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Ma non Watson.
Mi ero infilata il biglietto nel bustino lanciandogli un’occhiata sospettosa.
Lui aveva seguito la mia mano mentre sistemavo il biglietto vicino al seno; avevo lasciato che il suo sguardo indugiasse sulla mia scollatura.
Grazie, bustino da Wonder Woman. Le mie ragazze avevano un aspetto particolarmente favoloso quella sera.
Per questo Halloween avevo deciso di mettere in mostra le mie curve. Non che non ci fossero altre ragioni per scegliere il costume. Wonder Woman era la più cattiva dei cazzuti. Primo, il Lazo della Verità – non è necessaria alcuna spiegazione ulteriore. Ma nel caso in cui non fosse stato sufficiente, avevo anche un paio di fantastici stivali da dominatrice da indossare come parte del costume.
Sono bassa per fare l’amazzone – cavolo, sono semplicemente bassa – ma quello non significava che non avessi un look da sballo.
Watson sembrava essere d’accordo.
A parte il bustino, avevo trovato dei fortissimi pantaloncini da uomo a stelle e strisce che abbracciavano le mie curve. Tra le spalle scoperte e le cosce nude, esibivo un bel po’ di pelle. Avevo persino eliminato la mantellina perché la serata era rimasta abbastanza calda. O forse quello era successo dopo il quinto o sesto bicchierino. È difficile dirlo.
Pelle nuda o no, quello non significava che lui avesse un lasciapassare gratuito per continuare con quella stronzata del fissarmi.
“Hey.”
Il suo sguardo errabondo era tornato sulla mia faccia.
Quando, alla fine, il contatto visivo era stato ripristinato, io avevo riportato la conversazione sulla rotta originale. “Non mi hai ancora detto con chi sei venuto.”
“Non mi ero reso conto che fosse una festa a invito.”
“Ti mostri, non socializzi, non provi a rimorchiare nessuno. Te ne stai lì a guardare e basta. È inquietante, e non nel senso di Halloween. Perché sei qui?”
“Chi ha detto che non provo a rimorchiare nessuno?” Aveva fatto una smorfia. “Ma veramente la gente dice così? Rimorchiare qualcuno. Sembra qualcosa uscito da un brutto film degli anni ‘70.”
Chi voleva prendere in giro questo tizio? Mr. Artista del Rimorchio in persona. Forse, questa stronzata del “Aw, ma dai!” di solito funzionava per lui, ma non funzionava per me.
“Certo che la gente lo dice.”
“Ma lo fa?” Mi aveva sorriso, i denti brillanti in mezzo a tutta quella barba.
“Sei uno stronzo fastidioso.”
“Dipenderà da te. Molte persone mi trovano affascinante.”
Proprio mentre stavo prendendo in considerazione l’idea di andarmene, lasciando il suo villoso corpo sexy a osservare e fissare le persone, lui aveva detto, “Millie.”
“Cosa?”
“Millie. Hai chiesto con chi sono venuto. Tecnicamente, esco con lei.”
Primo, la mia vicina Millie ha più di 70 anni, è esuberante, spiritosa, forte da morire, è un’assoluta arrapata e non il tipo di donna che mi aspetterei per Watson.
Secondo, Millie non si vedeva da nessuna parte.
“Peccato che non sei qui con Millie.”
Si era guardato intorno, come se fosse sorpreso di ritrovarsi senza la sua donna. “Oh, giusto. Lei mi ha dato buca.” Poi aveva fatto spallucce, come per dire che sono cose che capitano. A lui? Improbabile.
Avrei scommesso sul fatto che nessuno avrebbe mai dato buca a Oliver Watson in tutta la sua vita. La sua specie non doveva affrontare quel genere di offesa. Poteva ficcare la sua nonchalance giù per la gola di qualcun’altra. Una che non fosse stata lasciata in un bar tre giorni prima a bere due Mexican Martini da sola, mentre aspettava che un grande stronzo si presentasse all’appuntamento.
