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Conquista Di Mezzanotte
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Conquista Di Mezzanotte

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“Cosa stai dicendo, Davina?” Ian fece un passo indietro, verso l'uscita delle scuderie. “Stai dicendo che io...?” Scosse la testa, fermandosi appena fuori dell'ingresso; i suoi occhi colmi di tristezza riflettevano la luce tremolante della torcia, aumentando la sua aura demonica. “So di averti fatto torto, ma non ho fatto tutto quello che potevo, per dimostrarti che sono cambiato? Cosa ancora...?”

“Eccomi qui, padron Ian,” disse Fife entrando nelle scuderie. “Cosa vi ha sconvolto così, ragazzo?”

“E' questo che pensi di me, Davina?” disse Ian vinto dal dolore.

“Guarda, Fife! Un altro gattino!” Davina singhiozzava senza riuscire a controllarsi, temendo come sarebbe andata a finire. “E' come ho detto io! Mi ha vista quando ho trovato il gattino e non ha provato rimorso!”

Fife la fissò a bocca aperta, poi guardò Ian dispiaciuto. Davina li superò di corsa, tornò nel retro delle scuderie e posò il gattino su un piccolo mucchio di paglia. Si lavò via il sangue dalle mani, piangendo, e si spruzzò l'acqua piovana del barile sul viso, per cercare di schiarirsi le idee. Appoggiando le mani sul bordo del barile, ansimò, cercando di pensare a come affrontare tutto ciò. Non può essere vero! Perché sta accadendo?

Un segno marrone incrostato sul bordo del barile dell'acqua sembrava l'impronta parziale di una mano. Un'impronta insanguinata.

Ian la afferrò per le spalle e la fece voltare così rapidamente che le girò la testa. Bloccandola contro il muro posteriore della scuderia, le parlò abbastanza ad alta voce perché Fife potesse sentire, in un tono così colmo di affetto e sincero, che lei quasi credette alle sue parole... se non fosse stato per la maschera minacciosa sul volto. “Tu sei delicata come quei gattini. Odierei se ti accadesse qualcosa del genere. Mi schiaccerebbe.” Le strinse più forte le spalle, per sottolineare la parola “schiacciare.”

Il rumore di passi che si allontanavano svanì attraverso le imposte alla sinistra di Davina, sopra il barile dell'acqua, e Ian aspettò che Fife fosse fuori della portata d'orecchio.

“Credulona fino alla fine, Davina,” la schernì. “Mi farò accettare da tutti nella vostra famiglia e tu sarai quella costretta alle restrizioni. Forse ti crederanno persino pazza, quando avrò finito il mio lavoro.”

Sentendo il mondo chiudersi intorno a sé, Davina spinse via Ian e si avviò sconvolta verso il castello. Varcò la porta della cucina con irruenza, sfrecciò lungo il corridoio che portava al salotto e si fermò di colpo sulla soglia. La sua famiglia era seduta nella stanza, con gli occhi spalancati e uno sguardo interrogativo. Fife era in piedi alla sua sinistra, accanto a suo padre: stava schiacciando il cappello tra le mani nervose ed aveva un'espressione colpevole dipinta in viso.

“Cosa hai raccontato, Fife?” Davina si appoggiò i polpastrelli freddi sulle guance bagnate e arrossate.

Suo padre incrociò le braccia. “Cos'è questa storia di Ian che uccide i gattini?”

Davina corse ad afferrare l'avambraccio del padre. “Padre, sta sfogando la rabbia su quei poveri animali indifesi, invece che su di me.” Non riusciva a controllare i singhiozzi, mentre supplicava.

“Su, padrona Davina,” la rimproverò gentilmente Fife. “Padron Ian ha detto che non potrebbe fare del male a quei gattini, più di quanto potrebbe farne a voi. Avete semplicemente male interpretato quello che ha detto.”

“Grazie per avermi difeso, Fife, ma penso che sia inutile tentare ancora.” Ian era in piedi sulla soglia e il dispiacere gli piegava gli angoli della bocca verso il basso. “Credo che Davina abbia ragione, Parlan. Dovremmo sciogliere questa unione. Non mi perdonerà mai, per quanto io possa cercare di cambiare.”

