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Una Bellissima Storia Sbagliata
Una Bellissima Storia Sbagliata
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Una Bellissima Storia Sbagliata

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Parlava di lei con molto entusiasmo, era una donna forte e determinata che neanche la retinite pigmentosa, che l’aveva costretta ad una quasi totale cecità fin dall’ età di 25 anni, aveva saputo domare. Si erano conosciuti sette anni prima alla fiera orafa di Vicenza, c'era una raccolta fondi di beneficenza in favore di medici senza frontiere e Giorgio era lì per ringraziare i partecipanti e ritirare le laute donazioni.

Lei era lì seduta in prima fila, bellissima, indossava un vestito porpora ed oro ed aveva i lunghi capelli castani raccolti con uno chignon, ai lobi delle orecchie due splendide foglie filigranate, una dea. Si accorse della sua cecità solo quando per consegnargli l’assegno, in qualità di presidentessa dell’Assoorafi, fu accompagnata sul palco dal suo assistente. Giorgio raccontava con dovizia di particolari gli incontri successivi con Sara e il fulmineo matrimonio su una spiaggia nelle cinque terre, che a Luisa sembrò quasi di conoscerla.

- Scusa ma se non vede come fa a creare gioielli?

- Li immagina nella sua mente e poi col tatto sviluppato che ha, riesce a ricrearli sul suo tavolo da lavoro dove ogni cosa è sistemata da lei personalmente, attrezzi, pietre, colori ecc.

Il suono prolungato del cellulare la destò dai suoi ricordi. Chiuse l’acqua, indossò in fretta e furia l’accappatoio e andò a rispondere.

- Pronto?

- Salve dottoressa, scusi il disturbo, so che ha fatto il turno di notte e forse stava riposando.

Era Ester la sua segretaria e sapeva benissimo che lei non stava riposando.

- Dimmi Ester c'è qualche problema?

- No dottoressa, solo che ha appena telefonato il primario, c'è un congresso a Milano nel fine settimana organizzato da una casa farmaceutica e vuole che lei rappresenti il nostro ospedale.

- assolutamente no! Io non mi muovo da Bologna, non ho nessunissima intenzione di partecipare a questi convegni che non sono altro che uno spreco di tempo e denaro, ho altro a cui pensare.

- Mi perdoni dottoressa ma il dottor Veronelli è stato irremovibile e mi ha già fatto prenotare il volo a suo nome, anche perché a questo convegno ci sarà come relatore anche il presidente di medici senza frontiere, il dottor Di Pietro e visto che lei lo conosce personalmente ed ha lavorato con lui fianco a fianco sia a Roma che in Africa, ha pensato che nessuno meglio di lei potesse rappresentare il nostro ospedale.

Il dottor Di Pietro, il dottor Di Pietro… il cuore di Luisa si era fermato a quelle parole.

- Ok Ester parlerò io con Veronelli. Io a Milano non ci vado.

E chiuse la comunicazione.

3

Quattro giorni dopo era seduta su un boeing 747 dell’Alitalia con destinazione Milano. Era stato tutto inutile, le sue proteste, le sue rimostranze, il primario non aveva voluto sentire ragioni e lei era stata costretta a partire.

La sera prima preparando la valigia, aveva continui flashback dei giorni trascorsi in Africa con Giorgio.

Dopo quella prima chiacchierata nel tragitto per Freetown, ne erano seguite tante altre, soprattutto la sera davanti a improvvisati falò sorseggiando un buon caffè italiano che Gennaro, infermiere napoletano preparava rigorosamente con la moka che si era portato da Pozzuoli.

Fu così che Luisa entrò sempre più in confidenza con Giorgio, lui le parlava di Sara, della voglia di avere un bambino e dell’impossibilità di farlo.

Dei suoi sogni legati a medici senza frontiere e dei suoi innumerevoli progetti. Lei dal canto suo aveva pochi argomenti su cui disquisire, rispetto a Giorgio sentiva la pochezza della sua vita. Il liceo, l’università, i master a Boston, il dottorato, tutto sempre sotto la vigile ala di suo padre. Anche a livello sentimentale non se la passava meglio. Aveva avuto un solo ragazzo al liceo e ai tempi dell’università, quando insieme ad Anna si era trasferita in un appartamentino a Campo dei fiori, aveva avuto qualche breve storia con dei colleghi, nulla di più. Anna invece stava con Fabrizio dai tempi del liceo, avevano un sogno comune, laurearsi lei in medicina e lui in architettura, sposarsi ed avere dei figli, uno dei due Luca era il figlioccio di Luisa. Anna aveva realizzato il suo sogno, Giorgio lottava per realizzare il proprio ma lei cosa stava facendo per realizzare i suoi? Ma soprattutto lei aveva dei sogni?

