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“Sono la stessa persona, idiota”, ribatté lei. “La differenza è che la ragazzina ingenua è diventata cinica troppo velocemente. Riconosco subito le stronzate, ed a proposito ne sto guardando una in questo momento”.
“Il riflesso sembra famigliare, non è vero?” rispose lui. “Nemmeno io mi trattengo. Abbiamo finito la gara a chi piscia più lontano? Puoi ritirare gli artigli abbastanza a lungo per intrattenere una conversazione importante?”
Lana lo guardò. A volte lo odiava veramente. Non voleva veramente pensare a quando provava qualcosa di interamente diverso. “Dì ciò per cui sei qui prima che cambi idea”.
Lui le rivolse un ghigno. Alcuni lo trovavano rassicurante, ma lei lo vedeva per ciò che era. Una sfida—offerta ed accettata. Sullivan credeva di vincere qualcosa, e lei glielo concesse allo scopo di porre prima fine alla sua disperazione. Il più velocemente avrebbero finito questa conversazione, più velocemente lo avrebbe potuto cacciare.
“Che graziosa” disse in tono falsamente benevolo. “Volevo parlarti di dove andrai quando verrai dimessa”.
“Facile” rispose. “A casa mia. Dove altro andrei?”
Sullivan esalò con forza. “Devi guarire a lungo. Non pensi sarebbe saggio restare vicino a chi ti vuole bene per farti aiutare se avrai bisogno?”
Ah. Intendeva questo quando si riferiva a sua madre. Forse se ne sarebbe occupata da sola, ma non poteva vivere alla villa, con i ricordi che tali mura richiudevano. Trattenevano quella parte di sé che aveva lasciato andare tanto tempo prima. Non voleva veramente ritornate ad essere quella ragazzina ingenua. Lana aveva lavorato troppo a sodo per diventare una donna forte ed indipendente, e non sarebbe più stata una ragazzina bisognosa. Sua madre avrebbe compreso.
“Sono in grado di prendermi cura di me stessa. Fra l’alto ho molti amici, se avrò bisogno di qualcosa potrò chiamare loro”.
“Perché sei così testarda?” Era assolutamente incazzato con lei. Lana non era in grado di sforzarsi affinché le importasse.
“Fa parte del mio fascino” ribatté prima di sorridere con fare orgoglioso. “E a te piace, per la maggior parte delle volte”.
“Morditi la lingua” le disse. “Non ammetterò mai un apprezzamento nei confronti di qualche tipo di tortura”.
Lana poteva ribattere, ma decise di lasciar stare. Lui forse non voleva ammettere il fatto che gli piacesse disputare con lei, eppure lo faceva regolarmente. Che cosa aveva detto riguardo a loro due? Uno psichiatra si sarebbe divertito a svelare le dinamiche fra di loro. Ma invece di proseguire, decise di fargli una piccola offerta di pace.
“Hai fatto il tuo dovere, Sully” disse dolcemente. Si stava veramente stancando. “Va’ a casa e dì a mia madre che me la caverò. Non c’è ragione che io resti alla villa. Lei hai già abbastanza cose di cui occuparsi, senza aggiungere me al suo onere”.
“Potremmo assumere un’infermiera per aiutarti” offrì.
Lana emise una rasata nasale. “Io sono un’infermiera. Non lascerò che un’altra si prenda cura di me in convalescenza”.
“Vorrei che tu cambiassi idea”. Si allungò verso di lei, ma sembrò ripensarci e ritrasse la mano. “Ma non forzerò le cose. Almeno pensaci, e fammi sapere se cambierai idea”.
“D’accordo” rispose poi. “Ma non sarà così”.
Sullivan annuì e si alzò in piedi. “Adesso ti lascio riposare”.
Mentre lui si diresse verso la porta, Jessica oltrepassò la soglia. Si fermò alla vista di Sullivan. “Non mi sono accorta che ci fossi tu”, disse. “Torno più tardi”.