“Perché stai facendo tutto questo!” gli gridò in faccia Davina.

“Ora mi vuoi? A che gioco stai giocando, Davina?” Ian sollevò le braccia frustrato e si spostò al centro della stanza per perorare la propria causa, lasciando Davina indietro, sulla soglia.

“No, non è quello che intendo dire e lo sai! Perché stai cercando di farmi considerare pazza dalla mia famiglia?”

Ian abbassò la mascella, come se fosse stato schiaffeggiato. Annuì, chiudendo la bocca e poi gli occhi. “Ho provato, Parlan.” Guardò dispiaciuto il padre di Davina, mentre la madre singhiozzava. “Amo vostra figlia ed ho sperato di riuscire a far funzionare il matrimonio, ma è evidente che lei non mi perdonerà.” Poi disse, rivolgendosi a suo padre Munro: “Andrò in camera a preparare il baule. Sarà meglio partire domani.” Quindi si voltò verso Davina, le si avvicinò volgendo la schiena alla stanza e le rivolse quel sorriso privato e malvagio che la voce non tradiva mai. “Addio, Davina,” sussurrò e se ne andò. Munro lo seguì, guardandola con cipiglio mentre usciva.

Davina era scioccata per gli sguardi accusatori della sua famiglia. Parlan sospirò e si avvicinò al camino, rivolgendole la schiena. Lilias singhiozzava nel fazzoletto che aveva tirato fuori dalla manica. Kehr si fece avanti, con le sopracciglia piegate verso il basso. “Davina, è tempo di lasciar perdere l'amante zingaro dei tuoi sogni. Nessun uomo, né tanto meno Ian, sarà mai capace di eguagliare questa fantasia. E' giunto il momento di crescere.”

Parlan si voltò con delle espressioni mutevoli che alternavano la confusione e la rabbia. Davina quasi soffocò, per il groppo che le si era formato in gola. Persino il suo amato Kehr la tradiva, la considerava pazza! Scappò dalla stanza e ritornò nelle scuderie. Tirò fuori Heather dal box, montò il cavallo e sfrecciò attraverso i terreni e fuori dal cancello anteriore, lontano da quella follia. Le sue guance, bagnate dalle lacrime, divennero fredde quando il vento la colpì, arruffandole i capelli. Quando raggiunse una radura dove di solito trovava la solitudine, tirò le redini di Heather e saltò giù dal cavallo, lasciandosi cadere sul terreno ricoperto dalle foglie dell'autunno precedente e bagnato dalla rugiada della sera.

Dopo essersi messa in ginocchio nel mezzo della foresta illuminata dalla luna, Davina singhiozzò tra le foglie. L'amante zingaro dei suo sogni aveva avuto proprio ragione! Era trincerata nel destino che Broderick aveva previsto per la sua vita da ragazza. Ma perché stava accadendo tutto ciò? Lei desiderava solo continuare la vita felice che aveva prima di incontrare Ian. Perché Dio l'aveva sposata a quel pazzo appassionato di manipolazione e controllo? Davina avrebbe voluto solo una famiglia e qualcuno da amare.

Si raddrizzò e si posò le mani tremanti sul ventre. Aver perso il primo figlio l'addolorava profondamente, ma alla fine si era chiesta se non fosse stato meglio non avere il bambino. Davina non avrebbe sopportato di vedere il sangue del suo sangue costretto a sottomettersi al suo stesso destino, alla pazzia che lei doveva sopportare. Piegando le ginocchia sul petto, attirò le gambe a sé e abbracciò il bimbo che adesso era accoccolato dentro di lei. Aveva saltato due cicli- uno prima della punizione di Ian e l'altro nell'ultimo mese- quindi era rimasta incinta prima che lei e Ian dormissero in stanze separate. Ma cosa sarebbe accaduto al suo bambino, se tutti la consideravano pazza? Dondolando avanti e indietro con la fronte appoggiata alle ginocchia, lasciò sgorgare le lacrime.

