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“Per fortuna che ci siete voi preti.”
Non ho mai parlato con nessuno di quanto successo quel giorno, nemmeno con mia madre; che però, ho notato, da allora in poi ha preso l'abitudine di recitare dieci Ave Maria dopo ogni pasto (compresa la colazione), e mi pare anche qualcuna prima di mangiare.
UNA NOTTE DA INSONNI
E' notte, ora che sto scrivendo. E lo era anche ieri, quando sono successi i fatti che vi sto per descrivere.
Perché dovete sapere che io soffro di insonnia, e quando non dormi la tua vita è come se fosse lunga il doppio rispetto a quella degli altri. Anzi, è come se oltre alla vita normale, quella luminosa e solare che certamente tutti conoscete, noi insonni ne vivessimo un'altra, perlopiù oscura, lunga e silenziosa. Una vita molto particolare, con pochissimi protagonisti. Uno qui, uno laggiù, un altro chissà dove. Neanche nell'età della pietra erano così in pochi. E tutti costretti perlopiù a stare in silenzio, chiusi nelle proprie case in solitudine, quasi immobili - come zombie nei propri loculi.
La convinzione che da qualche parte in contemporanea si svolga la vita vera, allevia solo in parte lo squallore di questa mezza specie di vita. E' almeno a qualche migliaia di chilometri di distanza. Lo sappiamo per sentito dire, ma ci crediamo più che altro perché ci consola sapere che, apparentemente con lentezza ma in verità alla velocità della rotazione terrestre, essa sta ritornando verso di noi.
Ci crediamo essenzialmente per un atto di fede, benché ne abbiamo delle prove tangibili grazie alla televisione e ad internet, che ci consentono di metterci in contatto diretto con quel mondo come una medium col mondo dei morti; e che, insieme a libri giornali e riviste, raccolgono tracce e ricordi del mondo vero per potercele riproporre, magari un po' fredde come pietanze uscite dal frigo, a nostra richiesta.
In realtà di notte, a parte rarissime eccezioni, non succede mai niente.
Ogni tanto capita che qualcuno si dimentichi una luce accesa; magari anche per diversi giorni, soprattutto sui terrazzini. Forse per paura di ladri scalatori, o a causa di un viaggio improvviso, o chissà. A volte è la luce azzurrognola di un televisore acceso ad attirare la mia attenzione, probabilmente qualcuno che guardandola si è addormentato sul divano o sulla poltrona, ma in genere è difficile scorgere anima viva. Movimenti umani, se si escludono il capodanno, il periodo più caldo dell'estate e qualche altro rarissimo caso, direi proprio mai.
Invece era già da qualche notte che avevo notato, alcuni piani sotto al mio, una luce accesa dalla parte opposta dell'ampia chiostrina interna dell'isolato. Le serrande in parte alzate permettevano di vedere una fetta della stanza, ed in particolare un pezzo di scrivania molto disordinata, con sopra anche un video, una tastiera, un mouse e soprattutto delle mani che ci lavoravano attorno. Mani femminili, avrei detto dal vestito; di donna giovane.
Dovevo cercare di contattare quella persona.
Feci mente locale sulla topologia del mio palazzo e della chiostrina, arrivando alla conclusione che quella finestra illuminata corrispondesse a un altro portone, chissà quale civico della via traversa o parallela alla mia. Un percorso difficilmente praticabile per arrivare alla signora in quella stanza, o almeno al suo nome o a un suo eventuale recapito telefonico.
Pensai che potevo attirare la sua attenzione con uno di quei raggi luminosi e concentrati, che a volte usano nelle conferenze per evidenziare una parola sullo schermo. Un pomeriggio ne comprai uno dai cinesi sotto casa, a luce verde, per pochi euro. E quella notte, in una pausa tra le mie lezioni di giapponese, vedendo quelle mani come al solito al lavoro mi misi all'opera anch'io.
Il raggio verde funzionava. Illuminai la sua mano e i dintorni, cercando anche di capire se coi miei movimenti riuscivo a descrivere delle lettere per comporre un messaggio. Provai anche a concentrarmi sulla sua tastiera, provando a illuminare di volta in volta le lettere per scriverle ciao o qualcosa del genere e comunicare con lei; ma era chiaro che non poteva funzionare per diversi motivi. Mentre così pensavo mi accorsi che lei aveva notato il raggio, si era affacciata alla finestra e guardava da dove proveniva.