“Non essere ridicola”, disse Lana. “Sully se ne sta andando, ed anche se così non fosse, preferirei la tua compagnia rispetto alla sua. Entra”. Sullivan raddrizzò la schiena alle sue parole e si voltò verso di lei. I muscoli della sua mascella si contrassero quando il ragazzo strinse lo sguardo su Lana. A Sully non era piaciuto il fatto che…
Jessica spostò lo sguardo fra Sullivan e Lana. “Non voglio interrompere niente”.
“Allora non saresti dovuta venire”, commentò Sullivan a denti stretti. “Se non fosse per te, lei non sarebbe in questo letto”.
Jessica impallidì. Lana rivolse un’occhiata a Sullivan. “Non te ne stavi andando?”
“Credo che mi tratterrò ancora un pochino” rispose. “Non è sicuro lasciarti con una vipera nella stanza”.
Lana desiderò dargli un pugno nel suo bel viso. Se avesse avuto le forze, e se ne fosse stata in grado, l’avrebbe fatto. La colpa non era da affidare a Jessica per ciò che aveva fatto Imogen Duncan. “Vattene prima di dire qualcosa che rimpiangerai” gli disse. “Jessica è mia amica. La maggior parte dei giorni invece tu non mi piaci nemmeno”.
“Idem” disse lui. “Ma proteggo comunque coloro di cui m’importa. Non mi devi piacere poi così tanto. Tua madre significa molto per la mia famiglia”.
Quindi lui si trovava qui perché la sua famiglia voleva proteggere la madre di Lana? La cosa l’aveva sicuramente fatta scendere dal piedistallo. Forse lo aveva spinto a dire quelle cose, ma aveva ricevuto il messaggio. Lana inarcò un sopracciglio e ribatté. “Possiamo lasciare mia madre fuori da questa storia, così come la connessione di Jessica con Imogen. Non siamo responsabili per ciò che fanno le altre persone, oppure punterei il dito contro di te per la mia situazione attuale”. Sullivan impallidì. “Che c’è?’ Non ti piace quando ti ricordano che hai avuto una cotta per una psicopatica? Almeno ne è valsa la pena? Per favore dimmi che almeno ti ha dato—“
“Basta” esclamò lui. Il suo viso riacquistò colore e le sue guance si fecero rosse dalla furia. “Hai ragione. Io ed Imogen siamo usciti insieme, e se potessi cambiare la cosa lo farei. Ma dato che non ne ho la possibilità, devo convivere con i miei errori. Non significa che non abbia apportato le modifiche necessarie per allontanare quella pazza stronza dalla mia vita. Anche tu dovresti fare lo stesso”.
“Accetto il tuo consiglio”. Inclinò la testa come se ci riflettesse. “Ma sono soddisfatta delle mie scelte”. Poi si voltò vero l’amica e le sorrise, forse con troppa gioia. Sullivan poteva ficcarsi i suoi consigli in un posto inconveniente. “Jessica, vieni a sederti dove ha liberato il posto Sullivan” Lana indicò verso di lei. “Puoi comunicarmi i progressi nel caso Imogen”.
Sullivan rise con fare maniacale, ma Jessica sembrava a disagio. Fece ciò che le aveva chiesto Lana e si accomodò alla sedia. Sedeva rigidamente, non toccando nemmeno lo schienale della sedia. Sullivan fissò Jessica che gli dava le spalle, e Lana temette ciò che avrebbe potuto fare. Nel suo sguardo era chiaro l’odio che provava. Parte di esso poteva essere rivolto verso sé stesso, ma non ne era certa.
“Imogen marcirà in prigione. Mi assicurerò che sia così” disse lui con decisione.
“È malata” disse Jessica a bassa voce restando rivolta verso Lana. “Ha bisogno di aiuto, non di essere punita”.
A Lana non piaceva trovarsi nel mezzo di ciò che sembrava una discussione famigliare. Si massaggiò entrambe le tempie. Che cos’aveva fatto per meritarsi tutto questo? Oh sì, esatto, aveva insistito con Sullivan come faceva sempre. Perché non riusciva a tenere la bocca chiusa con lui? Sullivan aveva tirato tutte le corde in lei nel peggior modo possibile, e lei aveva esagerato le cose. Doveva trovare il modo di portare un po’ di pace nella stanza. Solo una cosa avrebbe funzionato—Sully doveva andarsene.
