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Se Non Farai Del Sogno Il Tuo Padrone…
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Se Non Farai Del Sogno Il Tuo Padrone…

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Se Non Farai Del Sogno Il Tuo Padrone…
Stephen Goldin

Wayne Corrigan e i suoi colleghi della Dramatic Dreams possono  trasmettere i Sogni direttamente nella mente altrui, durante il sonno. In seguito a un malfunzionamento, Wayne deve trovare il modo di salvare decine di migliaia di persone - inclusa la donna che ama - dalla morte o dalla follia, lottando per riprendere il controllo di un Sogno dalle mani di un genio folle...

In un futuro non lontano, la trasmissione dei Sogni è diventata il passatempo ricreativo più alla moda. Indossare una Calotta Onirica durante il sonno permette alla stazione trasmittente di inviare i Sogni direttamente alla mente priva di coscienza, provocando un'esperienza ricreativa tanto intensamente reale da sembrare vissuta di persona.  Wayne Corrigan è un attore ingaggiato dalla Dramatic Dreams, uno degli studi di trasmissione più piccoli dell'area di Los Angeles. Janet Meyers è una sua collega, la donna che Wayne ama, ma a cui non si dichiara per timidezza. Il terzo attore è Vince Ronder, un genio del settore, ciò che si definisce un ”Padrone dei Sogni”, una persona dotata di immaginazione tale da creare nella propria mente interi mondi, da popolare e proiettare poi ai suoi  spettatori. Vince è la superstar dello studio, anche se non sembra vantarsene. Lui ha altri problemi... una madre dominante, religiosamente fanatica. In seguito a un misterioso malfunzionamento, Wayne viene chiamato per entrare in un Sogno iniziato da Vince. All'interno, l'uomo troverà una situazione impazzita con ostaggi che Vince, avviato all'autodistruzione, tiene in pugno. Decine di migliaia di persone, inclusa Janet, che quella notte è in mezzo al pubblico, rischiano la vita o la pazzia se Wayne non riuscirà a trovare il modo di sottrarre il Sogno a Vince. Se non farai del Sogno il tuo Padrone è un viaggio selvaggio e creativo nella mente da incubo di un pazzo...

SE NON FARAI DEL SOGNO IL TUO PADRONE…

di

Stephen Goldin

Publicato da Parsina Press (http://parsina.com/)

Traduzione italiana pubblicata da Tektime

And Not Make Dreams Your Master. Copyright 1981 by Stephen Goldin. All Rights Reserved.

Cover art copyright © Yvonne Less | Dreamstime.com

Titolo originale: And Not Make Dreams Your Master

Dedico esplicitamente questo libro

(perché tutti i miei libri gli sono dedicati, almeno implicitamente) a

ROBERT A. HEINLEIN

che ha sognato il Sogno per tutti noi…

e a Virginia Heinlein

perché lo ha aiutato a diventare la persona che è

INDICE

Capitolo 1 (#ud3b9909a-3651-5514-a6c2-ef5c338d874b)

Capitolo 2 (#u19d5432a-851e-5b4b-a5ba-fa7431108e2d)

Capitolo 3 (#ub2e987db-ebd0-5c9c-86ff-b2c2e3892d97)

Capitolo 4 (#ue3d6fa89-b382-503e-bda5-98b4f7d7fc86)

Capitolo 5 (#ud382a65c-b11c-50ea-b32b-1ef8bb9a6bba)

Capitolo 6 (#litres_trial_promo)

Capitolo 7 (#litres_trial_promo)

Capitolo 8 (#litres_trial_promo)

Capitolo 9 (#litres_trial_promo)

Capitolo 10 (#litres_trial_promo)

Capitolo 11 (#litres_trial_promo)

Capitolo 12 (#litres_trial_promo)

Capitolo 13 (#litres_trial_promo)

Capitolo 14 (#litres_trial_promo)

Capitolo 15 (#litres_trial_promo)

Capitolo 16 (#litres_trial_promo)

A proposito di Stephen Goldin (#litres_trial_promo)

Per contattare Stephen Goldin (#litres_trial_promo)

