
Полная версия:
La Cattura
Le luci si fecero più forti mentre i titoli di coda scorrevano.
“Dovrei accompagnarti a casa”.
Guardava fisso davanti a sé, senza gettare nemmeno uno sguardo nella sua direzione.
“Sì...”
Dopo venti minuti erano davanti alla casa di lei.
“Vuoi entrare a bere qualcosa?”
Che cosa sto facendo?
Penserà che sono una di quelle.
Ma era troppo tardi per rimangiarsi le parole ormai.
E le sue azioni?
La sua risposta a lui nell’auto era stata il compendio della cattiva ragazza.
Lo sguardo di lui, chiaramente in conflitto, incontrò finalmente il suo.
“Mi piacerebbe, ma non credo sia una buona idea”.
Le prese il viso fra le mani.
“Se ti portassi a pranzo fuori lunedì?”
Eva espirò, lasciando andare l’aria che stava trattenendo da un po’.
Voleva vederla ancora.
Ottimo segno.
La sua sfrontatezza evidentemente non lo aveva scoraggiato.
“Mi sembra un’idea carina”.
Quindi si avvicinò e baciò la sua bocca deliziosa.
* * * *
Il lunedì mattina, Eva trovò un foglio nel suo armadietto.
Lo aprì ammirando l’elegante grafia inclinata all’indietro.
“Ciao Eva,
sfortunatamente sono costretto ad annullare il nostro pranzo di oggi.
Scusa per il poco preavviso.
Mi farò sentire presto,
Richard
Il cuore di lei si sgonfiò come un soufflé rovinato.
Annullato?
Con la testa bassa, tornò alla scrivania, col peso del suo rifiuto come piombo fra le sue mani.
Avrebbe sicuramente fatto la pausa pranzo.
Quella buffonata era la classica frase di addio, detta su carta anziché di persona.
Evidentemente sabato sera aveva lasciato che le cose andassero troppo avanti.
Forse l’aveva etichettata come un tipo da amore libero e questo lo aveva allontanato.
Chiuse gli occhi, cercando di reprimere l’ondata di preoccupazione che stava montando in lei.
Forse era solo sommerso di lavoro.
Eva si gettò sulla poltroncina e prese a giocherellare col blocco per le lettere sulla sua scrivania.
Doveva assolutamente dargli il beneficio del dubbio e non saltare a facili conclusioni.
Greer roterellò accanto a lei.
“Ehi, cos’è quella faccia triste?”
“Richard ha dovuto annullare il pranzo”.
Greer afferrò il suo braccio forzandola ad alzare lo sguardo.
“Peggio per lui.
Pensa al lato positivo, ossia che pranzerai con me”.
Il tentativo della sua amica di tirarla su aveva quasi funzionato.
“Sì...”
“Non preoccuparti,
sembrava che tutto fosse andato bene sabato sera”.
“Così pensavo”.
Eva scansò il blocco degli appunti.
Gli occhi di Greer assunsero il suo tipico sguardo ‘non dire sciocchezze’.
“È andato tutto bene”.
Eva scrollò le spalle non del tutto convinta.
“Ma dai,
sorridi.
Non ti farà male”.
Gli angoli della bocca di Eva si sollevarono in un sorriso rassegnato.
Quando Greer si metteva in testa di tirare su qualcuno, non si fermava finché non otteneva un qualche risultato.
E con Eva ci riusciva sempre.
Prima o poi.
Il resto del lunedì e il martedì trascorsero senza che vi fossero notizie da Richard.
Il mercoledì sera, Eva smise di sperare che si sarebbe rifatto vivo.
Eva stava cucinando quando il telefono squillò.
La speranza riemerse nel suo cuore che batteva a mille.
Richard?
Pensieri razionali invasero il suo cervello scacciando la gioia.
Dubitava che fosse lui, dato che l’aveva evitata fin dal loro appuntamento.
L’insicurezza l’affliggeva, punzecchiando la ferita emotiva che pensava fosse già guarita.
Prima l’aveva abbandonata suo padre, poi Richard.
Tolse la padella dal fuoco e andò nel corridoio per fermare lo squillo incessante.