Era stata una fregatura, e me ne ero pentita non appena avevo accettato. Ma mia madre – sì, quell’imprevedibile e attraente donna che mio padre aveva sposato e che mi aveva dato alla luce per poi dimenticarsi prontamente della mia esistenza – si era ricordata per due secondi di avere una figlia e aveva organizzato un appuntamento con… il cugino del suo commercialista? Il fratello del suo avvocato? Il figlio del suo consulente finanziario personale?
Non ricordo i dettagli, soltanto la parte in cui mi è stata data buca. Non avrei nemmeno accettato se non avessi provato una certa ansia per il mio incombente compleanno e per il non avere qualcuno per questa festa. La stessa festa invasa da un cazzone irsuto che aveva mangiato tutto il queso.
Avrei dovuto ridere – per il cazzone irsuto – ma ero troppo infervorata.
Dirigevo la frustrazione che covavo e che provavo nei confronti degli uomini in generale verso quel bambinone presuntuoso, barbuto e sotto-occupato, in piedi davanti a me in quel momento.
“Ti diverti a dare buca alle donne?” avevo domandato, incrociando le braccia.
“No. È incredibilmente sgarbato.” Sembrava confuso.
E doveva esserlo, poiché gli stavo attribuendo una qualche brutta intenzione che probabilmente non meritava. Non questa volta. Ma Oliver Watson aveva tutte le caratteristiche di quel genere di uomo.
Quello che non si fa vedere al bar per un drink, nemmeno dopo avere mandato un messaggio per confermare che non sei tu a scaricare lui.
Quello che si presenta a cena con una maglietta logora e i jeans sfilacciati, mentre tu ti sei presa la briga di andare dalla parrucchiera.
Quello che ti chiede i risultati delle analisi al primo appuntamento, perché dà per scontato che non solo farai sesso con lui dopo aver mangiato insieme una volta soltanto, ma anche che tu prendi la pillola e che non dovrà usare il preservativo se tira fuori un pezzo di carta che attesta che non ha nessuna malattia venerea.
Gli uomini sono tutti dei fottuti pezzi di merda.
“Hai ragione. È sgarbato.” Gli avevo lanciato un’occhiataccia. “Ricordalo.”
“Certo, lo farò, ma tu ricordi che sono io quello a cui è stata data buca questa sera, vero?”
“Come vuoi. Sembri il tipo d’uomo che dà buca alle donne.” Il mio tono era troppo sprezzante, il risultato di sette bicchierini di Fireball e più di dieci anni di delusioni amorose.
Apparentemente avevo permesso a quel cugino del commercialista, o fratello dell’avvocato, che mi aveva dato buca di irritarmi. La goccia che fa traboccare il vaso. Inoltre, non avrei dovuto scegliere dolci cocktail speciali, perché avevo bevuto un Poison Apple Martini e deciso che per quella sera avrei preso il resto del mio Fireball in un bicchierino.
La mia tolleranza all’alcol era migliore della media – salve, c’è una vampira qui – ma del resto non avevo avuto la possibilità di consumare il mio normale pasto, ricco di carboidrati e grassi, per compensare l’alcol… perché qualcuno aveva mangiato tutto il queso.
Gli avevo lanciato un’occhiataccia, incerta del perché quell’uomo, quella sera, fosse il destinatario di tutta la mia rabbia; ma guardarlo mi faceva solo incazzare di più, perché lui se ne stava lì, in piedi, tutto muscoli e barba e completamente divertito da me.
E quello aveva premuto i miei pulsanti.
Il che era l’unico motivo che mi veniva in mente (a parte i sette bicchierini di Fireball) per la mia ulteriore discesa nella terra delle accuse infondate.
“Hai mangiato tutto il queso.”
L’espressione divertita che gli si leggeva in faccia si era trasformata in un sonoro scoppio di risa, come se lo avessi sorpreso con le mani nel sacco. “Sei fatta? C’era un’intera pentola di quella roba. Nemmeno un esercito sarebbe riuscito a mangiare tutto quel queso.”