Toccò il pugnale nello stivale con l'incavo del braccio. Trattenne il fiato, paralizzata da un'idea che le era venuta in mente. Seguendo l'orlo dell'abito, tirò fuori l'arma dallo stivale e si accucciò sui talloni. Il suo cuore era combattuto riguardo a quella decisione. Sono pazza. Ma quale altra scelta ho? Strinse le mani intorno all'elsa del pugnale e siposò la punta della lama contro il cuore. Aveva le mani doloranti, con le nocche bianche e tremanti. Non sapeva bene se aveva afferrato il coltello per paura o per farsi forza. Una lieve brezza accarezzò le sue guance sporche di lacrime, rinfrescando la pelle nell'aria della sera. Non voleva farlo- prendere la propria vita e quella del figlio non ancora nato- ma come avrebbe fatto ad affrontare la pazzia che li attendeva entrambi? Come poteva affrontare il tradimento della sua famiglia? Oppure quella era solo una scusa da codarda?

Si lasciò sfuggire un grido di frustrazione e infilò la lama nel terreno soffice e bagnato, crollando a terra. Il suo corpo era scosso dai singhiozzi e l'odore della sporcizia si mescolava a quello stantio delle foglie in decomposizione, come in una tomba. “Sono stata così vicina,” piagnucolò, “così vicina a diventare vedova. Così vicina alla libertà.” Per colpa di una decisione presa dal re, tutte le sue speranze si erano infrante come ghiaccioli contro la pietra. Persino quel membro della sua famiglia- il suo cugino reale- l'aveva tradita; l'apparizione di re Giacomo sembrava essere stata mandata apposta per lei, solo per tormentare la sua esistenza. Davina singhiozzò ancora più forte, avvinta dalla disperazione.

Heather batté gli zoccoli a terra e scosse la testa. Davina voltò lo sguardo verso la foresta buia, alla ricerca della fonte dell'agitazione dell'animale. Le si strinse lo stomaco dalla paura.

Oh, mio Dio! Sono venuti a cercarmi? Impallidì.Forse Ian era venuto a cercarla...da solo.

Solo un freddo silenzio le rispose, a parte il leggero frusciare degli alberi nel vento. Perlustrò il terreno, ma non vide niente. Dopo un altro momento di silenzio, cercò di trarre un sospiro e il sollievo la sommerse. Nessuno era venuto a cavallo per prenderla e riportarla indietro. Davina si alzò in piedi, si asciugò il naso e si avvicinò alla cavalla, continuando a lasciare occhiate intorno. “Su, su,” cercò di calmarla, allungando le mani in avanti.

Prima che potesse posare un dito sul fianco di Heather, una forza invisibile le fece uscire il fiato dai polmoni e Davina sbatté la testa sul terreno. Il suo viso fu spinto tra le foglie, mentre la testa le pulsava e qualcuno le schiacciava il corpo. Incapace di respirare o di pensare, lottò per costringere l'aria a tornare nei polmoni, facendosi prendere dal panico.

“Rilassati, ragazza,” le sussurrò all'orecchio una voce profonda. “Il fiato tornerà tra un attimo.”

Il suo aggressore la rimise in piedi in un lampo e la fece voltare a guardarlo, mentre le sue mani toccavano le contusioni fresche che Ian le aveva procurato sulle braccia, quando l'aveva tenuta bloccata contro le scuderie. Con la vista offuscata e la mente ancora scossa da quell'incontro, Davina riuscì a calmarsi e ben presto l'aria della notte d'estate tornò a riempirle i polmoni. Trasse dei respiri avidi.

“Ecco qui, ragazza.”

La paura scosse il corpo di Davina, che lottò contro quell'uomo che la teneva prigioniera contro di sé. Un bagliore d'argento fuso nelle sue pupille la attrasse in quelle profondità e Davina si calmò. Fu sommersa da un'ondata di curiosità e confusione, quando posò gli occhi su quel viso familiare- quel naso aquilino, quegli occhi verde smeraldo e quel capelli rosso fiamma. Il suo Broderick era finalmente tornato per salvarla? Spinse contro il petto dell'uomo, per mettere un po' di distanza dal suo viso e guardarlo meglio.

No. Questo viso sembrava più giovane, la mascella non era così ampia e gli zigomi erano meno scolpiti. Ho perso la testa! Avrebbe dovuto essere spaventata a morte, tra le braccia del suo aggressore, invece si stava chiedendo se quello fosse l'uomo che aveva desiderato fin dalla giovinezza.

