero una bambina, trascorrevo ore e ore nel suo negozio, annoiata a morte mentre mia madre e mia sorella realizzavano vestiti. Non mi era permesso toccare nessuno dei bellissimi tessuti, dai colori così vibranti da attirare ognuno dei miei sensi.

Non mi era ancora permesso toccarli.

Guardai attentamente la donna. Omega come me, aveva perso il suo negozio ma non si era arresa. Quelle bellissime stoffe giacevano aperte su un tavolo. La polvere del deserto a malapena attenuava il loro splendore. Lei ormai era poco più di uno scheletro che camminava, con pelle ingrigita tirata su lineamenti scarni, e occhi come buchi neri che riflettevano la sua anima. O, per meglio dire, il punto in cui avrebbe dovuto essere la sua anima. Gli omega avevano perso molte cose nella Divisione. Ma io non avrei perso quella. Avrei combattuto con le unghie e con i denti per mantenere integra la mia anima. Non importava quanto mi sarebbe costato.

Spostai lo sguardo verso la pezza brillante di stoffa su cui avevo messo gli occhi, e fu come se lei avesse percepito il mio movimento.

“Non è per te,” sbottò. Anche nelle Badlands c’era una gerarchia. La sopravvivenza richiedeva rispetto. Quelli che se l’erano guadagnato fuori dalla città avevano poca pazienza per quelli di noi che lavoravano per i reali. “A meno che tu non stia facendo acquisti per i regnanti.”

Ero morta di fame per comprare quella stoffa. La mia bugia non mi avrebbe fatto sentire più a disagio. “È quello che sto facendo. La mia Signora ha bisogno di un vestito per il ballo.”

Non era del tutto una bugia. Solo non le avevo detto che la signora ero io. Ci avevo messo un po’ ad abituarmi. Nelle Badlands, non si pensava alle femmine in quei termini. Ma io lo sognavo, proprio come sognavo di trasformare quel tessuto in un bellissimo vestito degno di un ballo a corte. Tutte le dolci comodità e i giorni tranquilli che derivavano dall’avere un titolo del genere. Non avevo bisogno di essere una Regina o una principessa. Una signora sarebbe stata sufficiente.

L’anziana donna voleva il denaro più di quanto le importasse della fondatezza della mia storia. Raccolse il brillante tessuto rosa scuro, fissandolo con molto più rispetto di quello che aveva riservato a me. “Ce n’è giusto quanto basta per fare un vestito. Il prezzo è di sei monete d’oro.”

Ingoiando la mia sorpresa per quella cifra, che era vicina a quella che guadagnavo in un anno, raggiunsi il borsellino che avevo assicurato all’interno della gonna. Le Badlands dovevano ancora introdurre qualcosa che assomigliasse a una vera legalità. Il male non veniva punito. Avrei potuto strapparle la pezza di stoffa dalle mani e scappare. E non ci sarebbe stato nulla che lei avrebbe potuto fare per fermarmi. Proprio come non c’era nulla che potesse impedirle di smascherare il mio bluff e ricattarmi per questo bellissimo tessuto.

Rapidamente, contai le monete nella mia borsa. Non ne avevo abbastanza.

“Ho solo monete d’argento. L’equivalente di quattro monete d’oro.” Erano tutto ciò che avevo.

Lei scosse la testa, stringendo la stoffa al petto. “Un reale ti avrebbe mandata qui con l’oro.”

“Mi ha dato l’argento.” Il che era in parte vero. Mi veniva pagata una moneta d’argento a settimana. L’equivalente di pochi spiccioli nella città reale. “Negherai a un’appartenente alla corte ciò che chiede?”

“Torna con l’oro,” rispose lei.

“Mi ha dato l’argento,” le ripetei io. Mi aspettavo una trattativa, ma quando non arrivò, me ne andai, delusa. Avrei trovato un altro vestito da indossare al prossimo ballo al castello. Il fatto che un’omega come me potesse essere uccisa per aver messo piede al suddetto ballo era del tutto irrilevante. Ci sarei andata.

“Ragazza.” All’inizio non fui sicura che si rivolgesse a me e continuai a camminare. “Ragazza. Accetto l’argento.”