“Fatta? No.” Forse era giunto il momento di confessare il mio potenziale stato alterato. “Ma ho bevuto sette bicchierini di Fireball a stomaco vuoto, perché…”
“Qualcuno ha mangiato tutto il queso.” Aveva alzato le mani nel classico gesto che indica innocenza. “Non sono io il colpevole, ma sai una cosa? Penso di poter risolvere il tuo problema col queso.”
Aveva tirato fuori dalla tasca dei suoi pantaloncini logori un telefono super figo da un fantastilione di dollari e aveva mandato un messaggio. Perché i ragazzi squattrinati spendono sempre tutti i loro soldi in prodotti tecnologici? È una decisione talmente strana che non capirò mai.
Cavolo, avevo davanti a me un esempio perfetto di Tipo Squattrinato Che Spende Soldi in Tecnologia alla Moda. Dovevo decisamente chiedere.
“Risolvi questo mistero per me.” Avevo sorriso in ritardo, rendendomi conto che, forse, il mio tono aggressivo non era l’opzione migliore se volevo una risposta.
Con le labbra ancora contratte da un divertimento che non avrebbe dovuto provare – si sarebbe dovuto vergognare per le mie parole di verità – aveva detto, “Certo. Sarà bello.”
“Perché i tipi come te, barista part time e musicista part time, spendono sempre fino all’ultimo centesimo per dei gadget costosi che non possono permettersi?”
Le sue labbra si erano assottigliate, rivelando una tensione che non avevo ancora visto sulla sua faccia. Forse, finalmente, avevo premuto i suoi pulsanti, ma lui aveva inspirato a fondo e si era visibilmente rilassato. Una frazione di secondo dopo quell’ormai familiare inclinazione delle sue labbra era tornata.
“Domanda interessante. Forse ci dà l’impressione che possiamo ottenere qualcosa. Tipo vestirsi bene, ma in stile tech.” Aveva fatto una pausa e inarcato le sopracciglia. “O forse i nostri gadget costosi non sono stati comprati con l’ultimo centesimo ma sono stati un regalo.”
“Oh.” Quello non era per niente utile. Gli avevo dato delle pacche sul petto. Wow, quello sì che era un petto saldo. “Tante grazie, ma non penso che tu abbia risolto il mistero del mio uomo.”
Aveva emesso un suono di scontento. “È questo il punto, un solo uomo non rappresenta tutta l’umanità.”
Mi ero fermata a riflettere su quello. Fermata letteralmente… accarezzandogli il petto. Perché, apparentemente, lo stavo palpeggiando a livello subconscio da quando gli avevo messo le zampe addosso. Una pacca ed ero stata risucchiata dai suoi muscoli e dal suo silvestre odore di pino.
Annusando a fondo, cercavo di analizzare i vari profumi, ma senza fortuna. Tutto quello che percepivo erano pino e bosco, deliziosi.
“Cosa stavi dicendo?” Avevo spostato lo sguardo dal suo petto, che avevo ripreso ad accarezzare, alla faccia.
Gah. Perché lui mi faceva sentire così bene e aveva un così buon odore? Non era per niente il mio tipo. Non mi interessavano i bambinoni, nemmeno per una botta e via, cosa per cui gli umani andavano bene, perché non era come…
Oops. Avevo perso la concentrazione mentre il suo odore mi faceva sballare e mi eccitava.
“Um, penso di essermi persa qualsiasi cosa tu abbia detto.” Stavolta avrei dovuto cercare di concentrarmi sulle sue parole.
“Adesso mi stai oggettivando?”
Dall’espressione del suo viso non potevo dire se fosse compiaciuto o infastidito dal pensiero, per cui avevo scelto la via della sincerità. Separando il pollice e l’indice di circa due centimetri, avevo alzato la mano e avevo detto, “Un pochino. Tu sei sexy e hai un odore ridicolo.”
Inarcando le sopracciglia aveva risposto, “Non sono sicuro di cosa intendi dire. Tu sai di cannella.”
Perché stavo trangugiando Fireball come un ragazzo di una confraternita, ma vabbè.