CAPITOLO 1

Il corridoio si estendeva a perdita d’occhio; contro le pareti bianche e liscie e sul pavimento spiccavano brillanti i tubi fluorescenti. Nell’atrio, fino ad allora deserto, arrivarono correndo un uomo e una donna. Si sarebbe dovuto percepire lo scalpiccìo delle scarpe sul linoleum lucido, ma quel loro inquietante passaggio non produceva alcun suono – se non l’immagine delle pareti vuote che sfrecciavano via. Il tempo era contro di loro, il tempo era loro nemico. Se non avessero raggiunto presto l’obiettivo, i terroristi avrebbero distrutto Los Angeles con la loro rudimentale bomba atomica. Ma il corridoio proseguiva, proseguiva, l’uomo e la donna correvano, correvano, mai una pausa per riprender fiato, mai una sosta per riposare. Sembrava attenderli un tragitto infinito lungo quel cunicolo silenzioso, mentre attorno a loro il mondo tratteneva il fiato. Non si guardavano mai l’un l’altro; i piedi planavano silenziosi sul pavimento liscio. Spasmodici.

D’un colpo davanti a loro si parò la fine del corridoio. Girato un angolo comparve un uomo vestito di nero, armato di fucile, che sfoggiava l’emblema dei terroristi: un cobra rosso cucito sulla spalla sinistra. Lentamente, molto lentamente, sollevò il fucile per sparare alla coppia in avvicinamento.

L’uomo che correva affrettò il passo per affrontare la minaccia, lasciando indietro la compagna. E in quel mentre il terrorista… si modificò. Il suo corpo tremolò, si fece sfocato: la figura singola della persona si divise per formare due immagini separate, distinte, due gemelli siamesi che imbracciavano fucili identici, in posizione minacciosa. Lui/loro sbarrarono il passo all’uomo in avvicinamento, impedendogli di proseguire oltre.

L’uomo che correva si arrestò con una velocità impensabile per fronteggiare quella minaccia sdoppiata; in realtà il terrorista sembrava essere più un pericolo per se stesso che per chiunque altro. I suoi contorni si sfocarono ancor di più e toccarono il pavimento, cercando poi letteralmente di ricompattarsi. Le luci si affievolirono e i muri del corridoio iniziarono a vibrare, sparendo per poi ricomparire. Il fragile filo conduttore della realtà era sul punto di sbriciolarsi.

Poi improvvisamente tutto fu di nuovo normale. Le pareti si stabilizzarono, le luci si rischiararono. C’era un solo terrorista con un solo fucile, ben deciso a tenere alla larga i due intrusi – assolutamente ignaro del fatto che proprio pochi secondi prima la sua persona si era spezzata in due.

L’uomo che correva assestò un pugno al terrorista, allontanando il braccio e poi ripiegandolo, come un arco allentato, direttamente sul volto dell’altro. Fu un colpo ben sferrato; il contatto parve nulla di più dell’impatto con un cuscino. Il viso del terrorista esplose in una pioggia di scintille che ricaddero sul pavimento come polvere di fata. Il corpo privo della testa cedette lentamente verso il suolo, si sciolse in una pozza color carne e poi evaporò.

Si udì un debole scampanellìo che solo l’uomo e la donna percepirono. “Andiamo” disse lui alla compagna. “Non ci resta molto tempo. La bomba esplode fra cinque minuti.”

La donna acconsentì senza parlare e voltò sull’incrocio del corridoio da cui era apparso il terrorista. Iniziò di nuovo a correre e l’uomo l’affiancò proprio mentre attorno a loro il mondo svaniva…

Wayne Corrigan era sdraiato nella sua cabina, fiocamente illuminata: ansimava per lo sforzo. Era il momento di disorientamento che sperimentava sempre nel passaggio dal Sogno alla realtà, l’istante in cui non distingueva il vero dalla finzione; poi il mondo si solidificava di nuovo e lui tornava “a casa”.