Per meglio farmi vedere agitai le braccia, e poi accesi anche un'altra luce nella stanza. “Che vuoi?”, mi chiese gesticolando con le mani. “Ciao”, gli risposi io sempre a gesti, agitando la destra. Per fortuna siamo un popolo abituato a gesticolare; ma provando a chiederle come si chiamasse o come contattarla mi resi conto che più di tanto, con le sole mani, non potevo farle arrivare. “Aspetta”, le dissi mostrando le due mani aperte; e poi presi in mano un foglio bianco e una penna, facendole capire qualcosa sul fatto di scrivere, che stavo scrivendo, ed in effetti scrissi su quel foglio bianco: “Ciao. Ho visto che anche tu sei sveglia la notte. Ti va se parliamo? Il mio numero è … ”. Finito di scrivere il numero, mi feci vedere appallottolare il foglio, aprii la finestra e feci l'atto di lanciarlo verso di lei come una palla da baseball.
“Lo sto per lanciare. Te lo sto per lanciare. Apri la finestra, per favore. Aprila.” Non pensavo di essere così bravo nel comunicare a gesti. Alla fine anche lei aprì la finestra.
Pensavo invece di essere molto più bravo nel lanciare una palla di carta. Sbatté contro la serranda chiusa un piano sopra al suo, con un po' di rumore ma per fortuna senza danno. Lei fece anche l'atto di cercare di prenderla al volo mentre cadeva, cosa già di per se improbabile anche se ci avesse messo una maggiore convinzione.
“Peccato. Non fa niente. Ci ho provato ma è andata male. E' andata così, sarà per un'altra volta. Ciao. Ciao.” Questo, probabilmente, ci dicemmo gesticolando, ripetendoci lo stesso gesto l'un l'altro; poi di nuovo il saluto con la mano; e poi chiudemmo le finestre, passo e chiudo.
Un messaggio l'avevo comunque fatto arrivare. Le avevo fatto conoscere la mia esistenza da insonne. La palla di carta era caduta sul terrazzo del primo piano, non so se fosse privato o condominiale; ma se voleva poteva trovare il modo di andarla a recuperare il giorno dopo.
Io archiviai il caso, e me ne tornai tranquillamente alle mie audiolezioni di giapponese.
Ed invece il caso si riaprì dopo forse neanche un'ora, quando ricevetti una telefonata. Non era mai successo, così di notte. Mi affrettai a rispondere perché i vicini non si svegliassero.
“Pronto.”
“Pronti. Sei tu quello svitato che se ne sta sveglio di notte al sesto piano di fronte a casa mia e mi tira pallette di carta? Da come hai risposto velocemente non stavi certo dormendo.”
“Si, sono io. Ma tu come hai fatto ad arrivare così in fretta al foglio col mio numero? Non sarai mica la donna gatto, per caso?”
“Non posso certo svelarti tutti i miei segreti alla nostra prima conversazione. E poi noi super-eroine dobbiamo tenere nascosti i nostri superpoteri, per il bene dell'universo.”
La mia interlocutrice si rivelava piena di spirito; e molto giovane, a giudicare anche dal tono della voce.
“Aspetta un attimo, donna gatta, che passo sul video-telefono”, le dissi.
“Video telefono? Ma io non ho un videotelefono!”, mi rispose sorpresa.
“Eppure io riesco a vederti. E ti vedrei ancora meglio se ti spostassi un altro po' verso la finestra.”
“Ah, adesso ho capito.” Ora il contatto visivo era stato ristabilito.
“Dimmi un po': come ti chiami?”, le chiesi.
“Tu ormai sai già tutto di me: sono la donna gatto. Scherzi a parte: vorresti il mio nome vero o ti accontenteresti di un nickname?”
“Il tuo nome vero, se non ti dispiace.”
“Racchia90. Novanta come la paura, perché sono una racchia da paura. Tu piuttosto, non mi hai detto come ti chiami.”
Ci pensai un attimo, poi mi venne di dire: “Alberto, l'uomo esperto.”
“Bravo Alberto. Stavo giusto pensando che mi servirebbe qualcuno che mi sistemasse la serranda, per evitare che i vicini mi guardino dentro casa; e anche il rubinetto del bagno, che perde. Quel gocciolio continuo … proprio non mi fa dormire!”