Chiuse la valigia, si sedette sul letto e continuò a ricordare…

Era una delle sere più calde da quando era giunta in Africa, aveva il turno di notte per cui quel pomeriggio era libera, mentre girovagava si trovò a passare davanti l’alloggio di Giorgio, sentiva la sua voce al di là della tenda e una strana attrazione la calamitava verso di lui.

Non capiva perché ma quell’uomo la affascinava, ma non solo per la bellezza o il carisma che erano qualità oggettive, in lui c'era una luce speciale. Sentì il rumore dell’acqua sgorgare dalla doccia da campo e si trovò a pensare al suo corpo nudo.

Arrossendo, scacciò quel pensiero.

Cosa le stava succedendo? Perché era lì e perché desiderava essere al di là della tenda? Lui era un uomo sposato quindi inaccessibile, lui amava sua moglie si percepiva da come ne parlava, e lei era solo una collega.

E poi c'erano regole e dogmi sacri, che le avevano sempre inculcato da bambina e un uomo sposato fa parte di questa categoria, però lei non aveva mai fatto una cazzata in vita sua e lui sarebbe stata la cazzata più bella della sua vita. Mentre pensava tutto ciò non sentì più il rumore dell’acqua ma la voce di Giorgio alterata che probabilmente parlava al telefono.

Era chiaramente un litigio, ma con chi parlava così concitato? Poi sentì il nome di Sara e anziché allontanarsi com'era giusto che facesse per rispettare la privacy della coppia , si accostò ancora di più, qualcosa la spingeva ad origliare quella telefonata.

- Cazzo Sara, sono un dottore, saprò meglio di te i rischi che corri ad effettuare un altro intervento nelle tue condizioni! Una gravidanza è improbabile e ammesso che l’inseminazione abbia successo un’anestesia comprometterebbe ancora di più la tua vista.

- Che vuol dire che non ti interessa? Interessa me, lo capisci?

- Ti ho detto che non ho nessuna intenzione di rifare il protocollo e ora scusami ma sono di servizio.

E riattaccò. A quel punto Luisa si allontanò con mille pensieri nella testa.

Ma quella notte, che apparentemente sembrava come le altre era destinata a cambiare la vita di tante persone. Era da poco passata l’una, tutto sembrava tranquillo, quando all’improvviso si sprigionò l‘inferno.

Una camionetta piena di guerriglieri armati fino ai denti aveva fatto irruzione nel villaggio vicino il campo, facendo fuoco sulla popolazione disarmata, le urla di donne e bambini si udivano fino alla tendopoli, donne stuprate, bambini seviziati, uomini uccisi e infine il fuoco.

Luisa guardava impietrita il fumo che si stagliava verso il cielo, gente che scappava a destra e sinistra e si dirigeva verso di loro tendendo le mani in un disperato gesto di aiuto. Tra loro gli occhi di una donna colpirono Luisa, non aveva mai visto due occhi neri tanto profondi e scintillanti, la donna provata dalla corsa perdeva sangue, era chiaramente ferita, teneva in braccio una bambina anche lei sanguinante.

- Ti prego dottore salva lei, pietà dottore prego te, Asmait, mia piccola Asmait, padre suo italiano come te dottore, lui uomo buono, ingegnere morto qui per aiutare noi con pozzo di acqua, salva mia bambina dottore.

E mentre faceva scivolare quel corpicino privo di sensi tra le braccia di Luisa, cadde a terra e spirò.

Giorgio capì subito la gravità della situazione, la bimba aveva un foro all’altezza dell’arteria femorale, era molto grave, dovevano intervenire subito. Mandò quasi tutto il personale in aiuto dei tanti feriti che intasavano il campo, chiamò con sé solo Luisa e Claudio l’anestesista ed insieme trasportarono la bimba nella sala operatoria dell’ospedale da campo e iniziarono l’intervento.