“È una decisione del tribunale” Lana guardò fra i due. “Non ho intenzione di fare da arbitro fra di voi. Ho cose più importanti da fare. Come, per esempio, boicottare i muri bianchi. Sto considerando il fatto di iniziare una petizione o qualcosa del genere per implorare l’ospedale di ridecorare le stanze”.
Non era una brutta idea. Avrebbe dovuto guardare questi muri quando sarebbe ritornata a lavorare. Come aveva fatto a non notare quanto fossero insulsi fino ad ora? Non ne era certa.
“Mi fido del fatto che il tribunale prenderà la decisione giusta” disse Sullivan con fare orgoglioso.
“Anche io” disse Jessica. “Mia sorella non resterà in prigione per il resto della sua vita”.
“Basta” esclamò Lana. Entrambi si voltarono verso di lei. “Sullivan, vattene. Jessica resterà per una breve visita, e poi mi riposerò. Non ho la pazienza per gestire questa cosa”.
Aveva quasi paura di quanto Sullivan fosse orgoglioso della situazione di Imogen. C’era la possibilità che Sullivan potesse orchestrare qualcosa? Ed in quel caso avrebbe dovuto avvisare Jessica al riguardo? Perché si stava comportando con fare così protettivo? Non poteva trattarsi solo di sua madre. Non era qualcosa tipico di lui—almeno non riguardo a Lana. Aveva visto questo lato di lui quando si trattava della sua famiglia, specialmente Dani. Forse era per questo. Una volta lui aveva detto che la vedeva come una sorella. Forse l’incidente aveva fatto emergere questo lato di lui. Se così fosse stato allora era un brutto rospo da ingoiare. L’aveva baciata, benché si trattasse di un bacio casto, aveva dovuto significare qualcosa. Ci avrebbe riflettuto più tardi quando la sua mente non sarebbe più stata influenzata dal caos che la circondava.
“D’accordo” disse Sullivan con fare riluttante. “Ricordati la tua promessa”. Con ciò uscì dalla stanza e la lasciò con molto di più a cui pensare di quanto credeva. Erano ritornati ai loro soliti modi, ma avevano perso un po’ del loro smalto. Forse era lui, o forse era lei. Molto probabilmente un po’ di entrambi. A Lana non piaceva cambiare, e sospettava che nel futuro avrebbe dovuto apportare molte modifiche.
Sullivan non stava giocando seguendo le stesse regole, e lei non aveva ancora imparato le nuove. Un mix di emozione e paura la pervase. Poteva non significare niente, oppure tutto. Avrebbe dovuto aspettare e vedere come si sarebbe sviluppata la situazione per imparare ad affrontare questa nuova realtà. Oppure sarebbe rimasta scioccata giornalmente, ed una regola era che a Lana non piacevano le sorprese.
Per ora avrebbe dovuto mettercela tutta per stare sveglia a parlare con Jessica. Sperava che la sua amica non si sarebbe trattenuta troppo a lungo. La visita di Sullivan l’aveva resa esausta in più modi.
CAPITOLO TRE
Sullivan si affrettò nel suo ufficio alla Brady Blu e spinse la sedia contro al muro. La necessità di rovesciare il contenuto della sua scrivani a terra era forte, ma si trattenne. Avere un attacco d’ira non avrebbe aiutato quando si trattava di Lana. Doveva trovare un altro modo per convincerla a restare in convalescenza alla villa. Doveva esserci qualcosa che poteva fare per farla sentire in colpa e convincerla. Non gli piaceva l’idea di lei sola e fragile. Lana era sempre stata forte ed indipendente. Vederla così pallida e debole lo devastava in modi che non voleva esaminare con attenzione.