Quello che era successo dopo era inatteso. Ero nel mezzo di una festa. Erano presenti alcuni dei miei colleghi di lavoro. Certo, organizzavo regolarmente feste alcoliche, ma avevo degli standard per il mio comportamento.
Standard che non comprendevano maltrattare un ospite, anche se era un imbucato.
Non sono del tutto sicura del perché avessi deciso per quella festa, quella sera, quel tipo… ma lo avevo fatto.
Avevo fatto scivolare la mano – quella che aveva ripreso a sfregare i duri piani del suo petto – sulla clavicola e lungo la nuca, abbassando la sua testa verso la mia.
Cercando di abbassare la sua testa verso la mia.
Essendo a malapena sette centimetri sopra il metro e mezzo, avevo difficoltà a baciare Mr. Sexy e Villoso e Buon Profumo senza il suo aiuto. Doveva essere alto più di 1,80.
Come poteva avere un odore così buono e non baciarmi all’istante? Non andava bene così. Avevo alzato lo sguardo per vedere che cavolo di problema avesse e aveva ancora quella medesima espressione divertita. Che mi aveva fatto lanciare un’occhiataccia.
Un’occhiata alla mia espressione da stronza dagli occhi di ghiaccio e lui…
Si era messo a ridere.
Ridacchiare, per l’esattezza. Sembrava che il mio atteggiamento da stronza cattiva non lo spaventasse, e quello mi eccitava fottutamente.
Se non mi avesse baciato seduta stante, mi sarei arrampicata su di lui come se fosse stato un fottuto albero e l’avrei fatto succedere.
Questa volta, quando avevo cercato di abbassargli la testa, lui mi aveva lasciato fare. L’odore di bosco e di uomo pulito aveva riempito il mio naso prima che le nostre labbra si incontrassero.
Questo coglione stava sorridendo?
Sì. Sì, stava sorridendo.
E in quel momento era cominciato lo strapazzo.
Avevo infilato entrambe le mani tra i suoi capelli folti, scuri, non-proprio-selvaggi, avevo premuto le mie tette contro di lui, avevo inclinato la testa e mi ero concentrata sul farlo volere.
Quello che era cominciato come una delicata esplorazione era diventato un attacco violento con pressione e respiro affannoso e un desiderio di mordicchiare, morsicare, lasciare segni che non avevo mai provato prima.
Avevo intrappolato il suo labbro superiore tra i miei denti e lo avevo succhiato. Il suo ringhio mi aveva colpito basso, nell’addome, e proprio mentre stavo pensando a come fare per avvicinarmi, lui mi aveva preso per le natiche e mi aveva sollevata.
Dea. Volevo sentire ogni centimetro di lui premuto contro di me. Volevo strofinarmi contro di lui. Volevo… volevo e basta.
Aveva risposto alla mia aggressione frontale, la sua bocca dura ed esigente, e mi piaceva.
Le nostre lingue si erano attorcigliate in una guerra di calore e passione per non so quanto tempo.
A un certo punto mi era venuto il pensiero fugace che, praticamente, eravamo nel bel mezzo della mia festa.
Ma… chi se ne frega?
Lui era sexy, il suo bacio rovente, e io volevo imprimere il suo corpo muscoloso, il suo sapore, la sensazione delle sue labbra nel profondo della mia anima.
Poi aveva ammorbidito il nostro bacio.
La qual cosa era avvenuta quando il mio cervello aveva ripreso a funzionare.
La qual cosa era avvenuta quando mi ero resa conto di essere avvinghiata a lui come una spogliarellista squattrinata nel mezzo di una lap dance privata.
Poiché non lavoravo per le mance ed ero nel mio soggiorno, circondata da amici e colleghi di lavoro, probabilmente sarebbe stata una buona idea scendere da quell’albero villoso e sexy sul quale mi ero arrampicata.
Ero scivolata giù dal suo corpo, desiderando che lui non si sentisse il mio personale regalo di compleanno. Non poteva essere un regalo per me? Per piacerissimo?
Magari.