Il pericolo in quegli occhi si trasformò in confusione, quando l'oscuro straniero osservò il viso di Davina. Afferrandole i capelli, le spinse indietro la testa. Un grido sfuggì dalle labbra di Davina, mentre l'uomo le tirava i capelli sul bernoccolo che aveva in testa. Fu costretta a fissare il cielo nero e la luna piena sopra di lei. Trattenne il fiato, mentre la bocca dell'uomo si posava sulla sua gola e un dente affilato le perforava la pelle tenera. Un breve dolore... poi un'ondata inaspettata e calda di piacere le percorse le vene e Davina crollò contro di lui con un gemito, cedendo all'euforia.

Quell'uomo- quella creatura- le sondò la mente in un'invasione seducente dei suoi pensieri, apprendendo tutto di lei mentre beveva. In pochi istanti, Davina visse di nuovo i piaceri dell'infanzia, le frustrazioni dell'adolescenza e le fantasie dell'amante zingaro dei suoi sogni. Quei lontani ricordi di Broderick si fecero avanti impetuosi e la circondarono... l'aroma esotico dell'incenso, la forte presenza del suo calore, le farfalle nella pancia, quando l'aveva visto.

Davina rivisse la notte in cui aveva incontrato Broderick.

“Cosa vedete, signore?”

I loro visi erano vicini, quando la voce profonda di lui l'aveva messa in guardia. “Non posso mentirti, ragazza. Farlo sarebbe un disastro.”

“Un disastro?”

“Sì.” I suoi occhi di smeraldo erano fissi in quelli di Davina. “Il futuro non sarà piacevole. Ma non devi perdere la fede. Hai molta forza. Usa quella forza e tieniti stretto ciò che ti è caro, perché sarà quello che ti aiuterà ad attraversare i tempi difficili che devono ancora venire.”

“Cosa accadrà, signore?” insistette lei.

“Non mi è noto. Non conosco i particolari. Le linee sul palmo non rivelano questi dettagli, dicono solo che ci saranno delle difficoltà nel tuo futuro. Ricorda quello che ti ho detto. Aggrappati alla tua visione della forza.” Il resto dei ricordi che arrivavano fino a quel momento scorsero veloci e la riportarono alla disperazione che stava provando quel giorno.

Bene, quindi. Che questo straniero beva la vita che fluisce nel mio corpo. Che faccia quello che non riesco a fare da sola. Finalmente avrò pace e morirò tra le braccia dell'uomo che, al momento, immagino sia quello che amo. Nei momenti che erano passati da quando lui aveva chiuso la bocca sulla sua gola, si era sentita pervadere dalla serenità.

Lo straniero si staccò da Davina e la lasciò cadere a terra. Il collo della giovane pulsava. Le girava la testa per i rapidi ricordi che vorticavano nella sua mente e che le mostravano la vita come una recita riuscita male.

Osservando l'immagine sfuocata dell'uomo che iniziava a schiarirsi, lo vide gettare la testa indietro e ridere come un matto. “Dopo due decenni di ricerche, ho finalmente quello che cercavo!” Si inginocchiò davanti a lei e le prese il viso nei palmi. “Dio non è molto generoso con la mia razza, quindi posso solo ringraziate il Signore Oscuro per avermi portato un tale dono!” Respirò a fondo, mentre il sorriso si allargava. “Per quanto il tuo sangue sia dolce, mia cara signora,” disse l'uomo leccandosi il sangue sulle labbra, “ti lascerò alla tua tragica vita.” Il bagliore di argento fuso scomparve dai suoi occhi.

Le domande che vorticavano nella mente di Davina svanirono nella disperazione familiare che la percorse e le afferrò il cuore. A che giochi contorti stava giocando il Destino con lei? Perché rivivere quei momenti, con la Morte a portata di mano, solo per vedersi strappare via quella chance di libertà? Allungò le mani verso di lui, ma la debolezza dominava il suo corpo. “No”, cercò di dire attraverso il groppo che aveva in gola, soffocando le lacrime che le pungevano gli occhi. “Non potete lasciarmi a tutto questo. Per favore... finite il vostro lavoro.”