Strano pensare a questo posto come casa mia, rifletté. Resto qui soltanto poche ore ogni tre giorni, per giocare alle illusioni. Eppure, a volte tutto ciò che per lui contava ed era reale si trovava in quel minuscolo cubicolo, mentre il mondo di fuori svaniva e si faceva insignificante.

Aprì lentamente gli occhi per fissare il fievole candore del soffitto. Il cranio gli formicolava, infiammato nei ventiquattro punti in cui era stato punzecchiato; quella sensazione gli ricordò che c’era ancora del lavoro da terminare. Era solo un intervallo – l’ultimo della serata. Poi sarebbe stato di nuovo intrappolato nella realtà fino allo spettacolo successivo.

Wayne tornò in fretta alla sua routine post-transazionale. Fletté le dita delle mani e dei piedi e lasciò che ritrovassero il sapore della realtà. Gli arti riprendevano vitalità e lui risucchiava la sensazione su per tutto il fisico, nei muscoli delle braccia e delle gambe; il calore nel petto si riaccese e fluì nuovamente nella testa, sul collo. Pochi esercizi isometrici per informare il corpo che disponeva di nuovo del pieno controllo e per allontanare la rigidità che glielo aveva sottratto mentre lui era via, nella terra dei Sogni.

Ogni volta si stupiva di quanto il suo corpo si stancasse, anche se in realtà rimaneva disteso immobile e pacifico su un lettino. Aveva visto gli studi, però, aveva letto le schede tecniche. Nel Sogno il cervello continuava a inviare comandi silenziosi ai muscoli, ma di solito gli elementi inibitori impedivano al corpo di obbedire. Ed era naturale che il suo fisico ne risentisse, visto che lui proiettava una quantità di Sogni maggiore rispetto alla gente comune.

Ernie White, l’operatore di turno quella notte, si affacciò nel cubicolo.

“Si è svegliata, la Bella Addormentata?” domandò.

Wayne sorrise e lo sforzo lo fece sussultare; erano induriti anche i muscoli facciali.

“Mi sa che intendevi riferirti alla signora qui a fianco.”

“Anche se fosse, è scortese notarlo.” E il viso di White, nero come una scultura d’ebano, svanì dalla soglia.

Wayne si drizzò lentamente gemendo per lo sforzo e rimase seduto. La testa quasi gli sfiorava il soffitto della cabina – che, comunque, non era stata concepita per restare seduti o in piedi. Sollevò allegramente la sua personale corona di spine, la Calotta Onirica, se la tolse dal capo e la poggiò sul lettuccio accanto a sé; poi si mosse verso l’uscita.

Dopo l’oscurità del cubicolo, le luci brillanti della stanza esterna gli fecero lacrimare gli occhi. Scivolando fuori dal suo bozzolo, Wayne ricacciò indietro gocce di pianto e guardò verso sinistra: lì, White aiutava Janet Meyers a uscire dal proprio alloggiamento. Janet sbatté le palpebre per la luce, proprio come Wayne; ma Wayne si era già ripreso e approfittò della momentanea cecità della donna per osservarla nei dettagli.

Da un punto di vista prettamente tecnico Janet Meyers non era una bellezza. Era un po’ troppo alta con l’ossatura un po’ troppo grossa. Aveva il viso tondo e, sulle guance, delle lentiggini appena percettibili. I capelli castani erano secchi e mai perfettamente in ordine; qualche ciocca riusciva sempre a volar via da qualche parte, di solito in mezzo alla fronte. Era ben proporzionata; qualsiasi uomo dotato di gusti normali le avrebbe donato una lunga, persistente occhiata anche se forse non si sarebbe voltato al suo passaggio per dargliene una seconda.

Non c’era nulla di speciale in lei che non si potesse trovare in centinaia di altre donne. E allora perché quando le sto intorno mi comporto come un orribile adolescente vergine? Si domandò Wayne, arrabbiato.

Lei si abituò alla luce e lo fissò. Wayne voltò rapidamente lo sguardo verso l’orologio sopra la porta della cabina di regia; poi si inquietò con se stesso per quel senso di colpa che aveva provato guardando la donna. Giochetti stupidi da ragazzini, pensò, dovrei esserne fuori da anni.

