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Ogni Minuto
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Ogni Minuto

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“La mia vita girava intorno alla musica.” Garret le fece l’occhiolino e Adara fece finta di non vederlo. Con un po’ di fortuna, il suo viso non sembrava così caldo come si sentiva. “Non avevo tempo per altre attività.”

Suona familiare. Per strappare Joey dal suo violino ci voleva la forza, l’inganno o una torta al cocco, a volte tutte e tre le cose. Adara avvertì un nodo alla gola e si girò.

“Il doppio o niente!” esclamò Bob, attirando l’attenzione di tutti. “È stato un colpo di fortuna o la fortuna della principiante. Inoltre, nessun altro sta facendo la fila.” Disse l’uomo riempiendosi un braccio di rotoli di carta igienica. “Alziamo la posta. Se Garret vince, detiene il titolo onorifico di signor Bingley, solo per la notte di carnevale, e...?” Guardò con attenzione Garret.

Sul volto di Garret tornò il sorriso. “E Adara accetta di cenare con me.”

Capitolo quinto

Non ci sarebbe stata nessuna cena con Garret Ambrose. Adara infilò le mani nelle tasche dei jeans. “No. Devo andare ad accaparrarmi un palloncino a forma di cane da salsiccia. Roba top-secret per la sicurezza del carnevale.”

“Bene.” Garret prese dei rotoli di carta igienica in ogni mano e la guardò con, gli occhi scintillanti. “Mi aspettavo che accettassi e che mettessi i tuoi paletti affinché non molestassi mai la tua persona innocente al di fuori del lavoro. Graywood è una piccola città. Ci incontreremo” disse Garret con un sorriso smagliante ”spesso.”

Il giovane aveva fatto un’osservazione valida. Condividere l’aula con lui sarebbe stato già abbastanza brutto. Sarebbe stato ancora peggio avere a che fare con lui nella corsia dei prodotti femminili del supermercato. Adara gli strappò un rotolo dalla mano. “Va bene, a patto che non mi rivolgerai parola al di fuori del lavoro.”

Adara aveva pensato che prima lui avesse mostrato tutti i suoi denti? No, ne aveva di più e tutti risplendevano verso di lei, bianchi e dritti. Se non altro, aveva davvero un bel sorriso. Era contagioso. Pericoloso. “La fortuna del principiante, tesoro un...”

Tatum la guardava, attenta a ogni sua parola.

“Pezzo di torta di mele di zia Mary.” Come insegnante di scuola elementare, aveva fatto molta pratica con le parolacce creative. Di solito non si preoccupava abbastanza da scivolare. Fastidioso musicista aspirante pirata e con un sorriso contagioso.

“Bel salvataggio,” mormorò Garret, grattandosi l’orecchio e guardando il soffitto della palestra.

“Zitto,” gli rispose lei sottovoce, concentrandosi sulle tavolette. Un tiro da cinquanta, le avrebbe quasi garantito la vittoria, e, dato che cenare con lui non era una possibilità, puntare su ciò le sembrava la cosa da fare. Se avesse sbagliato, aveva ancora due colpi per batterlo. Un pezzo di torta. Alle mele della zia Mary, per essere precisi.

Espirando, Adara lanciò il rotolo verso il bersaglio ma rimbalzò sul bordo e cadde a terra, lasciando dietro di sé una scia bianca.

“Quasi.” Bob emise un “tsked”, il suo disappunto non era affatto convincente.

“La vittoria è così dolce. Ne sento già il sapore.” Garret piegò le dita e ruotò il collo. Saltò alcune volte, agitando le braccia come un pugile che si prepara per salire sul ring.

“Signorina Dumont, non è educato alzare gli occhi al cielo. Questo le costerà un adesivo.” Tatum allungò una mano, aspettando il prezzo del roteare gli occhi.

Mettere in pratica ciò che predicava in classe non era facile con Garret Ambrose. “Hai ragione. Sono stata scortese e mi scuso.”

La piccola mano non si mosse, restando in attesa.

“Non ho nessun adesivo con me... Oh, aspetta.” Tirò fuori dalla tasca il biglietto rosa che aveva trovato in precedenza attaccato al gilet. “Ecco qua. È tutto quello che ho.”