“Pronto?”.
“Eva, ti senti bene?
La tua voce sembra un po’ giù”.
Richard.
La gioia le dava le classiche farfalle nello stomaco.
La sua voce profonda e sensuale le riportava alla mente la sua canzone preferita, innescando ricordi nostalgici.
Aspetta.
Può stravolgere il mio umore solo con una parola?
“Sto bene, grazie”.
Una specie.
“Come stai tu?
Che hai fatto di bello?”
“Lavoro, lavoro e ancora lavoro, sfortunatamente”.
“Capisco”.
Ora arriva il discorso ‘mi dispiace ma non credo che la nostra relazione potrebbe funzionare’, oppure la classica stronzata ‘non sei tu, sono io’.
“Mi dispiace veramente di aver annullato lunedì.
Cosa fai sabato sera?”
“Niente, perché?”
“Mi piacerebbe portarti fuori”.
Davvero?
“Dove?”
“È una sorpresa.
Fatti bella, ti vengo a prendere alle cinque e mezza”.
Oh.
Che fosse ancora interessato?
Oppure voleva semplicemente comportarsi da gentiluomo, portarla fuori un’ultima volta e poi rompere con lei di persona.
L’unico modo per scoprirlo era accettare.
Eva faticò a dormire quella notte, troppo nervosa ed eccitata per il loro prossimo appuntamento.
Quando tornò a casa dal lavoro il giorno seguente, davanti alla porta trovò un pacco avvolto in carta marrone con un biglietto e una rosa rossa.
Richard.
Dev’essere da parte sua.
Non aveva altri corteggiatori.
Con un sorriso così grande che immaginava potesse essere visto fin dalla luna, afferrò il pacco, prese la rosa e annusò il suo meraviglioso profumo.
Andò dritta nel salotto, si sedette sul divano e tirò fuori il biglietto dalla busta rossa.
La calligrafia inclinata all’indietro di Richard scorreva in linee pulite lungo quel piccolo spazio.
Cara Eva,
mi sei veramente mancata questa settimana.
Non vedo l’ora di rivederti sabato sera.
Richard
P.S.:
Non ho resistito e ti ho preso questo.
Spero che ti piaccia.
Eva aprì il pacco svelando una copia in edizione speciale di Nord e Sud.
Liberò il prezioso libro, passò la mano sulla copertina color nero e oro e sfogliò le pagine dal bordo dorato.
Aveva quell’inebriante odore di libro antico.
Un regalo davvero premuroso, per non parlare del dolcissimo messaggio che lo accompagnava.
Doveva implicare un interesse romantico, vero?
Le sue parole erano una cosa, ma per dimostrare che intendeva sul serio ciò che aveva scritto, avrebbe dovuto confermarle con azioni coerenti, inclusa l’intimità fisica, sempre che lui considerasse se stesso come il suo ragazzo.
Capitolo Sei
Il decifratore
Trondheim, Norvegia 1937
Il compagno di stanza di Abe spinse il libro di testo via dalla scrivania facendolo cadere sul pavimento.
“Ma dai!
Lo sai che sei un genio coi codici.
È semplicemente una serata fuori,
non ti farà male.
Potrai finire la revisione domani”.
Il ragazzo aveva ragione.
Abe era sempre stato un mago della matematica e adorava creare e risolvere rompicapi.
Se la parola ‘crittografo’ avesse avuto una foto accanto sul dizionario, sarebbe stata la sua.
Una notte lontano dallo studio avrebbe potuto persino fargli bene.
Avrebbe potuto servire a calmargli i nervi, che erano il suo vero problema.
Si prepararono e andarono a un club sotterraneo, molto popolare, apparentemente frequentato da bellissime donne - o almeno era quanto asseriva il suo compagno di stanza.
Quello era stato l’argomento decisivo.
Lo swing martellava contro le doppie porte chiuse, sorvegliate da due massicci buttafuori.
Il suo amico strinse loro le mani, scambiò qualche parola e lo condusse dentro attraverso un muro di fumo.
Gli occhi di Abe si abituarono all’oscurità.