Lui le mise un dito sotto il mento. “Andrà tutto bene.” Le posò il palmo sulla fronte e la mente di Davina divenne nebbia. Poi tutto diventò nero.

* * * * *

Il cielo sopra di lei era cosparso di stelle e la luna era ormai alta. Davina si sedette, con la testa che girava, e toccò il bernoccolo che pulsava dietro il cranio.

“Grazie a Dio!” esclamò una profonda voce maschile. Una figura indistinta si inginocchiò davanti a lei e Davina si sforzò di schiarirsi la vista, per cercare di identificarla. “Cosa pensate?”

Lei aggrottò le sopracciglia confusa e con un gran caos nella testa. “Cosa...?

“Mi scuso. Forse sono stato troppo zelante nel cercare di salvarvi da voi stessa.” Quando Davina provò ad alzarsi, le mani calde dell'uomo sulle sue spalle la spinsero di nuovo giù. “Credo che abbiate bisogno di rimanere seduta ancora per un momento. Sapete dove vi trovate?”

Davina perlustrò la zona con lo sguardo, mentre il mondo iniziava ad apparire. Era seduta al centro della radura nella foresta, che frequentava quando era in cerca di solitudine. Heather si trovava un po' distante e stava mangiando le foglie di un cespuglio. Perché era lì? Guardandosi le mani tremanti, cercò di trovare una risposta. Lasciò vagare lo sguardo e riconobbe il suo pugnale nelle mani dell'estraneo. Osservò quello straniero, quegli occhi verde smeraldo colmi di preoccupazione sotto la luce argentata della luna. Le sembrava così familiare. Le si bloccò il fiato in gola: assomigliava così tanto all'amante zingaro dei suoi sogni, eppure non era come lui.

“State ricordando,” disse lui annuendo. “E' stata una fortuna che io sia arrivato, signora. Dio solo sa cosa vi abbia spinta a volervi togliere la vita, ma per il bene della vostra anima, spero che non proverete a ripetere quel gesto orribile.”

“Per favore, signore.” Davina gli posò una mano implorante sul braccio. “Cos'è successo?”

“Oh, pensavo che lo ricordaste.” L'uomo si schiarì la gola. “Stavate per togliervi la vita, quindi vi ho fermato. Nel farlo, avete sbattuto la testa. Spero che potrete perdonarmi.” Alzò gli occhi al cielo e mormorò: “Avrei potuto portare a termine questa faccenda io stesso, per colpa della mia goffaggine.”

“Non vorrei darvi cattive notizie, signore, ma vorrei che l'aveste portata a termine.”

“Sciocchezze!” Lui inalò a fondo e sembrò riprendere il controllo, dopo quello sfogo. “Perché credete che io sia qui, signorina?”

“Non sono sicura di capire cosa intendete, signore.”

“Tanto vale dire tutto subito, anche se le mie parole potranno sembrare folli.” Le prese entrambe le mani nelle sue e la fissò dritto negli occhi. “Non stavo girovagando per caso in questi boschi, stanotte. Lo dico dopo avervi salvato la vita, ma all'inizio ho dubitato della mia salute mentale. Stavo attraversando la vostra piccola e umile cittadina più in basso, quando questi boschi mi hanno chiamato. E' arrivato un messaggio nella mia mente mentre cercavo, senza sapere cosa stessi cercando. Il messaggio diceva: 'Devi dirle che lui tornerà, che la salverà. Devi dirle di non rinunciare alla speranza e di aggrapparsi a quell'immagine della forza.'”

Davina sobbalzò.

“Sapete cosa significa?”

Lei annuì.

“Bene, perché io non lo so.” Sollevò l'angolo della sua bella bocca, quando lei non offrì spiegazioni. “Ma non importa. Sono contento di non essere pazzo, dopotutto.”

“Lo sono anch'io, signore,” rispose lei in soggezione. Una nuova speranza sbocciò nel petto di Davina. “Ringrazio il Signore perché Lo stavate ascoltando, stanotte. Grazie per avermi fermata.” Represse l'istinto di abbracciare quell'estraneo oscuro, che era diventato il suo salvatore e messaggero, sotto forma dell'uomo che amava, e invece gli baciò le nocche in segno di gratitudine.