Tatum lesse il biglietto e il suo volto si corrugò. “Che schifo. Vuole sposare il preside Austin?”

Il riscaldamento di Garret si fermò all’improvviso e anche Bob fece una pausa.

“Sì, certo.” Adara sospirò con un’aria sognante. “Tutte vogliono sposare il preside Austin. È come un signor Darcy dei giorni nostri.”

Tatum sembrò così inorridita che Adara dovette sforzarsi per non ridere. Tenendo il biglietto come se contenesse una malattia, la bambina lo lanciò di nuovo verso la maestra. “Non voglio un adesivo.”

“Bene.” Adara lo attaccò sul gilet, mostrando le lettere scarabocchiate a matita da una mano giovanile. “Lo terrò per me.”

Garret scorse il biglietto e il sollievo negli occhi scuri di lui suscitò dietro lo sterno di Adara un piccolo, fragile battito, nel posto in cui un tempo risiedeva il suo cuore. Garret voleva veramente vincere quella scommessa, per trascorrere più tempo con lei. Non aveva alcun senso. Adara sapeva che alcuni uomini la trovavano attraente, nonostante che non si fosse mai preoccupata di truccarsi, indossasse sempre vestiti neri minacciosi e scoraggiasse senza pietà le avances romantiche. Forse a lui piaceva solo il brivido della caccia. La giovane sollevò il mento. Questa particolare preda non sarà catturata.

Sembrò che Garret avesse terminato le sue mosse di preparazione, si girò e lanciò il rotolo verso la tavoletta dei quaranta punti. Il rotolo la attraversò in pieno, un colpo perfetto.

“Quaranta punti per il signore,” annunciò Bob, mentre Tatum saltellava, applaudendo.

“Traditrice.” Adara strinse gli occhi verso la sua studentessa preferita. “Pensavo fossi dalla mia parte.”

“Lo sono.” Tatum pronunciò la parola con il tono lamentoso che i bambini amano utilizzare quando protestano. “Voglio che tu sia Jane, non Mary, e Jane ha bisogno di un signor Bingley.” La piccola sbatté le ciglia. “Lo zio Garret sarà un perfetto signor Bingley.”

“Grazie, signorina Bennet.” L’uomo eseguì un elegante inchino in modo così esperto che doveva essere un movimento che praticava spesso. “La fiducia che dimostra nei miei confronti mi scalda il cuore.”

“Per quanto sia fuori luogo in questa circostanza.” Adara strappò dalle mani di Bob il secondo rotolo. “Inoltre, per quanto mi ricordi, in nessuna versione di Orgoglio e Pregiudizio il signor Bingley aveva una predilezione per i pirati.”

Bob ridacchiò. “Grazie, signorina Dumont. Lo dico da anni e nessun altro pretende di vedere il suo malcelato desiderio di essere Barbanera.”

“Non ho affatto voglia di essere un pirata.” Il tono di voce di Garret diventò affilato e lanciò al cognato un’occhiata degna di qualsiasi mascalzone. “L’anello con il teschio è stato un regalo di tua moglie e della tua prole, come ben sai. Che razza d’ingrato sarei se non lo indossassi?”.

“Nessun giudizio.” Bob alzò le mani, gli occhi scintillanti. “Scommetto che ti piacerà la benda sull’occhio che ti regaleranno per il tuo compleanno.”

Il ghigno bloccato nella gola di Adara esplose.

“Ho capito come stanno le cose. Mancanza di rispetto e slealtà da tutte le parti.” Garret incrociò le braccia e i suoi bicipiti si strinsero sotto le maniche della camicia, braccia che avrebbero fatto invidia a molti uomini. Dev’essere perché tiene il violino. Con fare minaccioso Garret si avvicinò al cognato. “Sarà meglio che ci sia una sciabola con quella benda sull’occhio, cane rognoso.”

Adara sorrise, in un modo involontario e genuino. Soffocò velocemente quell’espressione, il suo cuore scalciava forte. Poteva vedersi all’interno di quella famiglia, connettersi, avvicinarsi, condividere le risate, essere vulnerabile... permettendo che il dolore debilitante non si ripetesse.