Gruppi di uomini in tiro e di donne in abiti attillati riempivano la vasta area.
Un gruppo suonava sul palco che sovrastava la pista da ballo piena di gente, con rivoli di fumo che si diffondevano nell’aria allegra.
Sulla sinistra c’era un piccolo guardaroba, mentre un bar luccicante occupava il resto della parete di sinistra.
“Prendiamoci una birra”, disse il suo amico guidandolo lungo un tortuoso percorso diretto al barista più vicino.
“Offro io”.
Abe prese alcune corone dal suo portafogli e ordinò i loro drink.
E poi la vide.
La più bella creatura che avesse mai visto.
I suoi occhi verde giada tagliarono il fumo e incrociarono i suoi dall’altra parte del bar e fu come se delle piccole mani invisibili lo spingessero in avanti.
“Scusa, devo andare”.
Abe passò le birre al suo amico senza distogliere gli occhi da quelli della donna e iniziò ad andare verso di lei.
“Abe?”
La voce del suo compagno di stanza gli arrivò attraverso il rumore,
ma Abe non si fermò, come un treno su un binario diretto a una nuova eccitante stazione.
“Ci rivediamo al dormitorio allora”.
O almeno così interpretò le parole soffocate del suo amico.
Più si avvicinava a quella donna intrigante, più il suo corpo canticchiava con risoluta armonia, come se l’aura di lei lo avesse avvolto in una calda coperta escludendo il resto del mondo.
Dei magnifici capelli biondi incorniciavano il viso della ragazza, le cui onde cadevano sulle sue spalle slanciate.
“Non ti ho mai visto qui prima”.
Il suo accento la identificava come nativa norvegese, un’alta, magra e sexy autoctona.
Roba da stella del cinema.
Il suo cuore iniziò a battere al ritmo della big band.
“N-no”, balbettò.
“No. Studio all’università.
Facoltà di Scienza e tecnologia a Gløshaugen”.
Non aveva neanche risposto alla sua domanda.
Doveva pensare che fosse un idiota di prima classe.
“Uhm... Non mi sono avventurato fuori un granché.
Ho una borsa di studio,
mi sto concentrando sullo studio
perché non posso permettermi di perderla”.
Ok, ora suonava meglio.
Dieci e lode per aver fatto una grandiosa prima impressione.
Ora probabilmente pensava anche che fosse un nerd fifone.
Lei sorrise come a dire ‘ha perfettamente senso’, oppure ‘ non so perché ma ti darò un’opportunità’, e porse la mano candida.
“Capisco.
Mi chiamo Rhoda, sono anch’io una studentessa e vivo in fondo alla strada”.
È un invito?
Lui strinse la sua mano mentre brividi deliziosi saltavano da sinapsi a sinapsi.
“Sono Abe.
Piacere di conoscerti”.
Molto piacere.
I suoi lombi erano d’accordo.
Le coppie si radunavano sulla pista da ballo.
Doveva chiederle di ballare e poi offrirle da bere.
Era così che il rituale di corteggiamento iniziava in Australia.
In Norvegia, così straniera per lui per tanti versi, non aveva idea.
L’etichetta poteva essere molto diversa, giusto?
Si schiarì la gola.
“Quindi... “
“Ti piacerebbe accompagnarmi a casa?”
La speranza che traspariva dai suoi occhi li faceva luccicare come torce.
Cosa?!
“Ma sono appena arrivato.
Ci siamo appena incontrati.”
“Si tratta solo di una piccola passeggiata.
Possiamo conoscerci meglio sulla strada.
È difficile parlare qui”.
O aveva una mentalità estremamente aperta o l’aveva fraintesa completamente.
Di norma era bravissimo a inquadrare le persone, le situazioni, i codici.
Ma fino a quel momento niente era normale in quell’interazione.
“Uhm...”
“Dai,
vivi un po’”.
Lei afferrò la sua mano e lo condusse verso l’uscita.
L’aria ghiacciata sferzava la pelle come se la volesse scorticare.
Abe rabbrividì e tirò su il colletto del cappotto, mentre Rhoda sembrava non risentirne affatto, neanche un po’ di pelle d’oca sulla pelle nuda, come se fosse immune al freddo.