Si sfregò il viso con le mani e sospirò. Niente di tutto ciò stava aiutando, ed aveva molto lavoro da fare. Avrebbe gestito il problema Lana più tardi. Aveva ignorato la Brady Blue per troppo a lungo, e gli affari dovevano essere gestiti prima di affrontare il problema di dove sarebbe andata Lana una volta dimessa dall’ospedale.
Un bussare alla sua porta fece eco nella stanza. Alzò lo sguardo sulla sua assistente, Ali Davis, la quale aveva messo dentro la testa nel suo ufficio. I capelli biondo fragola della donna erano acconciati in uno chignon elegante. Indossava un tailleur color carbone con una gonna che si fermava alle ginocchia. Ali aveva poca tolleranza per le cose senza senso, atteggiamento che Sullivan aveva apprezzato sin dall’inizio, ed era la ragione principale per la quale l’aveva assunta. “Mi scusi se la disturbo”, iniziò, “ma Wilson Stuart è qui per vederla. Dice che sia importante”.
Di cosa diavolo voleva parlargli il manager dell’ufficio contabilità? Sperava fossero buone notizie, ma temeva il peggio. Il modo in cui stavano andando le cose ultimamente non presagiva niente di buono. C’erano state alcune cose belle—come il ritorno di sua sorella scomparsa da tempo, ma oltre a quello, Sullivan si sentiva come se il mondo stesse crollando attorno a sé. Non aveva idea di che cosa stesse succedendo, ma ogni giorno il suo intero essere vibrava con una sorta di energia tumultuosa sul punto di esplodere. C’era stato un tempo in cui sapeva esattamente che cosa volesse dalla vita, ed era cosciente di che direzione prendere. Ora invece non era mai stato così confuso.
Portò la sua attenzione su Ali e disse, “fallo entrare”.
“Sì, Signore” rispose la donna chiudendo la porta dietro di sé nell’uscire.
Si sedette dietro la propria scrivania ed appoggiò i gomiti sul piano. Si ricompose prima che Wilson Stuart entrò nel suo ufficio. Se non avesse chiarito questa cosa al più presto, la Brady Blue avrebbe iniziato a soffrirne. Suo padre, Malachi Brady, aveva affidato la compagnia a lui, e Sullivan non aveva intenzione di deluderlo.
La porta del suo ufficio si aprì, e Wilson Stuart entrò. “Grazie per aver trovato del tempo per me” disse accomodandosi sulla sedia di fronte alla scrivania. Stava perdendo i capelli marrone scuro, ed alcuni ciuffi ai lati si erano fatti grigi. Indossò gli occhiali e posò una pila di cartelle sulla scrivania.
“Che cosa sono?” domandò Sullivan indicando i documenti.
“Per la maggior parte sono note spese” rispose. “Ma contengono anche ricevute di consegne alla compagnia, insieme altri vari documenti commerciali”.
La testa di Sullivan stava cominciando a fargli male. Doveva tirare fuori a forza le informazioni da Wilson? Perché non gli diceva che cosa diavolo voleva? Era stato un errore venire in ufficio. Il suo pessimo temperamento stava per esplodere e riversarsi sul suo manager migliore. “Ho molto da fare. Per favore non sprecare il mio tempo”. Il suo tono era forse più schietto del solito, e Wilson sussultò appena. Sullivan non aveva potuto fare altrimenti.
“Mi rendo conto che lei sia impegnato, e mi scuso per aver interrotto la sua giornata”. Estrasse una delle cartelle dalla pila e l’aprì. Fece scivolare un foglio di calcolo sulla scrivania di fronte a Sullivan. “Questa è la nota spese da parte della fondazione. In superficie sembra che vada tutto come dovrebbe”.
Significava che c’era qualcosa di sospetto… “Ma?”
“Subito non me ne sono accorto. Riceviamo molte note spese, e le revisioniamo prima di aggiungerle in bilancio. Non abbiamo mai avuto ragione di scavare più a fondo, ed abbiamo accettato le somme. Ma questa mi è stata segnalata perché la mia assistente si è offerta volontaria per raccogliere i fondi. Era coinvolta nella fondazione, e si è resa conto che la somma non tornava”.