Due ore dopo la ferita era suturata ma l’infezione era in corso e la febbre non si abbassava. Il giorno dopo l’accampamento sembrava un campo di battaglia, i feriti e i morti non si contavano, Luisa e Giorgio non riuscivano a staccarsi dal lettino di Asmait, nella borsetta che aveva attaccata ai vestiti c'era il suo documento di nascita, aveva quattro anni ed un cognome italiano.

Luisa soffriva ancora per la perdita di Samir, non voleva perdere anche lei.

- Giorgio, qui non abbiamo le attrezzature e i mezzi per salvarla, dobbiamo portarla in Italia.

- Ma che dici Luisa, non possiamo non ci saranno voli per il nostro paese per almeno una settimana dopo ciò che è successo stanotte. Ti rendi conto che un intero villaggio è stato raso al suolo? E poi non esistono malati di serie A e altri di serie B.

- Ma lei è una cittadina italiana, ha il doppio passaporto e non ha più nessuno, è sola al mondo e poi un modo per portarla in Italia c'è, lascia fare a me.

Il giorno dopo un aereo di Stato messo a disposizione dal Premier Francesco Martinelli riportava in Italia, Luisa, Giorgio e la piccola Asmait.

4

Trascorse una settimana da quella tragica notte, Luisa ospitò Giorgio nella villa dei suoi genitori, ma entrambi passavano quasi tutto il loro tempo al capezzale della bambina, che nonostante le cure non sembrava migliorare.

Nel frattempo Giorgio allertò i servizi sociali per trovare qualche parente del padre che era un ingegnere edile di Vercelli, ma non trovarono nessuno, a quel punto se la bambina fosse sopravvissuta sarebbe stata dichiarata adottabile. Fu il dodicesimo giorno dall’attentato che avvenne il miracolo.

Luisa si era assopita tenendo la mano della bambina, mentre Giorgio era seduto accanto a lei, all’improvviso la bimba aprì gli occhi e disse qualcosa, prima in una lingua incomprensibile e poi in italiano: acqua, mama acqua.

La gioia di Giorgio e Luisa fu tale che si abbracciarono, in quell’ abbraccio c'era tutto il loro mondo, la fatica, il dolore, la disperazione, la speranza e finalmente la gioia.

Chiamarono i colleghi, che dopo i primi accertamenti dichiararono la bimba fuori pericolo.

Dopo tutti quei giorni angoscianti potevano andare a casa a riposare, Asmait era salva e in buone mani. Fecero il tragitto dall’ospedale alla villa in silenzio, erano esausti.

La lancia Y di Luisa costeggiava il lungo Tevere, la calura di luglio si faceva sentire e anche se loro erano abituati al caldo africano, l’umidità della notte romana era asfissiante. Luisa era un bagno di sudore, la tensione degli ultimi giorni si era allentata ma si sentiva sfinita. Giorgio l'aveva intuito e prima di rientrare le propose di bere una birra per festeggiare il risveglio di Asmait.

Si fermarono allo Zodiaco a quell’ora tarda c'erano solo delle coppiette appartate al Pincio. Bevvero qualche birra, erano mesi che non toccavano l’alcool. In Africa era un lusso; mentre si avvicinavano alla macchina, complice le birre i due si sfiorarono fino a fare aderire perfettamente i loro corpi e iniziarono a baciarsi, uno, due , tre, mille baci di passione, passione che avevano represso per troppo tempo e che ora complice il sollievo per le condizioni della bambina, potevano far sprigionare.

Salirono in macchina e fecero l’ amore lì come due ragazzini alle prime armi. Non ancora sazi l’uno dell’altra tornarono alla villa, i genitori di Luisa erano in vacanza nella casa al mare al Circeo dove si trasferivano nei mesi estivi, e soli consumarono quella passione per tutta la notte.

Si svegliarono avvinghiati nel letto di Luisa, lei istintivamente si ritrasse e si coprì col lenzuolo, lui fissava il soffitto.

- Scusami, non dovevamo, tu sei un uomo sposato, sarà stato l’effetto delle birre o il sollievo per la bambina, perdonami non accadrà mai più.