Girarono a sinistra e fecero una passeggiata sul lungomare.
“Sono tutte così coraggiose le ragazze norvegesi?”
Lei rise e la sua risata era ricca e melodiosa come un canto di sirena.
“Hai un forte accento.
Da dove vieni?”
“Dalla Tasmania, in Australia.
Ma non hai risposto alla mia domanda”.
“Dipende dalla ragazza.
Gli uomini australiani sono tutti così pronti a fare supposizioni?”
“Fare supposizioni?
Non sto supponendo nulla”.
Lei si fermò, i suoi magnetici occhi verde giada fissavano quelli di lui.
“Una ragazza ti invita ad accompagnarla a casa e tu non hai in testa supposizioni e aspettative?”
Lui ridacchiò, quindi continuarono a camminare.
“Mi hai beccato.
Più che altro sono curioso”.
“Di quel che potrebbe accadere”.
“Sì,
ma sto cercando di mantenere una mentalità aperta a riguardo”.
“È la maniera migliore”.
Lui guardò il profilo equilibrato di lei.
“Chiedi spesso agli uomini di accompagnarti a casa?”
“Importerebbe qualcosa se lo facessi?”
“No, quello che fai sono affari tuoi”.
“No”.
“No?”
“Normalmente non chiedo agli uomini di accompagnarmi a casa.
Questa è la prima volta”.
“Davvero?”
Questa donna era un enigma che neanche lui riusciva a districare.
Sanguigna, attraente, provocante, e tuttavia innocente?
“Perché è così facile per te credere che lo abbia già fatto prima, ma non che sia la prima volta?”
Lui sfregò il mento ben rasato con la mano ghiacciata.
“Sembri così sicura di te”.
“Lo sono... Di te.
Sembri retto e affidabile”.
“Ora chi è che fa supposizioni?”
Lei scoppiò di nuovo in quella musica che era la sua risata.
Arrivarono a una villa gotica imponente, un palazzo in arenaria, con una fontana che raffigurava Psyche e Eros che rumoreggiava sul davanti.
“Wow.
Vivi qui?”
“Sì,
questa casa appartiene alla mia famiglia da generazioni”.
Percorsero i gradini consumati fino a una grande porta in quercia con sinuosi cardini e battente neri.
Lei lasciò andare la sua mano, cercò nelle tasche e tirò fuori un’antica chiave di ottone che sembrava uscita direttamente da un museo.
Rhoda entrò e proseguì lungo l’oscuro corridoio.
“Non entri?”
Anche se a distanza, lui era rimasto nella sua bolla ammaliatrice.
Abe la seguì, come un cucciolo adorante tirato da un guinzaglio invisibile.
Sulla sinistra si ergeva una scalinata e lei andò verso una stanza buia sulla destra, con piccole fiamme gialle e arancioni che crepitavano nel camino.
Rhoda afferrò un attizzatoio, sistemò la legna e aggiunse qualche ciocco rinvigorendo la fiamma.
Si sedette su un delizioso divanetto intagliato mentre riflessi d’ambra e oro danzavano sul suo viso e sul suo corpo come se fosse un dipinto astratto.
Con un gesto della mano lo invitò a raggiungerla.
Il calore irradiava dalla sua vicinanza e dalle fiamme, facendo aumentare il desiderio di lui.
Aba combatté l’urgenza di far scivolare le mani sulla pelle di lei sotto il suo morbido vestito bianco.
Ma quegli occhi non gli facilitavano affatto le cose.
Lo sguardo predatorio che vi coglieva rivelava che lei voleva divorarlo in maniera piacevole, in maniera molto piacevole.
“Non c’è nessuno in casa?”
“Probabilmente no.
La cena di solito non viene servita prima delle nove e non sono ancora le otto”.
Un sorriso nervoso si incastrò negli angoli delle labbra di lui.
“Giusto... Uhm... Dimmi qualcos’altro di te e della tua famiglia”.
“Sei sicuro che ti interessi?”
Chiese lei con un tono che suonava come un avvertimento.