“Problemi?” domandò White. “Per un secondo mi è sembrato di veder saltare gli indicatori.”

Questo ricordò a Wayne quel casino orribile con il terrorista, nel corridoio.

“Ho avuto solo un problemino a coordinare un’immagine” rispose. “Stavamo inquadrando il personaggio in modi diversi, lui si è sfocato ed è saltato un po’ qui e un po’ lì prima che riuscissi a riprendere il controllo.”

“E’ stata colpa mia” disse Janet. “Era un personaggio tuo, eri tu che dovevi gestirtelo. Avrei dovuto lasciarti il controllo completo nel momento in cui è apparso ma non ci ho pensato. Scusami.”

“Non è stata colpa tua,” insistette Wayne, sentendosi molto protettivo. “Come ci si può aspettare la perfezione quando ci cambiano i copioni all’ultimo momento? Non abbiamo fatto neanche in tempo a leggerli, che possibilità avevamo di recitare…”

“E’ stato soltanto un piccolo sbalzo durato un secondo o due” continuò Janet. “Potremmo anche averlo fatto apposta per ottenere un intermezzo comico rilassante, nel caso qualche spettatore se ne fosse accorto. Se poi gli spettatori c’erano, oltretutto.”

“Ce n’erano ventiduemila, secondo il computer” affermò White.

Wayne lo guardò severo. Mort Schulberg non sarebbe stato contento di un indice così basso; ma, d’altra parte, raramente era contento di qualcosa, quello.

“E Janet ha lavorato proprio due giorni fa” continuò lui per difenderla. “Sarà esausta. E’ una di quelle cose che potrebbe succedere a chiunque.”

“Mica devi chiedermi scusa” sorrise l’operatore. “Io mi limito a giocare con le manopole, non lo sai?”

“Abbiamo dieci minuti” interruppe Janet, lanciando anche lei un’occhiata all’orologio. “Questo errore ormai è fatto, ma se vogliamo evitarne altri faremmo bene a coordinarci.”

Lei e Wayne entrarono nella stanza Sala Tattica, dove era stato preparato in tutta fretta un abbozzo della loro scena perché se la studiassero prima di ricominciare.

“Il corridoio è lungo venti metri,” esordì lei, quasi meccanicamente. “Ci sono uomini appostati qui, qui e qui. Un cancello a griglia metallica, tipo le serrande che si usano per chiudere i negozi la notte, proprio qui, manovrato da un pulsante qui. Due uomini dietro la serranda. Pensi di riuscire a disinnescare la bomba da solo?”

A quella domanda Wayne si sentì improvvisamente insicuro. Anche se era il Sognatore più giovane dello staff locale, aveva già fatto esperienza in altre sedi. Cercò di dissimulare i suoi sentimenti con una battuta leggera.

“Tanto devo farlo comunque, no? Ormai è tardi per cambiare il copione. E poi tu avrai il tuo bel da fare, con tutti quei terroristi.”

“Ah questo è sicuro. Voglio proprio chiedere a Bill come mai ogni volta ce ne sono di più. Mi sta facendo passare per un’accidente di Amazzone!”

“Forse, se gli sorridi con dolcezza, la prossima volta ti ingaggia per una storia romantica.”

“Oh Cielo spero di no!” Wayne si sorprese della veemenza della voce di lei. “Se c’è qualcosa che non voglio è un cumulo di immondizia sdolcinata per casalinghe frustrate. Piuttosto preferirei combattere con una mano sola contro orde di Mongoli.”

Poi guardò Wayne e gli notò una strana espressione in viso.

“E ora, che hai?” gli domandò.

Wayne distolse rapidamente lo sguardo.

“Nulla,” disse lui. Dalla reazione di lei aveva capito fin troppo chiaramente quali erano le sue opinioni del romanticismo al momento.

“E’ meglio decidere chi dovrà gestire cosa nella scena, così evitiamo ulteriore confusione. Non vorrei rovinare il finale.”