Adara distolse lo sguardo da Garret, rivolgendolo alle tavolette. Cinquanta punti. Perdere non era una possibilità. Costringendo le mani a stare ferme, tirò. Il rotolo colpì il bordo, rimbalzò e passò. Non era stato un bel tiro, ma aveva funzionato.

“Dan...” Garret colse appena in tempo lo sguardo spalancato di Tatum. “-nazione.” Il giovane iniziò a passare il secondo rotolo di carta da una mano all’altra, scrutando i bersagli, con un’espressione seria. “O la va o la spacca, giusto?” Lanciò il colpo verso il cinquanta... e lo mancò.

“Metticela tutta, zio Garret!” urlò Tatum, osservando con cipiglio l’uomo che tre secondi prima aveva guardato con tanta ammirazione.

La sensazione di nodo alla gola di Adara si allentò un po’. Erano di nuovo quasi alla pari. Le mancavano solo altri cinquanta punti e sarebbe stata libera da ogni impegno, libera dal fastidioso violinista fuori dal lavoro, libera di stare nel suo bozzolo sicuro.

Incontrò lo sguardo di Garret. “Vuoi fare il tuo ultimo tiro adesso? Se non fai centro, mi risparmierai la fatica.”

Lui la studiò per un istante molto lungo. Senza sorridere con il solo scopo di concentrarsi soltanto su di lei, Adara riusciva a capire perché lui eccellesse nella sua musica. Quella determinazione le suggerì che una volta che la mente dell’uomo era impostata, non si arrendeva mai, non importava quale fosse la difficoltà o la sfida. Conquistare o morire. Garret scosse lentamente la testa.

Adara scrollò le spalle e aggiustò la presa sull’ultimo rotolo. Cinquanta punti avrebbero assicurato la vittoria, ma quaranta sarebbero stati un colpo più facile e un pareggio se Garret avesse avuto fortuna. In nessun modo avrebbe potuto batterla in uno spareggio. Puntò ai quaranta punti.

Il tiro ripeté il punteggio precedente di Tatum, rimbalzando sul bordo dei quaranta. Il rotolo si capovolse, cadendo e rimbalzando nei trenta. Merda. Poteva ancora batterla. Non avrebbe mai dovuto permettere a Tatum di trascinarla in quella situazione. Già, i bambini di terza elementare sono ottimi capri espiatori.

Garret riprese a studiarla, arrotolando distrattamente la carta igienica tra i palmi delle mani - quella stessa, seria concentrazione che le faceva sentire come se lui potesse vedere ogni vulnerabile frammento della sua anima. “Cinquanta punti per vincere, Adara.”

Quasi ipnotizzata dallo sguardo di lui, Adara avvertì il tono basso e sensuale di Garret avvolgerla. La giovane tossì per rompere l’incantesimo. Lui aveva sempre mancato i cinquanta punti. Non c’era modo che lo colpisse ora. “Quaranta punti per pareggiare.”

Sul viso di Garret tornò il sorriso che non era affatto come l’amichevole scatto di gioia che aveva indossato prima. Era il sorriso a denti stretti di un lupo, sicuro di sé e affamato. “Non mi piace pareggiare.”

Fece perno, puntò e affondò la carta igienica nel cinquanta.

Adara sbatté le palpebre. Merda.

Sia Tatum sia Bob esultarono.

Garret saggiamente esternò i suoi festeggiamenti con un piccolo sorriso, una mossa intelligente. Una danza della vittoria avrebbe scatenato la violenza. “Per la cronaca, il mio unico trofeo di pallacanestro è il premio di plastica del negozio “tutto a un euro” vinto sul campo del vialetto di famiglia. È passato tutti i giorni tra le mie mani e quelle di mia sorella London mentre crescevamo. Ho vinto la nostra ultima partita, così ho reclamato il suo ultimo posto.” Garret si stiracchiò lentamente, come se stesse scaricando la tensione di una vittoria emozionante. La sua fossetta riapparve. “Non ti ho ingannata, davvero. È stato un colpo fortunato.”