- Invece si che accadrà ancora, perché lo vuoi tu e lo voglio io e non c'entra né l’alcool nè la bambina, io ti ho desiderata dal primo momento che ti ho vista al campo con quei ridicoli pantaloni color cachi, non mi era mai successo prima e ho cercato di controllare i miei istinti parlandoti di mia moglie proprio per mettere un muro tra di noi, ma non ci sono riuscito, quindi scusami tu. Se non vuoi che accada più lo capirei, basta tu lo dica e sparirò dalla tua vita…

Per tutta risposta Luisa lo tirò a se e fecero nuovamente l’amore.

Furono giorni di una gioia quasi infantile, Asmait stava recuperando le forze, conosceva abbastanza bene l’italiano e lei e Luisa avevano stretto un vero legame affettivo.

La psicologa dell’ospedale la stava aiutando a superare il trauma per la perdita della madre e l’assistente sociale sbrigava le pratiche per ospitare la bimba in una casa famiglia dopo che l’ avessero dimessa dall’ospedale, in attesa che una famiglia si facesse avanti per adottarla. La sua storia con Giorgio andava a gonfie vele, quell’uomo era meraviglioso, aveva tutto ciò che una donna potesse desiderare, bello, intelligente, simpatico, avevano le stesse passioni, amavano gli stessi libri, gli stessi film e spesso completavano le frasi l’uno dell’altra. Era tutto troppo perfetto per poter durare... ed infatti la realtà la destò da quel sogno ad occhi aperti troppo presto. Quella mattina Giorgio si era alzato presto e Luisa svegliandosi al posto suo aveva trovato Theo. Scese di fretta le scale e lo trovò a torso nudo in cucina ad armeggiare col tostapane, la barba incolta che gli dava un tocco di selvaggio e trasandato la faceva impazzire, gli si avvicinò da dietro e gli cinse il torace.

- Buongiorno amore! Ti sei alzato all’alba…

- Ciao piccola…

Luisa adorava quel nomignolo con cui Giorgio soleva chiamarla.

Appena si girò, capì subito che qualcosa non andava.

-Ehi cos'è quel muso? È successo qualcosa ad Asmait? Disse allarmata.

- No tranquilla, ho chiamato stamattina in reparto ed è tutto a posto.

- E allora cos’hai?

- Luisa siediti, devo parlarti.

- Siamo qui da quasi un mese e non sono ancora andato a trovare Sara a Milano. Le ho detto di Asmait, che non mi sentivo di lasciarla, perché a parte te e me non ha nessuno e lei ha deciso di venire a trovarmi a Roma e conoscere la bambina. Sa che le assistenti sociali le stanno cercando una famiglia e mi ha proposto di presentare la domanda di affidamento. Tu sai che lei non può avere figli e ha pensato che sia stato il destino a mettere Asmait sulla nostra strada.

Luisa ascoltava impietrita.

Non conosceva Sara, stranamente non era gelosa di lei, forse perché non l’aveva mai incontrata, lei era solo un ologramma tra lei e Giorgio, ma ora si sarebbe materializzata lì nella sua città, nel suo ospedale, nella sua vita e non solo si sarebbe ripresa l’uomo che amava, ma le avrebbe portato via la sua bambina. Si perché Asmait era la sua bambina, la madre morente l’aveva affidata tra le sue braccia. E ora Luisa avrebbe perso tutto. Lei come donna single non avrebbe potuto chiedere l’affidamento della bimba, trovava assurdo che nel XXI secolo in un paese civile ed industrializzato come l’ Italia mancassero ancora i diritti civili fondamentali per le donne single, i padri separati o gli omosessuali. Non riuscì a dire nulla, alzò lo sguardo sui suoi occhi di ghiaccio e alla fine con un filo di voce gli disse:

- Forse è meglio che porti via da qui la tua roba. Si girò e andò via.

Giorgio mise tutti i suoi effetti personali nel grande borsone beige che aveva portato con sé dalla Sierra Leone, le camicie, i pantaloni, il dopobarba, il rasoio, tutto meticolosamente riposto con cura, in primis perché lui era un uomo ordinato e poi forse per restare cinque minuti in più in quella casa, la casa di Luisa e nella sua vita.

5

Seduta accanto a quella valigia ingoiava le sue stesse lacrime, forse era colpa di quei ricordi che in fondo era lei stessa a ricercare in una sorta di masochismo.