“E' per questo che non dormi? Stai scherzando, spero! Io stavo giusto pensando che potrei fare un salto da te … magari per provare a sistemarti il rubinetto.”
“Ehi! Piano, piano. Chi mi dice che possa fidarmi di te, e farti entrare in casa. Non ci conosciamo neanche. Dimmi: sei un bravo ragazzo?”
“Un po' si e un po' no. Che cosa intendi di preciso?”
“Intendo: non è che hai una moglie, una fidanzata o una ragazza che poi le dici che di notte frequenti un'altra donna, si ingelosisce e mi concia per le feste? Perché l'ultima cosa che vorrei è far del male a una povera ragazza innocente.”
“Saresti tu la povera ragazza innocente? E dei poveri ragazzi indifesi non ti importa niente? Beh, decidi tu. In fondo sei la donna gatta, dovresti anche sapere come difenderti. Ma un modo per conoscerci meglio penso che dovremmo trovarlo. Ho detto che sono un bravo ragazzo si e no perché una ragazza ce l'ho, ma nel mondo di giorno. Il mio mondo notturno è totalmente un'altra faccenda, è completamente separato. Il mio io di giorno è del tutto distinto da quello di notte, che invece è da solo come un cane. Un po' come dottor Jekyll …”. “No, questo era meglio se non lo dicevo”, riflettei ad alta voce.
”Ecco, appunto. Te lo ricordi quel signore come si trasformava di notte? Comunque apprezzo la tua sincerità. E non mi dispiace neanche il fatto che non sia troppo un bravo ragazzo. Penso che potresti venire, se ti va.”
Sorrisi, soddisfatto. “Devo portare qualche altra cosa, oltre alla chiave inglese e agli attrezzi da idraulico? Voglio dire: se volessimo farci due spaghetti aglio e olio sei attrezzata?”
“Piuttosto se hai qualche gioco di società portalo. Qualcuno ce l'ho anch'io, ma così per cambiare. Abbiamo ancora un po' di ore davanti, prima che sorga il sole”, disse con una voce distorta, che faceva pensare a vampiri, lupi mannari, al dottor Jekyll e mister Hyde.
Mi diede le indicazioni per raggiungere il suo appartamento, e ci salutammo.
Appena chiusa la conversazione mi cadde l'occhio giù nella chiostrina. Con una certa sorpresa, notai che sul terrazzo del primo piano c'era ancora una cosetta chiara che sembrava proprio il mio foglio di carta appallottolato.
Misi in un sacchetto un mazzo di carte e la scatola di una specie di vecchio gioco dell'oca. Ci infilai anche il vasetto col peperoncino, per gli spaghetti; e anche perché dicono che sia afrodisiaco. In fondo stavo andando in piena notte a casa di una donna, forse sola, a giocare a fare l'idraulico, e si sa la fama che hanno gli idraulici. Ci avevo pensato infilando nel mio sacchetto una spugnetta e una chiave inglese, non perché la sapessi usare ma più per riderci su, e un po' come portafortuna, così come per scaramanzia mi infilai nella tasca il famoso preservativo regalatomi per burla da un amico due compleanni prima.
Mi vestii da giorno e uscii di casa. Che cosa strana! Non mi era mai successo di farlo, così in piena notte, e di avventurarmi per il mondo addormentato e silenzioso. Confesso che avevo quasi un po' paura, e che nonostante il tragitto fosse breve mi sentii sollevato quando, in risposta all'aver suonato al citofono da lei indicatomi, il portone si aprì.
Anche maggior sollievo ebbi quando mi venne ad aprire la porta, liberandola da diverse mandate di chiavi.
“Ciao”, le dissi sorridendo, “che piacere!”
“Accomodati”.
“Ma non sei affatto racchia come dicevi!”
“Non ti azzardare a darmi della racchia. Nessuno può chiamarmi in quel modo, a parte me naturalmente. Comunque … racchia no, ma nanerottola si.”
La osservai con attenzione dal di dietro, e lo trovai decisamente un bel guardare, mentre la sua piccola persona, in una vestaglia beige stretta solo alla vita, mi faceva strada nel piccolo appartamento.
“Ma allora perché racchia90?”, non potei fare a meno di chiederle.
“Quelli delle chat, soprattutto di notte, tendono a lasciarsi andare nel linguaggio a maialate insopportabili, da maniaci sessuali, intendo dire. In questo modo sono molto scoraggiati: più che se mi faccio passassi per maschio, ho fatto caso.”