Lo stomaco di Adara si contorse. Avrebbe dovuto cenare con quell’uomo che la impressionava anche senza il suo violino, da sola, senza bambini a distrarla. Sopportarlo senza conseguenze avrebbe potuto richiedere qualche nuovo trucco.

Un colpetto sulla spalla la riportò alla realtà. Accanto a lei c’era una bambina con un lecca-lecca appeso tra i lunghi capelli biondi. “Ho un problema.”

Grazie a Dio. Qualcosa su cui concentrarsi che non riguardasse scommesse perse, inviti a cena o musicisti. “Andiamo nella mia classe. Ho un barattolo d’emergenza di burro d’arachidi a portata di mano.” Appoggiò una mano sulla spalla della bambina e la spinse in avanti. Se non si fosse voltata indietro e avesse fatto finta che gli ultimi quindici minuti non fossero trascorsi, forse avrebbe potuto pensare di aver avuto un incubo.

“Verrò a trovarla, signorina Bennet.” La voce di Garret la seguì, piena di umorismo consapevole, come se sapesse esattamente cosa lei avesse pensato. “Charles Bingley mantiene sempre la parola data.”

La bambina guardò Adara di sottecchi, sollevando le sopracciglia.

“È meglio che tu non lo sappia. Fidati di me.” Adara scosse la testa. “Vorrei poter dimenticare.”

* * * *

Garret appoggiò un fianco contro il bancone del Lancio della carta igienica mentre Adara si dirigeva tra la folla con la bambina con il lecca-lecca tra i capelli. Lei non si voltò mai, anche se lui l’aveva aspettato, sperato. La forma snella di lei scomparve dietro un groviglio di adolescenti. Il giubbotto fosforescente dell’addetto alla sicurezza lampeggiò una volta e poi lei sparì, come un corvo inghiottito dal mare colorato del carnevale.

Garret non si preoccupò di trattenere un sorriso. Chara, l’umorismo tagliente di lei lo uccideva, una sincerità spudorata che gli era mancata oltreoceano. Non gli importava che lei volesse allontanarlo, le sue risposte rivelavano quanto fosse veramente attenta, e se non fosse stata un po’ interessata, non avrebbe prestato attenzione.

Più minuti passava con lei, più lui voleva sapere. Stasera aveva scalfito la sua superficie e ciò che si era liberato aveva risvegliato ogni senso. La sua risata era sufficiente a ispirare cori di angeli, ma lei era più timida di una creatura dei boschi. Guadagnarsi la sua fiducia avrebbe richiesto pazienza. Per fortuna, la pazienza era un’altra delle abilità particolari di Garret. Avrebbe usato un martello gioiello per scalfire la sua armatura finché non fosse rimasto nulla tra di loro.

“Qual è il problema, Bob?” Si voltò verso il cognato e incrociò le braccia. “Il doppio o niente? Non sono sicuro se stessi cercando di aiutarmi o di affondarmi.”

“È passato molto tempo da quando ho visto Adara anche solo lontanamente divertirsi.” La pietà offuscò l’aperta cordialità nell’espressione di Bob. “Continuare a giocare ancora per un po’ sembrava la cosa da fare.”

Garret odiava che il dolore la annebbiasse, isolandola. “Quindi non aveva niente a che fare con l’aiutarmi.” Il violinista picchiettò sul bancone, liberando il battito che gli pulsava nella testa. “E se avessi perso? Dubito che persino una doppia sfida l’avrebbe fatta andare avanti.”

Bob strizzò gli occhi, cancellando ogni preoccupazione. “London si è lamentata abbastanza di quel ridicolo trofeo di basket di plastica. Odia che tu l’abbia ancora. Mi fidavo di te.”

“Non ci hai mai visto giocare? Facciamo schifo entrambi.” Garret afferrò un altro rotolo e lo lanciò, mancando il centro. “Ma solo un disastro naturale mi avrebbe fermato. Probabilmente mi hai risparmiato mesi di figuracce. E questo solo per rimediare un misero appuntamento.”