Si avviò verso l’angolo cottura, preparò una tisana e mentre la beveva si sentiva terribilmente sola. Nel pomeriggio era passata Anna con i bambini a prendere Theo, avrebbe trascorso con la famiglia Marchese i pochi giorni in cui Luisa sarebbe stata a Milano.

Ad Anna era bastato uno sguardo per capire lo stato d’animo della sua amica. Sapeva che non era il viaggio nel capoluogo lombardo a turbarla ma l’idea di rivedere Giorgio. Anna era stata testimone e complice di quella folle storia durata lo spazio di un fotogramma.

Appoggiò la tazza della tisana nel lavello e si diresse verso il frigo. Lì in bella mostra attaccata con quattro calamite c'era una copia della lettera che aveva lasciato sulla scrivania di Giorgio il giorno che era sparita dalla sua vita. La prese in mano e iniziò a leggerla.

Ricordava ogni sillaba, ogni frase le era costata cara, ma era l’unica soluzione per liberarsi di lui e permettergli di tornare a sorridere con la sua famiglia. Tanto lei era abituata al niente, Giorgio era stato una parentesi arcobaleno nel buio della sua esistenza.

Caro Giorgio,

il nostro incontro è stato come l’incontro tra il fuoco e la paglia, in un attimo è andato tutto in fumo, lasciando dietro di sé macerie e dolore.

È finita! Addio Luisa

Ogni riga l’aveva scritta di getto col cuore, amava troppo Giorgio per poterlo guardare negli occhi e rinunciare a lui e così quella mattina prima di salire su quell’aereo per Bologna, gli aveva lasciato quelle poche righe, una metafora della loro storia, era un gioco che facevano spesso tra di loro… e una copia della sua lettera di trasferimento con scritto "non cercarmi mai più".

Il tempo dei ricordi era ormai finito, il giorno dopo aveva il volo alle sette quindi doveva andare a dormire.

Ripose la lettera sotto la calamita di Stoccolma e con il suo camicione slabbrato, andò a letto accucciata al cuscino. Sarà stato l’ effetto della tisana ma quella mattina si svegliò particolarmente riposata.

Il volo era stato la solita routine e all’aeroporto una macchina della Stillfarma era venuta a prenderla. Salì col suo bagaglio a mano che conteneva il necessario per i pochi giorni che sarebbe dovuta rimanere a Milano, era atterrata da poco più di un’ora e già voleva tornare nel suo rifugio bolognese. L’auto si fermò davanti l’hotel che costeggiava piazza Duomo con la Madonnina che si stagliava in alto a proteggere la città meneghina.

Prese possesso della sua stanza, fece una doccia veloce ed era pronta per la prima giornata di fuoco.

Secondo il programma avrebbe incontrato Giorgio solo il giorno dopo. Aveva ancora 24 ore per prepararsi psicologicamente. Entrò in ascensore e mentre le porte si stavano per chiudere sentì una voce pregarla di aspettare, istintivamente premette il tasto con le due frecce e le porte si riaprirono. Apparvero due occhi verdi sotto una montatura alla Harry Potter e un sorriso smagliante.

- Grazie dottoressa Martinelli.

- Scusi ci conosciamo?

- Non ancora, ma io conosco lei, l’ho voluta a questo congresso con tutte le mie forze.

- Sono Andrea Conti, il direttore marketing della casa farmaceutica che ha organizzato il congresso.

L’ascensore era arrivato al piano terra.

- Ho letto tanto su di lei e sui suoi interventi innovativi eseguiti in neonatologia e morivo dalla voglia di conoscerla e di complimentarmi con lei.

- Quindi se sono qui è colpa sua?

- Prego? Colpa?

- Pensavo le facesse piacere relazionare il suo lavoro e collaborare con noi per la commercializzazione di un nuovo farmaco che possa essere di prevenzione durante la gravidanza per evitare il sorgere di alcune patologie sul feto…

- Vede signor Conti…

- Speravo potessimo darci del tu, io sono Andrea.

- Ok Andrea, dicevo che a dispetto del mio cognome io sono una persona schiva e riservata. Preferisco fare il mio lavoro in sala operatoria, queste piazzate pubbliche le lascio fare al mio staff.