Merda. “È un errore?” domandò Sullivan. Per favore fa che si tratti di un errore di battitura o qualcosa del genere. Non voleva gestire altre stronzate interne alla sua compagnia.
“Subito ho pensato che lo fosse, ed ho contattato la responsabile della fondazione, la quale mi ha liquidato dicendomi che si trattava di un errore commesso dalla sua assistente quando aveva archiviato la nota”. Wilson allungò la schiena, e nel suo tono si fecero strada irritazione ed indignazione. “Il suo comportamento è stato troppo indifferente affinché lasciassi perdere. Molti soldi vengono sottratti all’ospedale e ad altre associazioni alla quale la fondazione fa delle donazioni, causa quell’errore. Non mi piace quando i totali non tornano come dovrebbero”.
“Fammi indovinare, hai scavato più a fondo” disse Sullivan. Che Dio l’aiuti. Se qualcuno stava rubando dalla fondazione l’avrebbero pagata cara.
“Vorrei il suo permesso per realizzare una revisione completa” rispose. “Questo è una piccola somma rispetto a ciò che ho scoperto con le mie ricerche, ma se non mi sbaglio, parliamo di milioni di dollari che sono stati trasferiti all’interno della fondazione nel corso degli anni passati. Devo seguire la scia dei soldi e scoprire non solo chi sta facendo tutto questo, ma anche dove sono finiti i soldi”.
Era ciò che temeva Wilson avrebbe detto. “Vuoi che intanto incontri il responsabile della fondazione e che le chieda che diavolo sta succedendo?”
Scosse il capo. “Non voglio che capiscano che stiamo investigando, o avranno tempo di coprire le tracce. Lasciamo che pensino che non abbiamo capito che cosa stanno facendo. Non posso essere ancora certo di chi sia il colpevole”.
Sullivan annuì. Se fosse stato in grado di ragionare lucidamente gli sarebbe già sovvenuto. Doveva andarsene dall’ufficio e sistemare in fretta questa faccenda di Lana. “Tienimi informato” disse. “Voglio che mi contatti appena saprai qualcosa. Non m’importa che ora o che giorno è”.
“Certo” disse Wilson. “Faro in modo che riceva rapporti regolari su tutto ciò che scoprirò nel corso dell’indagine. Ora devo analizzare molti documenti. Buona giornata”. Con ciò Wilson uscì dall’ufficio portandosi con sé le cartelle.
Quando venne chiusa la porta, Sullivan prese a ronzare nella stanza come se fosse stato una tigre in gabbia. Forse se fosse andato in palestra sarebbe stato in grado di sfogarsi. Dubitava però che sarebbe stato abbastanza per buttare tutto fuori, ma almeno sarebbe stato ciò che gli serviva per rilassarsi. Guardò fuori dalla finestra verso il centro di Envill. La città in cui vivevano non era grande, ma nemmeno troppo piccola. Avevano tutto ciò che serviva: ospedale, comando di polizia, ed alcune grandi compagnie. Se qualcuno avesse voluto sarebbe ancora stato possibile perdersi, ed allo stesso tempo Evill trasmetteva la sensazione di una piccola città in cui si potevano incontrare casualmente delle conoscenze.
“Che cosa succede? Sembri pensieroso”. Il suono della voce di sua sorella lo riportò al presente. Si voltò per guardarla, e le rivolse un sorriso.
“Niente di cui tu ti debba preoccupare. Lavoro”. Ed il mondo che crollava attorno a sé—nonostante non l’avrebbe mai ammesso.
“Eppure ho dei dubbi” disse Dani. “Ti rendi conto che non devi farti carico del peso del mondo da solo, vero?”
Non le avrebbe mai sottoposto nessun problema. Aveva avuto una vita difficile e sarebbe dovuta essere coccolata. Dani forse si credeva dura e capace, ma per Sullivan sarebbe sempre stata la sorellina che aveva perso. La sua scomparsa l’aveva reso l’uomo che era, e non poteva cambiare nemmeno se l’avesse voluto. La maggior parte del tempo gli piaceva chi era, ed il resto del mondo sarebbe potuto andare all’inferno.
