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Aprii il sacco e ne uscì un uomo bellissimo. Aveva occhi blu-
verdi, capelli biondi e i tipici tratti da nordico che mi
avevano sempre fatto impazzire; le braccia erano possenti e
sembrano essere state create per proteggermi.
Subito mi sorrise, grato, e cercò di parlarmi, ma non
capivo quello che diceva. In un attimo, però, comprendemmo che
dovevamo scappare di nuovo perché Vendetta e Dannazione
ululavano e desideravano la loro rivincita. Erano molto vicino
a noi.
Scappammo tutto di un fiato.
In fondo alla stanza, all’improvviso lui mi segnalò una
botola. Prima, però, avrebbe dovuto aprire quella e poi la
grata, quindi io, che ero armata, lo dovevo proteggere e
sparare numerose pallottole contro i due mostri che erano
feriti ma ancora maledettamente attivi. Oramai potevo vederli:
erano due creature degli inferi. Presero a lanciare bolidi
gialli nella mia direzione e io mi protessi come potevo,
continuando a sparare.
Ero così concertata che quell’uomo bellissimo fu costretto
a prendermi per il collo per voltarmi e farmi entrare nella
botola, che chiudemmo in fretta dietro di noi, e così anche la
grata.
Procedemmo a tentoni in quel luogo oscuro. La luce era
fioca ma non ero da sola. Sia io sia lui avevamo negli occhi e
nel cuore una giornata tra le più tristi e dolorose che gli
umani potessero aver conosciuto; eravamo piccoli, deboli e
spaventati.
Nonostante questa nostra paura e gli urli impazziti dei
due mostri, nella luce fioca l’uomo stupendo riuscì a trovare
una spada.
Capii che il mio compagno di avventure sapeva impugnarla e
doveva anche essersi allenato per usarla; ciò giustificava le
grandi e attraenti braccia nerborute.
Proseguendo con la spada, trovò anche un uomo morto dentro
una corazza, e mi fece capire di aiutarlo a rimuovere il
cadavere in modo che potesse indossarla; fortunatamente non
gli andava né troppo larga né troppo stretta. Era scattante e
agile anche con essa indosso.
Avanzammo attraverso i cunicoli che erano caldi e poco
illuminati ma che davano un senso di tranquillità. Andammo
avanti per lungo tempo. Non c’erano pericoli.
Oramai avevo capito che lui sapeva usare le armi, che era
intelligente e si sforzava di comunicare; doveva essere stato
un soldato. Sembrava gentile nei gesti e nei movimenti, forse
perché lo avevo salvato. Era sempre disposto ad aiutarmi e
pareva cercare cibo come lo cercavo anche io.
In quel caso fummo fortunati: le rovine avevano i loro
canali di scolo e noi eravamo in uno di essi.
L’acqua si dimostrò di buona qualità, e io vi aggiunsi
l’erba medica che la rendeva pulita. Avevamo anche trovato
delle carcasse di animali. Lui era molto bravo a sezionare la
carne, ci passavamo sopra il sale per conservarla a lungo.
Eravamo un buon team: io emotiva e sensibile, fiera
lottatrice armata, lui più tecnico e riflessivo ma sempre,
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