“Ti fermi così a lungo?” La sorpresa nella voce di Bob non era offensiva. Da quando aveva ottenuto la sua libertà di adulto, raramente Garret aveva pianificato la sua mossa seguente, lasciando che il suo cuore lo guidasse. Non aveva pianificato nulla se non il suo lavoro temporaneo di tutor musicale, grazie alle suppliche di Tatum e ai legami che Bob aveva con il preside. Il suo manager gli aveva riferito un paio di offerte, se avesse deciso di tornare. Quelle offerte non sarebbero rimaste disponibili per sempre.

“Non c’è niente di definitivo. Forse vedrò come vanno le cose come tutor di musica” – Garret si schiarì lo strano graffio alla gola - “e con la signorina Dumont.”

“Basta fare attenzione. Non puoi ispirare tutti.”

Garret squadrò le spalle e sollevò il mento. “Guardami.”

“Santo cielo, sei testardo come London.” Bob allungò il pugno e aspettò che Garret lo battesse con il suo. “Non c’è di che.”

“Andiamo, zio Garret.” Tatum gli tirò la manica, lasciando un’altra serie d’impronte rosa appiccicose, apparentemente stanca di sopportare i discorsi degli adulti e dimenticando tutto sul fingere di essere Elizabeth Bennet. “Hai promesso che potevo andare nella casa gonfiabile e Bryan non è ancora tornato, quindi scommetto che è già lì. Andiamo.”

Mentre Tatum lo trascinava per un braccio, Bob lo chiamò. “Attento, Garret. Quando London saprà di stasera, chiederà la rivincita. Rivuole quel trofeo.”

Garret sollevò la mano per indicare che aveva sentito, poi sorrise a nessuno in particolare.

È bello essere a casa.

Capitolo sesto

Il sabato mattina arrivò troppo presto e non abbastanza presto. Adara si stiracchiò le braccia mentre il sole si rivelava lentamente, ammiccando grigio attraverso i sempreverdi misti e gli alberi spogli del suo cortile. Da quando Joey si era ammalato, il sonno era stato una bestia imprevedibile e lei aveva imparato a non combatterlo. Le pillole non sempre funzionavano e meglio essere una brontolona naturale che una zombie chimica.

Dopo essersi riscaldata e aver fatto stretching, indossò la giacca e fece scivolare la fascia in pile dal collo alle orecchie. Anche se il nero era il colore dominante del suo guardaroba, faceva delle eccezioni per le corse in penombra e indossò dei guanti, degli scaldaorecchie e una giacca di colore rosso. Restare da sola non voleva dire aver voglia di morire.

L’aria fredda le punse il viso mentre apriva la porta. Adara indossò i guanti e scese con cautela i gradini, verificando che non ci fossero punti scivolosi. La neve scintillava alla luce appena accennata e i rami degli alberi spogli mostravano un paio di centimetri di lanugine bianca. Non c’era nessun altro sul marciapiede. Solo gli psicopatici, gli idioti e gli squilibrati andavano in giro così presto in un sabato mattina invernale. Il tipo di folla che Adara amava.

Impiegava solitamente mezz’ora per arrivare da casa al parco, abbastanza da avere il sangue che pompava caldo con un ritmo sincrono. Il silenzio dell’alba, quando la vita era sul punto di risvegliarsi, aveva sempre qualcosa di magico, come se corresse abbastanza velocemente da poter scivolare in un mondo diverso. La neve scricchiolava con un ritmo costante sotto le sue scarpe e l’aria, fresca e frizzante, le frustava i capelli, un richiamo alla libertà temporanea dal suo passato, dal suo dolore, dai suoi pensieri. Aumentò il passo, lasciandosi tutto alle spalle tranne il sangue che le ruggiva nelle vene, il battito dei piedi e il bruciore delle gambe.

Se solo fosse stato possibile lasciare tutto alle spalle così facilmente.

Svoltando nel parcheggio che conduceva ai sentieri dedicati al jogging, non rallentò. Il sentiero più difficile la chiamava, ma era più lungo degli altri e le nuvole color grigio canna di fucile e la temperatura in calo promettevano presto altra neve. O peggio, ghiaccio. Inoltre, aveva bisogno di tempo in più per capire il budget di quel fine settimana, per trovare una soluzione e presentarla ad Austin, per dargli il tempo di studiarla da solo. Qualunque fosse stato il piano, doveva renderlo abbastanza buono e convincente da salvare il suo lavoro.