”E il novanta sarebbe la tua data di nascita?”
“Naturalmente no. E' una delle mie misure. perché? Dall'aspetto ti sembro per caso maggiorenne?”
Si, mi sembrava, seppur molto giovane e giovanile; ma non glielo dissi temendo che ci potesse rimanere male. Strano, pensai. In genere le minorenni cercano di farsi credere più grandi. Rimasi un po' turbato ricordandomi di alcuni personaggi importanti che avevano passato guai per aver avuto relazioni con minorenni, anche consenzienti, pensandole adulte.
“E tu abiti qui da sola?”, le chiesi.
“Si, tutta sola.”
“Strano che una bambina abiti da sola. Ma in tal caso, voglio dire se veramente sei minorenne, credo che per me sarebbe meglio togliere il disturbo.”
“Stavo scherzando, sulla mia età. Volevo solo vedere che faccia facevi. E avresti dovuto vederla anche tu, ne valeva la pena. Comunque te la sei cavata discretamente.”
“Però adesso me lo devi dimostrare che sei maggiorenne, altrimenti vado via”, le dissi. E fui irremovibile nella mia posizione tanto che lei, anche se un po' seccata, alla fine mi fece vedere un suo documento. Ne fui doppiamente contento: per la sua età, ma soprattutto perché era chiaro che ci teneva che restassi.
“Allora, cosa vogliamo fare?”, mi chiese.
“Chiacchieriamo un po'. La notte è lunga, e non sappiamo ancora quasi nulla l'uno dell'altro”, le dissi. Anche se in realtà avrei preferito trastullarmi con lei in altro modo, non mi andava che mi scambiasse per uno di quei quasi maniaci sessuali delle chat. Ma forse in fondo non ero molto diverso da loro; solo che ora avevo buone e concrete possibilità di successo, e assolutamente non le volevo sprecare in modo banale.
“Ma davvero non dormi per colpa di un rubinetto che gocciola?”, le chiesi incuriosito.
“Ma no. Non dormo perché non dormo, anche se il rubinetto qualche problema ce l'ha: dicevo per scherzare. Ma ormai è tantissimo che non dormo.”
“Allora questa potevo non portarla”. Le feci vedere la chiave inglese, e lei si mise a ridere.
“Non dormi niente niente niente?”, continuai. “ A me ogni tanto capita di mettermi seduto in poltrona, chiudere gli occhi e di riuscire a schiacciare un pisolino. Un quarto d'ora, magari una mezz'oretta. Ci hai provato?”
“No. Non ho sonno e non mi va di chiudere gli occhi. Mi sembra di buttare il tempo inutilmente, anche se in realtà non ho niente di importante da fare.”
“Ma ne hai parlato con uno specialista?”
“No, perché? Diciamo che non lo sento un fastidio, una malattia per cui farmi visitare apposta spendendo un sacco di soldi. Ho sempre dormito pochissimo, ormai ci sono abituata. Quando è capitato ne ho parlato col mio medico che mi ha indicato dei rimedi stupidi: naturali, come dice lui, ma inefficaci. Solo una perdita di tempo e soldi. Ne ho provati un paio, poi mi sono stufata.”
“Hai provato con l'attività sportiva? Magari una bella doccia o un bel bagno ogni sera, molto caldo o molto freddo.”
Mentre parlavo fui fortemente distratto da alcuni suoi movimenti e dalle loro conseguenze. Allentandosi la cinta della vestaglia, e dandosi una scrollatina alle spalle, dalla scollatura fecero capolino e bella mostra di sé il suo reggiseno e le ampie e morbide forme che esso conteneva. Rimasi quasi senza fiato, doppiamente sorpreso: dalla scarica ormonale che ne subii e dal fatto che, mi era sembrato evidente, questa manovra non era stata affatto casuale. Mi fu veramente difficile mantenere il filo del discorso.
“Una sauna, un bagno turco” riuscii a continuare. “Alle volte uno stress termico o fisico può funzionare.”, le suggerii.
“Qualche volta mi è successo. Lo stress, come dici tu, mi porta stanchezza e sonnolenza, ma a quel punto sto peggio del solito.”
“Con me hanno un certo effetto anche …”, lo dissi con un certo imbarazzo, “ … i film pornografici.”