“Ma io lo faccio meglio degli altri” rispose lui in tono arrogante. “Perché mai dovrei dare a qualcun altro l’opportunità di svolgere un lavoro inferiore?”
Dani si portò i capelli scuri dietro l’orecchio e gli rivolse un’occhiata. “Il tuo fascino non funziona su di me, quindi piantala”.
Lui si portò la mano sul petto e disse, “così mi ferisci”.
Il suono della risata di sua sorella aleggiò nella stanza. Adorava vederla felice, e sperava che nient’altro la ferisse mai più. Un uomo malvagio le aveva sparato due mesi prima ed era quasi morta. Sullivan credeva che niente sarebbe mai riuscito a spaventarlo, almeno fino a quando l’aveva vista coricata a terra con la camicia madida di sangue ed il respiro irregolare. Poi, in poche settimane, aveva provato lo stesso terrore guardando Lana in un letto d’ospedale. Era abbastanza per far riconsiderare tutte le decisioni prese durante la vita di un uomo. Peccato che fosse già un leopardo, e le sue macchie rimanevano esattamente dove avevano sporcato la sua anima. Non poteva cambiare la persona che era diventato, ma poteva iniziare a fare le cose diversamente con le persone che per lui erano importanti.
“Hai la pelle più spessa di così” disse Dani con un accenno di umorismo nella voce. “In realtà sono sorpresa di vederti qui. Ti pensavo all’ospedale con Lana”.
Sullivan si corrucciò. La maggior parte delle persone non avevano notato quanto tempo trascorreva all’ospedale. Rimaneva nell’ombra e non interagiva con nessuno. Eppure Dani l’aveva visto la notte in cui Lana era stata ricoverata. Da sola aveva assistito al suo stress, ed aveva fatto in modo di controllarlo ogni giorno dopo l’incidente.
“Lana non ha bisogno di me” rispose lui rigidamente. “L’ha reso perfettamente chiaro quando ha aperto gli occhi l’altro giorno”.
“Ma tu hai bisogno di lei, vero?” domandò Dani dolcemente. “Perché non le dici ciò che provi?”
E fare in modo che lei lo annienti in mille pezzi con quella sua lingua da vipera? Avrebbe preferito vivere un po’ più a lungo e combattere un giorno in più. “Ho cercato di convincerla a trascorrere la convalescenza alla villa” rispose invece. “Sua madre è preoccupata per lei, e la tranquillizzerebbe avere Lana vicino. Ovviamente ha detto di no”.
Dani s’accomodò sulla sedia di fronte alla scrivania di Sullivan ed accavallò le gambe. Poi unì le mani in grembo ed alzò lo sguardo su di lui. “Siediti” ordinò. “Forse con gli altri sei in grado di deviare l’argomento, ma come ho detto prima, io sono immune”.
Sullivan le rivolse un’occhiata. Non era abituato ad avere qualcuno che gli desse degli ordini come si fa con un bambino. Non avrebbe lasciato che la sua sorellina fosse la prima a farlo. “Ho molto da fare. Perché non mi dici il motivo della tua visita, e poi possiamo entrambi proseguire con la nostra giornata”.
“Non funziona con me” gli disse. “Non me ne andrò fino a che non ti sarai aperto con me”.
Sullivan si sedette alla poltrona come gli aveva chiesto di fare lei, ma non significava che si sarebbe aperto esponendole tutti i suoi segreti. Alcune cose era meglio se lasciate sepolte. “Non hai un matrimonio da pianificare?”
“Siobhan sta gestendo tutto” disse. “Ha reso le cose molto più semplici per me. Tutto ciò che ho dovuto fare è stato scegliere il vestito e beh, ricordare di presentarmi quando arriverà il giorno”.
“È una cosa diversa rispetto a quando hai accettato che i tuoi genitori ti aiutassero” rispose lui con fare divertito. “Che cosa ti ha fatto cambiare idea?” doveva farla parlare di qualcosa tranne che di sé stesso. Il matrimonio era un bell’argomento per cominciare. Il desiderio di parlare dei propri sentimenti si trovava nello stesso posto in classifica con il tagliarsi le vene.