La donna mi rivolse un sorriso sdentato mentre tornavo al suo tavolo. Qualcosa era meglio di niente, ogni omega nelle Badlands lo sapeva.

Mi tremavano le mani mentre le davo le monete. Per la settimana successiva, avrei mangiato solo quando avrei lavorato al castello. Se qualcuno degli Esattori fosse venuto alla baracca che condividevo con altre cinque omega, avrebbe preso la sua paga come meglio avrebbe ritenuto opportuno.

Ma per la possibilità di entrare nella vita in technicolor di Luxoria, ne valeva la pena.

La donna avvolse amorevolmente il tessuto brillante in una pezza di tela.

“L’hai ricamato tu stesso?” le chiesi. “La mia Signora lo vorrà sapere.”

Pregai che non chiedesse chi fosse la mia Signora. Sì, lavoravo come serva, ma se avessi usato il mio accesso ai reali per tornaconto personale, avrei potuto perdere il lavoro. E senza di esso, non mi sarebbe rimasto altro che vendere tutto ciò che avevo al mercato all’aperto delle Badlands. Sarei morta prima di unirmi ai ranghi delle prostitute che vendevano i loro corpi agli Alfa, sperando di ottenere in cambio alcune monete di rame. Più spesso, i reali saziavano le loro voglie e non davano nulla in cambio.

La vecchia annuì, l’orgoglio che brillava intensamente sul viso. “Sì. A mano. Quando avevo ancora un negozio.”

“Apprezzerà il tuo lavoro,” le risposi.

Mentre la vecchia mi consegnava il pacco, lo tirò indietro. Per un momento, pensai che avesse intenzione di derubarmi. Che intendesse tenere per sé le mie monete e ciò che avevo acquistato.

“Non permettere che qualcuno ti veda con questo fino a quando non arrivi al castello,” mi disse. “Penseranno che stai sostenendo di essere qualcosa che non sei, e sarai punita.”

“Lo terrò segreto, come se la mia vita dipendesse da esso.” Perché era così.

***

“Cosa diavolo pensi di fare?” Mia sorella Tavia era in piedi sulla soglia della nostra baracca, il suo riflesso che riempiva lo spazio vuoto nello specchio polveroso. Le si sarebbe riempita la bocca di polvere del deserto se non avesse chiuso in fretta la mascella. “Se vieni sorpresa a indossare il vestito della Signora, verrai punita.”

“Non è il suo.” Forse ero stata un po’ vaga con i dettagli quando le avevo detto che avevo portato l’abito a casa per lavorarci sopra. Avevo lasciato che mia sorella e le altre tre donne con cui condividevo questa baracca angusta e fatiscente pensassero che mi ero portata a casa il lavoro di cucito per fare qualche soldo in più. Certo, non lavoravano tutte al castello, ma avrebbero dovuto essere abbastanza intelligenti da capire che ai miei datori di lavoro non sarebbe importato che io guadagnassi qualche moneta in più. “È mio.”

“Zelene,” ansimò lei. “Cosa diavolo stai facendo?”

“Stasera c’è una festa al castello per celebrare l’ultima vittoria militare.” Non avevo fatto il vestito con questa specifica festa in mente, ma sembrava che nel castello ce ne fosse sempre una. Stanze piene di Alfa, beta e reali, tutti ubriachi e senza una preoccupazione al mondo. In quanto omega, avevo lavorato per molti di loro.

Tavia scosse la testa. “Finirai per farti uccidere.”

Uccidere. Come se stessi davvero vivendo.

“Lo vedi questo?” Alzai le mani e indicai ciò che ci circondava. Il mio vestito – che mi abbracciava le curve con ricche sfumature di rosa e oro – era la cosa più elegante delle Badlands. La luce del giorno filtrava attraverso le assi delle pareti storte della nostra casa, e tutto era ricoperto da uno strato di sabbia del deserto bruno rossastra. Rendeva la vita nelle Badlands unidimensionale, triste e senza speranza. “Questo non è vivere. Questo è esistere. Ma se ce la faccio…”

“Non ce la farai.” Tavia da poco era stata licenziata dal suo lavoro al castello, senza nessuna spiegazione, senza una seconda possibilità. Ora si stava affannando per trovare qualcosa, un lavoro qualsiasi per non cadere nel giro a cui così tante donne omega erano costrette per sopravvivere.