Amava il suo lavoro. Prima di Joey, sapeva di essere stata un’insegnante divertente, quella che piaceva ai bambini e che i genitori speravano che avessero i loro figli. Dopo Joey, era passata alla severità, e non sapeva se poteva tornare come prima, ma non aveva idea di cosa avrebbe fatto se non fosse stata un’insegnante, come avrebbe potuto ricominciare da qualche altra parte. Da sola. Il suo respiro intorbidò l’aria, un fantasma momentaneo scomparso in un batter d’occhio. Doveva mantenere il suo lavoro.

Il terreno passò dall’asfalto alla terra, schiacciandosi sotto le scarpe tanto da farla rallentare. Una macchia colorata balenò tra gli alberi più avanti, dietro una curva del sentiero. Accidenti. Un altro mattiniero. Voleva i sentieri tutti per sé.

Ogni passo fangoso la portava più vicina all’altro corridore. Spalle larghe, fianchi stretti, sicuramente un uomo e stava faticando. Ansimava al ritmo della sua corsa lenta e un berretto rosa e arancione brillante gli rimbalzava sulla testa, scivolando lentamente. Buon per lui, lavorare per mettersi in forma.

Il berretto scivolò di un altro centimetro e cadde a terra, esponendo i capelli del corridore, dorati nella luce tenue, tirati indietro in uno chignon disordinato. Il corridore si fermò e si voltò per prendere il cappello.

Garret.

Ma stiamo scherzando! Sia che si girasse e corresse nella direzione opposta sia che scattasse in avanti, Adara non poteva evitare di essere notata. L’uomo era a meno di dieci metri di distanza.

Garret si fermò e appoggiò le mani sulle cosce, ansimando. Almeno non stava vomitando. Il giovane ripulì dalla neve il cappello che assomigliava molto al copriteiera trasandato che Tatum le aveva fatto all’uncinetto come regalo di Natale.

Adara provò qualcosa d’inquietante al petto. Garret avrebbe potuto scegliere qualsiasi cappello, ma aveva scelto una mostruosità colorata fatta all’uncinetto dalle dita inesperte di terza elementare di sua nipote. Adara scosse la testa, scacciando il pensiero dalla sua testa e dal suo cuore. Qualsiasi zio decente avrebbe fatto lo stesso.

Continuando ad ansimare, Garret si rimise il berretto in testa e cercò di sorridere. Sembrava più la smorfia di qualcuno che stava per lanciare i suoi biscotti. “Bella mattinata” - inspirò con un respiro veloce - “per una corsa.”

Sospirando, Adara si fermò accanto a lui. “Non sono sicura che quello che stai facendo possa essere chiamato correre. Sembri un po’... flaccido.”

“Flaccido?” sussultò l’uomo, sollevando le sopracciglia. “Come quel piccolo fornaio”-huff-”fatto di pasta”-puff-”che ridacchia quando gli dai un pugno nello stomaco?

Adara gli toccò la pancia e una sensazione di calore si diffuse sul suo viso. Che cosa sto facendo? Toccare qualcuno che conosco a malapena, per non parlare di punzecchiarlo come una pasta poco cotta?

A suo credito, Garret cercò di farsene una ragione e di ridacchiare, ma il risultato fu più un gorgoglio da Wookie morente.

Adara si asciugò la fronte per nascondere un lieve sorriso. Il pallore di lui poteva sembrare pastoso, ma il suo stomaco non si era sentito molliccio. Per niente. Adara si mise a correre prima di fare qualcos’altro di stupido. “Va bene, allora. Buona zoppicata.”

“Potrei usare un mentore per la corsa,” disse Garret, “per avere una motivazione.” La sua voce divenne più distante mentre lei metteva spazio tra di loro. “O per andare in rianimazione!”

Dato che lui non poteva vederla, Adara si arrese a un sorriso. Uno piccolo. Se Garret stava abbastanza bene da scherzare, ce l’avrebbe fatta senza di lei e sperava che se ne fosse andato per quando lei avrebbe fatto il secondo giro.