“Beh, questa è la ricompensa più grande che io abbia mai ricevuto e che mi sarei mai aspettato.” La aiutò ad alzarsi in piedi, senza lasciarle la mano fino a quando lei non dimostrò di tenersi salda sui piedi e non gli assicurò di essere in grado di cavalcare. Davina montò in sella ad Heather e lui le porse il pugnale, offrendole la parte del manico. Quando lei allungò la mano a prenderlo, l'uomo lo tirò indietro. “Ve lo restituisco con molte esitazioni, cara signora. Mi promettete di non rivolgere mai più la lama verso il vostro cuore?”

“Sì, signore, lo prometto.” Lui le restituì il pugnale e Davina lo infilò nello stivale. “Il messaggio che mi avete consegnato mi ha dato una ragione per vivere.”

“E' un grande sollievo.” Lui le diede una pacca sul ginocchio. “Penso che riuscirete a tornare indietro da sola.”

Lei annuì e il suo viso avvampò dalla vergogna. “Sì, sono sicura che la mia famiglia non abbia capito le mie intenzioni, quando me ne sono andata in quello stato. Essere costretta a spiegare come mi avete salvata da me stessa, metterebbe entrambi in una posizione imbarazzante.”

“Lo farebbe di certo. Anche se mi piacerebbe molto riaccompagnarvi, ho altre questioni urgenti. Ho aspettato qualcuno per molto tempo, e credo che non aspetterò più. Mi avete dato anche voi un segno, mia cara signora. Comunque, sono sicuro che ci rivedremo.” Retrocedette di qualche passo e la salutò con la mano, prima di voltarsi e andarsene. “Buonanotte, bella signora!”

“Oh, signore! Qual è il nome del mio salvatore, così potrò includerlo nelle mie preghiere?”

“Angus!” le gridò senza perdere il passo.

Capitolo 3

Stewart Glen, Scozia—Tardo Autunno 1514—15 Mesi Dopo

“Lasciatemi sola! Non toccatemi” Davina lottava contro le mani che la trattenevano.

“Davina. Davina.”

La dolcezza di quella voce la bloccò e lei scappò via, incerta di dove si trovasse.

“Sono io, Davina, tua madre!” Lilias accese una candela di sego e si arrampicò sul letto accanto alla figlia. Riuscì a calmarla, avvolgendola tra le sue braccia confortanti e dondolando avanti e indietro. “Va tutto bene. E' morto. Ricordi? E' ormai da molto tempo nella tomba, amore.”

“Sì, madre.” Davina sospirò e lasciò che sua madre le asciugasse la fronte sudata. “Cailin?”

“Cailin sta bene,” la rassicurò sua madre. “Myrna si sta occupando di lei. Riposa tranquilla, Davina.” Lilias sospirò e continuò a cullare sua figlia. “Sono passate molte settimane, dall'ultima volta che un incubo ti ha turbata.”

Davina annuì. Suo marito Ian era morto da un anno, ma gli incubi la perseguitavano ancora; tuttavia, negli ultimi tempi sembravano farsi più rari e ciò le dava un po' di speranza.

Erano successe così tante cose dalla notte in cui aveva cercato di togliersi la vita. Il tempo passava così velocemente che sembrava essere svanito; eppure, visto che lei continuava ad aspettare con impazienza il ritorno di Broderick, come le aveva promesso Angus, l'oscuro straniero, il tempo sembrava allungarsi in eterno. Anche se Ian era riuscito ad ottenere l'appoggio della sua famiglia, una lunga conversazione con loro aveva alleviato la tensione, quindi avevano concesso a Davina il vantaggio di osservare Ian più da vicino. I lividi che lui le aveva procurato afferrandola dietro le scuderie avevano aiutato la sua causa. Tuttavia, anche se lei aveva avuto il coraggio di mostrare loro le cicatrici che portava sul corpo per le botte passate, sciogliere il matrimonio non era più un'opzione. Davina aveva detto di essere incinta e, anche se la sua condizione dava alla famiglia un'ulteriore ragione per tenere Ian lontano da lei durante il periodo di osservazione, ciò aveva reso più solido il matrimonio.