Dopo la Divisione, gli omega erano stati privati di tutti i loro diritti di mutaforma. Le leggi che proteggevano i residenti di Luxoria non si applicavano più a noi. Girava voce che se Re Adalai avesse mai mutato nella sua vera forma di lupo, avrebbe potuto revocare le dure leggi che regolavano le Badlands. Ma se gli omega erano certi di qualcosa, era che i sogni raramente si avveravano.

Lavorare al castello ci aveva offerto una certa protezione, tranne quando affrontavamo coloro che pensavano che il nostro lavoro ci desse dei privilegi. Era triste, ma c’era una gerarchia anche tra gli omega. E Tavia cercava disperatamente di non perdere la posizione che aveva, perché l’alternativa era inimmaginabile.

“Sembro un’omega con questo vestito?” chiesi sfidandola.

Una selvaggia tempesta di emozioni turbinò nei suoi occhi. Sapevo cosa fosse. Era disperazione. Ecco perché dovevo correre questo rischio.

Scosse la testa, senza speranza come sempre. “Lo capiranno. Vedranno la polvere sulla tua pelle e sentiranno il brontolio della tua pancia vuota. Sei troppo magra per essere qualcosa di diverso da un’omega. Le tue guance sono abbronzate a causa di tutto questo sole. Nessun vestito può nasconderlo.”

“Dopo qualche bicchiere di idromele, tutto ciò che gli interesserà è un posto dove infilare il loro uccello.”

La faccia di Tavia impallidì. Aveva nascosto dei segreti anche a me. “Conosci le leggi. Se qualcuno nella città reale tenta di accoppiarsi con un’omega, verrà ucciso.”

Non avevo bisogno di accoppiarmi con nessuno. Avevo bisogno che un maschio, che non fosse un omega, mi notasse.

“Devo provarci.” Non volevo piangere. Mi ero truccata gli occhi, con quel poco che ero riuscita a far uscire di nascosto dal castello, e non volevo rovinarli. Questa sera non ero un’omega. Se il mio piano avesse funzionato, avrei potuto dare un futuro migliore a Tavia e a tutte le nostre amiche. Potevano togliermi tutto, ma avevo nascosto i miei sogni in un posto che nemmeno il Re poteva raggiungere. “Se non cambia nulla, moriremo di fame, e questo se saremo fortunate. Ho paura per te, Tavia. Farò tutto il necessario perché tu non debba vendere il tuo corpo notte dopo notte.”

“È esattamente ciò che stai facendo tu!” Si portò una mano alla bocca. L’emozione alzava il volume della sua voce. Sapeva di non potermi fermare, ma sapeva anche che era meglio non attirare l’attenzione su di sé. “Ti stai vendendo a qualcuno a cui non importa se viviamo o moriamo”.

“A nessuno importa di noi.” Per forza di cose, c’era ben poca lealtà tra gli omega. Non potevamo essere un branco senza un Alfa. Le donne che vivevano in questa baracca facevano del loro meglio per prendersi cura le une delle altre. Ma ci avevano portato via le nostre voci e il nostro potere. Tutto ciò che avevamo era consolazione e compassione. Volevamo molto di più. “Sono disposta a correre il rischio per migliorare le nostre vite. E se una notte potesse cambiare tutto?”

“Sei sempre stata una sognatrice.” Le spalle di Tavia si ammorbidirono una volta che si rese conto che non c’era modo di farmi cambiare idea. Non c’era una valida alternativa. Raggiunse il baule in fondo al nostro letto. Il mogano finemente intagliato era sempre coperto da uno strato di polvere, non importava quanto spesso lo pulissimo, ma era l’unica cosa che ci rimaneva di ciò che era appartenuto a nostra madre. Tutto il resto eravamo state costrette a venderlo per comprare cibo o pagare l’affitto.

Tavia recuperò dal baule uno dei nostri abiti da tutti i giorni e me lo porse. Era marrone come il deserto. “Mettilo finché non arrivi al castello. Non attirare l’attenzione su di te nelle Badlands.”