“Sono stata testarda” disse, e sospirò. “Me ne rendo conto ora. Il matrimonio mi ha dato l’opportunità di conoscere Malachi e Siobhan. Sono brave persone”.
I loro genitori erano molto più che brave persone. Erano meravigliosi, gentili e fantastici. Non esistevano veramente sufficienti termini per descriverli. Nonostante la tragedia di perdere Dani da bambina, non si erano mai veramente disperati. Avevano ancora Sullivan ed avevano fatto del proprio meglio per mantenere le cose nel modo più normale possibile. Erano diventati un po’ iperprotettivi, ma l’aveva gestita.
“Puoi chiamarli Mamma e Papà” disse Sullivan. “A loro piacerebbe se lo facessi”.
“Forse lo farò, con il tempo” rispose lei. “Non sono ancora pronta”.
La comprendeva. Al suo posto non era sicuro che sarebbe stato altrettanto tollerante. Di natura, Sullivan era scettico in merito al mondo che lo circondava. “Hai detto che non credevi di trovarmi qui. Che cosa ti ha portato alla Brady Blue se non il vedere me?”
“Mi sono fermata alla fondazione. Volevo radunare delle idee e vedere come funzionano le cose qui”. Arricciò il naso in segno di ripugnanza. “Devo dire che non mi piace molto la donna che la gestisce. È stata un po’ dispettosa”.
Oh, accidenti…prima l’informazione che gli aveva fornito Wilson, ed ora questo. Stava rimpiangendo l’aver assunto quella strega. Era però altamente qualificata ed era brava nel suo lavoro. Forse era anche più brava di quanto pensasse se aveva scremato il fondo e riempito il proprio conto corrente. Wilson sarebbe dovuto arrivare a fondo della questione. “Forse la dovrò convocare per un colloquio privato. Che cosa ti ha detto?”
“Sono in grado di vedermela con Colleen O’Callaghan” disse emettendo una risata nasale. “È tutta la vita che ho a che fare con persone come lei. Una stronza bionda e pretenziosa che non si rende conto di chi è. Non ti preoccupare, prima che me ne andrò verrà rimessa in riga. Non commetterà più quell’errore”.
Le labbra di Sullivan s’inarcarono in alto nel primo vero sorriso del giorno. “Mi piacerebbe assistere alla scena”.
Alzò gli occhi al cielo. “Se ci fossi stato tu non avrebbe mai tirato fuori gli artigli con me. Si sarebbe sfregata su di te sperando che i suoi ferormoni ti avrebbero attirato ed avresti giaciuto nella sua tana per trascorrere un po’ di tempo insieme”.
“Ci sono stato, e non lo farò più” rispose con naturalezza. “Anche io sono riuscito a sfuggire a malapena da quegli artigli”. Gli vennero i brividi al ricordo di quando andava al college. Quella notte Colleen lo aveva aiutato a dimenticare la ragazza che voleva veramente. Era tutto ciò che avevano condiviso, e se ne pentiva. Era stata carina quando si erano incontrati, ma poi era emersa la vera lei quando si era resa conto che Sullivan non voleva altro da lei.
Dani scosse il capo. “Solo tu avresti assegnato una posizione di tale autorità ad una delle tue ex. Spero che quella relazione abbia avuto luogo prima che lei lavorasse qui, o mi vengono i brividi a pensare alle possibili azioni legali”.
“È stato tanto tempo fa” rispose lui con un ghigno. “Fra l’altro, che senso avrebbe avere un avvocato in famiglia se non mi può aiutare a sviare una cosa o due?” non riuscii a non pungolarla. Crescendo aveva mancato l’opportunità di farlo, e si stava rifacendo del tempo perso.
Dani inarcò un sopracciglio e disse, “provaci, e vedrai quanto correrò velocemente in tuo soccorso. Ho cose più importanti di cui occuparmi piuttosto che giocare all’arbitro fra te ed una delle tue ragazzine”.