Rimasero alcuni minuti a esaminare la sceneggiatura punto per punto, discutendo chi sarebbe stato responsabile della visualizzazione di quali parti e di quali personaggi. Alla fine arrivò Ernie White che interruppe la discussione per farli tornare alle proprie cabine e poter iniziare in tempo. Mentre risalivano nei rispettivi cubicoli, inaspettatamente Janet rivolse a Wayne un sorriso e una rapida V di VITTORIA con le dita. Ciò in qualche modo sollevò l’uomo dalla depressione che lo aveva attanagliato; e si adagiò nella cabina.

Seduto sul lettuccio, afferrò la Calotta Onirica e se la tenne in grembo per un attimo, rigirandola e osservandola dappertutto. Non c’era molto da vedere: due archi di plastica incrociati, con il bordo stondato, che formavano l’intelaiatura di un casco craniale; fili che partivano dal retro e finivano sul pavimento. I diversi quadranti della Calotta erano occupati da una rete di fili quasi invisibile che si congiungevano in ventiquattro punti nodali corrispondenti ad altrettante aree cerebrali. Eppure quel semplice congegno aveva creato intere nuove industrie e aveva rivoluzionato il settore dello spettacolo ricreativo.

Le prime vere ricerche sui meccanismi del cervello erano iniziate decenni prima. L’elettroencefalogramma tracciava l’andamento delle onde cerebrali per poterle classificare e identificare: gli studiosi avevano scoperto che esistevano diverse aree del cervello responsabili di diverse funzioni corporee e avevano imparato che era possibile stimolare diverse porzioni della mente dall’esterno e ottenere modifiche di comportamento. L’esempio migliore era il classico esperimento in cui dei topi avevano elettrodi piantati nei cosiddetti centri del piacere del cervello: erano topi pronti ad attraversare una barriera che impartiva forti scosse elettriche pur di arrivare a premere una barra che stimolava i loro centri del piacere. I topi affamati non affrontavano volontariamente la barriera elettrica per ottenere cibo, ma ratti altrimenti sani rischiavano praticamente di tutto per una scossa nei centri del piacere.

Gli esperimenti per mappare le aree del cervello si erano raffinate finché psicologi e neurologi non erano riusciti ad individuare con estrema accuratezza la posizione delle funzioni mentali più comuni. Questo, per la scienza medica, era già di per sé un enorme passo avanti. Si dimostrò che molte malattie invalidanti erano causate da disfunzioni nel tessuto cerebrale interessato; in molti casi la microchirurgia riuscì a correggere o alleviare la patologia, salvando milioni di persone dalla debilitazione.

Le aree che maggiormente interessavano gli psicologi, però, erano quelle che controllavano le funzioni cerebrali più elevate: l’apprendimento e il ricordo, il richiamo della memoria, i processi del pensiero, l’immaginazione e così via. Molti neurologi già sospettavano che alcune forme di schizofrenia fossero causate non già da traumi emozionali infantili, ma da semplici squilibri chimici all’interno del cervello. Utilizzando l’insieme delle conoscenze sui meccanismi mentali accumulato, fu provato che, a causa di tali squilibri, i pazienti percepivano il mondo in modo letteralmente diverso dagli altri: e che, di conseguenza, si comportavano diversamente. Parallelamente, grazie alla ricerca si scoprì anche in che modo la gente “normale” percepisse l’universo.

Con gran sorpresa di molti, tutto ciò si rivelò estremamente facile da tracciare. Ad eccezione dei soggetti con patologie fisiche, dunque facilmente identificabili, tutti gli altri riponevano lo stesso tipo di immagini nello stesso scomparto del cervello. Stimolando il medesimo punto in due persone diverse era possibile evocare nelle loro menti lo stesso tipo di immagini. Inizialmente questi esperimenti furono realizzati soltanto con il metodo tradizionale di impiantare chirurgicamente elettrodi nel cervello – ma poco dopo si trovò il modo per stimolare quelle aree utilizzando onde elettromagnetiche al posto degli elettrodi. Il nuovo metodo offriva degli ovvi vantaggi; era realizzabile dall’esterno, quindi non c’era bisogno di ricorrere alla chirurgia; poteva essere guidato da un computer che individuava con accuratezza l’area mentale desiderata, lasciando intatte tutte le altre zone attorno al sito prescelto. Si progettò un casco – il diretto progenitore della Calotta Onirica – che il soggetto avrebbe dovuto indossare. Stimolando le aree giuste nel cervello del soggetto era possibile produrre nella sua testa una serie esatta di immagini, tutte controllate da un fattore esterno.