“Certamente.
Non è questo il punto?”
Quindi venne colpito da un’improvvisa consapevolezza.
Forse lo aveva rimorchiato solo per il sesso.
Non lo aveva mai fatto al primo appuntamento, anche se la bellezza di lei la rendeva quasi irresistibile.
Abe distolse bruscamente lo sguardo e si sedette sulle mani.
“Sembri... Qual è la parola in inglese?
Ansioso?” disse lei.
“Probabilmente perché lo sono”.
Lei rise.
“Non ti morderò, a meno che non sia... una cosa che ti piace”.
Rhoda lo fissava dritto negli occhi.
“Ti andrebbe qualcosa da bere?”
Il cervello sovreccitato e pieno di domande di lui non aveva bisogno di esercitarsi ulteriormente con la disinibizione.
Doveva cercare di ragionare, cosa che diventava sempre più difficile man mano che rimaneva seduto lì con lei.
“No. Sto bene così.
Grazie”.
“Ok, allora raccontami di Abe.
Fammi un riassunto su di te”.
L’invitante voce rauca e i suoi occhi ipnotici erano irresistibili.
Abe abbassò gli occhi sul suo grembo.
Se avesse continuato a guardarla non era sicuro di riuscire a rimanere un gentiluomo.
“Non dovresti essere prima tu a raccontarmi qualcosa di te?”
“L’ordine è così importante?”
“A volte.
Se ti scrivessi una lettera e tu la leggessi da destra a sinistra non avrebbe alcun senso”.
Lei rannicchiò le gambe sul divano, mise il gomito sullo schienale e appoggiò la testa sulla mano.
“Cosa studi all’università?”
“Crittografia.
Si tratta della scienza...”
“So di cosa si tratta Signor Codifico Tutto... O è Decodifico?”
“Entrambe le cose”.
“Numeri”.
Le labbra di lei si strinsero come se si stesse sforzando di trattenere un sorriso.
Sta ridendo di me?
“Scusa?” disse lui, raddrizzando la schiena.
“Hai capito la mia battuta?
Codice... numeri?”
Astuta.
L’autodifesa che si ostinava a mantenere scivolò dal suo corpo.
“Sei così carino quando tiri fuori l’orgoglio”, disse lei.
Lui ghignò.
“Solo in quel momento?”
“No, hai veramente, qual è la parola inglese, sexy?
Hai anche un sorriso molto sexy”.
Senti chi parla.
“Grazie”.
Lei colpì la coscia di lui col suo ginocchio affusolato.
“Sto ancora aspettando il tuo riassunto”.
Abe fece fatica a riprendersi da quel tocco che gli aveva accelerato il battito.
“Come ho detto prima, ho una borsa di studio, per questo sono qui”.
“Quindi sei intelligente... Quantomeno per quel che riguarda il lavoro accademico”.
Un sorriso impertinente curvò gli angoli della sua bocca.
Abe proseguì a fatica, tentando di impedirsi di piantare un bacio su quelle labbra tentatrici.
“Adoro lo scambio di culture...”
“Quindi ti piace viaggiare”.
“La campagna è da togliere il fiato...”
“Quindi sei un amante della natura, un uomo che ama la bellezza semplice e incontaminata”.
Bellezza incontaminata.
Si riferiva a se stessa o al paesaggio?
La fissò negli occhi di giada, così vicino al punto di seduzione che bastava un minimo per farlo precipitare.
“Sì”.
Senza alcuna avvisaglia, lei chiuse le labbra sensuali su quelle di lui togliendogli il fiato, e si fece più vicina, passando le braccia attorno al suo collo.
Lui passò le mani intorno alla vita sottile di lei, infilando la lingua nella bocca di lei per esplorarne i piaceri nascosti.
Non sapeva nulla di questa donna, ma una la sapeva...
Che sapeva baciare... Beh, da dio.
Si ritrasse per inspirare un po’ d’aria.
“Lo hai fatto per distrarmi, vero?”
La sua voce suonava roca a causa dell’eccitazione.
“La domanda è, ti è piaciuta la distrazione?”