Me lo infilai dalla testa, e in un attimo, la magia del mio bellissimo vestito sparì. Solo fino a quando non fossi arrivata al castello. Nel mio nuovo vestito, avrei potuto essere chiunque volevo. Una beta. Un’Alfa. Un’appartenente alla nobiltà.

“Grazie,” le dissi. Tavia non era obbligata ad aiutarmi. Anche se era mia sorella, tutto quello che avevo al mondo, avrebbe potuto denunciarmi. Se lo avesse fatto, non avrei vissuto abbastanza per vedere la mezzanotte.

“È bello che tu riesca ancora a sognare.” Mi avvolse le braccia attorno al corpo. “Un giorno, spero di poterlo fare di nuovo anche io.”

CAPITOLO TRE

ADALAI

Il sole stava rapidamente calando dietro l’orizzonte dei confini della città, e la festa era in pieno svolgimento. Mi misi seduto, osservando dal mio trono la folla, mentre diverse femmine beta ballavano al ritmo della musica scatenata che riempiva la sala. Spingevano i fianchi e agitavano i corpi in modo che i loro abiti frusciassero di qua e di là, rivelando sprazzi di carne provocante per catturare l’attenzione dei maschi affamati vicino a loro.

La seduzione stava funzionando.

I guerrieri Alfa fischiavano e guardavano le beta come se fossero un nuovo trofeo da vincere in battaglia. Ma che tipo di trofeo può essere quello ottenuto con la sottomissione? Quando le femmine si lanciavano letteralmente tra le loro braccia, invece che fargli dimostrare che ne erano degni?

Era fottutamente noioso.

E non ero il solo a pensarlo.

Alla mia destra c’era Evander, vestito con lo stesso abbigliamento che indossavamo tutti noi, il suo volto privo di emozioni come un foglio bianco. Alla mia sinistra c’era Solen, che si agitava come se non vedesse l’ora di farla finita con queste formalità in modo da potersi chiudere da qualche parte e fare la sua cosa preferita… scopare. Perfino Cassian, che di solito aveva un umore migliore del resto di noi, sembrava infastidito da morire. L’unico che era svanito nel nulla era Dagger.

Ma il resto dei presenti, a quanto pareva, era incantato da quelle femmine che danzavano. Quindi lasciai che la cosa andasse avanti.

Feci dondolare il calice tra le dita mentre lo sorreggevo sopra il bracciolo del trono. Senza dire una parola, una cameriera omega lo rabboccò con un vino robusto. Gli omega non erano ammessi in città dopo il tramonto, se non in occasioni speciali come le celebrazioni delle battaglie, quando i loro servigi erano necessari oltre le ore concesse.

Infrangere le regole andava bene se eri un re, e se erano di poca importanza. Curve ampie invece di angoli acuti.

E chi se ne fregava se alcuni omega dovevano tornare nelle Badlands a notte fonda. Le difficoltà che subivano a causa della Divisione li rendevano più forti, no? Questo è ciò che insinuava Dagger. E poi non era consono a un reale doversi servire da solo.

Osservando attentamente la folla mentre bevevo, notai la gamma di colori che conferiva alla stanza un’atmosfera quasi sgargiante. Abiti di seta brillante nei toni del blu, verde e viola. Rose rosse come sangue, di un rosa intenso oppure gialle come il sole. In mezzo a tutte quelle tonalità brillanti c’era la lucente pelle nera dei vestiti dei maschi Alfa. La folla si muoveva come un’onda multicolore e il mio sguardo fluttuò sopra di essa fino all’ingresso più lontano, contando i minuti che avrei dovuto attendere prima di attraversare quell’arco e tornare ai miei alloggi. I libri antichi allineati sui miei scaffali erano un intrattenimento più gradevole di tutto ciò, anche se scritti da uomini vissuti nell’America dei tempi passati.

Una femmina apparve sulla soglia come se l’avessi evocata dal nulla. Una che non avevo mai visto. Non che conoscessi tutte quelle del nostro branco. Ma sicuramente non era una che frequentava le feste reali.

La valutai osservandola da lontano.