“Ah, si. Qualche volta è capitato anche a me di vederli. Veramente noiosi. Peggio ancora le corse delle moto o delle macchine. Ma non sono mai riuscita a non cambiare canale.”
“Beh, da un punto di vista economico dovresti approfittarne di questa tua insonnia. Non so che cosa fai nella vita, ma le attività svolte di notte, oltre ad essere sempre molto richieste, vengono normalmente pagate molto di più delle stesse svolte di giorno. Dico per esempio rispondere al telefono, oppure … ”
Nel frattempo lei sembrava essere diventata irrequieta. Non riusciva quasi a stare ferma sulla sedia di fianco alla mia.
“Mamma mia, ma che chiacchierone che sei”, mi disse. “Ma non la smetti mai di parlare? Vediamo un po' se riesco a trovare il modo per farti stare un po' zitto.”
Mi allungò il braccio attorno al collo, avvicinando la mia testa alla sua e tappandomi la bocca con un bacio che sembrava volermi impedire anche di respirare. Io dapprima rimasi quasi paralizzato, poi mi rilassai e mi lasciai andare.
“Finalmente”, mi disse. “Sapevo che non tutti sono affamati come quelli delle mie chat, ma tu mi stavi facendo venire il dubbio che fossi dell'altra sponda.” Si sistemò sopra le mie ginocchia sulla mia stessa sedia, e di nuovo mi richiuse la bocca con la sua, dopo avermi lasciato il tempo solo per un respiro profondo.
Ci baciammo a lungo. Io provai la strana sensazione di perdere il contatto col mio cervello, con la testa che si svuotava di qualunque pensiero.
“Vogliamo metterci più comodi? Che ne dici se ci spostiamo sulla poltrona?”, mi propose.
In effetti, appena terminato l'effetto drogante e anestetico dei suoi baci e del suo corpo tra le mie mani, mi resi conto che avevo le ossa un po' ammaccate e doloranti per il suo peso e per la scomoda posizione.
Mi fece alzare prendendomi per il colletto e mi spinse sulla poltrona che però, avendo i braccioli ed essendo ingombra di non so cosa, non si preannunciava neanch'essa il massimo della comodità per due persone.
“Ma un letto in questa casa non ce l'hai?”, feci in tempo a chiedere prima che, ricominciando coi suoi meravigliosi baci, potesse nuovamente farmi perdere l'uso della ragione.
“Si, giusto. Un letto ce l'avrei, anche se non lo uso mai. Potrebbe essere ingombro di pupazzi ed altre cianfrusaglie, ma dovrebbe essere più comodo. Un attimo e vado a sistemarlo.”
Feci per seguirla, ma lei si fermò un attimo a raccogliere le idee, e mi fermò.
“Aspetta qui un momento, bambolotto”, mi disse. “Dammi qualche minuto per indossare la biancheria intima e la camicia da notte più sexy che ho. Sono sicuro che la troverai una buona idea”, aggiunse facendomi l'occhiolino
Fece per andare nell'altra camera, ma fu bloccata da un altro pensiero. “Dimenticavo”, disse ancora.
Andò verso la porta di casa e la chiuse con un paio di mandate, facendomi vedere che si portava dietro la chiave. “Non si sa mai che ti venissero in mente strane idee”, aggiunse. “Ti do una voce io quando sono pronta”.
“Va bene, ma non ce n'era bisogno: ho tutt'altre intenzioni che scappare. Nel frattempo vado un momento in bagno, se non ti dispiace”.
Quando ne uscii, cercai di sbirciare dalla porta socchiusa della sua stanza, ma non osai affacciarmici. Tornai ad aspettare sulla poltrona, fiducioso sull'inevitabilità di quanto stava per accadere. Ma l'attesa, in sala d'aspetto, si protrasse più di quanto avevo immaginato, e conoscendo il suo senso dell'umorismo e la sua voglia di scherzare cominciai ad avere qualche timore.
“Novanta”, la chiamai, poiché mi sfuggiva il suo vero nome ma non osavo utilizzare il suo pseudonimo completo che conteneva la parola racchia.
“Novanta sessanta novanta, ci sei?”, la chiamai scherzosamente.
Aprii leggermente la porta della sua stanza.
Per terra e su una sedia pupazzi quaderni e vestiti disordinatamente. Lei sdraiata sul letto in camicia da notte di seta, in parte semi trasparente. Era bellissima, a dir poco.