Inizialmente la conoscenza delle nuove tecniche fu esclusiva per i neurologi specializzati; le applicazioni furono prevalentemente nel campo della psicoterapia. Scansionando le emissioni cerebrali, gli analisti stessi potevano visualizzare ciò che vedevano i loro pazienti. Per i pazienti in sofferenza per delusioni o percezioni fisiche erronee, il terapista poteva sostituire le false immagini con rappresentazioni corrette. Era letteralmente possibile cambiare il modo in cui una persona pensava alterando il modo in cui percepiva la realtà.

Ma le implicazioni di questa scoperta erano troppo vaste per essere confinate in laboratorio. Nei paesi a regime totalitario di tutto il mondo la Calotta Onirica divenne presto strumento primario di lavaggio del cervello e di controllo del pensiero. Se un dissidente non collaborava con il governo, il potere costituito poteva carcerarlo in un istituto mentale – una copertura che l’ex Unione Sovietica e altre dittature avevano usato per molti anni – e imprimergli in testa i propri pensieri. Se la mente del dissidente accettava le percezioni come proprie, la persona veniva dichiarata “guarita” e tornava nella società. Se la mente del dissidente si rifiutava di accettare le nuove percezioni i suoi carnefici insistevano, bombardando di continuo il cervello con nuove immagini finché la mente del soggetto non riusciva più a discernere l’influenza esterna dal proprio pensiero personale. Il prigioniero diventava allora pazzo certificato, il che giustificava il protrarsi della detenzione. In entrambi i casi la sua capacità di fronteggiare il potere di stato era, di fatto, distrutta.

Utilizzare in quel modo la tecnica fu proibito e ampiamente aborrito in tutto il mondo libero, anche se, secondo voci persistenti, la CIA e altre agenzie governative di spionaggio mantenevano in piedi le proprie “cliniche” per il lavaggio del cervello. La libera impresa, intanto, non intendeva certo lasciarsi scappare un strumento tanto potente senza metterlo a punto – non quando c’erano potenzialmente miliardi di dollari da guadagnarci.

Si sottolinea spesso che l’individuo medio trascorre un terzo della vita dormendo. Il sonno, di per sé, non è particolarmente raccomandato, se non perché permette al corpo di disfarsi dell’accumulo giornaliero di veleni e perché sognare è una necessità di cui la mente normale non poteva fare a meno. Una colossale perdita di tempo. Le ore trascorse a dormire rappresentarono quindi una vasta risorsa inesplorata in attesa di essere perfezionata e sfruttata: e la Calotta Onirica offrì lo strumento ideale per la perlustrazione.

Uno degli utilizzi toccò il campo educativo. Certo, nulla poteva soppiantare l’esperienza di apprendimento scolastico tradizionale tra insegnante e studente, ma la Calotta Onirica era una mano santa nel campo dell’istruzione per gli adulti. Chi lavorava sodo tutto il giorno poteva comunque trovare il tempo, dormendo, di imparare una seconda lingua, oppure di mettersi in pari con le più recenti teorie sul giardinaggio organico. “Riviste informative” sul sonno mantenevano i cittadini informati su vari articoli disponibili a livello mondiale. L’utilizzo di gran lunga più comune, però, era nell’industria dello spettacolo. Dopo aver affrontato problemi terreni durante il giorno, gran parte della gente era ben lieta di lasciarsi alle spalle le occupazioni e di perdersi in un mondo di fantasia. L’industria di trasmissione Onirica offriva il meglio degli svaghi d’evasione.