Per fortuna, quella prova aveva tradito la vera natura di Ian, ma prima che potessero essere prese altre misure disciplinari, re Giacomo aveva cambiato idea e aveva dichiarato guerra all'Inghilterra. Prima che gli uomini fossero chiamati alle armi, Ian aveva cercato di scappare, prendendo tutto quello che poteva dalla residenza di suo padre per mantenersi, ma Munro e Parlan l'avevano fermato. L'avevano tenuto rinchiuso sotto chiave, fino a quando non erano partiti anche loro, con l'accusa di tradimento che pendeva sulla sua testa, nel caso di un'ulteriore fuga da parte sua. La sera prima della partenza, Ian aveva giurato che sarebbe tornato e che Davina avrebbe rimpianto di essere nata. Kehr aveva promesso a Davina, quando si erano detti addio in privato, che Ian non sarebbe tornato.

Il 9 settembre 1513, la battaglia di Flodden Field aveva travolto i patrioti scozzesi- portando via persino il loro re coraggioso- ed aveva lasciato una scia di donne dal cuore spezzato, incluse Davina e sua madre. La guerra non aveva trascinato soltanto suo marito sul campo di battaglia, ma anche suo fratello Kehr e suo padre Parlan, e si era rivelata una vittoria dolce-amara. Come aveva detto Kehr, Ian non era tornato. La sua morte l'aveva resa libera, ma le era costata la perdita dei suoi amati padre e fratello. Lo zio Tammus- che era uno dei pochi ad essersi salvato- aveva arrancato fino a casa, portando con sé i corpi di Parlan e Kehr. In mezzo agli altri numerosi uomini massacrati, il corpo di Ian non era stato trovato, visto che c'erano state così tante perdite. Avevano sepolto Kehr e Parlan nella loro terra e vederli scendere nel terreno freddo aveva dato un senso di finalità alle loro vite. Comunque, con la morte di Ian, il bambino che lei portava in grembo- da tre mesi allora- avrebbe avuto la possibilità di vivere una vita pacifica.

Anche Munro era caduto in battaglia, lasciando a Davina l'eredità delle sue proprietà e dei suoi fondi. Visto che lei non sopportava l'idea di tornare nel posto in cui Ian l'aveva terrorizzata, era tornata a casa. Ormai quel capitolo della sua vita era chiuso e la attendevano nuove responsabilità, come aiutare sua madre ad amministrare Stewart Glen. Inoltre, Tammus aveva assunto il ruolo di loro tutore e passava metà del tempo a Stewart Glen e metà nelle sue proprietà. Visto che anche suo figlio era morto in battaglia e sua moglie di parto, Tammus era stato felice di assumersi la responsabilità della famiglia.

Quindi, se i tormenti di Davina erano finiti, se Ian era morto e sepolto da tempo, come diceva sua madre... perché lui perseguitava ancora i suoi sogni? Perché lei non riusciva a sfuggire al timore del suo ritorno? Forse gli incubi erano dovuti al fatto che il suo corpo non era mai stato trovato e Ian era ancora una minaccia sospesa. Forse Davina aveva solo bisogno di perdonarlo e di smettere di odiarlo, alla fine.

Myrna entrò nella stanza, cullando un neonato che piangeva. “Vi chiama, padrona Davina.”

Davina avvertì il latte spingere in avanti nel suo seno e gocciolare sulla camicia da notte, al suono del pianto della bambina, quindi trasalì a disagio. Allungò le braccia a prendere la figlia di otto mesi dalla cameriera di sua madre. “Sì, amore,” tubò e calmò la neonata con baci e carezze sul suo piccolo viso. “Grazie, Myrna.” Davina notò che Myrna aveva perso molto peso nell'ultimo anno: la morte di Parlan e Kehr sembrava costare cara anche a lei. Davina si voltò verso sua madre. “Starò bene, madre. Cailin può stare con me per il resto della notte.”

Lilias diede a madre e bambina un bacio sulla fronte e le lasciò sole, alla luce della candela. Myrna la seguì immediatamente. Il bagliore della fiamma tremolava e danzava nel silenzio, gettando una luce soffusa sul viso della neonata. Le labbra di Davina si posarono sulla guancia di Cailin e la giovane si asciugò le lacrime. Tenere la neonata tra le braccia le fece dimenticare facilmente i suoi incubi. Sistemandosi la bimba su un fianco, aprì la camicia da notte bagnata e la bocca avida si chiuse sul suo capezzolo. Cailin smise di piangere ed emise dei soffi lievi e caldi contro la pelle di Davina.