Il suo abito sarebbe stato definito squisito dalle donne presenti. I suoi capelli castano scuro erano intrecciati a formare una corona attorno alla testa. Teneva le spalle dritte, come se appartenesse a questo posto. Come se fosse di sangue reale anziché di quello più comune dei beta.

Ma furono i suoi occhi che attirarono la mia attenzione quando nient’altro c’era riuscito. Così grandi e pieni di meraviglia che potevo vederne il blu anche da lontano. Il suo viso non era pesantemente truccato come quello delle altre femmine nella stanza. Aveva usato tratti e colori lievi, permettendomi di godere di ogni sua espressione.

Stupore, sorpresa e un accenno di dubbio furono rapidamente sostituiti dalla gioia mentre i suoi occhi danzavano nella stanza, quasi assaggiando tutto ciò che la circondava. Il suo sguardo sembrò indugiare più a lungo sulle rose. Le piacevano?

Mi ritrovai a desiderare che ce ne fossero ancora di più a riempire la sala, solo per poterla osservare mentre se le godeva più a lungo.

Non distogliendo mai gli occhi da lei, mi sporsi per chiedere a Evander: “La femmina che è appena entrata. Chi è?”

“Non mi è familiare.”

Il tono della sua risposta attirò la mia attenzione e mi fece voltare la testa di scatto per valutare la sua espressione. La guardava proprio come me, con interesse.

Un ringhio rimbombò dal mio petto, non animalesco come avrei voluto, nemmeno lontanamente. Volevo la mia bestia, ora più che mai. Il lupo sarebbe uscito dal mio corpo in un attimo e si sarebbe scagliato alla sua gola…

“Stai lontano da lei,” lo avvertii.

Vidi la sua fronte aggrottarsi in uno cipiglio mentre si voltava a guardarmi. “È un ordine, mio Re?”

“Sì. E questo vale per tutti voi,” dissi agli altri nel caso in cui la desiderassero anche loro.

Era mia.

Mia fino a quando mi fossi stancato di lei.

E sarebbe successo. Certo che sarebbe successo.

Perché questa esistenza era troppo vuota per aspettarsi qualcosa di diverso. Vivevo per difendere il nostro popolo dagli umani. Per assicurarmi che la mia gente prosperasse, si moltiplicasse e diventasse più forte. Vivevo per guidarli verso il domani, qualunque cosa potesse riservare. E poi verso il giorno dopo, e quello dopo ancora.

Avere qualcuno al mio fianco non era mai stato compreso nel pacchetto.

Avere qualcuno di dolce da cui tornare a casa era così lontano dalla mia portata che non potevo nemmeno lasciare che quell’idea mettesse radice nella mia testa.

Deglutii con forza mentre guardavo quella femmina così bella fare un passo in mezzo alla folla, i suoi occhi spalancati in costante movimento.

Fino a quando non si posarono su di me. E rimase completamente immobile.

Come se avesse dimenticato di respirare.

O erano i miei di polmoni che avevano smesso di funzionare?

Il suo sguardo color zaffiro si scontrò con il mio per molti secondi prima di svolazzare via. Cadde a terra come una cascata di foglie autunnali e il mio cuore prese velocità.

La mia misteriosa beta era una sottomessa.

Ma poi il suo sguardo si sollevò di nuovo sul mio, fissando palesemente. Come se stesse decidendo la sua prossima mossa. Misurando il suo prossimo passo usando la mia reazione come metro di giudizio.

Mi alzai, sentendomi più invincibile di quanto non avessi mai fatto in battaglia. Avevo già catturato la sua attenzione, ora l’avrei conquistata. Avrei iniziato con una danza. Le avrei fatto tutte le domande necessarie per conoscerla meglio. E poi l’avrei condotta al mio letto e ce l’avrei tenuta tutto il tempo che volevo.

“Desiderate altro vino, mio Re?” chiese la cameriera omega, facendomi distrarre.

“No.” Le diedi il mio calice e mi voltai per ritrovare la mia femmina.

Ma se n’era andata.

Osservai con attenzione la folla in cerca del suo vestito rosa scuro, ma non la vedevo da nessuna parte.

Dove sei finita, femmina? Non sai che non puoi nasconderti dal Re?

CAPITOLO QUATTRO

ZELENE