In tutti i tipi di passatempo già esistenti era proprio il mezzo di comunicazione a porsi tra il narratore e gli spettatori - la pagina stampata nel caso dei libri, uno schermo nel caso dei film e della televisione. Il pubblico doveva fare affidamento sulle immagini artificiali fornite dal narratore e tradurle in simbologia personale nella propria mente. Con Onirica, tutto ciò cambiò radicalmente. Le immagini venivano inviate direttamente nel cervello dello spettatore, che percepiva proprio di vivere realmente quelle esperienze. Si poteva trascorrere la notte nelle vere vesti di una spia, o di un detective, o del più grande spadaccino della Francia del Diciassettesimo Secolo, per poi risvegliarsi al mattino con la memoria piena di ricordi di quanto era accaduto. Si poteva uscire e affacciarsi al nuovo giorno con l’impressione di essere più grandi di quanto non si fosse in realtà, avendo vissuto un’avventura senza correre personalmente alcun rischio.

Wayne Corrigan era una componente importante della nuova industria d’evasione, una delle poche persone selezionate perché disponeva di un’immaginazione abbastanza vivida da poter lavorare come Sognatore. Lui, Janet Meyers e gli altri Sognatori proiettavano le immagini che i Dormienti, a casa, ricevevano attraverso le loro Calotte Oniriche. I Sognatori impersonavano un ruolo e lo trasmettevano attraverso il proprio casco. Le immagini venivano amplificate e trasmesse attraverso i fili nelle case di tutta Los Angeles e, attraverso le Calotte Oniriche, venivano impresse nella testa dei singoli spettatori, permettendo loro di vivere l’avventura insieme agli attori. Di rimando, ciascuna Calotta Onirica nelle case inviava un segnale allo Studio a cui era collegata, permettendo di monitorare e tariffare con precisione per poi emettere la relativa fattura ai singoli clienti.

Uno dei primi problemi che si erano presentati era stato l’identificazione dei ruoli secondo il sesso. La maggior parte degli uomini nei Sogni desiderava identificarsi in ruoli maschili, mentre la maggior parte delle donne desiderava ruoli femminili (c’era un’aberrante minoranza che sembrava preferire un’identificazione “cross-gender” ma la maggior parte delle industrie di trasmissione Onirica la ignorava). In alcuni casi era possibile che, in una determinata avventura, il protagonista fosse un eroe senza un’identità sessuale specifica, che poteva attirare entrambi i sessi; ma storie di quel tipo risultarono avere un ambito più limitato e non erano tanto popolari come quelle in cui subentrava un’identificazione completa.

Una soluzione al problema fu la creazione del “Sogno Superiore.” In tale contesto, il Sognatore o Padrone dei Sogni creava non uno, ma diversi personaggi in cui gli spettatori potevano identificarsi, a scelta. Il Padrone dei Sogni muoveva i personaggi nel mondo del Sogno perché si coordinassero nella storia che stava raccontando. E, potendo creare simultaneamente ruoli maschili o femminili, chiunque poteva sintonizzarsi in quel Sogno senza rimanerne deluso.

Ma i Padroni dei Sogni erano merce rara. Dovevano essere in grado di visualizzare tutto un mondo globalmente, mantenere i singoli personaggi in movimento simultaneamente e senza far confusione. Il Padrone dei Sogni occupava l’intera scena e muoveva gli altri come burattini. Era un’arte difficile da padroneggiare e lo staff della Dramatic Dreams aveva soltanto un Padrone dei Sogni – un genio, Vince Rondel.

La soluzione più comune era quella di separare i Sogni per uomini da quelli per donne. Di solito i due tipi di Sogni dovevano essere completamente distinti anche se nell’emergenza – come accadeva spesso in una trasmittente piccola come la Dramatic Dreams, con uno staff di sceneggiatori e attori ridotto – i due ruoli potevano coesistere nello stesso mondo di un Sogno. Era ciò che stava accadendo quella notte: Wayne e Janet interpretavano una coppia di agenti governativi, che lavorava insieme allo stesso caso. Gli uomini del pubblico ricevevano gli impulsi di Wayne, si identificavano con lui e pensavano che Janet fosse soltanto un altro personaggio principale; per le donne del pubblico era esattamente l’opposto.