Se fosse stata seduta su di lui, avrebbe saputo la risposta senza che lui avesse a proferire parola.
“Molto.
E a te?”
“Una signora non rivela certe cose”, disse con un sorriso malizioso.
Lui ridacchiò.
“Mi sembra giusto.
Ma come minimo mi devi rivelare i punti salienti di Rhoda”.
Lei lasciò cadere le braccia dal suo collo e guardò in basso. La sua gamba tremava.
Ora era il suo turno di essere nervosa.
“Sto aspettando”, disse lui.
Lo sguardo di lei tornò a incontrare il suo.
Aprì la bocca ma tutto ciò che ne uscì fu un sospiro.
Era come se avesse qualcosa da nascondere, come se fosse un’agente segreta o una femme fatale.
“Io... “ Fece un gran respiro come a voler prendere ancora un po’ di tempo per raccogliere i pensieri.
“Sono una studentessa di musica,
il pianoforte è il mio strumento.
Spero di entrare nell’orchestra sinfonica ma sto prendendo il diploma per insegnare come piano di riserva”.
“Quindi sei un’artista e una creativa”.
“Vivo in Norvegia da tutta la vita e non sono mai stata all’estero...”
“Quindi ti piacciono le comodità di casa e sei vicina alla tua famiglia":
“E... “ esitò.
“Come posso dire... “
Batté con dita tremanti sul mento delicato.
“La mia...” si percepiva chiaramente che era indecisa se rivelare o meno qualcosa.
“La mia discendenza è... complicata.
Sono una mezzosangue... ”
“E quindi?
Se tu sei una mezzosangue io sono un meticcio, praticamente un delinquente”.
Lei evitò il suo sguardo e scosse la testa.
“Non capisci.
Sono una mezza Jade”.
Jade?
Che diavolo significa?
“Mi dispiace,
non conosco i gruppi etnici scandinavi”.
“Non sono in molti a conoscerli.
Pensavo che ci fossero pettegolezzi all’università.
Alcuni studenti sono molto... intelligenti”.
Abe le prese la mano.
“Pettegolezzi su cosa?
Cosa c’è di così speciale in questa tua discendenza dai Jade?”
Lo sguardo di lei si fece supplichevole.
“Te lo dico solo se mi prometti che dopo non scapperai via”.
Lui fece uno scatto indietro.
“Scappare?
Ma certo che non lo farò.
Quanto può essere brutta?
Sono una famiglia di assassini scandinavi colpevoli di omicidi di massa?”
Ma l’espressione mortalmente seria di lei smorzò il suo tentativo di scherzare.
“Prometti”.
“Sì, lo prometto”.
Accarezzò la morbida pelle pallida della mano di lei.
Rhoda prese un gran respiro e fissò le loro dita intrecciate.
“Esistono due clan, i Jade e i Violet.
E non vanno d’accordo, fin dal Medioevo”.
“Fammi indovinare, è ancora così”.
“Sì.
Personalmente non ho problemi coi Violet, ma non è questo il punto”.
Abe le strinse la mano.
“E qual è?”
Lo sguardo di lei catturò nuovamente il suo.
“I Violet e i Jade sono”, esitò, “creature della notte”.
“Creature della notte?
Intendi dire che a loro piace” disegnò due virgolette con le dita “divertirsi?”
Quindi non si trattava di conservatori che rifiutavano il sesso prima del matrimonio.
Caspita.
Ma non gli dava fastidio.
I tempi stavano cambiando comunque.
Lei scosse la testa, coi suoi bellissimi capelli biondi che frusciavano sulle spalle.
“No, intendo dire... vampiri”.
Lui rise.
“Ti piace veramente scherzare, eh?
È una caratteristica molto attraente”.
Ma l’espressione seria di lei non mutava di una virgola.
“Non sto scherzando stavolta”.
“Stai tentando di dirmi che sono seduto qui fra le grinfie di un vampiro?
Mi hai attirato qui per cena?
Per fare di me il piatto principale?” disse cercando di trattenere la risata che gli saliva lungo la gola.
Lei sbuffò e lasciò andare la mano di lui.