Davina osservò la neonata che poppava- il suo nasino, le ciglia morbide sulle guance paffute, i capelli color cannella, folti e ricci, intorno al suo viso angelico. Nascose il viso tra i riccioli setosi della figlia e lasciò sgorgare lacrime silenziose tra i soffici boccoli. “Che benedizione da una maledizione,” sussurrò. Giurò a se stessa, come aveva fatto centinaia di volte dalla morte di Ian, che non si sarebbe mai più lasciata brutalizzare da un uomo.

* * * * *

La luce del sole mattutino baciò il viso di Davina e lei distese le membra in quel calore. Osservò la cameriera che apriva le tende e canticchiava una melodia, mentre prendeva i vestiti di Davina dall'armadio.

“Buongiorno, Davina.”

Davina sorrise. “Buongiorno, Rosselyn.” Si alzò dal letto, tenendo Cailin tra le braccia, e portò la figlia semi-addormentata oltre la porta-finestra, sul ballatoio esterno. Inalò a fondo l'aria fredda e sospirò. Con i mesi invernali ormai imminenti, il cielo era ancora in ombra e non era ancora illuminato dal sole che sorgeva tardi. Appoggiò la mano sul muro gelido in pietra a vista. L'orgoglio le gonfiava il petto per l'ingenuità di suo padre. Aveva usato i resti del camminamento sul muro di cinta della struttura più antica, per creare una terrazza. Quello era l'aspetto della sua camera da letto che Davina preferiva, perché offriva la vista sul cortile, sulla fitta foresta alla sua sinistra e sul villaggio in lontananza. Senza alcuna ragione apparente, sentì lo stomaco sfarfallare dall'eccitazione, come se aspettasse un dono atteso da molto tempo. Strano.

Davina sorrise e rientrò, andando a sedersi su una sedia ricamata, dove cullò la neonata; quindi aprì la vestaglia e la camicia da notte ed offrì uno dei seni turgidi alla figlia. Con avido entusiasmo, Cailin succhiò, afferrò una manciata dei capelli di Davina e chiuse gli occhi. Una balia che vivesse con loro era costosa e, anche se aveva ricevuto un'eredità sostanziosa dalla famiglia del marito, Davina faceva molta attenzione nel conservare quei fondi. Lei e la sua famiglia non possedevano titoli e il loro legami con la Corona attraverso la nascita illegittima del padre erano troppo distanti per quei lussi. Tuttavia, se la passavano abbastanza bene da possedere delle terre ed avere un rapporto reciproco con la comunità crescente di Stewart Glen. Quella sistemazione andava molto bene a Davina: la sua età e la sua posizione le permettevano di tenere un basso profilo, quindi non si preoccupava di trovare pretendenti. In ogni caso, non avrebbe mai mandato sua figlia lontano, presso una balia, ed era contenta dei seni prosperosi che le procurava l'allattamento di Cailin.

Dopo un po', Cailin smise di poppare e Davina si voltò per offrirle l'altro seno. Lilias entrò nella stanza e baciò Davina sul capo. “Vorrei che oggi aiutassi Caitrina e le sue ragazze con il bucato, Davina. Io, Rosselyn e Myrna ci faremo aiutare da Anna a spazzare e a cambiare i pagliericci.”

“Certo, madre,” disse Davina alzandosi e passando Cailin a Myrna, che portò la neonata nella nursery. “Andrete di nuovo al mercato, oggi?”

“Come previsto!” disse Lilias con finto stupore. “Devo continuare la mia eterna ricerca di nastri!” Ridacchiarono, poi Lilias uscì per dedicarsi alle proprie faccende.

Rosselyn sorrise. “Devo sbrigarmi con il nostro pasto.” Spezzò il digiuno insieme a Davina, quando ritornò con un vassoio, poi aiutò Davina a finire di vestirsi. Per prepararla al bucato di quella mattina, raccolse i lunghi capelli ramati che le ricadevano sulla schiena in una treccia stretta, che legò sotto la cuffia.